Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile L’AMBIGUITA’ DI GIORGIA NON PAGA PIU’, DENTRO FDI IL NAZISMO DA OPERETTA VIENE COCCOLATO
Qualche giorno fa, chiudendo la campagna elettorale a Milano – Giorgia Meloni era già andata via – Ignazio La Russa ha chiamato lui sul palco: “Carlo, Sali tu”.
L’uomo forte del Nord, la nuova generazione di Fratelli d’Italia. Perché Carlo Fidanza non è un rubagalline di provincia o un improvvisato, che vuoi per inesperienza vuoi per fare lo spaccone non resiste al fascino dello sterco del demonio, inconsapevole dei rischi. E scivola su una carnevalata nostalgica.
È un politico di lungo corso, tanto che – lo racconta Giorgia Meloni nella sua autobiografia – Gianfranco Fini aveva inizialmente puntato su di lui per la guida di Azione giovani.
Da lì, una volta eletta lei, inizia un lungo sodalizio politico, cementato dal fattore generazionale, fino a quando lui diventa, di fatto, se non il numero tre uno dei massimi dirigenti del partito. O meglio, il numero tre, e il capo delegazione di Fdi al Parlamento europeo, partito che guida il gruppo dei Conservatori europei.
Un partito cioè che, secondo i sondaggi, è il primo del paese e ambisce a governarlo con la sua leader. Quella che dovrebbe chiamarsi classe dirigente, il cui requisito, per non governare il paese, dovrebbe essere la capacità di guida, la consapevolezza, la responsabilità, la pulizia morale.
Ecco, il giudizio sulla qualità della classe dirigente è già nella biografia, e nel peso specifico dei protagonisti, in questa storiaccia tragica e desolante di “doppio nero”.
Il nero del fascismo: saluti romani e battute sugli ebrei, grandi tragedie del novecento trangugiate come una tartina nel macabro aperitivo elettorale.
Il “male assoluto” che diventa operetta, nella leggerezza delle parole minacciose contro i “neri” e contro il giornalista Berizzi, sotto scorta per intimidazioni fasciste, il cui nome viene pronunciato nel sorriso squadristico a favor di foto.
Gli azzeccarbugli del negazionismo, che fanno della carnevalata una linea di difesa, dovrebbero sapere che la leggerezza fintamente goliardica è una penosa aggravante, non un’attenuante.
E poi l’altro corno del “doppio nero”, il “black”, soldi chiesti per finanziare la campagna elettorale della candidata Chiara Valcepina, colei che dice “l’unica fascista sono io” e si vanta per la sua capacità di incassare i voti delle escort regalando profumi.
Le sfruttate, in un partito che si riempie la bocca con la lotta al racket della prostituzione, altro sfavillante esempio di doppia morale, come la lotta agli spacciatori con Luca Morisi: “Le modalità – dice Fidanza al giornalista sotto copertura – sono: versare nel conto corrente dedicato. Se invece voi avete l’esigenza del contrario e vi è più comodo fare del black, lei si paga il bar e col black poi coprirà altre spese”.
Al suo fianco c’è un personaggio noto nella Milano dei camerati, Roberto Jonghi Lavarini, il “barone nero”, condannato a due anni per apologia di fascismo che spiega poi come funziona un collaudato sistema di “lavatrici”.
C’è sempre, a conferma di una consuetudine, non è una presenza occasionale. E dunque il numero tre della Meloni propone l’illecito nell’ambito di un sistema che pare collaudato, col linguaggio del faccendiere anche quando parla di “contatti” per fare affari con l’est europeo, in occasione di un evento con Aleksandr Dugin, il filosofo amato dai sovranisti europei, amico di Gianluca Savoini.
Se questo illecito si concretizza è questione che attiene ai tribunali. Ma la questione politica è squadernata, qui ed ora, e prescinde dal buon esisto dell’incasso.
Giorgia Meloni, “donna, mamma, cristiana”, capo di un partito che il neofascismo lo ha tollerato adesso spiega che non c’è spazio “per atteggiamenti ambigui sull’antisemitismo o per il paranazismo da operetta” e ha fatto autosospendere Fidanza.
