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SALVINI E MELONI TEMONO DI PERDERE SEI MILIONI DI VOTI DEI CONTRARI A VACCINI E GREEN PASS

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

GLI ANALISTI CONCORDI: UN 20% DEL LORO ELETTORATO E’ SU QUELLE POSIZIONI, I DUE LEADER EQUILIBRISTI CERCANO DI MANTENERLI SENZA PERDERE QUELLI FAVOREVOLI

Il tesoretto dei No Vax, o meglio dei contrari all’obbligo vaccinale e degli allergici al Green pass, vale sei milioni di voti. È questa la posta in palio nella partita sui certificati di immunità che si sta giocando nel governo.
E si tratta di un numero, stimato dagli analisti, che spiega più di ogni altro le prudenze, soprattutto a destra, nel prendere posizioni nette, tranchant, sulla vaccinazione di massa. Perché la maggior parte degli scettici, lo dicono i sondaggi, sta proprio fra i simpatizzanti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
I dati di cui disponiamo, al momento, dicono che nell’ultimo anno sono diminuite sensibilmente le persone che rifiutano di vaccinarsi: è poco o per nulla propenso il 13 per cento degli italiani, secondo una ricerca Response Covid-19 del laboratorio Sps Trend dell’Università di Milano.
È un dato più che dimezzato rispetto al dicembre 2020, quando con la campagna vaccinale in partenza questa cifra era al 30 per cento.
La rilevazione (fatta dall’istituto Swg) non si distanzia molto da quella degli altri istituti demoscopici. Demos&Pi di Ilvo Diamanti, ad esempio, a fine maggio, aveva calcolato nell’11 per cento la quota dei No Vax.
Tuttavia, il discorso cambia, e di molto, se non ci si sofferma solo su chi dice no all’iniezione ma se si calcolano tutti i contrari, in genere, all’obbligo vaccinale. Coloro cioè che reclamano la libertà di scelta, fra cui in questi giorni si piazzano i critici del Green pass, visto come obbligo di vaccino camuffato.
Questo plotone, sia nelle stime di Demos&Pi, sia in quelle dell’Università di Milano, è pari al 20 per cento degli intervistati. Due su dieci.
Ora, nel 2018 votarono per la Camera 32,8 milioni di italiani. “Tenendo conto che alle prossime elezioni avremo probabilmente un’affluenza più bassa — ragiona Fabrizio Masia, direttore di Emg Acqua — e che possiamo prevedere circa trenta milioni di votanti, non è errato ipotizzare che questo contingente di scettici possa valere dunque sei milioni di voti”.
Non è un patrimonio da poco, “anzi — aggiunge Masia — potrebbe fare la differenza nelle prossime consultazioni”.
Ecco spiegate dunque la cautela e l’ambiguità di molti politici, quella tendenza a non schierarsi con forza a favore del vaccino per tutti che coinvolge soprattutto gli esponenti del centrodestra.
Non a caso: da un’analisi di Demos&Pi è emerso infatti che gli elettori dei due partiti più scettici sul Green pass (Lega e Fratelli d’Italia) sono anche quelli che, nel rapporto con i tifosi di altre forze politiche hanno meno voglia di vaccinarsi: il 22 per cento dei leghisti e il 16 per cento di FdI.
Elevata, a destra, anche la pattuglia dei contrari del tutto all’obbligo vaccinale (il 20 per cento dei fan del Carroccio e il 23 per cento di chi voterebbe Fdi).
“La contrarietà dei leader di questi due partiti verso forme anche estremamente “lievi” di obbligo vaccinale come appunto il Green pass — annota Youtrend — si spiega così: non tanto con la necessità di attrarre un elettorato No Vax, bensì con il timore di perdere una quota di elettori scettici rispetto sia al vaccino sia all’obbligo vaccinale che in questi partiti è più consistente che negli altri elettorati”.
(da Huffingtonpost)

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SALVINI NON PUO’ PERDERE A MILANO E TORINO (E SPERA CHE GUALTIERI VINCA A ROMA)

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

IL TASSELLO CHIAVE E’ LA CAPITALE: GUALTIERI AL CAMPIDOGLIO FAREBBE CONTENTI TUTTI (SALVO LA MELONI)

