Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
NON SOLO FINANZIAMO UN’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE, MA PURE UN RICERCATO DALL’INTERPOL, TRAFFICANTE DI ESSERI UMANI, ARMI, PETROLIO E DROGA
La postura marziale non riesce a nascondere la tensione dei candidati. Le
foto arrivano da Janzour, meno di 10 chilometri da Tripoli. Diventare una recluta dell’Accademia militare è il sogno di tanti. Ma a decidere chi diventerà ufficiale della Marina, rimessa in sesto da equipaggiamento italiano e fondi di Roma e Bruxelles, è l’ufficiale che nella banca dati dell’Interpol é indicato come “LYi.026”: il famigerato Bija.
Per lui la legittimazione pubblica stavolta arriva dal massimo vertice militare. Il capo di stato maggiore del governo libico di unità nazionale ha pubblicato le immagini degli esami di ammissione.
Al tavolo degli esaminatori, in divisa bianca, c’è il neo maggiore della marina Abdurahman al-Milad, ricercato dall’Interpol e di nuovo sanzionato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Non c’è più alcun dubbio che i finanziamenti di Italia e Ue, indirizzati proprio alla ristrutturazione della guardia costiera libica, finiscano per essere gestiti anche da Bija. Uno smacco per Roma e Bruxelles che continuano a sostenere di avere intrapreso iniziative di cooperazione con «la parte sana» della Marina libica e non con i trafficanti di esseri umani, armi, petrolio e droga.
Proprio alcuni dei capi d’imputazione riportati negli alert dell’Interpol per Bija e il suo gruppo.
In occasione del voto per il rifinanziamento della cosiddetta guardia costiera libica, confermato dal Parlamento lo scorso 15 luglio, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva assicurato che in un precedente colloquio con il premier Dbeibah aveva fra l’altro ribadito «l’importanza della ripresa dell’addestramento della Guardia Costiera libica da parte della Missione Ue. Il comando della Missione ha già condiviso con le autorità locali una ipotesi di programma addestrativo, funzionale alla formazione del personale nella gestione delle situazioni di crisi ed emergenza, nel rispetto dei diritti umani e di genere». Ora sappiamo chi se ne occuperà.
Appena una settimana fa l’Interpol aveva pubblicato un alert per Osama al-Kuni Ibrahim, cugino di Bija e direttore dei campi di prigionia governativi per migranti a Zawiyah, ritenuto «il più spietato di tutti». Tra le motivazioni indicate, proprio l’appartenenza al clan che al vertice vede Bija e Mohammed Kachlaf, capo della milizia al-Nasr e della polizia petrolifera che di giorno sorveglia la più grande raffineria libica, di notte si appropria di tonnellate di idrocarburi da far arrivare in Europa attraverso famiglie mafiose maltesi e siciliane.
Numerose testimonianze di migranti sbarcati in Italia e raccolte dalla polizia hanno indicato Bija come «un mostro che può sparare a una persona come se stesse sparando a un animale». Nella nota dell’Organizzazione internazionale di polizia viene chiesto agli stati membri di «impedire l’ingresso o il transito nei loro territori» di al-Milad e dei suoi associati. Inoltre viene dato ordine di «congelare senza indugio i fondi e altre attività finanziarie o risorse economiche di persone ed entità designate, assicurarsi che nessun fondo, attività finanziaria o risorsa economica sia reso disponibile, direttamente o indirettamente, a loro vantaggio».
Il gruppo di potere di Bija è considerato tra i più influenti nell’eventuale elezione presidenziale del prossimo 24 dicembre. L’attuale primo ministro ad interim del governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah, potrebbe annunciare a breve la sua candidatura. Secondo i media locali il premier avrebbe incaricato il suo vice, Ramadan Abu Janah, di gestire gli affari del governo mentre prepara l’annuncio.
(da Avvenire)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
“STA NEL GOVERNO DRAGHI E CRITICA L’UE, PERDE CONSENSI PERCHE’ HA PERSO CREDIBILITA'”…”NEI 118 COMUNI SOPRA I 15.000 ABITANTI DOVE SI E’ VOTATO LA LEGA E’ CROLLATA DAL 28,4% AL 7,7%”
“Salvini è un acrobata che cammina sulla corda sospesa a mezz’aria: il suo ingresso nel governo Draghi è stata una svolta importante, ma al contempo critica Bruxelles e parte delle misure governative. Questa ambiguità è alla radice del calo di consensi leghista, ma non credo che uscirà dalla maggioranza”.
