Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile LA RIMOZIONE DEL PROBLEMA SOLLEVATO DA BRUNETTA: LA SCELTA TRA DRAGHI E LA SUBALTERNITA’ AL SOVRANISMO
Partiamo da qui, dalle reazioni, perché indicano un encefalogramma piatto. In una
situazione normale, in una coalizione normale, in un partito normale, di fronte a una posizione come quella espressa da Renato Brunetta nella sua intervista a Repubblica, quantomeno si sarebbe aperto un dibattito. Perché non di una voce dal sen fuggita si tratta, ma della messa a tema, da parte dei uno dei principali ministri che quello schieramento esprime, se di schieramento ancora si può parlare, della questione politica del centrodestra italiano: la sua collocazione strategica di fondo, cultura politica e prospettiva.
Insomma, se si sta con Draghi o con Meloni, semplificando. Non se Berlusconi è ancora una capacità autonoma di giudizio o se la sua volontà è conculcata dalle arti manipolatorie del suo cosiddetto cerchio magico. Se cioè per dirla meglio, l’orizzonte di chi si richiama ai valori delle grandi famiglie europee, in questo caso dei popolari, e ambisce a governare il paese dopo la fase di necessità, è destinato ad essere subalterno al sovranismo, che questa esperienza la vive come una parentesi mal sopportata, o a evolvere a partire da questa esperienza, rivendicandola come propria. Perché questa esperienza è, oggettivamente un discrimine. Parafrasando il vecchio Berlusconi, è una scelta di campo: europeismo o euro-scetticismo, vaccini o non vaccini, economia sociale di mercato o sovranismo autarchico. Per chi, in questo ventennio, si è definito “moderato” rispolverando, a proposito o meno, financo De Gasperi, è questione di non poco conto.
L’imbarazzato silenzio delle reazioni, che vanno dall’ignavia di chi pensa prima alla cadrega, compreso chi è d’accordo col ministro, al battutismo di Salvini, che di fatto rimuove la questione, raccontano davvero molto. Non perché sia un atto di lesa maestà non rispondere al vulcanico Brunetta, ma perché questa è la spia di una rimozione del problema: la famosa polvere e il famoso tappeto, solo che la polvere è così tanta da averlo coperto il tappeto.
Per rimanere agli ultimi tre giorni: la foto farlocca di Villa Grande, il gioco degli inganni e degli specchi sul Quirinale, il comunicato in cui si annuncia il coordinamento dei tre partiti, l’audio sulle gonadi di Salvini fracassate dalla Meloni, uno che va dalla Merkel, uno che vuole fare un gruppo con Le Pen, una che in Europa sta con i conservatori e in Italia più a destra di Salvini, la spaccatura sul voto di condanna della sentenza della corte costituzionale polacca che non riconosce il primato del diritto comunitario su quello nazionale. Bene, il centrodestra, come coalizione politica, non c’è più. E le linee di frattura attraversano entrambi i suoi partiti di governo.
Che il governo Draghi, europeista, scientista, guidato dall’ex presidente della Bce avrebbe rappresentato uno stress test per un partito a vocazione populista, per altro insidiato da una feroce contrapposizione a destra, era prevedibile.
Per Forza Italia è francamente stupefacente che proprio il nuovo contesto non rappresenti l’occasione per uno “scarto” e una ripresa di iniziativa autonoma e non subalterna. Subalternità iniziata con il via libera dato nel 2018 alla formazione del governo gialloverde senza mettere in discussione l’alleanza strategica con la Lega, che suonava più o meno così: do il via libera al peggior governo della storia d’Italia, ma mi dichiaro alleato con uno dei partner che lo sostiene, mica male. La verità è che la fine vera del berlusconismo è datata 2018, l’anno in cui il Cavaliere ha perso nelle urne la sua egemonia nel centrodestra e si sono invertiti i rapporti di forza che, nel ventennio precedente, avevano consentito un equilibrio in grado di costituzionalizzare la destra e incanalare le pulsioni secessioniste in un quadro nazionale. Non moderatismo o moderazione, ma comunque un’egemonia, il cui più rilevante passo politico fu l’ingresso di Forza Italia nel Ppe alla fine degli anni Novanta, sia pur nella perdurante anomalia italiana.