L’agitazione politica è colpa delle elezioni. Tra due mesi si vota in oltre mille Comuni, come dire centomila aspiranti sindaci, consiglieri, assessori con tutti gli annessi e connessi del sottopotere locale. Un ben pezzo d’Italia che con questo caldo si dimena, suda e spera. Potrebbero i leader restare sordi a tante grida di aiuto? Chiaramente no.
Di qui a fine settembre (se, come pare, andremo alle urne domenica 26 per tornarci due settimane dopo nei ballottaggi) dovranno visitare almeno una volta i ventuno capoluoghi al voto. Sfileranno in processione su e giù per la Calabria, dove si tengono le Regionali.
Come se non bastasse, Enrico Letta dovrà battere palmo a palmo l’intero senese, perché là c’è in palio il suo scranno da deputato e guai se lo azzoppassero, la sua avventura da segretario Pd finirebbe ancor prima di cominciare. Insomma: sarà tutto un affannarsi frenetico.
E più si moltiplicheranno i bagni di folla, i discorsi, le bicchierate, maggiore risulterà il tasso di confusione politica. In ogni borgo diranno che “qui si gioca il destino dell’Umanità”, figurarsi quello del governo. Decisivi risulteranno Noicattaro e Canicattì, fondamentale diventerà vincere a Pioltello e a Bovolone.
In realtà, purgato della propaganda, l’unico voto che davvero conta sarà quello delle metropoli. Nemmeno di tutte.
A Bologna, per esempio, già sappiamo come andrà a finire: senza troppa fatica vincerà Matteo Lepore, candidato di Pd e Cinque stelle. Potrebbe farcela già al primo turno, non c’è partita e sarebbe strano il contrario.
Idem a Napoli, dove Gaetano Manfredi (ex ministro nel governo Conte) farà un figurone per l’inconsistenza degli avversari.
Due tonfi per la destra, due trionfi per la sinistra, però scontatissimi e dunque riflessi nazionali zero.
Più interessante sarà Milano perché lì, secondo i sondaggi, Beppe Sala sopravanza di poco il neonatologo Luca Bernardo; che di amministrazione risulta a digiuno, lui stesso lo riconosce, eppure l’ignoranza aiuta nelle grandi imprese dunque chissà. Combattutissima sarà Torino, dove l’imprenditore Paolo Damilano (vicino a Giancarlo Giorgetti) sfiderà il “dem” Stefano Lo Russo: se la battono entrambi per un pugno di voti, e da quei voti dipenderà il futuro di Salvini.
Restasse a mani vuote sulla direttrice Mi-To, tutti direbbero che l’uomo è bollito; che come un Re Mida alla rovescia ormai non ne azzecca più una; che non riesce a vincere nemmeno quando gioca in casa. Perfino dentro la Lega scatterebbero le contestazioni. Ma al Capitano potrebbe perfino andare peggio. Per esempio, Enrico Michetti potrebbe vincere a Roma.
Il “Tribuno della Plebe” è sostenuto dall’intera destra, Lega compresa. Se lui vincesse, Salvini dovrebbe mostrarsi felice. Ma Michetti l’ha imposto Meloni come candidato “civico”, forzando la mano agli stessi alleati; perciò virtualmente è un “fratello d’Italia”; se fosse eletto al Campidoglio, verrebbe esibito da Giorgia come un trofeo, anzi la prova vivente che stare all’opposizione paga, mentre sostenere il governo fa perdere voti.
Nell’ottica della Lega non ci sarebbe nulla di più atroce che una disfatta nelle capitali del Nord, accompagnata dai festeggiamenti a Roma della “Ducetta”.
Roba da spararsi. Ne scaturirebbe una riflessione amara, e forse il governo ci andrebbe di mezzo perché nessuno sa in che modo la prenderebbe Matteo, volubile com’è. Potrebbe insistere nel mostrarsi serio e responsabile, o anche no: vai a indovinare, dipende. Ai fini dell’equilibrio politico, sicuramente sarebbe il risultato peggiore.
Draghi ostenta superiorità rispetto a queste quisquilie; ma nei suoi panni sarebbe preferibile che nella Capitale vincesse chiunque tranne appunto Michetti. Virginia Raggi? Fantastico. Carlo Calenda? Meraviglioso. Roberto Gualtieri? “Er mejo der mejo”, perché l’ex ministro dell’Economia non guarirebbe i mali di Roma, ma sistemerebbe in un colpo solo tutti i tasselli della maggioranza governativa.
Primo: rimetterebbe la Meloni al suo posto, con grande inconfessabile giubilo di Salvini. Secondo: Enrico Letta metterebbe in bacheca il suo primo trofeo da segretario. Terzo: i Cinque stelle non si potrebbero lamentare.
Perché è vero, si ritroverebbero senza Virginia. Ma in cambio del sostegno grillino a Siena, il Pd spalancherebbe a Giuseppe Conte il collegio lasciato libero da Gualtieri a Roma, una volta che venisse eletto sindaco.
Così pure l’Avvocato del Popolo approderebbe finalmente in Senato. E, come nelle favole con l’“happy end”, vivrebbero tutti felici e contenti.
(da Huffingtonpost)

