Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile SEGGI APERTI DOMANI FINO ALLE 15
C’è tempo fino a domani alle 15 per votare ai ballottaggi per eleggere i sindaci di 65 Comuni, inclusi 10 capoluoghi di provincia: Roma, Torino, Trieste, Varese, Savona, Latina, Benevento, Caserta, Isernia e Cosenza.
Sono coinvolti circa 5 milioni di italiani, ma finora se ne sono recati alle urne poco più di 1,3 milioni, secondo i dati provvisori sull’affluenza.
Alle 19 era al 26,71%, in calo di cinque punti rispetto al primo turno, con un tasso di astensione forte soprattutto al Sud, destinato a essere ancor più alto rispetto al 45,31% registrato due settimane fa a livello nazionale.
Domenica 3 ottobre alle 19 in quei Comuni aveva votato il 31,65%, e guardando ai precedenti non è certo una sorpresa che i ballottaggi attirino meno elettori del primo turno. Nel 2016, fra i due appuntamenti si era passati dal 62% al 50%.
Ma certo i partiti guardano con attenzione, e qualcuno con preoccupazione, a questa variabile, che può influenzare molti dei testa a testa in ballo.
Al di là dei singoli interessi personali è evidente che quando si reca alle urne meno di un elettore su due il messaggio di disaffezione alla politica è potente e non può non far aprire profonde riflessioni nelle segreterie dei partiti.
Il risultato di alcune di queste partite può avere ripercussioni a livello nazionale. Riflettori puntati in particolare su Roma, con 2,3 milioni di elettori, di cui per ora ha votato uno su quattro (-4%). La scheda non è più il lenzuolo con 22 candidati: a conclusione di una campagna elettorale decisamente calda sono in corsa Roberto Gualtieri (27,03% al primo turno) del centrosinistra ed Enrico Michetti (30,14%) per il centrodestra.
Nei tre municipi in cui Gualtieri aveva ottenuto i risultati migliori sono quelli in cui il calo dell’affluenza è stato più contenuto
Entrambi hanno votato in mattinata in zona Monteverde, rispettando il silenzio elettorale. Ha votato anche il primo degli esclusi due settimane fa, Carlo Calenda: “Con aria mesta ma ho fatto il mio dovere”, ha twittato il leader di Azione che alla vigilia ha dato il proprio endorsement a Gualtieri.
Altro confronto di rilievo è quello di Torino fra Stefano Lo Russo, candidato del centrosinistra che al primo turno ha ottenuto il 43,86%, e Paolo Damilano, candidato di Torino Bellissima e del centrodestra che si è fermato al 38,9% due settimane fa, quando si registrò un record negativo di affluenza, al 48,08%: rispetto al primo turno per ora il calo è del 4%, con dati più marcati nelle periferie.
“Non votare invece fa perdere un diritto: quello di lamentarsi”, ha scritto su Facebook il presidente della Liguria e cofondatore di Coraggio Italia Giovanni Toti: nella sua regione si vota a Savona, dove l’affluenza è sopra la media nazionale ma con un -7% rispetto al primo turno, quando il candidato del centrosinistra, Marco Russo, ha distanziato di 10 punti quello del centrodestra, Angelo Schirru.
L’affluenza è in calo del 2% a Trieste, dove il candidato di centrodestra, Roberto Dipiazza, partiva in vantaggio su quello di centrosinistra, Francesco Russo (46,92% contro 31,65%), e il dato è simile a Varese (dove ha votato il 33%), città ‘emblema’ della Lega che, con Matteo Bianchi, sfida il sindaco uscente Davide Galimberti, sostenuto da una coalizione Pd-M5s.
Si conta un -4% (con il 33% di affluenza) a Isernia, dove l’asse giallorosso sostiene Pietro Castrataro contro il sindaco Gabriele Melogli (centrodestra), e i dati sono simili a Latina dove il centrodestra schiera Vincenzo Zaccheo, già due volte sindaco della città, contro il primo cittadino, Damiano Coletta (centrosinistra). Si arriva al -9% a Benevento dove l’ex ministro Clemente Mastella, con una lista civica, cerca la vittoria solo sfiorata due settimane fa contro Luigi Diego Perifano (centrosinistra). Il trend è ancora più marcato (-10%) a Cosenza, dove i candidati, di centrodestra e centrosinistra, si chiamano entrambi Francesco Caruso, e a Caserta (-12%) per la sfida fra il sindaco uscente Carlo Marino (centrosinistra) e Gianpiero Zinzi (centrodestra).
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile IN UNA INTERVISTA A “LIBERO” IL LEADER DI FORZA ITALIA DICE L’OPPOSTO DEI DUE PARTITI SOVRANISTI
Il Green Pass? Uno strumento “di tutela della vita e della libertà”. 
Parola di Silvio Berlusconi, uno che il Covid l’ha avuto, e che ha fatto anche il vaccino “appena possibile secondo le regole”.