Evidentemente c’è voluta Fanpage per farle scoprire l’andazzo in casa sua. La classica toppa, che per esempio non ha messo su Roma, dove candida il “camerata” Vincenzo Cuomo, ex capo ultras della Lazio, uno che sull’avambraccio destro ha impressa la scritta Werwolf: il nome dell’operazione nazista che il comandante delle SS, Heinrich Himmler, organizzò nel 1944 per contrastare l’avanzata degli Alleati nonché la denominazione che Adolf Hitler scelse per il quartier generale dell’Oberkommando in Ucraina.
Un altro si chiama Milo Mancini, e ha tatuato sul braccio Benito Mussolini e la scritta dux. Un altro ancora, Gimmi Cangiano, alle scorse regionali in Campania come slogan usò il motto “me ne frego”. E così via.
E allora, certo: un partito del venti per cento non può essere un partito in cui tutti sono fascisti, però è un partito dove vige qualcosa di più di un sistema di “tolleranza” e di giustificazionismo: quel mondo viene coccolato e coltivato.
E tutto questo vige perché la Meloni ha scelto di tornare indietro rispetto alla svolta di Fini e alla condanna del “male assoluto”, liberando, al momento della costruzione del suo partito, un sentimento represso.
E dando ad esso piena cittadinanza pratica e legittimazione teorica, con la favoletta del “siamo oltre il Novecento”, buona per non fare i conti con la storia.
Una melassa ambigua, di storia à la carte, in cui post-fascismo e nouvelle vague populista confluiscono nell’ostilità a una visione liberale della società e dell’individuo. Fintamente modernizzatrice, ma perfetta per non offendere i nostalgici. L’errore non è solo Fidanza, è nel manico.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile NAZISMO ESOTERICO, RAZZISMO, ANTISEMITISMO E BOIACHIMOLLA A GOGO’; VECCHI MAI CRESCIUTI CHE CHIAMARE NEOFASCISTI E’ UN’OFFESA A CHI LO E’ STATO
Ho visto e rivisto il video su Carlo Fidanza. Ho riassaggiato senza volerlo il
sapore rancido di un minestrone fatto di fascinazioni folli che hanno radici in un passato che pensavo morto e sepolto: nazismo esoterico, strafottenze adolescenziali, idee brufolose, feroce antisemitismo, razzismo prêt-à-porter, boiachimolla a gogò.
Il tutto frullato in una fascisteria fuori tempo massimo che non ha nulla di letterario e tutto di ridicolo, che non ha nulla di fascinoso e tutto di ripugnante.
Una volta, due volte, tre volte. Più lo rivedevo e più non ci potevo credere. Allibito.
E più non ci potevo credere e più piombavo in un vortice psicologico composto da un mix di pena, schifo, disgusto e tristezza. Infinita tristezza. E sì, perché – è un dovere ammetterlo e chi non lo fa è in malafede – questa robaccia qua era già tutta presente nel promiscuo immaginario della destra neofascista italiana.
Quasi scontato che fosse così, in effetti. Ma per nulla scontato che fosse ancora presente ai piani alti, altissimi, di un partito che ha fatto del suo estremismo di destra la propria nuova identità ma che, pensavo (speravo), avesse finalmente abbandonato un brodo culturale fatto di simbologie, atteggiamenti e ammiccamenti degni di teenager non ancora avvezzi alle gioie del sesso non in solitaria.
E invece no. Può capitare che il capodelegazione al Parlamento Europeo e responsabile Esteri (sic!) di Fratelli d’Italia sia ancora fermo lì, a quelle lunghe ore passate nella sua cameretta a sognare biondi guerrieri nordici morti e sepolti e gambe di donne mai conosciute.
Un mondo immobile, fermo ai sogni perversi di venti, trenta anni fa, un mondo che ancora si eccita pruriginosamente facendo battute sulla birreria di Monaco dove Hitler teneva i suoi discorsi. Un mondo che fa la faccia cattiva per nascondere il suo infinito vuoto interiore.
Neofascismo? Sinceramente sarebbe persino un complimento. Carlo Fidanza è nato nel 1976, (solo un anno in più di Giorgia Meloni) ha iniziato a far politica giovanissimo agli albori degli anni Novanta, come Giorgia Meloni. Appartiene a quella destra giovanile che in quegli anni sì è nutrita culturalmente della nostalgia dei suoi fratelli maggiori, si è nutrita di nulla.
Mentre Gianfranco Fini cercava di costruire finalmente una destra di governo, loro, quei ragazzini pieni di niente, continuavano stupidamente ad aggrapparsi a mitologie del passato.