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A CONTE SERVE UN RITOCCO SULLA GIUSTIZIA DA PORTARE IN DOTE AI CINQUESTELLE

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

NERVI TESI, L’EX PREMIER MEDIA… LO SPETTRO DI 5-6 VOTI DI FIDUCIA ALLA CAMERA

Ultimo faticoso miglio per la riforma sulla giustizia, che venerdì 30 luglio andrà in aula a Montecitorio e su cui Draghi ha annunciato con ampio anticipo che il Governo metterà la fiducia. Palazzo Chigi e Via Arenula cercano in queste ore la mediazione con Giuseppe Conte e i 5 stelle, che non si accontentano della proposta dem che differisce di tre anni l’entrata in vigore della riforma, ma vorrebbero escludere tout court dall’improcedibilità i reati di mafia e contro la Pubblica Amministrazione.
Si racconta di un clima più disteso, con le “colombe” in volo. Ma le richieste restano inaccettabili per centrodestra, renziani, e per lo stesso premier Draghi, come per il pur ben disposto Nazareno.
Letta professa ottimismo: “Fiducioso che il voto troverà la maggioranza unita, l’importante è approvare la riforma prima della pausa estiva”.
Si cerca la quadra, tra nervi che saltano (il dietrofront della ministra Fabiana Dadone) e interventi a gamba tesa, come il virgolettato attribuito dal “Fatto” all’ex premier – “O si cambia o non votiamo la fiducia” – smentito dal portavoce Rocco Casalino. Mentre il Quirinale ha già fatto sapere di non vedere “problemi” nella versione finale del testo Cartabia, chiedendo al Csm di estendere il suo parere (critico) sul punto della prescrizione all’impianto complessivo della legge.
Tra martedì e mercoledì Conte vedrà tutti i suoi parlamentari e separatamente quelli in commissione Giustizia, dove intanto procede l’esame istruttorio del testo.
Lunedì mattina si riunisce l’ufficio di presidenza, pronto a confermare l’inammissibilità della richiesta forzista di allargare il perimetro della riforma all’abuso d’ufficio (discussione che allungherebbe i tempi, già strettissimi) e a chiedere a ogni gruppo di individuare 10-12 priorità su cui concentrare i lavori.
Un modo per scremare gli oltre 1600 emendamenti che costituiscono di per sé un muro invalicabile. E aggirare l’ostruzionismo.
Nella consapevolezza che il vero nodo – la prescrizione – si scioglierà comunque in incontri che si svolgono altrove. L’intesa, tuttavia, è necessaria anche per motivi squisitamente tecnici. Il regolamento della Camera non prevede un maxi-emendamento governativo, bensì la fiducia su ogni articolo, vale a dire 5-6 voti separati.
Lo certifica il capogruppo Pd in commissione Giustizia Bazoli: “La fiducia da sola non basta a scardinare le complicazioni dell’iter”. Deadline per un accordo mercoledì sera, se si vuole rispettare il timing dell’aula.
Il “punto fermo” l’ha voluto mettere Draghi due giorni fa.
“C’è un testo approvato all’unanimità in consiglio dei ministri – ha ricordato – ma c’è tutta la buona volontà ad accogliere emendamenti tecnici che non stravolgano l’impianto e siano condivisi”. È la linea su cui premier e Guardasigilli, assistiti dai rispettivi uffici tecnici, cercano la mediazione con Conte.
L’ex premier guida un gruppo grillino in ebollizione, con un’ala barricadera che non si accontenta della piattaforma dem – una norma transitoria che lascerebbe fino al 2024 a tre anni la durata dell’Appello e 18 mesi i processi in Cassazione, in modo da ridurre i problemi di organico e lasciar entrare a regime il nuovo Ufficio del Processo.
Parte dei M5S, da Bonafede alla relatrice Sarti, sono sulla linea di Gratteri e Cafiero De Raho, temono il colpo di spugna sui maxi-processi, vogliono una lista molto più ampia di esenzioni dall’improcedibilità o una griglia di criteri oppure che la scelta sia lasciata al magistrato.
Prospettive che alzano la tensione nel Pd e incontrano le barricate nel centrodestra, da Forza Italia a FdI. E non solo. “Va bene la norma transitoria ma non voteremo stravolgimenti del testo – avvisa l’ex forzista ora calendiano Enrico Costa – Non possono esserci reati improcedibili”.
Italia Viva alza l’asticella, mettendo l’accento sulla “condivisione” delle modifiche: “La riforma deve andare bene a tutti, non solo a M5S – chiarisce Ettore Rosato – Per noi quello uscito dal consiglio dei ministri, e votato anche da loro, è il miglior testo possibile”.
Lo slittamento dell’entrata in vigore, invece, non va giù. E i 59 emendamenti che avete presentato? “O li ritirano tutti o discutiamo anche i nostri. Non si apre un’altra partita con M5S, se Conte ha un problema non ci riguarda…”. Renzi è sarcastico: “Preoccupato? Quando mai Di Maio schioda, sono come l’Attak…Il Pd scelga tra Conte e Draghi”.
Nel pressing i renziani non si sentono soli: si vocifera che anche la Lega intenda far pagare a Draghi lo “sgarbo” inflitto a Salvini sul green pass.
Anche Forza Italia si fa sentire: “Il testo Cartabia è un buon compromesso – sottolinea il capogruppo alla Camera Occhiuto – M5S non riversi qui le sue contraddizioni interne, Conte faccia il leader e non l’arruffapopolo”.
La partita è tra il premier e il suo predecessore. E per Conte la prova di leadership non si annuncia facile. Tocca al sottosegretario all’Interno Sibilia arginare chi lo tira per la giacca: “Fidiamoci, sta lavorando a una mediazione. No a bandierine e tifoserie, serve un punto di equilibrio. No sacche di impunità ma tempi certi. Evitiamo di basarci sul titolo di qualche giornale per giudicare”.
Ogni riferimento alla “linea Travaglio” è tutt’altro che casuale.
(da Huffingtonpost)