Il leader di Forza Italia, in un’intervista a Libero, si schiera apertamente contro i complottisti. “Hanno una strana idea di libertà – spiega – coloro che pensano di avere il diritto di contagiare gli altri. Per fortuna sono molto pochi anche se rumorosi”.
Per il “Cavaliere” il vaccino è necessario “per contribuire a limitare la circolazione di questo pericoloso virus, che ha distrutto non solo tante vite umane ma anche tante aziende, tanti posti di lavoro”.
E a quelli che accusano l’attuale governo di essere “illiberale” per le misure adottate per contenere la pandemia risponde: “È esattamente il contrario”.
Li chiama “cattivi maestri”, che “purtroppo facendosi scudo del loro prestigio intellettuale e invocando la libertà di pensiero hanno diffuso idee che altri hanno tradotto in pratica con conseguenze criminali”.
Per Berlusconi il tema vaccini e Green Pass dovrebbe unire gli italiani, e non fomentare divisioni.
Un attacco poi ai manifestanti che stanno scioperando al Porto di Trieste: “Un ferroviere che avesse bloccato un treno piombato per Auschwitz sarebbe stato un eroe, un portuale che bloccasse l’attività di uno scalo per non esibire il green pass è solo un irresponsabile da sanzionare”. F
orza Italia difende quindi la scelta del governo Draghi di richiedere il certificato verde sui posti di lavoro. E non accetta le richieste – arrivate da più fronti, tra i quali anche gli alleati della Lega – di tamponi gratuiti per chi non intende vaccinarsi.
Berlusconi per primo si mostra netto nel suo giudizio contro questa richiesta. “Dal mio punto di vista – spiega – è lecito offrire tamponi gratuiti soltanto alle persone che per motivi di salute non possono vaccinarsi. Non vedo perché la scelta di chi non si vuole vaccinare, pur potendolo fare, debba essere pagata dalla collettività, dai tanti che invece si sono vaccinati, superando le comprensibili paure e qualche disagio fisico nell’interesse di tutti”.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile PUZZER DELEGITTIMATO E SOTTO ACCUSA CEDE IL TESTIMONE DELLA PROTESTA AI FANATICI DEL MOVIMENTO 3V
“Fino al 20 ottobre (tra tre giorni, ndr) siamo qui perché siamo legittimati a farlo, dopodiché saremo legittimati se qualcuno prorogherà lo sciopero. Una cosa è certa, noi non molliamo”.
A metà pomeriggio ‘Ciccio’ Puzzer prende il microfono e prova a chiarire quanto è successo nelle ultime 24 ore, le più accese e complicate da quando i portuali di Trieste hanno deciso di cavalcare la protesta contro il Green Pass, trasformando lo scalo del capoluogo giuliano nell’avamposto del dissenso, la capitale di chi “non molla mai”, il palcoscenico degli irriducibili No Pass.
Commosso, Stefano Puzzer ha ribadito la sua intenzione di dimettersi da leader del sindacato autonomo Clpt dopo la frattura negata a parole ma evidente nei fatti tra i portuali e il variegato Movimento No Green Pass che rappresenta a occhio il 90% della folla che da giorni staziona davanti al Varco 4.
“C’è chi cerca visibilità e mette in giro informazioni false, e non mi riferisco ai giornalisti”, ha attaccato Puzzer.
La spaccatura pare ormai profonda e insanabile tra chi ha combattuto la stessa battaglia sullo stesso fronte, e l’impressione è che i portuali siano rimasti schiacciati da una manifestazione più grande di loro, certamente più variegata e partecipata da animi ben sopra le righe. “Qui non è una sagra, non è una festa”, ha detto il leader uscente del sindacato dopo un’altra giornata di cori, trenini e balli. Scene che il presidente del porto Zeno D’Agostino ha sinteticamente definito “da circo”.
Al di là dei proclami e del motto “la-gente-come-noi-non-molla-mai”, che sembra risuonare più per autoconvincersi che per un reale senso di appartenenza, diversi indizi, mezze frasi e allusioni lasciano trasparire i dubbi che serpeggiano tra i portuali su come portare avanti una protesta che in tutto il resto d’Italia, salvo alcuni casi isolati, non c’è
La promessa di andare avanti “a oltranza”, o meglio fino al 31 dicembre, ora ha una scadenza più ravvicinata, “il 20 ottobre”, data che sancisce la fine dello sciopero proclamato e peraltro giudicato illegale dalla Commissione di garanzia sugli scioperi. Cosa accadrà dopo, al momento, non lo sa nessuno.
“Io sciopererò fino al 20 ma tornerò a lavorare solo quando il green pass verrà ritirato. Andrò a portare pizze piuttosto oppure da Samer (un’azienda che opera nel porto, ndr), dove non serve il green pass”.
Si punta a prendere tempo con la consapevolezza che, presto o tardi, potrebbero palesarsi le camionette della polizia per sgomberare l’accesso al Molo VII dai pochi portuali e dai tanti No Pass. “Saranno giornate calde”, ha messo in guardia Puzzer, “se qualcuno dovesse venire verso di noi, sediamoci in pace”.