La fase gregaria, di cui questo sfarinamento nell’era Draghi è la conferma, rivela, al tempo stesso, i limiti della fase precedente e la fine di un ciclo, a 27 anni della discesa in campo di Berlusconi, primo tra tutti l’assenza di un partito degno di questo nome, con i suoi luoghi democratici di dibattito, i suoi strumenti di selezione di classe dirigente, la contendibilità di una leadership, vissuta, dai pochi rimasti, come lesa maestà a dispetto delle leggi di natura, con tutto il rispetto. Funziona quando uno prende i voti per tutti e cantano Menomale che Silvio c’è, ma non funziona più quando, per ragioni fisiologiche, il carisma dell’uno dovrebbe essere quantomeno accompagnato dalla forza di un progetto politico.
Dell’antico che non funziona più è la concezione, anche un po’ manichea, del bipolarismo che l’inventore del bipolarismo italiano non riesce a scrollarsi di dosso: l’idea cioè che i moderati debbano per forza stare dall’altra parte rispetto alla sinistra, antico riflesso di quell’anticomunismo artificiale che il Cavaliere fece sopravvivere alla fine del comunismo reale. Aveva un senso, scremato dalla propaganda, quando comunque l’Italia stava dentro quel “bipolarismo” europeo tra popolari e socialisti, che era tali anche in Italia ma li chiamava comunisti.
Ce l’ha molto di meno, e qui si torna a Brunetta, ora che proprio in Europa si pone il discrimine rispetto a quel populismo che ne mina le fondamenta. La famosa maggioranza Ursula, in tal senso, è più di una formula. Incarna un potenziale progetto politico. Peccato che, nel centrodestra nostrano si pratichi l’astinenza da “dibattito”, inversamente proporzionale all’overdose del campo opposto.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile “C’E’ SPAZIO PER UN PARTITO LIBERALE DEL 20%, MA MANCA L’OFFERTA POLITICA. E DRAGHI NE E’ IL LEADER NATURALE”
“Finché Berlusconi ne resta il capo Forza Italia non si emanciperà mai perché è tuttora un partito personale, e parlare di scissioni oggi è velleitario. Tutto quello che leggo sui giornali riguarda il dopo Berlusconi”.
Giuliano Urbani, classe 1937, forzista dal ’94, è stato ministro della Cultura nel governo del 2001, oltre che parlamentare e consigliere di amministrazione della Rai. Politologo, docente all’università Alfieri e alla Bocconi, coordinatore scientifico del Centro Einaudi, ha fatto parte del “gruppo dei professori” – con Colletti, Melograni, Martino, Marzano, poi Tremonti, Pera – provando a vestire il partito “di plastica” con l’ideologia di una formazione liberale di massa.
E adesso dice: “C’è lo spazio per un partito liberale del 20%, il Paese è maturato, ma manca l’offerta politica”. Tuttavia, l’elettorato azzurro è draghiano: “Il premier è il leader naturale di quel bacino. Non entusiasma le folle perché è freddo, ma oggi incarna meglio di chiunque altro il liberalismo moderato”.
Professore, una domanda secca per chi è stato tra gli ideologi di Forza Italia: è scoccata per quel partito l’ora dell’emancipazione da una leadership trentennale?
Ho responsabilità persino maggiori in Forza Italia: Berlusconi l’ha inventata, io l’ho progettata insieme ad amici come Del Debbio e il compianto Gianfranco Ciaurro. Ed era targata rivoluzione liberale, si parva licet, echeggiando Gobetti. Ahimé, purtroppo quella rivoluzione non c’è stata. Il fondamento liberale in Fi è debolissimo perché Berlusconi lo ha interpretato più come parola che come insieme di istituzioni.
E adesso? Brunetta vuole una nuova coalizione europeista intorno a Draghi, scomporre il quadro, tagliare il cordone ombelicale con i sovranisti.