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NAPOLI 1973, “VOGLIAMO IL VACCINO”; QUANDO LA GENTE SCENDEVA IN PIAZZA PER CHIEDERE IL VACCINO ANTI-COLERA (E C’ERA L’OBBLIGO)

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

OGGI SCENDONO IN PIAZZA QUELLI CHE VOGLIONO ESSERE LIBERI DI INFETTARE IL PROSSIMO…. IN UNA SETTIMANA FURONO VACCINATE UN MILIONE DI PERSONE

“Vogliamo il vaccino”. Era il 1973 e questo grido attraversava le strade di Napoli, mentre il colera sconvolgeva la città. Per frenare l’epidemia, le autorità allestirono la più vasta campagna vaccinale del dopoguerra. I quotidiani dell’epoca raccontano che in circa una settimana, a cavallo tra agosto e settembre, furono vaccinati circa un milione di cittadini.
La vaccinazione venne chiesta a gran voce dai napoletani, scesi addirittura in piazza per reclamarla: il problema, nei primi giorni, fu la mancanza di dosi.
“Diecimila fiale in tutta la città” e “Scatenata la lotta contro il morbo ma a Napoli scarseggia il vaccino”, titolavano alcuni giornali dell’epoca.
Dall’osservatorio che il nostro presente offre, tra manifestazioni No Vax e No Green Pass, ciò che più colpisce delle foto e delle immagini del 1973 è proprio la partecipazione dell’intera popolazione alle proteste per ottenere il vaccino, le file in attesa di riceverlo, la palesata fiducia verso l’immunizzazione. La storia, d’altronde, non solo si ripete ma a volte si rovescia.
L’epidemia di colera causò centinaia e centinaia di casi, con 24 vittime accertate a Napoli e altre nove in Puglia.
L’allerta era iniziata dopo Ferragosto, quando nell’area partenopea si registrarono alcuni casi di quella che all’inizio venne scambiata per una forma di gastroenterite acuta. Col passare dei giorni, i pazienti con gli stessi sintomi (diarrea, vomito, disidratazione) si moltiplicarono, fino a che i medici non dimostrarono che si trattava di colera.
Correva il 29 agosto quando il quotidiano Il Mattino annunciò l’esistenza di un’epidemia che aveva già provocato la morte di cinque persone nel napoletano, con un numero crescente di ricoverati.
Fin dall’inizio, si ritenne che l’epidemia fosse stata innescata dal consumo di molluschi contaminati dal vibrione, in particolare cozze, che venivano consumati anche crudi. Le autorità adottarono diverse misure di anti-contagio: iperclorinarono le acque dell’acquedotto municipale, proibirono la vendita dei frutti di mare e li sequestrarono nei ristoranti, avviarono una campagna straordinaria di raccolta dei rifiuti, pulizia delle strade e disinfestazione dalle mosche, interdirono le spiagge e le aree di balneazione, ispezionarono teatri, cinema e altri luoghi di aggregazione.
Non erano cadute nell’oblio le precedenti epidemie di colera che avevano colpito Napoli nel 1837, nel 1884 e tra il 1910 e il 1911.