Le ultime ore sono state le più concitate e seguono la confusa notte di Trieste durante la quale il presidio è stato prima sciolto e poi rimesso in piedi. Ieri sera il primo comunicato diramato dal Coordinamento Clpt: questa prima battaglia ”è stata vinta”, da domani i portuali tornano al lavoro ma promettono di non fermarsi.
Decisione che è suonata come un rompete le righe, mandando su tutte le furie i No Pass della città o accorsi da altre regioni in risposta all’appello dei portuali.
Dopo un paio d’ore, il clamoroso dietrofront dei lavoratori guidati da Puzzer: “Vi chiedo scusa, riscriveremo il comunicato. Il presidio va avanti”, si è giustificato il gruista dopo che i tanti cittadini imbufaliti lo hanno accerchiato chiedendo spiegazioni su quello che a tutti fin da subito è apparso come un abbandono del fronte. “Mi sono dimesso sia dal ruolo di vicepresidente sia dal Coordinamento lavoratori portuali Trieste in seguito al caos generato dal comunicato e di ieri sera, perché sono errori che ho commesso io. Non voglio che la responsabilità cada su di loro”.
Puzzer ha quindi cercato di scrollarsi di dosso l’accusa di “traditore”, dopo che dal vivo e sulle chat telegram il Movimento No Pass lo ha duramente attaccato. Se ne sono sentite e lette di ogni tipo, di accordi sottobanco tra i portuali e le autorità, di pullman carichi di manifestanti diretti a Trieste e dirottati altrove dalle forze dell’ordine, e di un “complotto” tedesco contro la città, riferendosi al contratto di concessione per la nuova Piattaforma logistica siglato dall’autorità portuale con il terminalista di Amburgo HHLA. Teorie campate per aria ma che sulle bocche e sui social continuano tuttora a circolare.
Durante le proteste di domenica ci sono stati momenti di tensione quando un gruppo di manifestanti ha accerchiato e insultato alcuni giornalisti presenti Varco 4: secondo le forze dell’ordine presenti sul posto il servizio d’ordine della piazza, svolto dai portuali, è saltato facendo temere inizialmente che la situazione potesse degenerare. Poi gli stessi portuali sono intervenuti e così si spiegano i toni distensivi più volte usati da Puzzer durante il suo comizio a metà pomeriggio: “Non sono qui per fare selfie e stringere mani. Non dovete dare la mano a me ma a chi sta in questo momento al vostro fianco. Noi siamo qui come voi. Questa manifestazione pacifica va avanti. Non diamo adito a chi ci vuole far passare per facinorosi”.
Tentativi di risanare una spaccatura profonda tra le pettorine gialle e la moltitudine di No Pass arrivata da altre zone d’Italia. E di mostrare una compattezza tra le due anime della protesta, quella dei portuali e quella del movimento cittadino, ormai saltata anche visivamente.
Le tute gialle tra la folla sono sporadiche e isolate, i lavoratori del porto rimasti a presidiare il varco d’accesso al Molo VII ormai una manciata. Gli altri sindacati fin dall’inizio della protesta hanno isolato il Coordinamento autonomo di Puzzer, e oggi sono tornati ad appellarsi alla folla di manifestanti al terzo giorno di presidio: “Quelle persone che hanno dimostrato solidarietà ai lavoratori portuali facciano un passo in avanti e liberino il porto e quei lavoratori da un peso e una responsabilità che non hanno. Non si esasperi questa situazione perché, nel rispetto di tutte le idee, chiediamo che la maggioranza non sia ostaggio di una minoranza”.
In una nota congiunta Cgil, Cisl e Uil hanno sottolineato il “forte legame tra il porto, i suoi lavoratori e la città” che “non può e non deve essere compromesso da persone che con il porto non hanno nulla a che fare” e che stanno “impedendo a un porto e a una città di continuare a generare reddito”.
Una situazione che secondo il presidente D’Agostino “non è più tollerabile”. Perché è vero che il porto non si è mai fermato ma le operazioni sulle banchine qualche rallentamento lo hanno subìto. E alcune navi inizialmente dirette a Trieste hanno comunque cambiato rotta per approdare altrove.
“Stefano Puzzer non è il dio di nessuno, è uno che parla perché forse sa parlare meglio degli altri, perché è meno timido degli altri, ma questa lotta contro il decreto è di tutti i lavoratori portuali, di tutti i lavoratori italiani”, ha detto il leader uscente del Clpt. E così si chiude il terzo giorno di sciopero che segna il concitato passaggio di testimone alla guida della protesta tra portuali e Movimento No Pass.
Un movimento che ha il suo ombrello politico nel partito locale 3V guidato da Ugo Rossi, novax arrestato nei giorni scorsi dopo una colluttazione con due carabinieri, finiti poi in ospedale.
Ingegnere 31enne, Rossi alle elezioni comunali di due settimane fa ha sfiorato il 5%, raccogliendo ben 3738 preferenze, più del Movimento 5 Stelle nel quale in passato aveva già militato.
Il triste primato di Trieste nel guidare le battaglie No-Vax è purtroppo confermato, oltre che dalle urne, dall’andamento dei contagi.
Nella provincia giuliana si registrano i tassi di prevalenza (incidenza dei positivi Covid ogni mille abitanti) più alti d’Italia: se nel Comune di Udine il tasso è 0,4 e a Pordenone 0,7, a Trieste è dell′1,9. Nell’hinterland è ancora più alto: nel Comune di Muggia è 2,8, a San Dorligo della Valle è addirittura 4,6.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile AL PRESIDIO “AD OLTRANZA” SONO RIMASTI IN 15… E SI PARLA DI SGOMBERO SE NON SI RITIRANO DI LORO VOLONTA’
Sono solo una quindicina i portuali ancora a favore dello sciopero iniziato
venerdì 15. Molti meno rispetto alle decine che inizialmente avevano sostenuto la battaglia guidata da Stefano Puzzer.
E con il passare delle ore emergerebbe la frattura, netta, tra i No Green Pass ad oltranza del movimento che ieri hanno portato l’ex portavoce del Coordinamento al dietrofront di ieri sera, e gli altri componenti della protesta.
E arriva ora anche l’appello di Cgil, Cisl e Uil:
“Le legittime manifestazioni di dissenso devono essere garantite, ma non possono impedire ad un porto e ad una città di continuare a generare reddito e prospettive per il futuro”, dicono le tre sigli sindacali. Che aggiungono. “Quelle persone che hanno dimostrato solidarietà a quei lavoratori portuali in presidio facciano un passo in avanti e liberino il porto e quei lavoratori da un peso e una responsabilità che non hanno. Non si esasperi questa situazione perché, nel rispetto di tutte le idee, chiediamo che la maggioranza non sia ostaggio di una minoranza”.
Nella nota i sindacati confederali sottolineano il “forte legame tra il porto, i suoi lavoratori e la città” che “non può e non deve essere compromesso da persone che con il porto non hanno nulla a che fare. Il risultato sindacale dà una risposta di solidarietà tra i lavoratori del porto e indica una possibile soluzione anche per altri lavoratori”. L’appello è dunque ai “molti lavoratori portuali che in questi giorni hanno scelto di lavorare e garantire con grande responsabilità e senso di appartenenza l’indispensabile continuità operativa, parlando con dignità alla città e all’autorità portuale”.
Davanti al molo 4 si è tenuto un colloquio informale tra rappresentanti delle forze dell’ordine e alcuni portuali dal quale è emerso, da quanto apprende l’AGI, che oggi, domenica e giorno di elezioni, verrà ancora tollerata la presenza di contestatori del certificato verde davanti al varco ma da domani non più.
Questo significa che questa zona del porto potrebbe essere liberata con un intervento delle forze dell’ordine. Ieri il presidente dell’autorità portuale Zeno D’Agostino aveva detto che la situazione di ‘blocco’ del varco era diventata non più “tollerabile”.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile “NON SONO VACCINATA E NON FARO’ IL VACCINO”: COME OPERATRICE SANITARIA HA L’OBBLIGO DI VACCINARSI… IL PRESIDENTE DELL’ORDINE: “DICHIARAZIONE VERGOGNOSA”
«Non sono vaccinata e il vaccino non lo farò», dice davanti alle telecamere durante la protesta di Trieste. Ma lei il vaccino deve farlo: è un’operatrice sanitaria
Un’infermiera che, nel pieno della pandemia del Coronavirus, ha lavorato in un reparto di terapia intensiva, ha deciso di scendere in piazza, venerdì mattina al porto di Trieste, varco quattro, per dire no al Green pass anche sul lavoro. In quell’occasione ha confessato di essere una convinta No vax, non badando al fatto che ad ascoltarla c’erano migliaia di persone e decine di giornalisti e telecamere.
Una dichiarazione che le è costata una sospensione dal lavoro. Lei si chiama Nadia Norbedo e lavora nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Maggiore di Trieste. Da operatrice sanitaria, ha l’obbligo di immunizzarsi dal virus. Senza se e ma, per la salute dei pazienti.
L’infermiera, infatti, davanti alle telecamere di Agorà (Rai 3), in diretta televisiva, ha detto: «Io sono contro il Green pass, misura restrittiva e obbligatoria che ci controlla tutti». Poi si è spinta oltre: «Non sono vaccinata e il vaccino non lo farò. Mi è arrivato l’appuntamento per l’iniezione, era fissato oggi (venerdì, ndr)».
Aveva appena finito il turno di lavoro in ospedale. Ma lei, che è un’infermiera, aveva l’obbligo di sottoporsi al vaccino. Non aveva scelta, se non quella di non presentarsi più al lavoro.
«Quindi si va a immunizzare?», le ha chiesto subito dopo la giornalista. «No, non sto bene, ho l’herpes, ho il certificato medico, quindi non mi vaccino», ha replicato lei. Con Nadia Norbedo anche altri sanitari non vaccinati: «Alcuni di noi sono stati sospesi, in realtà pochissimi. Molti altri dal primo aprile sono in attesa della sospensione. Intanto, però, stiamo lavorando come abbiamo sempre fatto». Alla faccia dell’obbligo vaccinale.