Il politologo Roberto D’Alimonte analizza quella che definisce “una scommessa” da parte del Capitano in Europa: “Il Ppe è il partito dell’austerità, di Merkel e Weidmann, e lui vuole tenersi le mani libere per criticarlo se tornerà a invocare vincoli rigidi. Per questo preferisce un gruppo che non vuole uscire dall’Ue ma invoca cambiamenti forti”.
Professore, la montagna della resa dei conti nella Lega ha partorito il topolino dell’unanimità sulla linea di Salvini, con tanto di mea culpa di Giorgetti. Dalla suggestione dei cazzotti allo stile bulgaro. E’ un compromesso che può durare?
Per un’analisi realistica sulla Lega bisogna partire da due fatti. Il primo è che Salvini l’ha portata dal 4 al 30% ed è questa la forza della sua leadership nel partito. Anche se dopo la crisi del Papeete è iniziata una discesa che oggi lo vede tra il 17 e il 19%. Il secondo fatto riguarda gli esiti delle amministrative: nei 118 comuni superiori ai 15mila abitanti la Lega ha preso il 7,7%, il Pd il 19% e Fd l’11,1%.
Il punto è il sorpasso di Giorgia Meloni?
Due anni fa alle Europee la Lega negli stessi 118 comuni aveva preso il 28,4% e FdI il 6,6%. Qualcosa non torna: è una fase difficile. Acuita dalla divisione tra la linea moderata di Giorgetti e di buona parte degli imprenditori del Nord e quella ambigua , in parte sovranista-radicale-populista di Salvini. Anche se l’ultimo consiglio federale ha mostrato con chiarezza che il segretario ha il pieno controllo del partito.
La fase difficile non è migliorata – anzi – con la partecipazione al governo Draghi. E’ stata una scelta sbagliata?
Salvini è un acrobata. Vuole tenere i piedi in due staffe. Il suo appoggio a Draghi fa parte di un progetto moderato, il sì al governo è stata una svolta importante che non va sottovalutata. A cui però si accompagnano i toni critici verso l’Europa e alcune misure governative. ll leader della Lega cammina su una corda sospesa a mezz’aria.
Bella immagine, ma precaria.
Se Salvini deciderà di uscire dalla maggioranza sarebbe una netta scelta di linea. Ma per ora non lo dice e non credo che lo farà. Perché è convinto di poter vincere con questo atteggiamento le prossime elezioni.
I dati sembrano dire il contrario. O invece ha ragione Giorgetti che l’investimento su Draghi è a lunga scadenza e non si perde il capitale?
A mio avviso il motivo del calo di consensi è proprio questo. Non convince i moderati, perplessi di fronte alla sua ambiguità, che si astengono o votano qualcun altro. E perde i voti radicali che considerano far parte del governo di unità nazionale un handicap rispetto alla coerenza della Meloni. Però…
Però?
Dal suo punto di vista Salvini ha ragione a dire no all’ingresso nel Ppe. Quello è il partito dell’austerità, della Merkel e di Weidmann. Si preoccupa di cosa succederà con e dopo il Pnrr: quali saranno le regole fiscali e finanziarie comuni dopo la pandemia? Se la Germania tornasse a chiedere vincoli rigidi, lui avrebbe perso l’autorevolezza per criticarla facendo parte dei Popolari.
Ma costruire un gruppo con Orban, Le Pen e Morawiecki non è un’alternativa auto-ghettizzante?
Salvini preferisce tenersi le mani libere all’interno di un gruppo che non chiede l’uscita dall’Unione Europea ma cambiamenti forti. E’ una scommessa che può essere razionale dal punto di vista elettorale. Ma non ho la palla di cristallo per prevedere se la vincerà.
Cosa succederà a febbraio sul Quirinale?
Entrambi gli schieramenti hanno circa 450 voti, con la destra più compatta e la sinistra più frammentata. Resta una massa di manovra formata da un centinaio di “cani sciolti” tra piccoli gruppi e non iscritti. Abbiamo così tre possibili scenari. Uno: lo scontro tra i due poli, con lo spettacolo avvilente della conta sul candidato di ognuno. Due: l’accordo su un nome di garanzia per tutti, Draghi o chi per lui.