E così, di fronte al dilagare del contagio, Napoli visse giorni di panico e paura. I cittadini si riversarono nelle farmacie e negli ambulatori alla ricerca di rimedi e, quando iniziarono le vaccinazioni, l’affluenza fu strabiliante. Così come le proteste che oggi definiremmo smaccatamente “pro-Vax”: in alcuni casi le forze dell’ordine dovettero disperdere i cittadini che protestavano per la carenza di fiale e farmaci adeguati.
Ma poi la campagna vaccinale ingranò, non solo grazie all’aiuto dell’impiego delle siringhe a pistola messe a disposizione dalla Sesta Flotta degli Stati Uniti. La partecipazione della cittadinanza fu cruciale. Ma era un’altra epoca, in cui l’obbligo vaccinale era ancora evenienza avallata.
“L’obbligatorietà serve quando la situazione, per un’infezione specifica, rischia di uscire da un controllo sanitario”, ha ricordato in una recente intervista all’HuffPost Gilberto Corbellini, professore ordinario di Storia della medicina alla Sapienza. Ripercorrendo la storia dell’obbligo vaccinale in Italia, l’eserto ha detto: “Il primo obbligo vaccinale è stato introdotto per il vaiolo nel 1888; nel 1939 c’è stato quello contro la difterite, nel 1966 quello contro la poliomielite, nel 1968 contro tetano e difterite. Poi nel 1977 c’è stata la sospensione dell’obbligo di vaccinazione contro il vaiolo perché era stato ovviamente eradicato, nel 1981 c’è stata l’abolizione e nel 1991 è stato introdotto l’ultimo obbligo di vaccinazione contro l’epatite B. In definitiva, l’obbligatorietà per i vaccini in Italia va dal 1939 agli anni ’60 con sanzioni penali a carico dei genitori che omettono di vaccinare i figli e con obbligo delle scuole di verificare. In questi anni la sensibilità per le libertà civili e di obiettare decisioni dello Stato erano ridotti. Era uno Stato paternalista che sanzionava la decisione di non vaccinare i figli”.
“Gli anni ’60 e ’70 sono anche anni di lotte civili per non caricare di penalità i comportamenti individuali che potevano essere derubricati a illeciti amministrativi – ha proseguito Corbellini – E infatti nel 1981 diventa illecito amministrativo disattendere l’obbligo vaccinale. Mentre i paesi nordeuropei non hanno mai avuto problemi in assenza di obbligatorietà, in Italia le sanzioni ribadite anche nel 1998 non sono mai state applicate, ma soprattutto non si è fatto nulla per diffondere una cultura delle vaccinazioni, per cui l’esitanza è aumentata e le coperture sono calate. Nel 2017 abbiamo quindi dovuto fare una legge che rende obbligatorie una decina di vaccinazioni, ovvero i bambini che non si vaccinano sono estromessi dalla scuola e solo su basi mediche si può chiedere l’esonero”.
(da Huffingtonpost)

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IN DANIMARCA HANNO IL GREEN PASS DA TRE MESI E FUNZIONA: ECCO COME

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

UNITO AI TAMPONI GRATUITI HA BLOCCATO L’AUMENTO DEI CASI DELLA VARIANTE DELTA… IL 67% E’ FAVOREVOLE AL GREEN PASS, SOLO IL 16% E’ CONTRARIO