Su tutte le furie – una volta appresa la notizia e ascoltate quelle parole in diretta tv – il vicepresidente e assessore alla Salute, Riccardo Riccardi, che ha annunciato: «Interveniamo immediatamente per procedere alla sospensione. Purtroppo spesso il problema è rappresentato da carte e dichiarazioni presentate dal personale sanitario». A rincarare la dose Luciano Clarizia, presidente regionale dell’Ordine delle professioni infermieristiche: «Abbiamo avviato immediatamente la procedura per la sospensione rapida dell’infermiera in questione. Inoltre è partita una segnalazione che può portare a una sanzione disciplinare». E infine: «Chiederò di perseguire l’infermiera professionalmente per le dichiarazioni assolutamente vergognose che ha rilasciato in diretta televisiva».
(da Open)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile IL FONDATORE DI OPEN ARMS AL FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA PER PRESENTARE “MEDITERRANEO” DEL REGISTA SPAGNOLO MARCEL BARRENA CHE RACCONTA LA SUA STORIA
Mediterràneo, del regista spagnolo Marcel Barrena, è stato uno dei film di
apertura della sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Basato sulla storia vera di Oscar Camps, fondatore di Open Arms, parla di fatti noti, da anni sotto gli occhi di tutti, che ormai non fanno neanche più notizia.
Ecco perché un film simile, potente, diretto, dove il testo più importante è la fotografia, è quanto mai urgente.
Girato con veri profughi siriani, utilizzando le moto d’acqua e le attrezzature realmente in dotazione ai soccorritori di Open Arms, Mediterràneo è un film da vedere prima di chiedere la chiusura dei porti, prima di usare lo spersonalizzante termine “migranti” per indicare migliaia di impiegati, studenti, medici, operai, padri e madri, figli, che continuano da anni ad attraversare quella fossa comune chiamata Mediterraneo. E che affondano mentre Malta chiede laconicamente chi sono e dove si trovano.
Per sostenere uno dei film più belli finora presentati alla Festa del Cinema di Roma, sono arrivati il fondatore di Open Arms, Oscar Camps, il regista, Marcel Barrena, e il protagonista di Mediterraneo Eduard Fernández (Oscar)
Nell’era di internet e della comunicazione in tempo reale, quanto è necessario un film come questo?
Le reti sociali erano un fenomeno nel 2015. Nel 2021 ci sono le piattaforme digitali. Per stare sulle piattaforme ci vuole il contenuto: documentari e film. Le nuove generazioni non sono più solo sui social, quindi per arrivare a parlarne abbiamo fatto il film.
La storia di Open Arms è stata resa nota grazie a un reporter e a una giornalista. Quanto la stampa è libera di parlare di questo fenomeno?
In verità non abbiamo avuto nessun problema di censura. I problemi sono arrivati dopo, con l’uscita del film che ha scatenato l’estrema destra. I nazisti hanno organizzato un boicottaggio, ma ce lo aspettavamo. Ma se dai fastidio all’estrema destra, vuol dire che hai fatto le cose fatte bene.
Noi abbiamo la Meloni e voi avete Vox…
Sì, e l’avete anche esportata…
Siete una ONG catalana. Qual è l’atteggiamento del Governo spagnolo nei vostri confronti?
La reazione del Governo spagnolo è la stessa di qualsiasi Governo che si basa solo su interessi elettorali. Una cosa va bene solo se porta voti. Si tratta di un conflitto elettorale. La nostra nave è stata bloccata in cinque Paesi. Questa settimana, in Corsica, non ci hanno permesso di fare un cambio di equipaggio e siamo dovuti arrivare fino a Barcellona. Cosa assolutamente inammissibile in mare. Siamo scomodi perché mostriamo tutte le carenze che esistono nella protezione delle vite umane. Per questo cerchiamo di utilizzare tutte le forme di comunicazione possibile, dalla stampa ai social alla cultura, per sensibilizzare l’opinione pubblica. Abbiamo usato anche la giustizia denunciando politici per azioni illegali e per azioni che ledono i diritti umanitari. È ovvio che non siamo ben visti. Siamo scomodi.
E con il muro sulla rotta balcanica cosa cambia?
È una cosa gravissima quello che sta succedendo lungo la rotta balcanica. Un atto orribile dell’Unione Europea. Ecco perché è importante che tutti sappiano. Se l’opinione pubblica comprende come stanno realmente le cose, non accetterà questa situazione ed eserciterà una pressione sui governi perché il blocco non avvenga. Per questo dobbiamo diffondere il più possibile le informazioni: perché la gente non adotti delle posizioni precostituite che servono solo a pervertire la verità. Una corretta e diffusa informazione è fondamentale perché ognuno sia libero di formarsi una opinione propria.
(da Globalist)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile ECCO PERCHE’ CALANO GLI ASCOLTI
2019 Vs 2021. Cosa è cambiato per la televisione italiana?
L’audience, ovvero 1 milione e 500mila persone in meno che guardano la tv in prima serata, 8 milioni nel giorno medio.
E i debutti della stagione ne sono la prova: talk show, intrattenimento, talent e serie tv, nessuno si è salvato.
Certo qualcuno ha retto, vedi alle voci Report, Chi l’ha visto, Presa Diretta.
Stefano Balassone, manager media, insegna comunicazione ed è un esperto di Rai, qui ha lavorato alla Terza Rete tra gli anni ’80 e ’90, ed è stato nel CdA per quattro anni, tra il 1998 e il 2002.
Ci ha aiutato a capire cosa giustifica questo calo. Abbiamo guardato insieme la fotografia scattata dall’Osservatorio dello studio Frasi, che ha elaborato i dati dati Auditel relativi al mese di settembre 2021 e li ha confrontati con lo stesso periodo del 2019.
Ebbene, ci dice: “Il fenomeno interessante non è il su e giù dello share ma la diminuzione dell’audience complessiva. Parliamo di un calo dello share del 10-15%, ovvero di quasi un milione e mezzo di persone in meno. È evidente che si tratta di una conseguenza indiretta della fine della pandemia: la gente esce di più”.
Un fenomeno, quello dell’allontanamento dal piccolo schermo che riguarda gli spettatori di ogni classe di età, tranne gli anziani. E che interessa tutti i ceti, tranne i più ricchi e chi ha un titolo di studio elevato.
“Chi ha necessità di informarsi continua a godere di un’offerta diversificata: fruiscono dell’informazione dei talk show politici, creano il proprio palinsesto come meglio desiderano”. La pandemia è stata come uno tsunami, e adesso che l’onda è tornata indietro possiamo vedere cosa ha lasciato.
“Si sono spiaggiati i laureati”, commenta con Huffpost Francesco Siliato, media analyst dello Studio Frasi. “Andando a vedere nel dettaglio i numeri di settembre 2019 Vs settembre 2021 stupisce che non solo si guarda meno tv ma che c’è una tendenza di cambiamento anche nel pubblico, soprattutto quello della Rai. La guarda chi ha un titolo di studio alto e un reddito alto”.
La pandemia ha separato i pubblici anche per le proprie attitudini culturali. E così succede che lo spettatore è meno generalista mentre la tv no.
“Il popolo della tv è più femminile, più anziano e più povero della media del popolo italiano, ed è sempre stato così”, spiega Siliato. “Oggi è ancora così se si guardano i numeri assoluti, ma se andiamo a vedere nel dettaglio è come se si pareggiasse. Perché ad aumentare sono gli uomini, i laureati e quelli con il reddito più alto”. E a beneficiarne sono i programmi di approfondimento.
“I grandi fenomeni di ascolto sono fortemente inerziali e sociologici. Hanno a che fare con l’aria che tira”, commenta Stefano Balassone. “Quando nel 2020 avevamo bisogno di informarci sul Covid perché chiusi in casa, nel pieno di una pandemia, lo abbiamo fatto. Ma oggi con l′80% dei vaccinati è difficile mantenere alto il livello degli ascolti, parlando di Covid e di vaccini”.
In altre parole, non stiamo più a casa e non ne possiamo più di sentire parlare sempre della stessa cosa. Viene da chiedersi se questa diminuzione del pubblico non sia anche conseguenza del cosiddetto effetto sostituzione della vecchia tv con le nuove piattaforme di streaming.
“Non si tratta di frammentazione del pubblico – spiega Siliato – perché chi sta a casa continua ad accendere la ‘vecchia’ tv e non sembrerebbe virare su Netflix&co. I numeri dei canali che trasmettono in streaming e che sono fuori dall’Auditel, per quanto segreti o non diffusi, non riuscirebbero a coprire il milione e mezzo delle persone che mancano all’audience. Basti pensare che la seria A su Tim per loro stessa ammissione ha fatto 500mila abbonati. Le “altre”, ovvero tutto quello che è non è misurato da auditel, si incrementa soprattutto quando ci sono le coppe e il calcio, ma l’incremento non va oltre i 200mila spettatori”.
Ci sarebbe da chiedersi se gli ascolti calano anche per un problema di qualità. “Credo che quello del calo delle audience sia un falso problema”, dice Stefano Balassone. “Non credo che bisogna cercare una soluzione a tutto questo. Piuttosto sia la Rai sia Mediaset dovrebbero fare i conti con il proprio modello di Business. Mediaset che non ha mai avuto una vocazione produttiva, e ha la sua forza proprio nel fatto di non essere ambiziosa a livello di contenuti, deve capire come continuare a crescere con un modello tutto basato sulla pubblicità”.
E la Rai? “Non funziona”, continua Balassone. “Può avere un avvenire solo riqualificando la propria struttura aziendale. La Rai non sfugge a dover affrontare i suoi problemi. Basti pensare a Rai Play. L’arretratezza tecnologica è l’inevitabile risultato della somma tra la Rai che è rimasta ferma e il mondo che è cambiato. E questo è un problema che non si risolve tecnologicamente, ma con scelte strategiche anche di carattere politico”. Insomma con il pubblico che cambia, non serve inseguire chi se ne va. Bisogna reinventarsi dal punto di vista strutturale guardando soprattutto a come approcciarsi al futuro.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile L’ALLARME: “PAZIENTI COSTRETTI AD ASPETTARE SULLE AMBULANZE ANCHE OLTRE 11 ORE”… LE CAUSE: RALLENTAMENTO DELLE VACCINAZIONI, ELIMINATI DISTANZIAMENTI E PRECAUZIONI, APERTURE SCUOLE
Il Regno Unito ha registrato ieri oltre 40 mila casi di coronavirus per il quarto
giorno consecutivo: è quanto emerge dai dati dell’Ufficio di statistica nazionale, riporta l’Independent, secondo cui i contagi sono in costante aumento dall’inizio di ottobre. Nelle ultime 24 ore le infezioni sono state 43.423, in lieve calo rispetto alle 45.066 di giovedì scorso, pari al livello più alto da luglio.
Secondo le stime dell’Ufficio di statistica, il Paese si avvicina al picco segnato durante la seconda ondata della pandemia lo scorso inverno. I dati indicano infatti il trend in crescita: nella settimana dal quattro al 10 ottobre, circa una persona su 60 in Inghilterra aveva il Covid rispetto ad una su 70 nella settimana precedente. All’inizio di ottobre i casi positivi erano circa 30 mila al giorno.
I medici e paramedici avvertono che i Pronto soccorso “sono sull’orlo del baratro”, con i pazienti costretti ad aspettare nelle ambulanze, fuori dagli ospedali, anche oltre 11 ore. A riferirlo è il britannico Guardian, riportando l’allarme della Association of Ambulance Chief Executives (Aace), secondo cui ogni servizio di ambulanza nel Paese è al momento al massimo livello di allerta
“Siamo estremamente preoccupati del livello senza precedenti di ritardi, che si stanno verificando nel Regno Unito, nel trasferimento dei pazienti in ospedale”, ha dichiarato Martin Flaherty, direttore della Aace. Le linee guida nazionali prevedono un massimo di 15 minuti per il trasferimento dall’ambulanza al reparto ospedaliero, ma da agosto ormai si verificano code anche di 20 ambulanze all’ingresso dei Pronto soccorsi.
Si tratta di un problema cronico che l’Nhs, il sistema sanitario nazionale, non è stato ancora in grado di risolvere e che è stato aggravato dalla forte pressione esercitata dal Covid sui servizi di Pronto soccorso.
“Sono molto preoccupato del fatto che questi ritardi diventeranno ancora più gravi senza una effettiva pianificazione su come affrontarli”, ha denunciato il dottor Ian Higginson, vice presidente del Royal College of Emergency Medicine.
“Siamo sull’orlo del baratro, in termini di qualità delle cure che possiamo offrire ai nostri pazienti”, ha aggiunto il medico. I dati pubblicati una settimana fa dall’Nhs hanno rivelato che, il mese scorso, 2,1 milioni di persone si sono rivolte al Pronto soccorso, una cifra record per settembre, con un aumento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2020. I ritardi nel trasferimento dei malati in ospedale incidono spesso anche sui tempi di risposta delle ambulanze alle chiamate di emergenza, che in Inghilterra al momento sono i più lunghi da quando si è iniziato a registrare il dato, cioè da aprile 2018.
Quali sono le cause? La Bbc ha confermato che un ruolo significativo è stato giocato proprio dalla variante Delta che, come ormai sappiamo, si diffonde più velocemente rispetto alle precedenti. E poi lo stop alle restrizioni.
Nonostante gli alti tassi di vaccinazione, la decisione di riaprire ed eliminare le misure di distanziamento nel mese di luglio è stata il preludio all’attuale situazione di contagi fuori controllo, come conferma anche The National.
Incide anche il ritorno a scuola in presenza. Secondo diversi media britannici, il nuovo picco di contagi è da imputare anche al rientro nelle classi scolastiche: la maggior parte delle positività, infatti, sono state registrate proprio tra bambini e ragazzi.
Si stima che un bambino su 15 in età scolare (dai sette agli undici anni) abbia contratto il Covid nell’ultima settimana di settembre: si tratta del tasso di positività più alto tra tutte le fasce di età.
Un’altra causa è da attribuire ai viaggi e all’uso dei mezzi pubblici in Uk, abitudini che stanno tornando sempre più vicine ai livelli pre-pandemia. I lavoratori, infatti, stanno tornando gradualmente nei centri urbani e, secondo i dati del Dipartimento dei trasporti britannico, i viaggi in auto sono solo di pochi punti percentuali al di sotto della settimana equivalente del 2019. La mattinata più trafficata dall’inizio della pandemia è stata registrata all’inizio di settembre nella metropolitana di Londra.
Infine il rallentamento della campagna vaccinale. Come riporta il Guardian, il Regno Unito ha perso la fama di nazione leader dei vaccini in Europa negli ultimi mesi, poiché paesi come Francia, Italia e Spagna lo hanno superato, in termini di quota di persone completamente vaccinate.
Per tutto il mese di settembre, infatti, il Regno Unito ha vaccinato una media di 1.461 persone per milione al giorno, molto meno delle 3.925 vaccinate in Italia, 3.694 in Francia, 3.280 in Spagna e 2.305 in Germania.
Il tasso di vaccinazione del Regno Unito è stato il più veloce in Europa fino alla fine di aprile, secondo i dati di Our World in Data. Ma poi è stato superato da Germania, Francia, Italia e Spagna.
Gli studi suggeriscono che questo è in gran parte dovuto alla lenta diffusione delle somministrazioni tra i giovani. Ci sono ancora un numero significativo di persone sotto i 40 anni non vaccinate, secondo gli ultimi dati di Public Health England. Solo il 64% delle persone di età compresa tra 18 e 29 anni è stato vaccinato con due dosi al 9 ottobre, rispetto al 96% degli over 70.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2021 Riccardo Fucile “TRA I SOVRANISTI PREVALE UN DISCORSO BECERO, ANTI-EUROPEISTA, ANTI-AFRICANISTA E ANTI-ISLAMISTA. SI RACCONTA LA BARZELLETTA DI UN ISLAM CHE VUOLE COLONIZZARCI”
Pare quasi di vederlo, il professor Franco Cardini, insigne storico medievalista, un toscanaccio alla soglia degli 81 anni, con la gioventù trascorsa nei ranghi giovanili del Msi, che scrolla le spalle al solo sentir parlare dei nuovi neofascisti. «Ma che grande scoperta… Paragonabile quasi soltanto alla scoperta dell’acqua calda». Sarcastico.
Per lei, professore, non è sorprendente che ci siano ventenni nostalgici di un passato che non hanno mai conosciuto?
«Non direi. Un po’ per mancanza di cultura, un po’ per la delusione verso la nostra democrazia, c’è in effetti chi ritiene che il fascismo sia qualcosa di interessante. Mitizzano quel che non conoscono. Sa, che fosse una dittatura non c’è dubbio. Ma una dittatura di sviluppo, perché quelli furono anni di opere pubbliche e del tentativo, sia pure autoritario, di una collaborazione tra classi. E invito tutti a rileggere De Felice, che sostenne che il fascismo non fu un fenomeno di destra, ma più complesso. A questi si associa poi un nostalgismo più becero. Ma più che condannare, mi sembrerebbe più utile confutare. Invece vedo soprattutto un gran isterismo».
Ha colpito la coincidenza tra l’inchiesta di Fanpage sulla lobby nera che bordeggia tra Lega e FdI, e l’assalto alla Cgil.
«Nel primo caso, come dicevo, mi sembra la scoperta mirabile dell’acqua calda. Nel secondo, più che gli echi del 1921, mi pare che ci si ispiri all’assalto di Capitol Hill da parte dei trumpisti».
I quadri di Fratelli d’Italia non sono all’altezza?
«Saranno sicuramente persone oneste e capaci, non dubito. Ma di scarsissima consistenza».
Professore, che cosa sono e dove vanno le destre italiane?
«Se parliamo di FdI, mi pare evidente che ci sia stato un percorso, iniziato già dal Msi, proseguito da Alleanza nazionale, e ora in FdI, di distacco dalle origini neofasciste. Il problema è che cosa ne resta. Le destre oggi fanno un discorso assolutamente superficiale. Hanno abbracciato il sovranismo, che mi sembra affondi le sue origini nel nazionalismo di inizio Novecento. Non c’è dubbio che l’Europa abbia deluso, che sia naufragato il sogno generoso del Manifesto di Ventotene, e che ormai sia stato abbandonato qualunque progetto federale o confederale. L’Unione europea sembra accontentarsi di essere una comunità economico-finanziaria. E badi che la destra, in passato, aveva creduto in una prospettiva europea. Ora prevale invece un discorso becero, anti-europeista, anti-africanista, anti-islamista. Si racconta la barzelletta di un Islam che vuole colonizzarci. Non si vuol vedere che, se c’è un’immigrazione selvaggia, è per via dell’impoverimento di interi continenti ad opera di multinazionali rapaci o di Stati neocolonialisti. Si depredano le ricchezze di interi territori, e le popolazioni sono più povere di prima. Gli squilibri sono ancor più accentuati».
Tornando all’Italia, non le fanno paura certe pulsioni violente?
«Guardi, mi fa più paura quel che succede negli stati profondi della società. C’è un 20% della popolazione in stato di povertà assoluta. C’è una metà degli elettori che non vota. C’è una società civile che dà il peggio di sé. A parte gli evasori fiscali, qui non si riesce nemmeno a fare la raccolta differenziata. È questo che mi fa paura. Lo scollamento tra un pezzo enorme di società e le sue istituzioni».
(da La Stampa)
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