Terzo scenario?
Una soluzione intermedia con lo spacchettamento dei due poli. Salvini e Berlusconi si mettono d’accordo con Letta e Conte per un candidato della maggioranza di governo. Oppure Pd, Lega e Forza Italia escludono M5S e FdI. Nel primo caso si rompe il centrodestra, nel secondo anche il centrosinistra. E i cocci si vedrebbero al momento delle elezioni.
(da Huffingtonpost)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
CONSUMISMO, ARRIVISMO, INDIVIDUALISMO SONO TUTTI MODI PER RIEMPIRE IL VUOTO DEL NULLA
Ci stiamo autodistruggendo, il mondo sta andando a fuoco ed è ricoperto
di spazzatura di plastica e morale. Ma per non perdere profitti, politicanti e lobby si nascondono dietro al solito ipocrita bla bla bla. Il profitto prima perfino della vita. Di questo si tratta.
Inquinare di meno costa soldi e chi detiene il potere non è disposto a spenderli. Niente di sorprendente. Viviamo un’era in cui l’unica ideologia rimasta è l’accumulare sempre di più, non solo soldi e roba ma anche potere e visibilità.
Oggi “di più” è diventato sinonimo di “meglio”. Consumare di più, accumulare e apparire e contare di più, con l’illusione di trovare senso e perfino felicità in qualche negozio o su qualche palco della vita.
Una illusione epocale che si sta trasformando in un incubo autodistruttivo.
Altruismo, senso di responsabilità, sensibilità sono tutte caratteristiche da deboli, da perdenti. Fare passi indietro è diventato sinonimo di sconfitta e di un cedimento pericoloso perché qualche nemico potrebbe approfittarne.
Più che una comunità globale di esseri umani siamo diventati un mercato. Profitto e legge del più forte. Convenienza e competizione permanente. Egoismo individuale che si fa globale.
Tutti che mettono prima se stessi, tutti che hanno sempre ragione e tutti che procedono spediti verso l’autodistruzione.
Nel mondo ricco abbiamo vinto la sfida della sopravvivenza, produciamo beni in eccesso e lusso superfluo e sprechiamo a livelli inauditi. Il problema è che falliamo clamorosamente nel distribuire equamente la ricchezza che generiamo. Singole persone posseggono più d’intere città e d’intere nazioni. Una idiozia autolesionista epocale.
Con un minimo di giustizia sociale potremmo evolvere al paradigma successivo, passare cioè da quello materiale in cui siamo impantanati ad un paradigma più intelligente in cui soddisfatti i bisogni reali potremmo dedicarci a goderci davvero la vita e senza distruggere il pianeta.
Un paradigma in cui si cessa di cercare fuori soluzioni a problemi che abbiamo dentro. Che si smette di consumare anche se stessi e il mondo e si ricominci ad esprimere la nostra natura più autentica di esseri umani.
Noi siamo molto di più che produttori e consumatori, siamo molto di più che i personaggi che recitiamo sui palchi della vita. E’ tempo di togliersi la maschera e gettare i copioni. E’ questa la chiave. Noi possiamo cambiare solo noi stessi e quando cambieremo noi stessi cambierà il mondo.
Quello di cui abbiamo davvero bisogno come persone non è in vendita da nessuna parte e di tutti i soldi e le cose superflue alla fine non ce ne facciamo niente se non alimentare il nostro misero ego e procedere a grandi passi verso l’autodistruzione personale e collettiva.
Consumismo, arrivismo, personalismo sono tutti modi per riempiere il vuoto col nulla. Quello di cui abbiamo davvero bisogno lo troviamo dentro di noi, non fuori.
La causa del nostro malessere è dentro di noi come lo è soluzione. Fuori, nella nostra città come nel mondo intero non c’è altro che la rappresentazione plastica dell’egoismo che ci corrode dentro. Siamo noi il nostro problema e siamo noi il problema del mondo.
E’ tempo di evolvere come persone e quindi di paradigma. La vita materiale dove ritornare ad essere un mezzo e non un fine. Un mezzo per esprimere appieno quello che siamo veramente e cioè esseri umani.