Da circa tre mesi la Danimarca sta usando Coronapas, l’app che certifica se una persona ha avuto un risultato negativo del test anticovid nelle ultime 72 ore, se è completamente vaccinata o se è guarita da precedente infezione da Covid-19, e con la quale è possibile accedere a ristoranti (tranne che per quelli all’aperto), musei, cinema, teatri, zoo, parrucchieri.
Ecco come funziona e perché i casi di Covid-19 sono sotto controllo.
La Danimarca è stato una dei primi paesi europei a introdurre il Green pass. Già a maggio, infatti, ben prima che la discussione sul certificato verde arrivasse nel resto d’Europa, Italia inclusa, ha lanciato la sua Coronapas, l’app che certifica se una persona ha avuto un risultato negativo del test anticovid nelle ultime 72 ore, se è completamente vaccinata o se è guarita da precedente infezione da Covid-19, e con la quale è possibile accedere a ristoranti (tranne che per quelli all’aperto), musei, cinema, teatri, zoo, parrucchieri.
Il Coronapas viene richiesto da allora agli over 18, non è invece necessario esibirlo per i più giovani. Serve poi per poter assistere alle partite di calcio e, talvolta, anche per andare in chiesa, quando le funzioni si svolgono con un numero di partecipanti superiore rispetto alla soglia consentita dall’attuale divieto di assembramento. L’applicazione danese è nata prima della certificazione europea, e lo scopo, prima ancora che per viaggiare all’estero, era quello di rendere sicuri gli spostamenti interni.
E nel frattempo anche i contagi sono diminuiti. Secondo il ministero della Salute, sono più di quattro milioni i cittadini che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, che corrisponde al 68,67 percento della popolazione totale del paese.
Le persone totalmente vaccinate sono 2,8 milioni (poco più del 47 per cento della popolazione). E nonostante anche in Danimarca cominci a circolare la variante Delta, circa il 90% dei nuovi casi è collegato alla mutazione individuata in India per la prima volta, il numero dei casi si mantiene stabile.
Nelle ultime 24 ore sono stati registrati 749 nuovi contagi e nessun morto, il cui numero dall’inizio della pandemia è fermo a 2.542.
Il che si traduce in 52,939 casi di Covid e 437 decessi per milione di abitanti, di contro ad esempio l’Italia, dove se ne registrano rispettivamente 71,056 casi e 2,118 decessi per milione di abitanti.
Anche le ospedalizzazioni non fanno registrare sostanziali novità: la scorsa settimana sono stati ricoverati 55 pazienti Covid, cifra che è rimasta stabile nei giorni successivi.
Il merito, secondo gli esperti, è sì del Coronapas ma anche della rete capillare di laboratori per l’analisi dei tamponi, oltre che da un’offerta gratuita dei test.
In particolare, quest’ultimo aspetto rende economicamente sostenibile il pass per le famiglie ancora in attesa di vaccinazione, oltre che i controlli settimanali consigliati a chi, per motivi di lavoro o svago, tende a frequentare posti affollati.
Non è un caso che la Danimarca abbia un tasso di test pro capite più elevato rispetto a qualsiasi altro posto al mondo.
Anche nel Paese scandinavo non sono mancate le proteste contro il Green pass: una petizione per bloccare i passaporti vaccinali ha ricevuto più di 40mile firme qualche settimana fa. Il suo creatore sosteneva che tali strumenti non fossero etici e creassero divisioni per la società.
Di recente centinaia di persone hanno partecipato a una protesta organizzata no pass. Ma si tratta di casi isolati: un un recente sondaggio ha suggerito che il 67% dei danesi pensa che il pass sia una buona idea, mentre solo il 16% si oppone.
(da agenzie)

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BASSETTI: “NO VAX E’ UN’ORGANIZZAZIONE CRIMINALE, CHI E’ CONTRO I VACCINI E’ CONTRO LO STATO”

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

“SONO STRUTTURATI, ORGANIZZATI E FINANZIATI, LE ISTITUZIONI NON POSSONO PIU’ FARE FINTA DI NULLA”