Mi ricordo ancora le polemiche contro l’utilizzo ossessivo e strumentale del ricordo dei ragazzi morti negli anni Settanta. Il rito del “Presente!” è nato lì.
Una generazione cresciuta in nome dell’invidia nei confronti chi aveva vissuto una parvenza ridicola di guerra civile. Era un modo strumentale per tenere uniti, in nome del passato, ragazzi che non riuscivano a vivere la politica come sano impegno civile.
No, non era neofascismo. Non era nemmeno la comprensibile triste nostalgia dei vinti della storia. Né Fidanza il milanese né la Meloni la romana c’entravano nulla Salò. Non c’entrano nulla con il dibattito, alto e sofferto, sulla possibilità di una storia condivisa.
La loro era già allora fascisteria da strapazzo, era una scatola piena di niente, era già estrema destra con una spruzzatina di iconografia passatista ed esoterica.
È per questo che Giorgia Meloni non può tirarsi indietro. È per questo che non può cadere dalle nuvole. No, non può. Lei non può. Lei sa, lei conosce il suo mondo, la sua “comunità”, per utilizzare un termine al quale sono ancora tanto affezionati, lei conosce i suoi “militanti”.
Li conosce uno a uno. Li conosce come le sue tasche perché è stata ed è tra le responsabili di tutto questo, sin dalla sua giovanissima militanza.
Lei sa e conosce benissimo le vene razziste, antisemite, neonaziste del suo partito. Conosce le facce cattive. E conosce i pensieri.
Conosce a menadito la pochezza intellettuale di un mondo che è riuscito a nascondere la propria inadeguatezza politica grazie ad altri che hanno fatto l’errore madornale di far finta di niente, di considerare tutto ciò delle innocue ragazzate.
Ragazzate, già. A vedere gli scherzi del video di Fidanza & camerati sembra proprio questo: sembra di vedere vecchi mai cresciuti che occultano il loro nulla cosmico reiterando all’infinito la loro tristissima (e pericolosissima) gioventù.
Filippo Rossi
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile “DOVREBBE RINGRAZIARCI, HA L’OPPORTUNITA’ PER FARE PIAZZA PULITA DI CANDIDATI CHE PARLANO DI IMMIGRATI DA STERMINARE, CHE INNEGGIANO A HITLER E SPIEGANO COME VERSARE SOLDI IN NERO”
I saluti romani e gladiatori. I candidati di Fratelli d’Italia che si chiamano tra loro “camerati”, e rivendicano la loro identità fascista. I “boia chi molla” e le irrisioni a neri, ebrei e giornalisti sotto scorta perché minacciati da gruppi neonazisti. Le battute sulla birreria di Monaco in cui Hitler iniziò la sua ascesa politica verso la dittatura, la guerra e la Shoah.
No, ci dispiace, ma non riusciamo a cogliere la goliardia in tutto quel che abbiamo visto con gli occhi del nostro giornalista infiltrato nella destra milanese nei tre anni in cui è maturata l’inchiesta di Fanpage.it sulla “Lobby nera”.
E no, ci dispiace, non riusciamo nemmeno a tracciare una linea netta che marchi la differenza tra la destra istituzionale e in doppio petto, quella che siede nel Parlamento italiano ed europeo, e che governa città e regioni, e l’estrema destra neo fascista e neo nazista che prova a condizionarla e permearla.
Ancora: no, ci dispiace, ma non è un problema nostro, se non ci riusciamo. Semmai, a fronte di quel che è emerso nella prima puntata della nostra inchiesta, è un problema tutto di Giorgia Meloni e della leadership del suo partito, Fratelli d’Italia.
Che si ritrova a dover fare i conti, ancora una volta, con un’eredità e un album di famiglia che riappare improvvisamente più vivo e vegeto che mai, a quasi trent’anni dalla svolta di Fiuggi di Gianfranco Fini e a 18 anni dalla visita in Israele dell’allora Presidente di Alleanza Nazionale
Oggi, di quel “fascismo come male assoluto” si sono perse le tracce. Rimane il fastidio e l’imbarazzo di Giorgia Meloni, che ci chiede di poter visionare tutto il nostro girato, come se esistesse qualche trucco di montaggio capace di trasformare una stretta di mano in un saluto romano, o un “cheese” in un “Berizzi”.