E’ tempo di rimettere la vita e la sua autentica qualità prima di ogni profitto prima che sia troppo tardi. Ci stiamo autodistruggendo, il pianeta sta andando a fuoco ed è ricoperto di spazzatura di plastica e morale.
Non c’è più tempo da perdere.
(da Infosannio)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
IL REDDITO DI CITTADINANZA INEFFICACE PER LE FAMIGLIE IN INDIGENZA ASSOLUTA, RAGGIUNGE SOLO IL 44% DEI POVERI
Il reddito di cittadinanza riesce a raggiungere solo il 44% del totale dei poveri italiani. Ed è inefficace per le famiglie che si trovano in condizioni di indigenza assoluta. Questo sostiene il recente Rapporto Caritas 2021 sulla povertà e l’esclusione sociale. Un fenomeno, racconta il Messaggero, nel quale oggi sono coinvolte 2,1 milioni di famiglie rispetto agli 1,7 milioni del 2019.
Mentre il totale dei cittadini in condizioni di povertà assoluta, cioè non in grado di acquistare un paniere di beni Istat sufficiente per una vita accettabile, è aumentato da 4,6 a 5,6 milioni.
I nuovi poveri sostenuti dalla Caritas sono attualmente 1,9 milioni. E solo il 19,9% dei nuovi assistiti percepisce il sussidio destinato ai poveri.
«Il riordino e il rafforzamento del reddito di cittadinanza – sostiene la Caritas – deve essere effettuato attraverso un miglioramento nell’intercettare la povertà assoluta. Più della metà delle famiglie in povertà assoluta non percepisce il reddito di cittadinanza». Si tratta del 56% delle famiglie su scala nazionale, ovvero il 48% di quelle che risiedono nel Mezzogiorno. Sono 3 milioni i cittadini indigenti che non beneficiano del sussidio. Mentre una quota del 36% ne usufruisce indebitamente. A beneficiare del reddito sono soprattutto i single (ovvero il 44% del totale dei fruitori) e le famiglie poco numerose, a discapito di quelle con tre o più componenti.
«La causa principale – spiega ancora la Caritas – è la particolare scala di equivalenza che cresce lentamente all’aumentare del numero dei componenti della famiglia. La scala dell’Rdc è stata scelta con l’intento di contenere la spesa totale della misura». E di rispettare la “promessa elettorale” dei 780 euro al mese per il single che viveva in affitto. Da qui l’anomalia che oggi porta il reddito a sostenere meno famiglie di quelle che sarebbe necessario. Nonostante i 7 miliardi l’anno di spesa. Che diventeranno 9 nel 2022.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
I DRAMMATICI DATI DELLA RICERCA OPENPOLIS… 355.000 GIOVANI I SONO TRASFERITI ALL’ESTERO, SOLO IL 3% RIENTRERA’ IN ITALIA, UN PAESE SENZA FUTURO
C’è un meme che descrive alla perfezione il modo in cui si sente la
maggior parte dei venti-trentenni di oggi: in alto vediamo i nostri genitori che alla nostra stessa età comprano una seconda casa in cui sperano ci sia spazio per entrambe le loro auto; in basso noi, che dopo aver comprato una confezione di pane e una di latte, dubitiamo che le nostre finanze saranno mai in grado di risollevarsi da questa spesa.
Il meme racconta purtroppo una realtà molto comune: la nostra generazione, infatti, non può nemmeno lontanamente immaginare di riuscire a possedere la stessa ricchezza di quella dei nostri genitori e ancor meno – sempre in potenza – quella dei nostri nonni alla nostra età.
In effetti, i millennial non solo sono una delle generazioni più povere della storia, ma guadagnano molto meno rispetto ai loro predecessori, ribaltando il meccanismo di crescita che fino ad ora è sempre stato presente.
In Italia, poi, la situazione è ancora più preoccupante: i nati dopo il 1986 hanno il reddito pro capite più basso della storia italiana e un quarantenne di oggi possiede un reddito annuo di 10mila euro inferiore rispetto a un quarantenne nato tra il 1946 e il 1965.
Questi dati, anziché allarmare la classe politica e l’opinione pubblica, sono però accompagnati da una retorica colpevolizzante nei confronti delle nuove generazioni, accusate a più riprese di essere pigre, choosy e bamboccione.