Matteo Bassetti, professore Ordinario dell’Università di Genova e direttore Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico San Martino, sui no vax: “Io sono sempre stato dalla parte della scienza e continuo ad esserlo. Ricevo minacce di ogni tipo, da quelle personali a quelle per la mia famiglia e i mie figli. È sbagliato considerare l’attacco no vax perseguibile a querela, deve essere considerato come attacco contro lo Stato e come tale essere essere perseguito”
“Probabilmente in un certo momento io ho visto queste infezioni in un certo modo e non l’ho nascosto. Per alcune posizioni, soprattutto quelle non allarmistiche, qualcuno ha pensato che fossi contro i vaccini. Nella realtà non è cosi. Sono sempre stato sul campo”.
Cosi Matteo Bassetti, professore Ordinario dell’Università di Genova e direttore Clinica Malattie Infettive Ospedale Policlinico San Martino, ha risposto ad una domanda di Peter Gomez su chi lo definisce vicino alle posizioni dei no vax nel corso della tredicesima edizione della manifestazione Ponza d’Autore, in corso sull’isola Ponziana.
“Le informazioni che ho dato quando mi si chiedeva di fare interviste – ha continuato Bassetti – erano quelle di un uomo che stava facendo il suo mestiere, dicevo esattamente le cose come stavano. Io sono dalla parte dei vaccini, della medicina e della scienza, la stessa che ci ha permesso di vivere in un mondo polio free, di ridurre grazie all’obbligo vaccinale della legge del 2017 i casi di morbillo e di altre malattie contagiose ed è quella che oggi ha dato la risposta contro il virus”.
Poi si è rivolto direttamente ai no vax: “Proviamo a riavvolgere il nastro. Le persone si dimenticano che non stiamo parlando di 10 anni fa ma di un anno fa, in cui il mondo scientifico è riuscito a farci avere un vaccino grazie a dei ricercatori che stavano lavorando da tempo al siero. Questa è una delle teorie portate avanti dai no vax, che il vaccino anti Covid sia stato sviluppato in poco tempo. In realtà la tecnologia che sta dietro al vaccino ad mRna getta le sue radici con la Sars del 2003 e poi con ebola e altri virus”. Infine l’affondo finale, legato alle minacce e agli insulti che l’esperto e la sua famiglia continuano a ricevere da mesi.
“Ricevo minacce di ogni tipo, da quelle personali a quelle per la mia famiglia e i mie figli – ha concluso – oltre ad insulti coloriti. Quello che bisognerebbe fare è derubricare gli attacchi che riceviamo come l’attacco dello stupido perché secondo me c’è dietro una organizzazione che potrebbe essere addirittura criminale perché alcuni movimenti no vax hanno strutturazione dove è evidente che dietro ci siano finanziamenti e una testa. Per questo faccio un appello alle autorità che si occupano della nostra sicurezza: è sbagliato considerare l’attacco no vax perseguibile a querela, deve essere considerato come attacco contro lo Stato, visto che nel mio caso sono un medico che lavora per il servizio sanitario nazionale e quindi sono un uomo delle istituzioni, e come tale essere essere perseguito. Non esiste che ieri in piazza le persone sono andate ad attaccare i vaccini in quel modo, perché quello è stato un attacco contro lo Stato. Come se si attaccasse la magistratura perché persegue la mafia”.
(da Fanpage)

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RAGAZZA DISABILE ABUSATA SU AUTOBUS DI TARANTO, INDAGATI OTTO AUTISTI DEL SERVIZIO PUBBLICO: E POI SAREMMO UN PAESE CIVILE?

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

PARCHEGGIAVANO I BUS IN LUOGHI ISOLATI, BLOCCAVANO LE PORTE E POI LA VIOLENTAVANO… DENUNCIATI MA TUTTI A PIEDE LIBERO, RESPINTA LA RICHIESTA DI ARRESTI DOMICILIARI

Per questo 8 autisti dell’Amat, l’azienda di trasporto pubblico di Taranto, di età compresa tra i 40 e i 62 anni, sono indagati per violenza sessuale aggravata ai danni di una ventenne affetta da un evidente disagio psichico.
Quando aveva 14 anni la ragazza è stata vittima di violenza sessuale da parte di un vicino di casa (condannato in via definitiva).
Il gip del capoluogo ionico – secondo quanto riporta La Gazzetta del Mezzogiorno – ha imposto nei loro confronti il divieto di avvicinamento alla ragazza e al suo fidanzato, che nel giugno 2020 l’ha convinta a denunciare le violenze ai carabinieri. Respinti gli arresti domiciliari richiesti dalla Procura.
Nelle oltre 100 pagine dell’ordinanza firmata dal giudice sono descritte le “condotte violente e minacciose” degli autisti, riferite dalla ragazza agli investigatori e a due psicologhe.
(da agenzie)