Un saluto romano è un saluto romano, punto. E rimane tale, anche con quelle decine di ore di girato attorno. Glielo diciamo per evitare perda troppo tempo a cercare un trucco che non c’è. Poi faccia lei.
Rimane l’ipocrisia di Carlo Fidanza, che ancora oggi si definisce alieno a un mondo che, affinché fosse tale, avrebbe dovuto tener lontano da ogni evento elettorale e dallo staff della campagna elettorale dei suoi candidati consiglieri, cosa che non avviene.
E rimane lo sconforto nel vedere i due candidati consiglieri scelti proprio da Fidanza come suoi rappresentanti in consiglio comunale, Chiara Valcepina e Francesco Rocca, così disinvolti nell’indossare l’abito del fascista 2.0, che chiacchierano di immigrati da sterminare mentre sorseggia uno spritz, o che congeda la sua “allegra brigata nera” al grido di “boia chi molla”.
Nel migliore dei casi, è una catastrofe politica e culturale: quella di una leader che nemmeno si accorge che i neo fascisti da cui si vuole affrancare si sono agevolmente infiltrati nel suo partito a sua insaputa.
Di un capo delegazione al parlamento europeo con un senso dell’umorismo e dell’opportunità imbarazzanti, che mentre dice di dover restare “pulitissimo” perché “nel prossimo anno e mezzo mi gioco tutto”, si diverte a fare la caricatura del fascista in doppiopetto in un evento pubblico nel quale chiunque avrebbe potuto riprenderlo con uno smartphone.
Di un partito che per colpa del destino cinico e baro, finisce per imbarcare quei giovani e brillanti neo fascisti che a parole vorrebbe mettere alla porta.
Nel peggiore dei casi, invece, è qualcosa di molto più grave. È l’ipocrisia di una destra che non solo non ha fatto i conti col suo passato, ma che sta nascondendo – per paura o per opportunità – questo legame mai reciso ai suoi elettori e al resto del Paese.
In entrambi i casi, non è con noi che Giorgia Meloni se la deve prendere, ma con se stessa, per non essersi accorta di cosa succede nel suo partito, o per non averlo affrontato.
Al contrario, lei e i suoi tantissimi elettori che nulla hanno a che spartire con fascismo e nazismo, dovrebbero ringraziarci per aver offerto loro l’opportunità di fare pulizia di tutti i residui di un passato impresentabile. Quel che abbiamo mostrato nella nostra inchiesta è di supremo interesse pubblico. Ma è soprattutto interesse loro. Non sprechino la possibilità di affrontare i loro demoni: certe occasioni non capitano due volte.
(da Fanpage)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile JONGHI LAVARINI E’ L’UFFICIALE DI COLLEGAMENTO CON LA RUSSIA, TRA SEDICENTI CAVALIERI E NOBILDONNE
|Il cosiddetto ‘Barone nero’ Roberto Jonghi Lavarini non era l’ufficiale di
collegamento tra il solo e complesso mondo del neofascismo italiano e la destra istituzionale, ma anche con quello religioso e russofono.
Contatti fatti di (reale o presunto) sangue blu e Chiesa Ortodossa, con di sfondo una certa simpatia per la destra radicale, con la quale delle chiare affinità c’erano e ci sono tutte: in primis il richiamo alla tradizione, all’idea di patria, meglio se forte, nazionale, guerriera e con ambizioni imperiali.
Negli anni a Milano si è ripetuta più volte la ‘cerimonia cavalleresca ortodossa della Santa croce’ alla chiesa georgiana di Santa Regina Tamara, l’ultima volta fu lo scorso febbraio: in prima fila l’ex leghista Roberto Bernardelli ora tra i capi di Grande Nord, che alle comunali sostiene Gianluigi Paragone; mentre l’europarlamentare Carlo Fidanza di Fratelli d’Italia aveva inviato i suoi cari saluti.
E poi cavalieri e nobildonne, i cui nomi sembrano tirati fuori da un manuale di araldica: il marchese Giuseppe Parodi Domenichi di Parodi, commendatore; principe Piero Caputo Tomassini Paternò Leopardi, duca Costantino Agelasto Sevastopolo, conte Cesare Vernarecci di Fossombrone d’Anjou della Verna, contessa Mandilosani Lali Panchulidze Aznauri (“la mia è una famiglia di antichi guerrieri georgiani poi esiliata a Parigi dopo la caduta degli zar”, precisa) eccetera eccetera.