L’ultimo capitolo della saga sono le numerose interviste agli imprenditori – specie nel settore della ristorazione – che non trovano più nessuno da assumere “perché i giovani dopo il Covid hanno perso la voglia di lavorare”.
Non solo ci si dovrebbe chiedere chi vuole lavorare per uno stipendio da fame, con orari e turni lunghissimi e senza alcuna tutela contrattuale, ma anche come sia possibile che in Italia i salari non siano nemmeno rimasti uguali, ma addirittura diminuiti rispetto al 1990.
Questo è il risultato di una ricerca di OpenPolis nei Paesi europei Ocse, che ha rivelato come la nostra sia l’unica nazione che tra il 1990 e il 2020 che ha avuto una decrescita nei salari annuali medi, pari al -2,9%.
Un risultato imbarazzante se confrontato con la Spagna, al penultimo posto, che è cresciuta soltanto del 6,2%, ma almeno è cresciuta. Senza considerare i Paesi baltici, che hanno visto i propri salari aumentare più del 200% in trent’anni a seguito della disgregazione dell’Urss, i Paesi culturalmente e storicamente a noi più vicini hanno aumentato i propri stipendi dal 13,7%, per quanto riguarda il Portogallo, all’85,5%, l’Irlanda, per una media del +74%
I ricercatori in economia Marta e Simone Fana hanno individuato proprio gli anni Novanta come il decennio in cui è iniziato il declino dei salari in Italia.
Nel 1992, dopo che era già stata tagliata nel 1984 da Craxi con il decreto di San Valentino, viene abolita definitivamente la scala mobile, che consentiva di adeguare i salari al costo della vita. Gli stipendi vengono bloccati.
L’inflazione diminuisce, ma non per beni come le case, i trasporti pubblici e gli alimentari.
Con la legge Tremonti del 1994, le imprese ricevono vantaggi fiscali per gli investimenti in nuovi macchinari e attrezzature, senza che tuttavia avvenga un effettivo ricircolo di questi redditi.
Nel frattempo, il lavoro diventa sempre più precario: contratti a termine, appalti e subappalti, false partite Iva. Se nel 1995 erano un milione i lavoratori a tempo determinato (il 7% del totale degli occupati), nel 2018 sono diventati tre (il 17%): quota ben al di sopra della media europea.
Nel 2003, il d.lgs. 276/2003 abroga una legge del 1960 che aveva introdotto il “divieto di interposizione di manodopera”: eliminato questo divieto, è ora possibile che un soggetto terzo “affitti” i propri dipendenti a un’altra azienda dietro compenso. Con il sistema del lavoro in somministrazione, ancor più liberalizzato dal Jobs Act del 2015, non solo gli stipendi restano bassi, ma il lavoratore non ha diritto a garanzie come la cassa integrazione. In molti casi, dietro questa rete di appalti si nascondono storie di caporalato e sfruttamento.
Queste strategie non sono frutto del caso, ma della precisa volontà di mantenere basso il costo del lavoro per aumentare i profitti di pochi, con conseguenze disastrose per la qualità della vita, la progettualità e spesso anche la dignità di chi lavora.
Così, oggi, l’Italia è sesta in Europa per numero di working poor, i lavoratori poveri: nella fascia di chi guadagna dai 550 ai 820 euro al mese – quasi un milione e mezzo di persone – si stima che il 26% potrebbe non avere denaro sufficiente per pagare il riscaldamento.
Ma l’estrattivismo sui salari riguarda ormai tutti i settori della produzione: i laureati nati negli anni Settanta percepiscono 35mila euro in meno rispetto ai laureati nati nel decennio precedente e il divario tra il salario dei diplomati e di chi ha conseguito un titolo superiore si sta restringendo: oggi chi è in possesso di una laurea triennale è retribuito appena il 2,3% in più rispetto a un diplomato.
Al di là dei numeri, la stagnazione degli stipendi porta con sé conseguenze importanti per i progetti di vita a lungo termine.
Basta dare uno sguardo al Rapporto annuale dell’Istat per rendersene conto: dal 2008 al 2020, 355mila giovani tra i 25 e i 34 anni – circa il 5,9% del totale – si sono trasferiti all’estero, la maggior parte dei quali con un basso livello di istruzione o, al contrario, con un alto livello di specializzazione. Solo il 2-3% rientrerà in Italia.