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POSITIVI 20 MEMBRI DELL’EQUIPAGGIO DELL’AMERIGO VESPUCCI

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

A BORDO CI SONO 360 PERSONE, TUTTE VACCINATE

Venti membri dell’equipaggio della Amerigo Vespucci sono risultati positivi, asintomatici o paucisintomatici.
Lo comunica la Marina Militare spiegando di aver “prontamente messo in atto tutte le misure cautelative a tutela della salute del personale, prevedendo una sosta nel porto della Spezia dove verrà attuato un protocollo specifico che prevede l’isolamento di 10 giorni in idonee strutture a terra per tutto il personale risultato positivo, nuovi controlli su tutti i membri dell’equipaggio e la completa sanificazione dell’unità”. L’equipaggio a bordo è composto da 360 persone.
L’intero equipaggio di Nave Vespucci, a bordo della quale sono stati registrati 20 casi di positività, “ha aderito alla campagna vaccinale della Difesa e ben prima dell’inizio della campagna aveva completato il doppio ciclo di vaccinazione” spiega la Marina Militare in una nota aggiungendo che “in linea col protocollo della Forza Armata per impedire la diffusione del Covid, continueranno con regolarità i controlli periodici”.
Al termine del periodo di isolamento dei 20 positivi, verrà eseguito nuovo controllo e la campagna allievi verrà ripresa “appena possibile”.
“La Marina Militare – si legge ancora – ha da tempo adottato procedure molto rigorose sulla prevenzione e sul controllo della diffusione del Covid-19, che le hanno consentito di continuare a operare senza soluzione di continuità, con la massima attenzione alla sicurezza del proprio personale nel corso di tutta l’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19″.
(da agenzie)

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SARDEGNA, LA PROTEZIONE CIVILE HA CHIESTO CANADAIR AD ALTRI PAESI EUROPEI PER SPEGNERE I ROGHI DI ORISTANO

Luglio 25th, 2021 Riccardo Fucile

STRADE BLOCCATE, FIAMME FINO AI CENTRI ABITATI, MEZZO MILIONE DI PERSONE HANNO DOVUTO LASCIARE LE CASE

Strade bloccate, fiamme fino ai centri abitati, mezzo milione di persone che hanno dovuto lasciare le proprie case: è drammatica la situazione nell’Oristanese, in Sardegna, dopo gli incendi divampati nella notte tra il 24 e il 25 luglio.
Mentre sale a 20 mila ettari l’area distrutta dalle fiamme del gigantesco rogo che sta devastando le campagne e le aziende agricole, scatta una nuova allerta tra Seneghe e Macomer.
Dopo l’evacuazione delle case in periferia a Scano Montiferro, il fronte del fuoco si sta spostando verso nord nel Marghine. Il sindaco di Macomer ha lanciato un «invito allo sgombero delle campagne dalla presenza umana». Secondo l’assessore regionale dell’Ambiente Gianni Lampis, «la stima dei danni ambientali, sociali ed economici è incalcolabile. Solo sul Mmontiferru ci sono 20 mila ettari bruciati».
Per spegnere gli incendi che stanno devastando la zona di Oristano, il Dipartimento della Protezione Civile ha attivato il meccanismo europeo per chiedere agli altri Paesi dell’Ue l’invio in Italia di velivoli che possano contribuire alle operazioni.
Il capo Fabrizio Curcio ha riunito l’unità di crisi del dipartimento e sta seguendo la situazione in stretto contatto con le autorità locali.
Mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato via Facebook che «è stato attivato il meccanismo di protezione civile per canadair dall’estero: due sono in arrivo dalla Francia, che ringrazio ufficialmente».
Di Maio ha fatto sapere di essere «in contatto con il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio, che ha tutto il nostro sostegno. Continuiamo a seguire gli sviluppi con grande attenzione. Massima vicinanza alla popolazione locale. Forza Oristano, forza Sardegna!», ha scritto il ministro.
Domenica pomeriggio anche la ministra degli Affari regionali Mariastella Gelmini ha espresso «solidarietà alla popolazione sarda, gravemente colpita da una serie di incendi che nell’oristanese hanno distrutto almeno 20 mila ettari», e ha sentito il presidente della Sardegna Christian Solinas, che «chiede un aiuto immediato per le imprese e per le famiglie».
(da agenzie)

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