Il network che li mette insieme, in questo ritorno al passato che ha del folcloristico ma allo stesso tempo punta a legittimare una propria e rinnovata sfera d’influenza, si chiama ‘Aristocrazia europea’ e Lavarini ne è l’animatore principale: “Riteniamo che la più genuina nobiltà sia quella del pensiero e dell’azione, al servizio della propria comunità e del proprio territorio: esempio, oltre che di cultura, buon gusto e buone maniere, soprattutto di assoluta lealtà, profondo senso di giustizia, del dovere e del sacrificio; di coraggio e patriottismo, di fedeltà alla religione, alla Corona ed alla parola data”, si descrivono così online.
L’officiante della cerimonia, padre Ambrogio Pirotti, ieromonaco dell’arcidiocesi metropolitana d’Italia del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, qualche mese fa raccontava: “Siamo conservatori per antonomasia, nulla può essere modificato nella liturgia e nei valori. Questi sono tempi in cui si sente sete di infinito e di Dio, in molti si avvicinano al rito ortodosso perché stanchi delle eccessive aperture della Chiesa cattolica e di un credo in cui ognuno prende e toglie ciò che preferisce”.
Non occorre ribattezzarsi ma si fa un cammino di due anni per poi giungere alla ‘confermazione’. Essendo un culto forte, più radicale insomma, ha una maggiore capacità di presa nelle famiglie miste: iI 90 per cento dei mariti e dei figli di donne ortodosse diventano a loro volta ortodossi.
Senonché questo inno spassionato alla conservazione, o per meglio dire alla restaurazione, è un programma politico in sé.
I nobili ad esempio rimpiangono la real casa dei Romanov, spazzata via dalla rivoluzione russa – chiedere per maggiori lumi al barone Antonio Imperatore, presidente della associazione culturale “Amici della Russia Imperiale” – e dai suoi aneliti di uguaglianza o più semplicemente di pane e diritti per tutti.
Va da sé che il socialismo da queste parti non è una parolaccia ma poco ci manca. Jonghi Lavarini, il cui soprannome rubato a Julius Evola è non a caso “barone nero” (e il riferimento al nero è ovviamente a quello della fede politica), è un abile navigatore dell’estrema destra milanese.
Fiamma Tricolore, una certa amicizia con Matteo Salvini (che non casualmente ha preso a condividere sui social immagini sacre legate al mondo ortodosso) e negli ultimi anni fiancheggiatore di Fratelli d’Italia, si era fatto due calcoli: “In Italia ci sono due milioni di ortodossi, un milione e mezzo sono stranieri ma di questi un terzo è comunitario. Secondo lei per chi votano? Glielo dico io: di sicuro non a sinistra…”. Per dire: negli Usa la comunità ortodossa ha stra-votato per Donald Trump anche al secondo giro, con percentuali bulgare per l’appunto, al 90 per cento.
Nel fronte sovranista saltano fuori sempre le stesse parole: il mito dell’Eurasia, il fattore dell’identità da contrapporre al ‘globalismo’, le origini cristiane come scudo contro il secolarismo e adesso il corso progressista di papa Francesco. In questo senso l’ortodossia, in campo cattolico-cristiano, è un ottimo ombrello sotto il quale confrontarsi e creare legami.
Per cui ad esempio Pierluigi Romeo di Colloredo Mels, presidente di Aristocrazia Europea, è nel gruppo di Nordestra impegnato nella cosiddetta operazione “ritorno di fiamma”, ovvero il riavvicinamento di varie formazioni di ultradestra al partito di Giorgia Meloni; oppure, giornalisti della testata filo-putiniana Sputnik firmano appelli per il ritorno della monarchia dei Romanov in Russia.
“Si tratta di convergenze assolutamente naturali e spontanee che adesso si stanno organizzando per creare sinergie a 360 gradi”, assicurava Jonghi Lavarini. Fatte di affari internazionali, alleanze geopolitiche e, ovviamente, voti.
(da La Repubblica)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile IL RISCHIO DI MANDARE IN FUMO L’OPERAZIONE SDOGANAMENTO
L’epicentro è italiano, le scosse possono essere europee. È questo il terrore che serpeggia dentro Fratelli d’Italia dopo la deflagrazione sui social, giornali e tv del caso Carlo Fidanza.
Il numero tre del partito, il capo delegazione all’Europarlamento, braccio destro di Giorgia Meloni, ripreso da una telecamera nascosta di un giornalista di Fanpage a scherzare su Hitler, parlare di finanziamenti in nero al partito, circondato da “patrioti” che lasciano ben capire quanto preferirebbero definirsi senza veli “fascisti”, rischia di scaraventare tutti nel ghetto, tra quelle forze politiche della destra estrema europea che all’Eurocamera vengono tenute a distanza, malgrado il recente successo elettorale sovranista.
Tutto in fumo rischia di andare, si dicono nel partito dopo aver annusato l’aria tra gli eurodeputati stranieri. Primo banco di prova lunedì a Strasburgo, per la sessione plenaria del Parlamento europeo.
Grazie al lavoro certosino, svolto a Bruxelles in questi anni da Raffaele Fitto, radici democristiane, un moderato in Fratelli d’Italia, il partito era riuscito ad evitare di ‘chiudersi’ nel gruppo di Identità e democrazia, dove invece sono finiti Matteo Salvini e i suoi dopo il fallimento del ‘sogno’ di creare un gruppo unico sovranista.
Per gli eletti di Meloni alle europee del 2019, l’approdo è stato Ecr, il gruppo dei Conservatori e riformisti, nazionalisti di destra, non moderati, ma al potere in diversi Stati membri, tipo la Polonia.
‘Al potere’ significa ‘contare’ di più nei consessi europei, non come i lepenisti da sempre all’opposizione in Francia o i tedeschi dell’Afd e le loro venature naziste. Oggi Ecr non commenta quanto accaduto
Insomma, a differenza di Salvini, Meloni e i suoi erano riusciti a evitare l’isolamento europeo, almeno come famiglia politica al Parlamento. L’appoggio del Pis del polacco Kaczynski si è rivelato poi fondamentale per la leader di Fratelli d’Italia che è riuscita a diventare presidente del partito dei Conservatori e Riformisti europei.
Ora tutto questo rischia di andare in frantumi. Per il caso Fidanza.
Alla vigilia delle amministrative, a due anni o forse pochi mesi dalle politiche, ma soprattutto nel bel pezzo dell’opera di accreditamento della leader e del partito negli ambienti della politica europea.
Tutto scoppia nel momento in cui all’Europarlamento stanno per entrare nel vivo le trattative sul rinnovo della presidenza alla scadenza di metà mandato. In ‘palio’ ci sono anche le presidenze delle Commissioni parlamentari, nomine su cui trattare per conquistare posti e non rimanere ai margini.
Il rischio adesso è questo: restare ai margini, perdere l’immagine conquistata a livello europeo, veder sfumare il ricordo delle copertine delle riviste straniere dedicate alla nuova leader.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile “VALUTEREMO TUTTI I PROFILI DI REATO”, INTERESSATO ANCHE L’ANTITERRORIMO PER I RISVOLTI NEONAZISTI
Sul tavolo del procuratore aggiunto di Milano, Maurizio Romanelli, è arrivato
l’esposto presentato da Europa Verde per far luce sulla vicenda.
“Il sistema delle lavatrici di cui ha parlato il Barone Nero” ovvero Roberto Jonghi Lavarini, “potrebbe aver consentito anche il riciclaggio di denaro sporco di dubbia provenienza, e questo è un fatto che va immediatamente accertato”, hanno dichiarato in una nota i co-portavoce Angelo Bonelli ed Eleonora Evi.
In seguito all’esposto, la procura ha aperto un fascicolo affidato ai pm Giovanni Polizzi e Piero Basilone.
Nel pomeriggio la Guardia di finanza è stata convocata per fare un primo punto sull’inchiesta. “Il video ha vari profili, valuteremo tutto”, spiega una fonte citata dall’Andkronos.
Dall’inchiesta di Fanpage non viene a galla solamente un presunto sistema per “pulire” i soldi versati in nero, ma anche incontri con battute razziste, fasciste e sessiste e anche riferimenti al discorso di Hitler alla birreria di Monaco e saluti romani.