Per quanto riguarda la prospettiva di costruire una famiglia, anche il 2020 ha visto un record negativo di nascite, cosa per la quale sistematicamente si punta il dito contro le donne che non vorrebbero fare più figli perché concentrate troppo sulla carriera. In realtà, come sottolineava il Rapporto dello scorso anno, il numero di figli desiderato è più alto di quello reale e sono solo 500mila gli individui tra i 18 e i 49 anni che affermano di non volerne.
Per l’Istat, è proprio l’incertezza economica il primo ostacolo alla fecondità e il fatto che il calo nel 2020 abbia interessato soprattutto le donne con un basso livello di istruzione, che quindi statisticamente svolgono i lavori più penalizzati durante la pandemia, dimostra come le condizioni di lavoro siano un forte deterrente alle nuove nascite. Uno stipendio che consente di arrivare a malapena a fine mese significa non avere la possibilità di mettere qualcosa da parte per il futuro, specialmente se si vive in città come Roma o Milano dove l’affitto da solo si prende la maggior porzione delle entrate mensili: a un anno dal titolo triennale, un neolaureato guadagna 1.270 euro al mese; un bilocale nel capoluogo lombardo va dai 650 nelle zone meno centrali a 1.700.
Mantenere i salari bassi non porta ad alcun beneficio economico su larga scala, se non il contenimento dei costi del lavoro che avvantaggia i profitti di pochi.
E infatti il divario tra ricchi e poveri si allarga, con i benestanti che si arricchiscono sempre di più e vedono mantenersi intatti i propri patrimoni e gli altri che non arrivano alla fine del mese e vivono per forza di cose alla giornata.
Per uscire da questo scenario, però, le soluzioni non mancherebbero: tassare le multinazionali, tassare i miliardari (soluzione appoggiata persino dal Fondo monetario internazionale, di certo non la più “socialista” delle istituzioni) e introdurre il salario minimo – di cui l’Italia è priva insieme ad Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia.
Secondo l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, un salario minimo lordo di 9 euro all’ora interesserebbe il 21,2% dei lavoratori in Italia e in particolare i giovani sotto i 29 anni e le donne, e per le stime dell’Inps porterebbe un gettito di 3 miliardi di euro.
Dove è stato introdotto, il salario minimo ha anche contribuito a ridurre il gender pay gap, cioè la differenza di retribuzione tra uomini e donne.
La ricchezza di un Paese non si misura solo dai profitti delle imprese, ma anche dal benessere e dalla serenità dei suoi cittadini, che quando lavorano non dovrebbero temere di non arrivare a fine mese. Se l’ago della bilancia comincia a pendere troppo a favore delle prime, per l’Italia non può esserci futuro.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
SPINTE, SCHIAFFI E INSULTI A SAVERIO TOMMASI CHE STAVA FACENDO IL SUO LAVORO DI CRONISTA
Non è iniziato nel migliore dei modi il sedicesimo sabato di protesta
contro il Green pass a Milano. Già prima che partisse il corteo una persona ha spintonato il giornalista di Fanpage.it Saverio Tommasi, che è in piazza con un collega per documentare la protesta, mettendogli anche le mani sulla telecamera.
Altri due momenti di tensione, sempre contro i giornalisti di Fanpage, si sono registrati in piazza Duomo, dove Tommasi è stato spintonato ed è caduto a terra, e in un altro momento del corteo.
In tutti i casi gli aggressori sono stati fermati e identificati dalla Digos. Il giornalista di Fanpage aggredito non ha comunque riportato conseguenze e sta continuando a seguire il corteo.
“Ci siamo rialzati e continuiamo a provare a raccontare il corteo, siamo qui per questo: provare a fare le domande e capire cosa accade”, ha spiegato Tommasi.
Il clima è comunque ostile: gli insulti alla nostra testata sono costanti, così come gli inviti dal megafono a “non parlare con Fanpage”.
“La cosa più triste che posso dire è che mi immaginavo un’accoglienza ostile, e il fatto di immaginarmela è la cosa più triste. Però uno sorride e continua a fare domande, per mestiere e per passione”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
“INAUDITO CHE DA 16 SETTIMANE I NO VAX BLOCCHINO LA CITTA’ OGNI SABATO: I CLIENTI NON VENGONO PIU’ IN CENTRO PER PAURA DI DISORDINI, NOI SIAMO COSTRETTI A CHIUDERE”
Ancora un sabato pomeriggio, ancora un corteo no green pass per le vie
di Milano.