È illuminante che l’abbia detto Brunetta, uomo che da giovane ha dato vita all’importante ala liberal-socialista del Psi con De Michelis. È sintomatico che sia lui a sentirne il bisogno. Ritiene evidentemente che il partito vada rifondato e ricostruito.
Partendo da dove?
Berlusconi non ha mai seriamente pensato alla rivoluzione liberale. Prenda la legge elettorale: noi proponevamo il doppio turno del maggioritario, poi è arrivato Pannella con il sindaco d’Italia e Silvio, per i pochi voti pannelliani, ha mollato la formula francese per quella anglo-italiana… Ma era illusorio, fece i conti senza l’oste: le riforme istituzionali devono essere valide ex se, non come traino elettorale. E ricordo che a un certo punto Silvio aveva pensato a una Fondazione del pensiero liberale, che è ricco ma sparpagliato. Io e Petroni gli indicammo autori del calibro di Einaudi, premi Nobel. Lui invece pensò a Putin. Ora, conosco bene il presidente russo, ho passato sei mesi a Mosca: ha molte doti ma non quella di essere un liberale.
Anche sulla legge elettorale ci risiamo con i possibili tornaconti. Nel 1998 Berlusconi con un blitz entrò nel Ppe e da lì riuscì a rendere “presentabili” la Lega secessionista e i postfascisti. Adesso, anche se va a Bruxelles a proporsi come garante, i rapporti di forza sono cambiati. Non rischia che siano Salvini e Meloni a rendere “impresentabile” lui?
Se Berlusconi si fa trainare da loro è finita perché gli elettori scelgono gli originali. Se Forza Italia lo accetta si suicida, e un po’ lo sta facendo. Il rischio di impresentabilità è molto realistico. Silvio pecca di superbia: crede di trainare lui, ma sono i rapporti di forza che dettano l’agenda. Certo, può accadere il miracolo del piccolo che traina il grande, ma dovrebbe avere una proposta politica di oro e brillanti che non vedo.
Torniamo alla prima domanda: un’emancipazione di Forza Italia dal fondatore lei la vede all’orizzonte?
Penso di no. È vero che ci sono gli elettori per un partito liberale del 20%, il Paese è maturato, ma manca un’offerta politica. Ci abbiamo provato con tutte le nostre forze, ma quando Berlusconi ha rincorso tutti i sistemi elettorali e identificato sempre di più Forza Italia con il suo comitato elettorale senza lavorare a un futuro e un eredità, me ne sono andato via.
Si è sempre detto che Berlusconi come Crono divora i suoi figli politici. La leadership, però, bisogna prendersela, o no?
Le iniziative di Brunetta e di Calenda mi appaiono credibili. Ma non credo che tutto questo sia possibile finché c’è Berlusconi in campo. Finché rimane il capo, Forza Italia continuerà a corrispondergli. Nonostante gli sforzi miei e di altri resta un partito personale. Il richiamo di Silvio è fideistico, personalistico e carismatico. Lui e i suoi seguaci si erano convinti che il maggioritario sfavorisse i moderati: era un’enorme sciocchezza, ma ha precluso il dialogo con la sinistra di D’Alema e Veltroni. Se fosse andata diversamente, Forza Italia si sarebbe già emancipata dall’abbraccio pericoloso di Lega e FdI, ma quel tram è passato.
Un’altra Forza Italia non è possibile? La battaglia per “cambiarle pelle” e smettere di appiattirsi sugli alleati non ha chances?
Stiamo parlando del dopo Berlusconi. Solo da quel momento in poi questa roba sarà possibile. Oggi un’ipotesi di scissione è velleitaria: nessuno dei nomi che leggo sui giornali è competitivo con Silvio.
Ma perché dopo avere addomesticato lo spauracchio della secessione trasformandolo in federalismo, oggi Berlusconi non riesce a domare l’afflato anti-vaccini e green pass di Salvini? La risposta è solo anagrafica?
Per addomesticarlo, come dice lei, dovrebbe fagli una proposta alternativa. Come ha fatto a Bossi con il federalismo, che è una riforma istituzionale importante e positiva. Invece, mi sembra che per il populismo di Salvini non ne abbia. E se sei privo di parole d’ordine, in politica non vai lontano, non hai voce in capitolo.
Eppure, dovrebbe essere più facile oggi: o stai con Draghi o con la Meloni.
Berlusconi avrebbe dovuto convincere la Meloni a sostenere il governo, perché l’elettorato di Forza Italia è draghiano. Il premier è il leader naturale di quel bacino. Draghi non entusiasma le folle perché è freddo, ma oggi incarna meglio di chiunque altro il liberalismo moderato.
Dopo Berlusconi, quindi, non il diluvio?
Beh, abbiamo appena svelato l’assassino… (ride, ndr). Dopo l’uscita di Berlusconi dalla politica o si convince Draghi ad assumersi una leadership strutturata o si dovrà ricominciare da capo.
Ce la farà il Cavaliere a salire sul Colle?
Che ci provi è legittimo, e in questo vuoto assoluto di leader, anche sensato. Poi, secondo me non ci riuscirà perché non vedo tutti, nel centro e nel centrodestra, mettere il suo nome nell’urna. Pensano che abbia fatto il suo tempo, invece ne hanno bisogno come il pane. La federazione era una buona idea però è sparita. Serve un federatore del centrodestra: il migliore sarebbe Draghi, ma non lo farà mai perché vuole restare super partes. A Meloni e Salvini non resta che Silvio, e sarebbe un’ottima mossa di marketing elettorale.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile MACRON AL 26%, ZEMMOUR 16%, LE PEN 15%… AL BALLOTTAGGIO IL CONDANNATO PER RAZZISMO NON AVREBBE SCAMPO
Non si è ancora candidato ufficialmente, ma i sondaggi lo spingono all’annuncio.
Eric Zemmour, giornalista e storico, sta sottraendo a Marine Le Pen i voti dell’estrema destra al punto da porsi ormai come principale avversario del presidente Emmanuel Macron per le elezioni di aprile 2022.
Il sondaggio pubblicato oggi da Le Monde e condotto da Ipsos colloca Zemmour al 16-16,5% al primo turno, contro il 15-16% di Le Pen. Macron conserva un buon vantaggio, con il 24-28%. Il sondaggio non si spinge a valutazioni sul ballottaggio, ma altre rilevazioni vedono favoritissimo l’attuale presidente.
Secondo Ipsos, infatti, Zemmour è considerato un candidato ancora più divisivo di Le Pen. Solo il 20% lo considera adatto all’Eliseo, contro il 30% di Le Pen, se il 21% di uomini over60 sostiene Zemmour, appena l′8% di donne under35 lo apprezza.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile “UNA SPACCATURA COSI’ NON SI VEDEVA DAI TEMPI DI ALFANO”, MA NESSUNO PARLA DI SCISSIONE
“Il centrodestra unito non c’è” dice il ministro Renato Brunetta, e con lui sono d’accordo le colleghe Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, ma anche un buon numero di parlamentari, sia alla Camera che al Senato.
Assicurano che non ci sono velleità di scissioni, “abbiamo aperto al confronto interno”, “vogliamo dire la nostra sulla linea del partito”.
Funziona da sempre così in Forza Italia: si discute, per lo più sotto traccia, si avanzano proposte e idee, poi parla Silvio Berlusconi e senza tante storie tutti si mettono sull’attenti.
Il problema è che da quando il Cavaliere ha mollato una presa quotidiana, vuoi per l’età che avanza, vuoi per gli acciacchi di salute, è il suo inner circle a venire accusato di filtrare quel che gli arriva, perorare le cause dei propri uomini, tutelare proposte e poltrone solo di una parte degli azzurri.
“Antonio, se fai il coordinatore va benissimo, se fai il capo corrente no” è l’accusa che si è sentita rivolgere Tajani, il coordinatore accusato di tenere gelosamente in mano il mazzo di chiavi per accedere ad Arcore. Con lui nel mirino dei malpancisti è finita anche Licia Ronzulli, la fedelissima che del Cav cura l’agenda.
In quella che è sembrata un’ostentazione di forza, i due hanno sparato sui social le foto sorridenti del volo condiviso con Berlusconi verso Bruxelles e il vertice del Ppe. Come a dire: comanda Silvio, ci legittima lui.
Brunetta e i suoi non ci stanno. Perché l’unione e l’appiattimento su posizioni sovraniste sono la causa, a sentir loro, di risultati elettorali che sembrano una vecchia schedina: Trentino 1%, Emilia Romagna 2%, Roma 3% e spicci.
Ma su quell’unione e su quell’appiattimento non hanno mai potuto dire la loro. Il ministro della Pubblica amministrazione in queste ore lamenta che solo dopo il casino scoppiato sull’elezione del nuovo capogruppo Berlusconi lo abbia ascoltato, dopo una serie di telefonate senza risposta.
Gelmini il fatto che per venti giorni ha chiesto di vedere il Cav per discutere della situazione della Camera, sbattendo sempre sul filtro del cerchio magico, e additando Tajani come tappo alla fine dell’imbuto.
“Una spaccatura così non si vedeva dai tempi di Alfano”, dicono nel partito, con la differenza che allora c’era da decidere “semplicemente” se continuare o meno a sostenere un governo, oggi la partita è su che idea di paese si voglia costruire intorno alla bandiera tricolore da sempre simbolo nel partito.
E dunque fare il contrappeso moderato a Lega e Fratelli d’Italia rischiando di rimanere schiacciati nella morsa tra i due, o provare a costruire qualcosa di diverso che con gli alleati sovranisti dialoghi alla pari, cercando di imbrigliarne gli eccessi e arginarne le derive boh vax?
Brunetta nel cuore della settimana ha riunito un drappello di parlamentari per perorare la seconda via. E per iniziare a organizzare nel partito un modo per incidere di più.
Il pallottoliere ne accredita almeno una trentina – su 77 – vicini alle posizioni dell’ala ministeriale.
Ci sarebbero i deputati Porchietto, Mazzetti, Tartaglione, Russo, Sarro, Casciello, Versace, Cappellacci e Baroni, oltre ovviamente a quel Sestino Giacomoni che è stato per qualche ora il possibile candidato capogruppo da opporre a Paolo Barelli, sodale storico di Tajani e scelto dal coordinatore per l’incarico, ottenuto solo dopo la benedizione di Berlusconi che ha evitato di andare alla conta.
Ma sarebbero una ventina – su 55 – anche al Senato le colombe che mal tollerano l’abbraccio delle camicie verdi, guidate tra gli altri da Andrea Cangini.
“Siamo tutti berlusconiani”, spiegano. Il problema è sempre quello: il re si è circondato di una corte di persone che persegue un interesse più personale che collettivo: “Perché sono premiate sempre le stesse quattro persone, che fanno e disfano a piacimento, mentre gli altri sono tagliati fuori?”.
È questa la principale rivendicazione per esempio dei ministri, che hanno con sdegno respinto le accuse di essersi “venduti a Draghi”, arrivate dai falchi più duri del partito.
Nella riunione con i suoi Brunetta l’ha messa così: “Non è possibile che il partito lo governi sempre chi perde, perché il nostro elettorato dovrebbe votarci se facciamo la brutta copia di partiti che già esistono?”.
In sostanza quel che ha detto al Cavaliere, che ha incontrato prima che volasse a Bruxelles: “La situazione è seria, e i prossimi mesi saranno decisivi, devi ascoltare queste istanze, non si può far finta di niente”.
Nella delegazione di governo i ministri sono tuttavia in minoranza. I sottosegretari Giuseppe Moles, Deborah Bergamini, Gilberto Pichetto Fratin e Giorgio Mulè non hanno seguito la rivolta, così come il neo presidente della Calabria e ex capogruppo a Montecitorio Roberto Occhiuto. Furibonda Ronzulli: “Tutto questo è un insulto all’intelligenza del presidente”. Ecco Mulè: “La linea la detta Berlusconi e nessun altro”.
Sarà, ma una linea di frattura così netta nel partito di Berlusconi non la si vedeva da anni. Una scissione al momento non è contemplata, la battaglia è per la collocazione e il controllo della compagine azzurra. Un controllo che potrebbe sfuggire di mano persino al Cav.
Perché il monito che le colombe stanno facendo filtrare in queste ore è sempre e solo uno: “Se non cambia nulla altro che unità del centrodestra nel voto per il successore di Mattarella. Aspettatevi tanti franchi tiratori”.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile SCOVATI GLI INFILTRATI AL CORTEO ANNULLATO
Sono circa 1.500 le persone identificate dalla polizia, tra cui diversi esponenti di
estrema destra e sinistra. Nonostante il corteo contro Il Green pass fosse stato annullato, c’è chi era arrivato in città con un camper armato di coltello e maschere anti gas
Il pericolo di infiltrazioni era concreto. I vari movimenti No Green pass di Trieste, che avevano deciso alla vigilia di annullare la manifestazione del 22 ottobre, hanno trovato nell’azione preventiva e repressiva della questura una conferma: circa 1.500 persone identificate e 12 fogli di via obbligatori. Otto di questi provvedimenti coinvolgono affiliati di Casapound provenienti da tutta Italia, due sono stati recapitati ad anarchici di Trento – fermati a bordo di un camper nell’area del porto vecchio, e due sono a carico di estremisti di destra arrivati in treno. C’è anche un militante neofascista denunciato per essere arrivato nel capoluogo giuliano in possesso di una maschera antigas, un coltello multiuso, un cacciavite, una bomboletta spray e un caschetto.
L’attività della questura triestina – di concerto con le questure di altre città, organi di polizia di Stato e forze dell’ordine slovene, austriache e croate -, hanno permesso di stimare in 300 circa gli appartenenti a gruppi estremisti diretti nel cuore di Trieste per infiltrarsi nei cortei, «destabilizzandoli e mettendo in atto azioni di guerriglia urbana». Al momento dell’emissione della nota stampa della questura – intorno alle 18 del 22 ottobre – le forze dell’ordine hanno stimato in 200 i manifestanti che occupano piazza Unità d’Italia. Nella mattinata, invece, era stato sgomberato un picchetto di 20 persone accampate di fronte al Palazzo della Regione Friuli-Venezia Giulia.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile AUMENTANO GLI ITALIANI RICCHI E BENESTANTI, MA META’ DEL PAESE HA FINITO LE RISORSE
Gli italiani guardano al futuro “con rinnovato entusiasmo”, con il 62% che si dice “molto o abbastanza appagato dalla situazione economica” dopo gli aiuti Ue e il successo delle vaccinazioni che “inducono a voltare pagina”.
Ma il 27% non è soddisfatto delle finanze familiari e l’11% è “molto preoccupato”.
E sale, dal 47% del 2020 al 49% del 2021, la quota che “ha esaurito o si rende conto di essere prossima ad esaurire le risorse a propria disposizione, sottolineando gravi mancanze”. A sottolineare questa distanza tra strati della popolazione nazionale è l’indagine “Gli Italiani e il Risparmio” realizzata dall’Acri con Ipsos.
“È in atto una vera e propria polarizzazione della società italiana, che ha radici antiche ma che è stata acuita dalla crisi economica e sociale innescata dalla pandemia”, ha detto il presidente dell’Acri, Francesco Profumo, presentando con il presidente di Ipsos Nando Pagnoncelli l’indagine. “Chi riusciva ad accumulare risparmi prima della crisi ha continuato a farlo in maniera crescente anche in anni di incertezza e chiusure di attività. Chi è andato in crisi non riesce a risalire”, ha detto Profumo: “uno scenario di cui dobbiamo tenere conto nel tracciare il futuro”.
Secondo il documento, il 38% delle famiglie negli ultimi 2 o 3 anni ha mantenuto facilmente il tenore di vita, e un 13% addirittura l’ha migliorato. Per contro, il 39% è finito in difficoltà e il 10% ha “dovuto prendere atto di un peggioramento”. Un quinto delle famiglie dichiara di essere stato colpito direttamente dalla crisi negli ultimi 12 mesi, ha perso il lavoro (12%) o ha peggiorato le condizioni retributive (10%).
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile MELONI SUPERA SALVINI SUI SOCIAL E ALLE URNE… L’ESPERTO: “IL DECLINO IN REALTA’ E’ INIZIATO DUE ANNI FA”
Immaginate una timeline lunga quasi 10 anni. La prima data evidenziata è il 2012.
Matteo Salvini è ospite a Porta a Porta, Luca Morisi lo vede mentre fa una diretta con l’iPad e dialoga con gli ascoltatori.
Racconterà: “Questa capacità di ibridare i due media, la tv e i social, mi ha appassionato così tanto che lo cercai ed è nato un rapporto professionale”.
A giugno Salvini viene eletto segretario della Lega Nord. Un anno dopo assume Morisi: “Lavoro per lui quasi 24×7″, scrive su Twitter. La prima cosa che fa è ideare una strategia social cucita su misura per il Capitano.
Pensa, progetta e gestisce “la Bestia”, un team di esperti digitali che coprono la vita pubblica e privata di Salvini 24 ore al giorno, festività incluse.
Il vincolo è quello della riservatezza assoluta. Morisi in poco tempo non solo rende Salvini il politico più social d’Italia, ma i due insieme trasformano la Lega Nord in un partito sovranista che tocca addirittura il 34% per cento di preferenze alle Europee del 2019.
Continuiamo a scorrere la nostra timeline immaginaria. Saltiamo a venerdì 24 settembre 2021.
Otto anni dopo, Morisi si dimette dal suo incarico: la gestione dei social network del Capitano. A pochi giorni dalle amministrative, il 27 settembre 2021, i giornali raccontano di un’inchiesta della procura di Verona per cessione di stupefacenti e che vede protagonista proprio il guru dei social di Salvini. I giornali non parlano di altro almeno fino ai risultati delle comunali. È il 18 ottobre e Matteo Salvini e Giorgia Meloni perdono i ballottaggi a Roma e Torino, mentre si aggiudicano Trieste. A Milano, Bologna e Napoli al primo turno, i giochi erano già fatti, con la vittoria del centrosinistra.
A un mese dalle dimissioni di Luca Morisi, quale è lo stato di salute degli account social di Salvini? Un’analisi dell’attività della pagina Facebook del Capitano l’ha fatta “Tech”.
Negli ultimi due mesi si è dimezzato il numero di post medi giornalieri che passa dai 18 del 2020 agli attuali 9. E sono praticamente scomparsi i post con link, che ora pesano solamente lo 0.04% del totale.
Ma il vero calo “riguarda le interazioni che passano da circa 32,5 milioni del periodo agosto – ottobre 2020 agli attuali 7,2 milioni, pari ad una media di quasi 117mila interazioni giornaliere rispetto alle 524mila del 2020. Di riflesso più che dimezzato il tasso di coinvolgimento che scende dal 0.73% al 0.30%”.
Ci siamo chiesti se davvero il destino di Salvini sia segnato senza la Bestia. E ne abbiamo ragionato con Alex Orlowski, fondatore e presidente di WateronMars, un’agenzia di comunicazione digitale specializzata in propaganda online e open source intelligence che opera a livello internazionale.
Con il suo team ha sviluppato un tool di Big Data Analytics che permette di monitorare le reti sociali e qualunque informazione o commento che si incontri su web, darkweb e social.
Incrociando tra loro le informazioni raccolte e analizzando il sentiment in tempo reale. Insomma è un digital analyst che sa come creare strategie e contenuti creativi efficaci. E che conosce molto bene la storia della Bestia.
“La Bestia senza Morisi è un pitbull che diventa carlino”, dice ad HuffPost Orlowski. “È vero che c’è una riduzione dei post e dell’interazione con i suoi fan. Ma il declino non è di questi mesi, bensì è iniziato nel 2019. E sono tanti fattori che lo hanno innescato. Intanto Salvini non è più il Ministro degli Interni, ruolo che lo portava in giro per l’Italia e che gli consentiva una produzione massiccia di contenuti da postare su Facebook, Instagram e Twitter. In secondo luogo non ha una spesa pubblicitaria da investire per la sponsorizzazione sui social alta come negli anni precedenti (nonostante sia ancora tra i top spender di Facebook ads). Dal 1 settembre al 21 ottobre ha speso circa 25mila euro di media per una trentina di post, nello stesso periodo del 2020 ha speso circa 68mila euro di media per 133 post. Infine, con le posizioni talvolta contraddittorie assunte su Covid, mascherine, vaccini, Green Pass, non solo ha avuto problemi nel suo stesso partito, vedi alle voci Zaia e Giorgetti, ma anche con la sua base fan che non ritrovandosi più nello storytelling del Capitano lo ha abbandonato”.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile LA DENUNCIA DELLA MADRE: “IO NON HO MAI DOVUTO DIFENDERMI DAL RAZZISMO, ORA MIA FIGLIA SI'”
Picchiata e insultata da una compagna davanti a scuola, a 14 anni, con offese sul colore della sua pelle. “Mi ha chiamata scimmia, mi ha detto che quelli come me devono morire”, il racconto della studentessa, che ha denunciato l’aggressione alla polizia. E’ accaduto a Torino, all’esterno di un istituto alberghiero.
“Ero appena arrivata ed ero con le mie amiche, quando si è avvicinata una ragazza di un’altra classe – dice – Mi ha afferrata per i capelli, mi ha strappato alcune treccine. Si è seduta sopra di me, schiacciandomi con un ginocchio e dandomi colpi sul costato”. Chi l’ha aggredita si è poi presentata al pronto soccorso del Cto con alcune contusioni alle mani, l’aggressione è stata filmata. Qualche genitore ha recuperato il video e l’ha girato alla madre.
“Non riesco nemmeno a guardarlo – dice la donna – Vedere quello che fanno alla mia bambina. Sentire quegli insulti. In tanti anni in Italia, nessuno mi ha mai offesa per le mie origini. Mentre mia figlia si trova a combattere con il razzismo. Le consiglio di passare oltre, di non prendersela perché non ne vale la pena. Parole che dico anche a me stessa, ma non è semplice”.
(da agenie)
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Ottobre 22nd, 2021 Riccardo Fucile ORA CI MANCA SOLO CHE NE DIANO UNA A MESSINA DENARO E L’ELENCO DEI CRIMINALI E’ AL COMPLETO
Anguillara Veneta, un paesino di 4mila anime in provincia di Padova, ha dato i
natali al trisnonno di Jair Bolsonaro.
E tra pochi giorni il Consiglio comunale, su proposta della sindaca Alessandra Buoso, voterà la concessione della cittadinanza onoraria al presidente brasiliano.
Negli stessi giorni, però, la Commissione d’inchiesta sul Covid del Congresso di Brasilia ha presentato una corposa relazione che contesta a Bolsonaro una serie di scelte sbagliate che avrebbero contribuito alla morte di 600mila persone, adombrando la sua incriminazione “per omicidio di massa“.
E la coincidenza tra i due avvenimenti ha fatto nascere un’aspra polemica politica.
La denuncia delle opposizioni
“Fa rabbrividire la proposta della sindaca di Anguillara Veneta di conferire la cittadinanza onoraria a Bolsonaro, un razzista, misogino e anche negazionista. Non c’è un solo motivo valido per essere orgogliosi di lui, visto che una commissione d’inchiesta chiederà che venga accusato di crimini intenzionali. Ha ritardato per mesi l’avvio della campagna vaccinale promuovendo cure alternative dall’efficacia non testata, come l’idrossiclorichina, e in più di un’occasione ha minimizzato il pericolo del virus che ha fatto strage soprattutto tra le popolazioni indigene. Già prima della pandemia c’era chi lo definiva ambasciatore del valore dei veneti nel mondo ricordando quando a Venezia esponenti leghisti avevano esposto uno striscione che inneggiava alla sua elezione. Eppure si era distinto per gli elogi alla dittatura militare, per il disprezzo e le offese a donne e omosessuali, le minacce di incarcerare i rivali politici, a cui si sono poi aggiunte le grottesche accuse alle ong per gli incendi che hanno devastato l’Amazzonia. Come si può essere fieri di un personaggio del genere? Davvero le sue origini possono prevalere su questo campionario di orrori?”.
(da agenzie)
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