Su questa seconda parte Alberto Nobili, il responsabile dell’antiterrorismo milanese, è in attesa di un’informativa degli investigatori in vista della possibile apertura di un secondo fascicolo.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile NUOVI GUAI PER NAOMO LODI, NON SOLO HA SCELTO UNA DITTA SENZA REGOLARE BANDO, MA L’AUTISTA DELLA RUSPA NON AVEVA IL PATENTINO PER GUIDARLA E IL PILOTA DEL DRONE PER LE RIPRESE NON AVEVA CHIESTO IL PERMESSO PER SORVOLARE LA ZONA
L’accusa è di abuso d’ufficio, mentre il caso specifico riguarda lo sgombero di un campo rom. Secondo i giudici che stanno indagando a Ferrara, infatti, il vicesindaco leghista Naomo Lodi, avrebbe affidato l’intervento – con le ruspe tanto amate dal suo partito – a una ditta, senza passare per un bando pubblico (come invece previsto dalle normative vigenti). Il tutto è avvenuto circa due anni fa e fu la prima “opera” targata dalla nuova amministrazione comunale guidata dall’esponente del Carroccio Alan Fabbri.
Oltre a Naomo Lodi (all’anagrafe Nicola Lodi), risultano indagate anche altre due persone. Tra loro anche il pilota del “drone” che ha sorvolato la zona per effettuare le riprese dello sgombero del campo rom di via delle Bonifiche: non aveva ottenuto (anzi, richiesto all’Enac) le autorizzazioni necessarie per sorvolare l’area.
La terza persona finita sotto l’attenzione dei magistrati è l’uomo che – alternandosi con lo stesso vicesindaco di Ferrara che, per questo motivo, ha anche dovuto pagare una sanzione pecuniaria (occorre un patentino per guidare quelle macchine) – ha pilotato la ruspa durante le operazioni.
Il vicesindaco leghista si è “difeso” su Facebook attaccando gli inquirenti e, ovviamente, la Sinistra: “Andrò a difendermi a testa alta e non rinnego nulla, perché è stato fatto per il bene della comunità. Sgomberare quel campo nomadi è stata una richiesta degli elettori. Non avevo mai conosciuto i titolari di quella ditta”
(da NextQuotidiano)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile LA POLEMICA SUL TENTATIVO DI CENSURA SUBITO DAI VERTICI RAI AL CONCERTO DEL PRIMO MAGGIO FINISCE (COME ERA LOGICO) CON LA VITTORIA DI FEDEZ CHE ORA TORNA PURE OSPITE IN RAI
Erano volati stracci, accuse e contro-accuse. Alla fine, però, sembra che tutto
finirà in cavalleria e con una stretta di mano.
E tutto sarà sancito, probabilmente, nella prossima puntata (la prima di questa stagione televisiva) di “Che Tempo che Fa”, quando Fedez tornerà a calcare gli schermi della Rai (e di quel terzo canale da cui “nacque” la lite), ospite di Fabio Fazio insieme a Orietta Berti e Achille Lauro.
L’azienda pubblica, infatti, avrebbe deciso di non dare seguito a quella denuncia per diffamazione nei confronti del rapper di Rozzano.
A riportare la notizia è stata AdnKronos che fa riferimento a fonti affidabili interne a Viale Mazzini. La denuncia, infatti, era partita dai vecchi vertici della televisione pubblica (sostituiti da Marinella Soldi alla Presidenza e da Carlo Fuortes nelle vesti di amministratore delegato), ma – secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa – non ci sarebbero tutti i requisiti per proseguire in questa causa.
Per questo motivi, dunque, Fedez non dovrà rispondere dell’accusa di diffamazione mossa dalla Rai in occasione delle polemiche per quanto accaduto prima, durante e dopo il Concertone del Primo Maggio a Roma.
All’epoca, infatti, il rapper pubblicò sui social alcuni estratti della sua telefonata con gli organizzatori dell’evento (che si è tenuto nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica ed è stato trasmesso su RaiTre) in cui accusava i vertici del terzo canale di “censura”.