Il copione delle ultime sedici settimane si ripete anche oggi 6 novembre: il via è per le 17 in piazza Fontana e da qui i manifestanti non seguiranno il percorso prescritto dal questore di Milano Giuseppe Petronzi.
Conclusione? Anche oggi molte vie del centro resteranno blindate. Le conseguenze più grosse le pagano i commercianti: negozi e locali costretti dalle 17 alle 20 e da ormai sedici weekend di fila a fare i conti con la paura che possano subite danni. “L’economia di Milano si stava piano piano risvegliando dopo la pandemia e ora i commercianti sono costretti a rivivere piccoli lockdown”, spiega a Fanpage.it il disagio della categoria il segretario generale di Unione Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza Marco Barbieri.
Questi cortei quanto stanno penalizzando le imprese?
Tanto. Bisogna considerare che il sabato incide per il 27.4 per cento sul fatturato della settimana di un’impresa di media produzione. Ecco ora i guadagni a causa di queste continue manifestazioni sono calati del 25 per cento. I danni economici sono quindi molto gravi.
Una situazione che è destinata a peggiorare?
Solo se continueranno i cortei no green pass. Oggi le perdite sono al 25 per cento, potrebbero precipitare ancora di più dall’ultimo weekend di novembre, ovvero quello del Black Friday, e via via che ci si avvicina a Natale. Ovvero il periodo in cui la gente compra e gira per la città. Queste manifestazioni impediscono tutto questo: sono sempre meno le persone che raggiungono Milano e i milanesi non escono di casa. Hanno paura di una possibile guerriglia urbana causata dai manifestanti. Così i clienti non ci sono e i commercianti che convivono con il corteo sono costretti a chiudere già alle 17 del sabato.
Oltre al danno economico, i commercianti hanno subito atti vandalici?
Per ora no, ma la paura resta. Sono il popolo silenzioso del sabato che dobbiamo tutelare.
Quale sono le proposte di Confcommercio?
Lunedì scorso il nostro presidente Carlo Sangalli ha lanciato una petizione per dare voce al popolo silenzioso del mondo delle imprese e dei cittadini che si trovano ogni sabato a fare i conti con il corteo no green pass. Abbiamo già raggiunto le 52mila visualizzazioni e quasi le 4mila firme. Sia chiaro che ogni cittadino è libero di manifestare ma questa manifestazione non può ledere il diritto degli altri. Bisogna manifestare rispettando le regole, concordando le modalità e il percorso con le autorità competenti dell’ordine pubblico. Non essendoci invece un coordinamento del percorso le forze dell’ordine giustamente sono costretta a blindare tutta l’area. E i primi a rimetterci sono proprio i commercianti.
Soprattutto ora che l’economia si stava risollevano dalla pandemia.
Per i commercianti Milanesi le cose hanno iniziato piano piano a tornare alla situazione del 2019 dopo il 26 aprile quando è stato permesso di tornare a mangiare nei ristoranti e bar all’aperto e poi a maggio anche nelle sale interne. Poi con il “Salone del Mobile” e “Tutto Food” le cose stavano finalmente tornate alla normalità. Milano è ritornata poco alla volta a riavere il numero di turisti della pre-pandemia. Si stava risvegliando. Per questo ora non è possibile accettare tutto questo ogni sabato pomeriggio. I commercianti non possono abbassare la serranda ancora.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
PRESA A CALCI UN’AUTO A MILANO, I QUATTRO RAGAZZI A BORDO SCENDONO E SI RISCHIA LA RISSA… PRIMA O POI CI SCAPPA IL MORTO SE SI PERMETTE ANCORA A DEI CRIMINALI DI CIRCOLARE LIBERAMENTE
Più di 5.000 persone si sono concentrate in piazza Libertà a Trieste per la manifestazione di protesta contro l’obbligatorietà del Green pass.
Il corteo è caratterizzato da poche persone che indossano la mascherina, rarissimi distanziamenti sociale e pochi steward del servizio d’ordine.
È assente il leader del Coordinamento Lagentecomenoi, Stefano Puzzer, che sarebbe fuori città.
