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IL NORD EST PRODUTTIVO MOLLA SALVINI; “NON PUO’ FAR BALLARE DRAGHI”

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

ALLE IMPRESE VENETE NON VA GIU’ IL DOPPIO GIOCO SUL GREEN PASS … E GUARDANO A ZAIA

Qualche giorno prima del Natale del 1992 alla pasticceria Loison di Costabissara, a due passi da Vicenza, si presenta Giorgio Carollo, il delfino veneto di Silvio Berlusconi. Ordina quattro panettoni da dieci chili ciascuno. Finiranno agli allevatori che poco più in là, agli svincoli dell’autostrada, stanno rovesciando il latte a terra per protestare contro le multe di Bruxelles.
Dario, il proprietario dell’attività, non partecipa alle manifestazioni sponsorizzate dalla Lega. “Sono un uomo del fare, ero impegnato a lavorare”, racconta mentre è intento a preparare il prossimo ordine.
Quella di ventinove fa era un’altra Lega, il legame con il bacino elettorale del mondo produttivo ha subito nel frattempo una mutazione genetica dietro l’altra, ma oggi che Matteo Salvini fa il bello e il cattivo tempo con Mario Draghi è sempre la reazione della base a misurare l’andamento di questo rapporto.
Dario la mette giù così: “Salvini sta sbagliando, le sue sparate non vanno affatto bene. Noi imprenditori abbiamo bisogno di stabilità e la stabilità la può garantire solo Draghi che in maniera francescana sta facendo un lavoro straordinario”.
Dario è solo uno dei tanti imprenditori artigiani che nel Veneto, la seconda Regione del blocco produttivo del Nord, guardano con fastidio e insoddisfazione alle mosse del leader della Lega.
La prospettiva non è quella dell’imprenditore, piccolo o grande, che si chiude nella bottega o in fabbrica e tiene la politica fuori dalla porta. Per di più oggi, nella delicata stagione della risalita dalla crisi che chiama in causa una guida politica.
Qui locale e nazionale, anzi internazionale, si mischiano perché le filiere produttive del Veneto richiamano modalità artigianali e distretti territoriali, ma guardano anche all’estero.
Il distretto della scarpa di lusso per donna della Riviera del Brenta, la meccanica che a Padova rifornisce le auto tedesche, le calzature sportive del trevigiano. Sono tutti esempi di quel Veneto artigianale che conta in tutto 128mila imprese e occupa più di 300mila persone.
Un terzo di queste attività aderisce a Confartigianato Veneto. Il suo presidente, Roberto Boschetto, è uno dei più attivi nel contestare l’atteggiamento ondivago di Salvini, uomo di governo ma anche uomo che guarda al prossimo esecutivo, da tirare su con l’attuale leader dell’opposizione Giorgia Meloni.
A Salvini rimprovera il fatto che “non si può stare seduti su cento sedie”. Il contenuto della protesta è l’estensione del green pass sui luoghi di lavoro. Nel Veneto che ha sfondato quota 6,4 milioni di dosi somministrate (l′89,1% di quelle a disposizione) è il mondo dell’impresa a spingere per ampliare la campagna vaccinale attraverso l’obbligo del certificato verde per lavorare.
“Siamo gente abituata a lavorare e per lavorare – dice Boschetto – servono regole certe, cioè i vaccini, altrimenti Salvini dica chiaramente che chiudiamo tutti, però poi qualcuno ci deve mantenere”.
Il settore dell’artigianato è in ripresa. L’edilizia e la metalmeccanica sono tornati a lavorare a pieno ritmo già da alcuni mesi, ma alcuni comparti stanno ripartendo solo ora. Sono la moda, il food, il benessere. Sono ripartiti i catering, i fotografi sono ritornati a scattare alle cerimonie.
Ma la spinta ha bisogno di farsi ancora più forte. E la direzione è opposta a quella che indica Salvini, sostenitore dei tamponi. Dice sempre il presidente di Confartigianato Veneto: “Non si può vivere di tamponi. Sono una farsa, durano due giorni”.
Il Veneto non è solo la terra dell’artigianato. Qui ci sono anche le big dell’industria nazionale: Benetton, Zoppas, Luxottica, De Longhi, Rana, solo per citarne alcune. In tutto il mondo produttivo ha in pancia 427mila imprese (l′8,3% del totale nazionale) che danno lavoro a 1,7 milioni di persone. Molte guardano all’estero.
Dopo la contrazione dell′8,2% registrata l’anno scorso, con una perdita di fatturato estero di oltre 5,3 miliardi rispetto al 2019, nel periodo gennaio-marzo di quest’anno le esportazioni venete di beni hanno registrato un aumento del 4,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il recupero ha portato in cassa 755 milioni in più. In tutto le esportazioni valgono qualcosa come 16 miliardi. I panettoni di Dario, ad esempio, arrivano anche in Sudafrica.
Alberto Baban è uno che conosce bene questo mondo. A lungo presidente della Piccola industria di Confindustria, oggi è presidente di VeNetWork Spa, società di investimenti che riunisce 47 imprenditori locali. “L’idea di far ballare il governo Draghi e di pensare a un altro esecutivo è una follia”, dice commentando il sì della Lega agli emendamenti sul green pass di Fratelli d’Italia.
Baban spiega che oggi il Nord produttivo sta reagendo con un’enorme difficoltà al boom economico: “Gestire una ripresa così forte in così poco tempo non è facile perché oggi ci troviamo di fronte a una scarsa reperibilità di materie prime, ma anche di manodopera, e poi dobbiamo affrontare anche un processo di riorganizzazione produttiva”.
Le imprese contemplano solo Draghi e la tutela della strategia che da una parte guarda all’uscita dall’emergenza e dall’altra a rendere operativi i miliardi del Recovery. “In questo momento – dice sempre Baban – abbiamo una posizione di comando in Europa e la capacità di un leader molto forte e riconosciuto come Draghi. Abbiamo il comando del G-20, l’economia che tira: pensare di fare un governo con la Meloni è assurdo, non è proprio il momento di parlarne”.
Quello che il mondo produttivo del Veneto rimprovera al leader della Lega è un disallineamento rispetto alla missione Draghi che è finalizzato, sottolinea ancora l’ex presidente della Piccola industria di Confindustria, “a una convenienza legata a scadenze elettorali, come possono essere le prossime amministrative” o più al più generale tema del consenso.
“La politica non ha i tempi dell’economia e della produzione, questo è l’elemento che emerge sempre di più. Creare azioni di disturbo serve alla politica, ma non all’economia. L’elemento della discontinuità al Governo è la cosa più dannosa che ci possa essere: servono serenità e discontinuità”. È Boschetto a spiegare il senso di smarrimento della base nei confronti di Salvini: “Molti artigiani sono iscritti alla Lega, ma non riusciamo a capire dove vuole andare a parare Salvini”.
Il dissenso è trasversale alle generazioni degli imprenditori.
Eugenio Calearo Ciman è stato fino a poco tempo fa presidente dei giovani industriali del Veneto. Vicentino, classe 1982, imprenditore di terza generazione nell’azienda di famiglia Calearo Antenne, è uno di quelli che ha più il polso delle giovani generazioni. “Quello di Salvini è un comportamento sbagliatissimo. Non si può ondeggiare sui vaccini e dire, come ha fatto, che ha prenotato il vaccino per tranquillizzare quella parte del mondo produttivo che ha bisogno di lavorare in sicurezza e allo stesso tempo ammiccare alla parte che resta scettica”.
Qui il taglio della critica è quello delle imprese che non hanno amato la stagione populista della Lega, quella del Conte 1 con i 5 stelle.
Il pericolo da evitare è il voto anticipato, con annesso governo Salvini-Meloni. “Non credo – dice Ciman – che un governo populista, che vive di grandi dichiarazioni, possa competere con Draghi che ha una visione decennale di sviluppo del Paese. I leader di partito che guardano al consenso a brevissimo termine e al sondaggio del lunedì sbagliano a mettere il presidente del Consiglio sulla graticola perché rischiano di azzoppare un progetto di visione che è indispensabile per l’Italia”.
Ciman, come altri imprenditori, non pensa che Salvini staccherà la spina a Draghi, ma la prospettiva non cancella la situazione ballerina dell’oggi. Tutt’altro.
Giordano Riello, presidente della startup Nplus, è uno che ha l’impresa nel dna. Il nonno, omonimo, ha portato l’aria condizionata in Europa negli anni Sessanta. Anche lui fa parte di quella terza generazione chiamata a governare non solo le sfide della produzione, ma anche i legami con la politica, locale e nazionale.
C’è stata la generazione di Gilberto Benetton e delle autostrade privatizzate, quella di Zonin e della controversa gestione della Popolare di Vicenza. Tutte queste storie hanno guardato a Roma.
Ora che da Roma, con la Lega al Governo, arrivano segnali contrastanti, Riello è anche lui tra gli imprenditori che blinda Draghi dalle imboscate di Salvini: “Senza l’autorevolezza del premier non potremmo contare come stiamo contando oggi in Europa e incidere sulle scelte, Dio benedica la continuità”.
Perché Draghi è il totem lo spiega sempre Riello: “Una guida autorevole serve anche per trovare una soluzione su questioni europee, come la carenza delle materie prime, partendo dai microprocessori fin ad arrivare al legno e al cartone ondulato. La forte ripresa è rallentata dalla scarsa reperibilità dei componenti, ci stiamo giocando la possibilità di fare meglio del 2019″.
Si diceva della necessità di avere un punto di riferimento politico a livello locale in una Regione, il Veneto appunto, che però ha una caratura nazionale se l’ottica è quella dell’economia. Il punto di riferimento c’è già. Ha un nome e un cognome: Luca Zaia. Il processo di avvicinamento degli imprenditori al governatore è in atto da tempo, le ultime mosse sulla strategia anti Covid l’hanno accelerato.
Mentre Salvini alza le barricate sull’estensione del green pass e sull’obbligo vaccinale, Zaia spinge per la terza dose agli anziani e agli immunodepressi.
Ecco come oggi ha spronato i veneti che ancora non si sono vaccinati a farlo: “Vengano a vaccinarsi al più presto perché ad oggi ci sono 700mila posti liberi fino a fine settembre, poi partiremo con la terza dose e daremo la priorità alla macchina vaccinale e si tornerà alle categorie come lo scorso gennaio”.
Quando il presidente di Confartigianato Veneto ha un problema, racconta, “chiamo Zaia e Marcato (l’assessore regionale allo Sviluppo economico nrd) che sono sempre disponibili, mentre Salvini si è defilato”.
Dario, il proprietario della pasticcieria Loison, chiude il cerchio: “C’è stato un periodo in cui Salvini ha avuto un suo peso, soprattutto quando era al governo, ma se l’è giocata male”. E anche questa volta, nel Veneto che vuole correre più degli altri, l’ultima mossa del Capitano non è piaciuta affatto.
(da Huffingtonpost)

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SALVINI FA PAURA ALLA LEGA, SULLE COMUNALI SONDAGGI DISASTROSI: 8% A MILANO, 6,5% A BOLOGNA, 6% A ROMA

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

LA BASE LEGHISTA TEME IL TRACOLLO: “COSI’ ANDIAMO A SBATTERE, HA UNA VISIONE TALEBANA E DEVE PAGARE CAMBIALI A DURIGON E SIRI”

“Dove va la Lega? Se continua così, contro un muro. Tra un mese. Salvini lo stanno avvertendo in tanti, ma non riesce a frenare. Ha troppe cambiali politiche con i vari Siri e Durigon per svincolarsi dalla visione “talebana” che un’ala del partito propugna”.
A pronosticare un brusco impatto è un leghista del Nord, un uomo dei territori che ha conosciuto tutte le segreterie da Bossi in poi. Ma a temere che le comunali del 3 ottobre si rivelino un bagno di sangue, sono in parecchi. I numeri che girano sono molto allarmanti: intorno all’8% a Milano, al 6,5% a Bologna, al 6% a Roma. Dove le liste di FdI, nonostante un candidato sindaco non brillantissimo, veleggiano intorno al 20%. Il triplo degli alleati-rivali: vuoi perché, come rimproverano a Salvini centristi e forzisti, nelle liste c’è troppa destra estrema; vuoi perché, come sorridono i meloniani, senza crescere una classe dirigente lo “sbarco al Sud” resta un miraggio.
Ma se finisse davvero così, non sarebbe facile neppure per il Capitano evitare quel congresso che per ora non è all’ordine del giorno e che si punta a svolgere dopo le elezioni politiche.
Fatto sta che il gioco – sul filo del rasoio – tra partito di lotta (che ammicca alla schiera degli insofferenti agli obblighi e compete con la Meloni) e di governo (che rassicura Draghi per interposta squadra di ministri) si sta rompendo.
Proprio sul green pass, che a giorni alterni passa da strumento di coercizione e discriminazione a mezzo per ottenere libertà, riaperture, ripresa economica, etc. L’ultima giravolta, quella di ritirare gli emendamenti sulla carta verde per poi votare in segreto quelli dell’opposizione meloniana, ha fatto deflagrare le distanze. Con facili slogan: “responsabilità” versus “ambiguità”.
Non si parla più di anime, ma addirittura di dottrine: il “giorgettismo” opposto al “borghismo”, entrambe con dietro un popolo.
Da un lato, c’è il mondo produttivo del Nord Est, gli industriali e gli artigiani del Veneto dove la pandemia ha ridotto il Pil del 9%, ma anche Confindustria che insiste sul green pass nelle fabbriche e nelle aziende anche per riportare la produzione ai livelli precedenti.
Il “Giornale” berlusconiano ha messo in fila i mugugni degli esponenti locali veneti, tutti Zaia-boys: l’assessore regionale Roberto Marcato (“Essere contro la scienza è roba da Medioevo”), il consigliere regionale Marzio Favero (“Responsabilità, non opportunismo, cosa faremmo di fronte a una nuova ondata?”). L’ex presidente della provincia di Treviso Fulvio Pettenà si chiede: “Ma gli eletti a Roma la fanno qualche telefonata sui loro territori”?.
Già: perché ad essere irritati per gli stop and go sul green pass sono tutti i governatori: Zaia (che per primo ad agosto bloccò i tamponi gratuiti per evitare disincentivi a vaccinarsi), Fontana, ma anche i “fedelissimi” Fedriga e Fugatti, fino al ligure Toti, che leghista non è ma uomo di cerniera e ha sempre esortato Salvini a “togliersi la maglietta della Lega” in ottica federativa.
Gente tutti i giorni in trincea contro il virus che non tollera rallentamenti di nessun genere. Ma lo spaesamento è approdato anche in Parlamento, dove la tensione per i rapporti altalenanti con il governo e per la campagna elettorale si accumula.
E diventa difficile distinguere le verità dai sospetti. C’è chi dice che nel gruppo alla Camera ieri ci si era già orientati per l’astensione con presentazione di ordini del giorno, per non esagerare né dividersi tra governisti e ultrà, ma il punto di caduta non ha retto alla prova dei fatti.
C’è chi maligna che una trentina di deputati si siano smarcati dall’abbraccio con FdI, ma Claudio Borghi derubrica il tutto ad “alcune assenze come negli altri partiti”.
C’è chi estende il malumore ai parlamentari politicamente nati con la vecchia Lega Nord, e chi addirittura ascrive ai “leali ma preoccupati” il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari.
Salvini sa di essere a un turning point.
Non riesce a decidersi tra le diverse sirene che gli sussurrano nell’orecchio: i referenti delle piccole imprese e degli autonomi che rappresentano le radici storiche del partito o gli “homines novi” che hanno allargato il bacino di voti flirtando con la destra e con i No Vax. Paradossalmente, a impedire che la maionese impazzisca e a compattare il partito, è l’offensiva anti-salviniana del Pd : “C’è una parte di maggioranza che vuole strappare a ogni piè sospinto – attacca il senatore Stefano Candiani – Volevano persino calendarizzare il ddl Zan in piena campagna per le comunali. Bisogna abbassare i toni e dare risposte sensate, non dogmi. Il governo Draghi è necessario per uscire dalla pandemia, ma dico no ad atti di fede: qui se si fa una critica si finisce tra gli eretici…”.
La data cruciale sarà il 18 ottobre sera, a ballottaggi chiusi: quando ogni partito farà i conti con la propria identità in era draghiana e con i rapporti di forza all’interno della propria coalizione. Anche se per la Lega vale una postilla: non basterebbe una leadership ammaccata a rendere scalabile un partito, servirebbe un frontman alternativo. E per il momento non c’è.
(da Huffingtonpost)

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I TRUCCHI DI SALVINI OBBLIGANO DRAGHI A RALLENTARE

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

DOMANI IL GREEN PASS ESTESO IN MISURA MINIMA… UNA MEDIA DI 500 MORTI ALLA SETTIMANA SULLA COSCIENZA DEI SOVRANISTI

Insomma, alla fine il cdm si farà (domani) per discutere dell’estensione del Green Pass, ma sarà, rispetto alle aspettative, un’estensione piccola piccola: per le mense scolastiche, per quelle universitarie, ma non ancora per il pubblico impiego né tanto meno per i lavoratori privati.
Ci si arriverà, all’estensione alla Pa, magari la prossima settimana ma, appunto, non subito.
E c’è da crederci quando fonti vicine al dossier spiegano che è un rompicapo giuridico definire il “dipendente pubblico”, e che c’è “un lavoro tecnico enorme da fare”, ma il punto è politico.
La frenata, rispetto all’ultima conferenza del premier (ricordate? Quella dell’estensione del Green Pass senza se e senza e senza ma e dell’invocazione dell’obbligo vaccinale) è oggettiva.
E ha a che fare certo con la complessità del provvedimento, ma anche con la complessità o meglio, perdonate la naïveté, col casino che ha combinato Salvini.
In altri tempi, quando la grammatica politica era un’altra, a proposito di un partito di maggioranza che vota gli emendamenti di una forza di opposizione dopo aver votato il provvedimento in cdm si sarebbe parlato, se non di crisi, quanto della necessità di un chiarimento.
In questa situazione, che di ordinario ha davvero poco, meglio non appiccarsi alla logica d’antan e limitarsi a descrivere lo stato dell’arte.
Il punto è che Mario Draghi non ha cambiato idea rispetto all’obiettivo da perseguire, né si è affievolita la determinazione, ma, ancora una volta, è stato costretto al realismo, proprio dopo lo spettacolo del voto alla Camera.
È chiaro cioè che una forzatura avrebbe rischiato di far sfuggire la situazione di mano. E ha concesso tempo a Salvini, con l’obiettivo di portarlo gradualmente al risultato concedendo una faticosa metabolizzazione del provvedimento.
È, semplicemente, la più classica delle trattative politiche: il governo non mette la fiducia, come chiesto da Salvini, e il leader leghista ritira i suoi emendamenti, limitandosi, diciamo così, a dare un segnale al suo mondo votando gli emendamenti altrui, e consentendo comunque l’approvazione del provvedimento.
E adesso, che si discute di allargamento, i prossimi giorni serviranno a definire, voce per voce, il “quando” e il “dove”: se tutti i dipendenti del pubblico, se i dirigenti o quelli che lavorano allo sportello, il tema dei tamponi sul privato dove spinge Confindustria, la durata del tampone (24 o 72 ore) eccetera eccetera. Poi l’approvazione.
Una mediazione, appunto. Che comunque non è banale come rospo che il leader della Lega è costretto ad ingoiare o sta già ingoiando, perché alla fine, sia pur gradualmente, sia pur faticosamente si sta allargando il Green Pass, misura bollata come liberticida da Salvini che sul tema soffre, e non poco, gli ululati della Meloni, le contraddizioni di un partito bifronte, pragmatico coi governatori, ideologico nelle piazze no vax. Però non è irrilevante neanche il potere di interdizione che lo stesso Salvini può rivendicare.
È un copione che si ripete: le intenzioni del premier, con la propensione a un sano decisionismo in base a ciò che è giusto e ciò che serve; poi il bagno di realtà, in base a ciò che è possibile.
La fase del “c’è Draghi che decide e ci sono i partiti che, mettono qualche bandierina ma non possono che accettare”, si è chiusa proprio col semestre bianco.
Adesso c’è Draghi, il cui governo non è in discussione per le stesse ragioni – autorevolezza, credibilità, stato di eccezione – ma è costretto alla trattativa permanente. È accaduto sul primo Green Pass quando, dopo una drammatizzazione in conferenza stampa (“un appello a non vaccinarsi è un appello a morire”) seguì un faticoso negoziato proprio con la Lega, dopo un altrettanto faticoso negoziato con la giustizia con i Cinque stelle.
È ri-accaduto dopo una nuova drammatizzazione sull’obbligo vaccinale, con la trattativa di questi giorni. È chiaro: Draghi in conferenza stampa è Draghi, l’autentico, con le sue convinzioni tranchant, incarnazione della missione che deve portare a termine e dei suoi principi assoluti. Poi ci sono il Parlamento, i partiti, le amministrative: il gioco che ha risvegliato l’elemento di prevalenza politica del governo che i partiti li ha coinvolti sin dalla sua formazione. E dunque la valutazione realistica dei rapporti di forza che fa planare l’indole sul principio di realtà.
Realismo significa anche consapevolezza che, con Salvini, Draghi non può rompere per tutta una serie di motivi, che vanno dalla tenuta complessiva dell’equilibrio politico all’eventualità della prospettiva quirinalizia perché, su entrambi i piani, non è immaginabile una rottura a destra che consegni palazzo Chigi agli umori dei Cinque stelle.
E realismo significa che, tutto sommato, per quanto in modo scomposto e rumoroso, Salvini sta tenendo, anche sul dossier più fuori controllo di tutti, l’immigrazione. Radicalizzare con un alleato in difficoltà, che sta scontando su questa difficoltà un’emorragia elettorale, significa mettere a rischio un equilibrio delicato. E quindi si procede step by step, con i tempi della politica, nell’auspicio che i tempi non tornerà a scandirli la pandemia.
(da Huffingtonpost)

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ALLA MELONI IL GREEN PASS PIACE SOLO ALLA CAMERA, ORA CHIEDE CHE I DEPUTATI SPROVVISTI NON SIANO AMMESSI

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

E’ CONTRARIA PER I COMUNI MORTALI MA FAVOREVOLE SE SI TRATTA DI TUTELARE SE STESSA E I SUOI PARLAMENTARI IN AULA (ALLORA SERVE)

Se il Green Pass serve a proteggere comuni mortali che vanno al ristorante, in piscina, in palestra o devono salire su un treno veloce o su aereo il partito di Giorgia Meloni manifesta aperta contrarietà al certificato verde.
Se invece serve a proteggere i parlamentari allora Fratelli d’Italia non si oppone all’introduzione del lasciapassare. E’ quanto è emerso ieri alla Camera chiamata ad esaminare il decreto per l’emergenza Covid, che contiene le disposizioni relative al Green Pass.
A chiedere che l’obbligo del certificato verde (già richiesto per stare in altri ambienti della Camera come la biblioteca e il ristorante) valga anche per l’ingresso in Aula e nel palazzo di Montecitorio è stato dunque il partito della Meloni.
A riproporre la questione, peraltro già affrontata alla Camera prima della pausa estiva dei lavori, è stato precisamente il capogruppo di FdI, Francesco Lollobrigida: “Siccome mi sembra scontato che in quest’Aula, quando in questi metri quadri vi sono centinaia di parlamentari che risultano presenti, debba applicarsi la stessa norma che vale per gli assembramenti fuori da quest’Aula, vorrei sapere se la Presidenza abbia ritenuto opportuno chiedere ai parlamentari per l’ingresso in Aula il Green Pass o ritenga invece che il privilegio di essere esentati da uno strumento imposto alla nostra gente sia una cosa corretta”. Insomma dietro la storiella del “no ai privilegi” Fratelli d’Italia pensa a proteggere la salute dei suoi parlamentari.
(da agenzie)

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DRAGHI AL QUIRINALE E FRANCO A PALAZZO CHIGI?

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

UN’IDEA CHE PIACE (QUASI) A TUTTI

In un pigro giorno di fine estate, tra una discussione sul green pass e l’altro, nei palazzi romani si delinea un nuovo schema di gioco per il futuro della politica italiana. Al centro della scena, naturalmente, la ormai prossima elezione del futuro presidente della Repubblica.
Tra uno schema e l’altro, starebbe prendendo piede l’ipotesi di mandare davvero Mario Draghi al Quirinale. Se il diretto interessato fosse d’accordo, l’attuale inquilino del Colle Sergio Mattarella potrebbe esaudire il desiderio più volte lasciato filtrare, e dedicarsi a una serena pensione senza rinforzare l’anomalia di un secondo mandato, come capitato col suo predecessore.
Da quietare, a questo punto, ci sarebbero le ansie di molti membri del parlamento che – per il combinato disposto di nuovi equilibri elettorali e di un robusto taglio dei posti a seguito della mini riforma costituzionale – si vedrebbero anche loro pensionati. Ma, tuttavia, senza alcuna pensione.
La questione riguarda diversi gruppi parlamentari ma, in modo particolare, colpirebbe il Movimento 5 Stelle, il Partito Democratico che Letta finirebbe di derenzizzare già in sede di costruzione delle liste, Forza Italia e diversi cespugli tra cui il più nutrito, oggi, è sicuramente Italia Viva, oltreché le piccole truppe di Leu. In sostanza, ma è storia nota, il principale ostacolo sulla strada che porta Draghi al Quirinale è costituito dal rischio concreto che la legislatura finisca un anno prima del dovuto, rimandando a casa qualche centinaio di parlamentari.
Proprio per sedare queste ansie, si starebbe già escogitando una soluzione. Il ministro dell’economia e fedelissimo di Draghi Daniele Franco sarebbe il candidato perfetto per ricevere il timone al posto del premier, raccogliendone gli oneri più delicati, tra cui ovviamente il compimento del Recovery Fund.
Questo consentirebbe a chi ha paura del voto anticipato – grosso modo i gruppi elencati sopra – di intestarsi una scelta di responsabilità per il bene del paese, votando la fiducia a un governo Franco.
Dall’altra parte, chi dall’opposizione già oggi di tanto in tanto lamenta la sospensione della democrazia – Fratelli d’Italia – potrebbe gridare con più forza al complotto. Meno lineare la posizione della Lega, ma a oggi sarebbe facile scommettere sulla voglia di Salvini di rifarsi una verginità, ripartendo dall’opposizione e sperando che la mossa frutti un rilancio del suo consenso personale, in un partito pronto a chiedere conto di un eventuale fallimento alle politiche del 2023.
Tutto facile? Assolutamente no. Ma il fatto che nei palazzi si cominci a parlare di nomi e schemi, benché in una pigra giornata di fine estate, dice molte cose. Anzitutto, che l’inverno si avvicina a larghi passi. E nessuno vuole farsi trovare senza aver accumulato la legna per i giorni più freddi.
( da glistatigenerali)

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IL GIOCO DELLE TRE CARTE DI SALVINI SUL GREEN PASS E OBBLIGO VACCINALE A CUI NON CREDE PIU’ NESSUNO

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

E’ ALLA FRUTTA E INVENTA SUCCESSI CHE GIA’ ESISTEVANO: IN CASO DI DANNI CAUSATI DAL VACCINO IL RISARCIMENTO E’ LEGGE DELLO STATO DAL 1992

Salvini sono giorni che non viene a capo di quello che gli succede intorno. Il leader della Lega si dice prima rassicurato, poi aperturista su tutti i temi ma allo stesso tempo gioca la partita anche al fianco di Giorgia Meloni.
“Ho parlato con il presidente Draghi, non risulta nessuna estensione di green pass a tutti i lavoratori del pubblico e del privato, a differenza di quello che ho letto su qualche giornale e quindi questo mi conforta”, una rassicurazione quella del leader della Lega che non ha avrebbe avuto bisogno di esistere: nessuno ha mai parlato fino ad ora di green pass per tutti.
Capitolo indennizzo. La risposta è nella norma, quella troppe volte dimenticata. In caso di danni causati da vaccino, l’Italia riconosce risarcimenti economici da quasi trent’anni.
La legge che inquadra questo diritto è la n 210/1992 che prevede proprio l’ “Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”.
Il tema è già stato ampiamente trattato. Infatti oggi il corrispettivo riguarda anche i soggetti che sono stati danneggiati da vaccinazioni raccomandate e non obbligatorie. Il tema dell’ingiustizia dell’indennizzo per le sole vaccinazioni obbligatorie infatti è stato sollevato qualche anno fa davanti alla Consulta.
La sentenza, a beneficio del Senatore Salvini fu chiara. “Nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo, cioè la tutela della salute (anche) collettiva. In presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire la raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli.”
Ecco che la vaccinazione Covid, non obbligatoria, ma fortemente raccomandata, conduce al riconoscimento di un indennizzo in caso di conseguenze negative sulla salute.
(da agenzie)

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MEDICI NO VAX, 176 PENTITI DOPO LA SOSPENSIONE

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

LA VERGOGNA DELLE ASL CHE DA 5 MESI HANNO L’OBBLIGO DI COMUNICARE I NOMI DEI SANITARI NON VACCINATI MA FINORA LO HANNO FATTO SOLO 41 SU 106

Medici sospesi per non essersi vaccinati contro Covid-19 e poi riammessi perché pentiti.
Il dato sugli operatori sanitari ex No vax arriva dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) e registra la presenza di 176 medici sospesi e subito di nuovo regolarizzati dopo la comunicazione di avvenuta vaccinazione.
Così secondo i numeri aggiornati e diffusi dal presidente Fnomceo Filippo Anelli, attualmente in Italia si registrano in tutto 566 medici sospesi perché non immunizzati: la cifra iniziale ammontava a 742, a cui sono stati poi sottratti i 176 pentiti.
La Federazione nazionale degli ordini dei medici conferma quanto già riportato da Open nella giornata di ieri, martedi 7 settembre: i medici No vax attualmente comunicati dalle Asl sono circa 1.500, di cui circa 934 risultano ancora in servizio. Fino ad ora solo 41 ordini dei medici territoriali su 106 hanno trasmesso i dati relativi alla presenza di operatori No vax, «per cui il numero potrebbe essere molto più alto», spiega Anelli.
«Molte Asl stanno cercando di affidare ai medici compiti amministrativi» continua il presidente, «ma questo è difficilmente realizzabile. Invito i colleghi a fare subito il vaccino perché la categoria possa essere pienamente operativa e contare sul loro contributo». Dalla Federazione poi si chiarisce quanto la fronda scettica tra gli operatori sanitari rimanga secondo i dati attualmente disponibili comunque una ridotta minoranza: «I medici italiani compresi i dentisti sono in tutto 450 mila. Considerando i No vax registrati finora siamo allo 0,3% del totale».
(da agenzie)

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IN ARRIVO LA VARIANTE MU, ANCORA PIU’ TRASMISSIBILE DELLA VARIANTE DELTA

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

SCOPERTA A GENNAIO IN COLOMBIA, SI E’ DIFFUSA IN 50 PAESI… RESISTE DI PIU’ AI VACCINI

Da quando è stata scoperta in Colombia a gennaio, la variante Mu si è diffusa in quasi quattro dozzine di paesi e si è manifestata anche alle Hawaii e in Alaska. Finora è stato trovata in 49 stati su 50, il Nebraska essendo rimasto l’unico a non aver segnalato casi.
I funzionari sanitari ritengono che la variante Mu sia ancora più trasmissibile della variante Delta e abbia il potenziale per resistere ai vaccini.
Negli Stati Uniti, secondo Newsweek, la variante Mu è stata rilevata in 49 stati e nel Distretto di Columbia. La California ha riportato il numero più alto della variante con 384 casi, di cui 167 nella contea di Los Angeles.
«L’identificazione di varianti come Mu e la diffusione di varianti in tutto il mondo evidenzia la necessità per i residenti della contea di Los Angeles di continuare ad adottare misure per proteggere se stessi e gli altri», ha affermato la dottoressa Barbara Ferrer, direttrice della sanità pubblica della contea di Los Angeles, in una dichiarazione.
«Questo è ciò che rende così importante vaccinarsi e stratificare le protezioni. Queste sono azioni che interrompono la catena di trasmissione e limitano la proliferazione del COVID-19 che consente al virus di mutare in qualcosa che potrebbe essere più pericoloso».
Il 30 agosto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la variante Mu una variante di interesse per la sua capacità di essere più trasmissibile rispetto a qualsiasi altro ceppo di COVID-19. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie non hanno ancora fatto classificazioni simili su Mu negli Stati Uniti.
Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive, ha affermato che i funzionari sanitari stavano mantenendo un “occhio attento” sulla variante Mu nonostante non fosse “ vicina” a diventare il ceppo COVID-19 dominante in gli Stati Uniti.
«Anche se in sostanza non ha preso piede in alcuna misura, qui prestiamo sempre attenzione alle varianti in ogni momento», ha affermato Fauci. Gli Stati Uniti hanno visto il picco di casi di varianti Mu a metà luglio, ma da allora il numero di casi che coinvolgono quella variante è diminuito, segnalando un indebolimento del ceppo o indicando un futuro preoccupante.
(da agenzie)

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LA LISTA DELLA LEGA ESCLUSA DALLE COMUNALI DI NAPOLI, E’ STATA PRESENTATA IN RITARDO

Settembre 8th, 2021 Riccardo Fucile

SI PARLA DI ALTRE ANOMALIE MA SI ATTENDE IL COMUNICATO DELLA COMMISSIONE PREFETTIZIA… LA LEGA ANNUNCIA RICORSO

La Lega rischia di non poter partecipare alle prossime elezioni Comunali a Napoli il 3 e 4 ottobre, dopo che la commissione della prefettura ha deciso di escludere la lista «Prima Napoli» che raccoglie i candidati del Carroccio.
La lista dei candidati leghisti sarebbe stata esclusa per un un ritardo nella consegna dei documenti in Prefettura.
Come riferiscono fonti leghiste di Napoli, gli avvocati stanno già presentando un ricorso.
La decisione sulla lista leghista arriva dopo quella che aveva già colpito altre due liste a sostegno del candidato di centrodestra Catello Maresca, le due civiche «Catello Maresca» e «Catello Maresca sindaco». Anche in quei casi i rappresentanti delle liste hanno presentato ricorso.
Si tratta di tre liste della coalizione di centrodestra che sostiene Catello Maresca, “Prima Napoli”, che è la lista in cui sono confluiti i candidati della Lega, “Catello Maresca” e “Maresca Sindaco”.
I motivi di esclusione sarebbero molteplici e diversi a seconda dei casi, ma a modificare ogni speranza di “recupero” delle tre liste di Maresca c’è il video pubblicato da Repubblica che ritrae gli ultimi secondi prima dello scoccare delle ore 12:00 termine ultimo di presentazione delle liste.
I rappresentanti delle tre liste arrivano tutti dopo che la funzionaria comunale ha dichiarata “chiusa” la ricezione delle documentazioni.
Le due liste civiche a sostegno di Catello Maresca, “Maresca Sindaco” e “Catello Maresca” a quando apprende Fanpage.it sarebbero state consegnate oltre le ore 12:00 e quindi sarebbero fuori tempo massimo per ricevere il via libera dai funzionari comunali. Ma c’è di più.
Le due liste infatti sarebbero mancanti delle vidimazioni ufficiali, in pratica non ci sono le firme degli autenticatori. Un gap che se confermato sarebbe impossibile da recuperare.
(da agenzie)

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