Il tutto si arrovellava attorno al suo discorso su omofobia e discriminazione citando le parole di esponenti (ed ex) della Lega in merito all’omosessualità. Da lì partì l’esposto dell’azienda pubblica nei confronti del cantante che, da parte sua, rispose con una contro-denuncia. Ora tutto sembra essersi sgonfiato e la partecipazione di Fedez a “Che Tempo Che Fa” sembra essere la pietra tombale su questa vicenda.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2021 Riccardo Fucile “UNA VERGOGNA GIURIDICA, QUEL GIUDICE, PER RAGIONI PERSONALI, HA VOLUTO COLPIRE QUEL MODELLO DI ACCOGLIENZA”
“Qui non ci troviamo davanti alla mera applicazione del principio dura lex, sed lex. Questa sentenza colpisce un modello, quello dell’accoglienza, e non si spiega in alcun modo”. È netto e radicale Luigi Ferrajoli – filosofo del diritto, professore emerito all’Università di Roma 3 ed ex magistrato – mentre commenta con Huffpost la sentenza nei confronti dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano.
Una pena pesantissima: 13 anni e 2 mesi.
“Tutto il mondo giuridico si aspettava una condanna mite, o addirittura l’assoluzione. Questo dispositivo è incredibile. Ma da un punto di vista tecnico non deve stupire che sia potuto arrivare”, aggiunge il professore
Professore, possiamo dire che, nel caso della sentenza su Mimmo Lucano, ci troviamo di fronte a un caso di conflitto tra legge e morale, tra legalità e giustizia?
Ma per carità. Questa sentenza è vergognosa, direi scandalosa. Non si spiega in alcun modo se non con la volontà di attaccare questa forma di integrazione sociale dei migranti, il modello Riace, appunto. Io trovo che da questo dispositivo, espressione di una forma di settarismo giudiziario, possa derivare anche un danno al senso morale del Paese,
A questa affermazione, però, il giudice potrebbe tranquillamente rispondere che ha solo applicato la legge.
Non è questo il caso, non c’era solo un modo per interpretare ed applicare le norme. Chiunque abbia una qualche minima esperienza di processi sa benissimo che i giudici dispongono di un’enorme discrezionalità giudiziaria, sia nell’interpretazione della legge che nella valutazione dei fatti e delle prove; e che dunque era ben possibile una pronuncia diversa, quanto meno nella determinazione della pena: quasi il doppio della pena già incredibilmente alta chiesta dal pubblico ministero. Si poteva, tanto per cominciare, concedere come circostanza attenuante l’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, del resto Lucano ha solo aiutato della povera gente. Invece la scelta è stata un’altra.
Ma allora come è stata possibile una condanna tanto dura?
Non dobbiamo essere sorpresi per il fatto che tecnicamente, da un punto di vista burocratico, sia possibile. La legislazione italiana è così confusa, contraddittoria, pletorica, che è facile far ricadere su un cittadino un’accusa molto pesante. Nel caso specifico non è stato fatto valere il vincolo della continuazione tra reati e ciò ha comportato il fatto che le pene per ciascun illecito siano state sommate. Ma al di là degli aspetti tecnici, la cosa più grave è che questo tipo di decisioni rischiano di produrre un consenso di massa nei confronti della disumanità quando, invece, uno dei principi fondanti di una democrazia è il rispetto reciproco, la solidarietà.
La portata sociale di questa decisione è enorme. Dobbiamo però ricordare che delle irregolarità nella gestione nel modello Riace – celebrato in tutto il mondo – ci sono state. Le ha ammesse lo stesso Lucano.
Certo, è immaginabile che la mancanza di cultura giuridica lo abbia portato a commettere degli illeciti. Però, vede, la decisione di un giudice deve basarsi anche sulla comprensione del fatto, deve tenere conto del suo contesto. Sotto questo aspetto, la sentenza di ieri è decisamente iniqua, oltre che un segno dei tempi orrendi che stiamo vivendo. Mi lasci dire che i giudici hanno espresso la personale volontà di penalizzare quel modello d’accoglienza.
Luigi Manconi oggi su La Stampa sostiene che la giustizia con questo verdetto si è mostrata scollata dalla realtà. Condivide?
Ovvio. E aggiungo una cosa: qui ci stiamo giocando l’identità democratica del nostro Paese. Anzi, di tutta l’Unione europea. Da un lato riempiamo le Carte di principi sulla dignità della persona, dall’altro facciamo morire la gente in mare e, con una sentenza del genere, è come se volessimo dire che è sbagliato accogliere i migranti e integrarli. Ecco perché io spero che questa decisione, che sta già producendo indignazione e sconcerto, sia modificata in appello.
(da Huffingtonpost)
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