Durante la manifestazione un gruppo di circa 200 persone, intorno alle 18, ha tentato di raggiungere piazza Unità d’Italia da piazza della Borsa, spingendo le transenne in avanti nel tentativo di far arretrare lo schieramento delle forze dell’ordine.
Queste, però, hanno reagito respingendo i manifestanti e agitando anche i manganelli.
Più tardi si sono verificati scontri. Lo schieramento di agenti si è mosso da piazza Unità d’Italia ed è avanzato per spingere i manifestanti lontani, ricacciandoli verso piazza della Borsa. Le forze dell’ordine hanno caricato usando manganelli e forse una persona è rimasta contusa. Sono anche volati tavolini e sedie dei bar della zona.
Lo schieramento di polizia e carabinieri è andato progressivamente avanzando allontanando i manifestanti dai pressi di piazza Unità d’Italia, inizialmente con la forza. I contestatari dopo un primo confronto in cui le forze dell’ordine hanno usato i manganelli e gli scudi per farsi largo, sono poi arretrati fin quasi in piazza della Borsa, distante un centinaio di metri.
Poco prima dell’azione, un gruppo di forze dell’ordine si era staccato e si era posizionato alle spalle dei manifestanti. Questi ultimi sono diminuiti numericamente e sarebbero ora un centinaio.
MILANO
Due manifestanti No Green Pass sono stati portati in Questura dopo aver aggredito una troupe di Fanpage. Uno dei due ha spintonato il cronista e messo la mano sulla telecamera dell’operatore. L’uomo è stato poi raggiunto dal fratello che, non avendo documenti, è stato anche lui portato negli uffici di via Fatebenefratelli. È partito per il 16/o sabato consecutivo il corteo No Green Pass a Milano con alcune migliaia di persone, tra cui anche l’ex brigatista Paolo Maurizio Ferrari, già denunciato due settimane fa per manifestazione non autorizzata.
Arrivati a metà di corso di Porta Romana, invece di girare a sinistra in via Lamarmora i manifestanti hanno imboccato corso di Porta Vigentina, percorrendo quindi una strada non prevista dalla Questura. Il corteo si sta dirigendo verso la Darsena, bloccando completamente il traffico.
Alcuni manifestanti hanno portato in spalla una bara di cartone avvolta in una bandiera dell’Italia con dei garofani sopra per celebrare «il funerale della libertà», altri indossano invece dei gilet gialli.
È stato anche bloccato il tentativo dei manifestanti di arrivare in Darsena. Ci sono stati momenti di tensione con alcuni automobilisti, in particolare 4 ragazzi sono scesi dall’auto presa a calci dai manifestanti, con insulti e spintoni prima dell’intervento delle forze dell’ordine.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 6th, 2021 Riccardo Fucile
PD 20,1% (+0,4%), FDI 19,9% (-0,6%), LEGA 18,9% (-0,1%), M5S 16% (+0,3%), FORZA ITALIA 7,3% (+0,4%)
Il Partito democratico si conferma primo partito in Italia anche nella
Supermedia realizzata da YouTrend per Agi. Il Pd si è portato al 20,1 percento, facendo registrare una crescita di 0,4 punti percentuali rispetto alla Supermedia della settimana scorsa, staccando di soli 0,2 punti Fratelli d’Italia.
In una settimana, il principale partito di opposizione ha perso ben 0,6 punti, mentre la coalizione che sostiene il governo Draghi arriva nel suo insieme è arrivata al 73,8 percento, quasi un punto in più della settimana scorsa.
Arretra anche la Lega, sempre in terza posizione al 18,9 percento, mentre il Movimento 5 Stelle rimane quarto al 16 percento, dopo un aumento di 0,3 punti.
La supermedia, calcolata sulla base delle rilevazioni di Demopolis (28 ottobre), Emg (2 novembre), Piepoli (28 ottobre), Swg (25 ottobre e 1 novembre) e Tecnè (30 ottobre), vede Forza Italia staccata dai primi quattro partiti al 7,3 percento.
Seguono poi Azione al 3,6 percento, Italia Viva al 2,4 percento, Sinistra Italiana al 2,1 percento, Articolo Uno al 2 percento, Verdi all’1,9 percento e +Europa all’1,6 percento.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »