Destra di Popolo.net

GLI IMPRENDITORI DISONESTI POSSONO STARE TRANQUILLI, IL GOVERNO DRAGHI ABOLISCE I CONTROLLI A SORPRESA: “SARANNO ANNUNCIATI IN ANTICIPO”

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

OTTIMA IDEA, COSI’ POSSONO MANIPOLARE I CONTI IN TEMPO

Rispettosi e poco invasivi, ma soprattutto annunciati con largo anticipo: ecco i nuovi controlli alle imprese secondo il governo Draghi.
Lo ha spiegato Renato Brunetta: illustrando l’apposita delega contenuta nel ddl sulla concorrenza, il ministro della Funzione pubblica ha chiarito che “prima di ogni controllo ci sarà una telefonata per programmarlo, specificarne la natura, individuarne i contenuti e i documenti necessari, i giorni in cui arriverà, le risorse umane di cui avrà bisogno. Non ci saranno divise o mitragliette in vista”.
Insomma, addio alle verifiche fiscali a sorpresa, vero spauracchio degli imprenditori disonesti: d’ora in poi la parola d’ordine, dice il ministro, sarà “rispetto reciproco“, ma anche “civiltà, gentilezza e cortesia“.
Brunetta ha esposto il proprio manifesto intevervenendo a Roma alla tavola rotonda “Procurement pubblico del digitale per la trasformazione del Paese”, promossa da Anitec-Assinform, la branca di Confindustria che raccoglie le imprese del comparto tecnologie per l’informazione.
La base normativa per realizzarlo è l’articolo 24 del ddl varato mercoledì dal Consiglio dei ministri, “Delega in materia di semplificazione dei controlli sulle attività economiche”.
Vi si legge che “al fine di assicurare la semplificazione degli adempimenti e delle attività di controllo, nonché di favorire la ripresa e il rilancio“, il governo può adottare entro diciotto mesi decreti delegati “volti a semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare” i controlli pubblici alle imprese.
Tra i criteri da rispettare, al punto c) si cita il “coordinamento e programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni per evitare duplicazioni e sovrapposizioni dei controlli e ritardi al normale esercizio delle attività dell’impresa, assicurando l’efficace tutela dell’interesse pubblico“.
Al punto d), invece, la “programmazione dei controlli secondo i principi di efficacia, efficienza e proporzionalità, tenendo conto delle informazioni in possesso delle amministrazioni competenti, definendo contenuti, modalità e frequenza dei controlli anche sulla base dell’esito delle verifiche e delle ispezioni pregresse“. In base a questi principi, d’ora in avanti alle pubbliche amministrazioni dovrebbe essere vietato di richiedere la produzione di documenti e informazioni già in loro possesso.
(da agenzie)

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LE PAROLE CHE DRAGHI NON DICE

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

SE RINUNCIASSE UFFICIALMENTE AL COLLE, CHIARIREBBE TUTTO

Un po’ della confusione politica è provocata da Draghi, che non chiarisce le sue intenzioni. Mancano due mesi al voto sul Quirinale e ancora dobbiamo sapere se il presidente del Consiglio sarà candidato o meno.
Svariati indizi farebbero supporre di sì. Per esempio Draghi ha tollerato che il suo nome finisse nella giostra dei papabili, anzi in cima alla lista, senza mai smentire; non ha preso le distanze da Giancarlo Giorgetti nemmeno quando una semplice telefonata sarebbe bastata per intimare al ministro di lasciar perdere il semi-presidenzialismo “de facto” e l’idea ardimentosa che, con questa nostra Costituzione, il capo dello Stato possa fare le veci del premier.
Imperturbabile quanto un Andreotti dei giorni nostri, Super Mario ha lasciato dire e fare.
Così nel suo silenzio sono fiorite mille ipotesi per la possibile successione: da Renato Brunetta in quanto ministro più anziano, a Daniele Franco nella sua veste di fedelissimo.
Si è sparsa voce che, per non contrariare i partiti in vista dell’elezione, Draghi abbia un filo annacquato il proverbiale decisionismo facendosi concavo e convesso circa le misure da prendere su Green Pass, Reddito di cittadinanza e pensioni.
Nelle cancellerie europee, nei salotti buoni, nei circoli della finanza, negli ambienti altolocati si dà praticamente per certo che il nostro uomo non disdegnerebbe di trasferirsi al Colle, qualora gli venisse offerto.
Lo vedono già pronto all’ennesima arrampicata, dalla direzione generale del Tesoro alla Goldman Sachs, dalla Banca d’Italia alla Bce, adesso (forse) dalla guida del governo alla suprema carica della Repubblica. Insomma: la candidatura è sulla bocca di tutti, tranne che su quella del diretto interessato.
Una sua parola farebbe chiarezza; ma Draghi aspetta a pronunciarla, che è l’atteggiamento tipico di chi ci ragiona sopra e, prima di sbilanciarsi in via definitiva, vuole capire se potrebbe farcela, se in Parlamento troverebbe i voti, cosa gli chiederebbero in cambio i vari leader, quanti sarebbero i “franchi tiratori” e con quali argomenti li metterebbe a tacere.
Lui si è finora sottratto nascondendosi sotto una foglia di fico (“per rispetto del presidente in carica”) e dietro a un’ovvietà (“sarà il Parlamento a decidere”).
Fosse un personaggio qualunque, lo si potrebbe capire: non vuole bruciarsi anzitempo perciò traccheggia in attesa di piazzare la zampata. Però Draghi non è uno che passa per caso.
Veste i panni di salvatore della patria che, per statura e competenza, il mondo ci invidia. È perno dell’equilibrio politico, dalle cui scelte personali discenderanno conseguenze a cascata: il destino della legislatura, la sorte delle riforme, i miliardi del Recovery Fund, il piano vaccinale specie in vista della terza dose. Qui nasce il paradosso.
Tra soli 60 giorni Draghi potrebbe raccogliere il testimone di Mattarella, eppure al momento nessuno è in grado di prevedere se questa maggioranza potrebbe reggere senza di lui, se un altro esecutivo sarebbe in grado di nascere, se il neo-presidente scioglierebbe eventualmente le Camere, se andremmo di corsa a votare in primavera, se la tregua reggerà fino al 2023 oppure a Palazzo Chigi tra pochi mesi ci ritroveremo Giuseppe Conte o Enrico Letta, Matteo Salvini o Giorgia Meloni, e come reagirebbe l’Europa, come la prenderebbero i mercati (per non dire degli italiani).
In attesa di venirne edotti, si brancola letteralmente nel buio. L’incertezza scatena fibrillazioni, suscita nervosismi politici, moltiplica le manovre intorno al governo, attira speculatori e avvoltoi, indubbiamente favorisce chi mira allo sfascio. E la responsabilità, spiace ammetterlo, almeno in parte è della sfinge Draghi.
La via maestra per sciogliere l’ambiguità sarebbe che, mettendo da parte le pur legittime ambizioni, si presentasse davanti alle telecamere e pronunciasse il discorsino seguente: “Signori, nessuno pensi che io abbia accettato di guidare il governo come trampolino di lancio e, dopo appena dieci mesi in politica, io possa lasciare il lavoro a metà. La mia unica ambizione è portare a termine l’impresa senza farmi confondere dalle sirene. Dunque non mi candiderò al Quirinale e prego tutti di lasciarmi in pace. Chiedo semmai, anzi a questo punto io lo pretendo, che lassù venga eletta una persona in grado di coprirmi le spalle, di difendermi fino a quando la mia missione da premier non sarà compiuta”.
Rinuncerebbe al Colle, con supremo disinteresse e sprezzo della poltrona; ma la nebbia verrebbe spazzata via e Draghi passerebbe agli annali quale personaggio di levatura morale superiore; gli farebbero i monumenti in piazza come a Mazzini e Garibaldi.
Cincischiando invece in attesa che si sciolga il nodo del Quirinale, Draghi rischia il cliché – giusto o sbagliato – del solito italiano furbo, calcolatore, pronto a balzare sul treno giusto.
Forse diventerebbe primo cittadino della Repubblica ma perderebbe i superpoteri, e diventerebbe un politico come gli altri.
(da Huffingtonpost)

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SONDAGGIO INDEX: PD PRIMO PARTITO, STACCATI LEGA E FRATELLI D’ITALIA

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

PD 19,8%, FDI 19,1%, LEGA 18,5%, M5S 16%, FORZA ITALIA 7,6%, AZIONE 4,1%

Il Pd si conferma primo partito del Paese. Alle spalle dei dem i due alleati “sovranisti”, Lega e Fratelli d’Italia. Recupera il nuovo Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte, a soli due punti e mezzo di distanza dal Carroccio. Questo il quadro che emerge dall’ultimo sondaggio di Index Research per la trasmissione Piazzapulita di La7.
Come detto, ad ottenere le maggiori preferenze sarebbe il Pd con il 19,8%. Al secondo posto, invece, troviamo Fratelli d’Italia al 19,1%, dunque a pochi decimi dai dem. Sul gradino più basso del podio la Lega al 18,5%. Quarto il M5S al 16%, a due punti e mezzo di distanza dal Carroccio.
Nettamente staccata la terza gamba del centrodestra, Forza Italia, al 7,6%.
Tra le forze politiche minori, da segnalare il balzo in avanti di Azione, la formazione di Carlo Calenda, con il 4,1%.
Si tratta dell’unico tra i partiti più piccoli a superare la soglia di sbarramento. In fondo troviamo Sinistra italiana, Italia Viva, i Verdi, Articolo 1 e +Europa rispettivamente al 2,3%, 2,1%, 2,1%, 2,1% e 1,7%.
Secondo il sondaggio, Mario Draghi per il 59% degli intervistati dovrebbe restare a Palazzo Chigi come presidente del Consiglio. Per il 23,8%, invece, dovrebbe andare al Colle. A volerlo come presidente della Repubblica sono specialmente gli elettori del centrosinistra (23,4% contro il 15,6% del centrodestra).
(da TPI)

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OPZIONE TUTTI: QUANTO SI PRENDE DI PENSIONE CON L’USCITA ANTICIPATA E L’ASSEGNO DEL CONTRIBUTIVO

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

TAGLI DAL 20 AL 27% DELL’IMPORTO DELL’ASSEGNO

“Opzione Tutti” è il nome con cui viene definita l’uscita dal lavoro anticipata possibile per tutti ma con l’assegno del sistema contributivo.
Dopo quota 102 questa è una delle ipotesi di riforma delle pensioni che il governo Draghi vuole proporre ai sindacati.
Ma quanto si prende di pensione con l’uscita a 62 o 63 anni o con 20 anni di contributi versati?
Una simulazione di Smileconomy per Repubblica con tre casi emblematici di lavoratori classe 1959 che possono anticipare di quattro anni l’uscita della Legge Fornero fa i conti in tasca all’Opzione. Mentre la Fondazione Di Vittorio fa i calcoli di quanti lavoratori potranno anticipare l’uscita nel 2022 con Quota 102, l’Ape sociale e Opzione Donna.
La simulazione di Smileconomy parte da tre casi limite. Il primo è quello di un lavoratore con 62 anni di età e 37 di contributi, che non può accedere a Quota 100 entro il 31 dicembre. Il prossimo anno ne avrà 63+38, ma Quota 102 richiede 64 anni e 38 di contributi.
Con Opzione Tutti questo lavoratore potrebbe uscire subito ma con 934 euro al mese di pensione invece che i 1.181 che otterrebbe se aspettasse i 67 anni ordinari.
Ovvero un taglio del sussidio pari al 21%.
Il secondo caso è quello di un lavoratore sempre di 63 anni, ma con 35 di contributi. Ovvero lo stesso requisito contributivo richiesto alle donne. Con l’uscita nel 2022 avrebbe un taglio del 20% sulla pensione: 872 euro anziché 1.094.
Il terzo caso riguarda chi ha accumulato 20 anni di contributi, di cui dieci nel retributivo e dieci nel contributivo. Uscire a 63 anni con 20 di contributi comporterebbe la rinuncia al 27% della pensione, incassando appena 579 euro contro i 794 euro dai 67 anni.
Intanto un’analisi dell’Osservatorio Previdenza della Fondazione di Vittorio e della Cgil nazionale rileva che le misure previdenziali della legge di bilancio nel 2022 coinvolgeranno meno di un terzo della platea del 2020.
Le stime basate su Quota 102, la proroga dell’Ape sociale con l’ampliamento dei gravosi e l’intervento sui disoccupati dicono che saranno solo 32.151 le persone coinvolte da queste misure nel 2022, il 22,6% delle 141.918 domande accolte nel 2020.
«Dai nostri studi – dichiara Ezio Cigna, responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale – sarebbero solo 11.674 le domande di Ape sociale per lavoro gravoso che potranno essere accolte con l’ampliamento previsto in legge di bilancio, e solo 2.013 le donne che potranno perfezionare il requisito di Opzione donna al 31.12.2021 dettato dalla proroga. Molte donne che potrebbero perfezionare il requisito – spiega infatti – hanno già maturato il diritto negli anni precedenti, dove l’età era più bassa di due anni. Nel 2022 – prosegue Cigna – avremo 109.767 uscite in meno su queste tre misure analizzate».
(da agenzie)

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SALVINI RINNOVA LA “BESTIA”: DALLA PROPAGANDA ALL’UFFICIO STUDI

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

POSSIBILE IL RITORNO DI MORISI

Il Capitano vuole un’operazione di restyling per la macchina leghista: i sei dipendenti dovrebbero confluire in un think tank che si occuperà di aggiornare la linea politica del Carroccio
«Abbiamo perso le elezioni anche perché i media ci hanno massacrato. Ci servirà un ufficio studi che faccia controinformazione rispetto ai giornali che ci attaccano ogni giorno».
Che sia un alibi o meno, è questa la spiegazione che Matteo Salvini ha dato ai suoi riguardo alla débâcle delle ultime amministrative.
Il 21 ottobre scorso, al Teatro Umberto – oltre a criticare le «rotture di cogli**i» di Giorgia Meloni -, il segretario ha illustrato all’entourage leghista la prossima mossa per invertire la rotta calante del consenso.
Riabilitare la Bestia, orfana di Luca Morisi dopo che il digital philosopher è rimasto coinvolto nello scandalo di festini a base di sesso e droga nella sua casa di Belfiore. Salvini, ancora una volta ha ribadito: «La mia porta per lui è sempre aperta».
Così, potrebbe essere proprio il suo spin doctor di fiducia a guidare la nuova versione della Bestia accennata dal segretario. Sicuramente, nel nuovo think tank leghista confluiranno i sei ragazzi che dipendevano da Morisi, rimasti al loro posto nel team della comunicazione leghista. Al momento, sono pagati dai gruppi parlamentari di Camera e Senato.
Tuttavia, il nuovo ufficio studi nel quale Salvini vorrebbe trasformare la Bestia dovrebbe essere sostenuto economicamente da una fondazione privata.
Il restyling dell’animale della propaganda leghista passerà, poi, da un allargamento dell’équipe, includendo intellettuali vicino al partito e parlamentari particolarmente esperti in determinati campi. La nuova Bestia, infatti, non dovrebbe occuparsi soltanto della comunicazione leghista, ma dovrebbe diventare un ufficio in cui elaborare anche le strategie del partito e aggiornare la linea politica del Carroccio. Un ufficio studi, appunto, come quello di cui si sono dotati Fratelli d’Italia e Azione.
(da agenzie)

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ALLA FESTA DI BETTINI SI SUGELLA IL PATTO DELLA LASAGNA

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

CONTE AL COMPLEANNO DEL GRAN VISIR DELLA POLITICA ROMANA

Il menu della festa, tutto fatto in casa dalla signora Anna, prevedeva lasagne, polpette al sugo, pasta e ceci e verdura ripassata. Ma il vero piatto forte del pranzo con cui Goffredo Bettini, gran visir della politica romana, punta dritto al colle più alto, di cui ormai da settimane non si fa che parlare: il Quirinale.
Tutti d’accordo su una premessa: se Draghi vorrà salire al Colle nessuno potrà sbarrargli il passo. «Verrebbe eletto in cinque minuti», sulla scorta però di un accordo che blindi la legislatura.
Sarà poi lui a indicare il premier incaricato di portare le Camere a scadenza naturale, ché le urne anticipate non le vuole nessuno, se non Fdi e un pezzo di Lega.
Troppo poco per precipitare il Paese a elezioni. Sul punto, nella villetta di periferia, pochi hanno dubbi: a palazzo Chigi andrebbe il ministro del Tesoro Daniele Franco, l’uomo di cui Draghi si fida di più. È in questo quadro che si iscrive il destino di alcuni dei presenti.
Zingaretti lascerebbe la Regione per entrare nel nuovo governo. E nel Lazio si voterebbe qualche mese prima, insieme alle amministrative di primavera.
Con un candidato di centrosinistra già scelto: Enrico Gasbarra, ex deputato in Italia e in Europa con solidi rapporti Oltretevere. Ipotesi sussurrate a mezza bocca. Da tenere al riparo, per ora. Come fa il festeggiato, che pubblicamente preferisce esibirsi in frizzi e lazzi.
E così quando Conte arriva, in ritardo ma accolto dagli applausi, Bettini scherza: «Se vogliamo avere un rapporto unitario, deve essere paritario », lo apostrofa guardando l’orologio per poi domandargli fra gli sghignazzi: «Dov’ è il regalo?». (..)
E se son rose, tra grillini e forzisti, certo fioriranno: magari anche per merito suo. Perciò «ringrazio in particolare Luigi, ehm Giuseppe», finge di confondere Di Maio con Conte, un giochino che fa spesso. Lui «è una new entry dei miei compleanni che spero si ripeterà in futuro».
L’ultima battuta è per il Quirinale, argomento tabù solo per finta: «Io non so chi sarà il prossimo presidente della Repubblica, ma una cosa vorrei chiedergli», celia Bettini: «Di farmi corazziere!». E giù risate.
(da agenzie)

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LE CARTE ANCORA COPERTE DELLA CORSA PER IL QUIRINALE

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

DA CARTABIA A LETTA, QUEI NOMI CHE POTREBBERO SERVIRE PER RAGGIUNGERE UN COMPROMESSO

Per giocare a carte coperte bisogna conoscere le regole. Per la partita del Quirinale sono almeno tre. La prima dice che possono essere eletti cittadini italiani di almeno cinquant’anni che godono dei diritti politici. E i candidati sono milioni. La seconda recita che alle prime tre chiame servono il due terzi dei grandi elettori, solo dalla quarta basta la maggioranza assoluta: ed ecco che la schiera si assottiglia. La terza regola impone che il voto sia segreto.
Nasce per garantire la massima libertà nello scegliere la più alta carica dello Stato ma si confonde in un dedalo di alleanze insospettabili, agguati, partite doppie o anche semplicemente compromessi, per individuare il nome che più di altri può unire l’assemblea. Ed è allora che i candidati tenuti al riparo dal vento possono uscire dal gruppo.
Soprattutto se si rivelasse arduo scegliere l’inquilino del Colle con un consenso larghissimo, visto che poi i due principali schieramenti non hanno voti abbastanza per fare da soli, e che la terra di mezzo conta un centinaio di grandi elettori. E visto che la maggioranza Ursula, quella che consentì la conferma a presidente della Commissione europea di Ursula von der Leyen, che conta su Pd, Cinque stelle, Forza Italia e Leu, vive per ora in chiave Quirinale più come suggestione che come percorso lineare.
Eccoli allora gli alfieri del piano B, che hanno dalla loro l’assoluta certezza che non si rotolerà nello scioglimento delle Camere. Anche se la mossa di Giancarlo Giorgetti (Mario Draghi capo dello Stato potrebbe continuare da lì a guidare le scelte), pur costituzionalmente goffa, rivela che al voto anticipato non ci pensa (quasi) nessuno.
Marta Cartabia (58 anni) ha dalla sua un curriculum inattaccabile. Presidente emerito della Corte Costituzionale, solida, preparata, giovane. È con lei ministro della Giustizia che la Francia accantona la dottrina Mitterand e restituisce all’Italia i terroristi delle Brigate rosse. Ed è lei a portare a casa la riforma del sistema giudiziario penale. Un successo e un handicap, perché i Cinque stelle che hanno tutt’ora il numero più elevato di grandi elettori la vedono come il fumo negli occhi, cosa che rende difficile anche al Pd sostenerla, vista la prospettiva di alleanza politica con i grillini. Ma non è detto che sia un muro invalicabile, considerato anche il fatto che libererebbe una casella, quella del Guardasigilli, cosa sempre preziosa nella corsa al Colle. E poi sarebbe la prima a rompere il tabù che non ha mai voluto una donna sullo scranno più alto.
Ma anche un maestro del Diritto come Giuliano Amato (83 anni) ha una schiera folta e trasversale di ammiratori. Fu un candidato molto accreditato sette anni fa, quando poi l’assemblea scelse Sergio Mattarella. Di lui si torna a parlare in questi giorni nei corridoi del Palazzo, anche adombrando, con zoppìa costituzionale, la possibilità che resti al timone non più di due anni. Cosa che consentirebbe di tornare a eleggere un presidente dopo le elezioni politiche, con i nuovi equilibri dettati dalle urne e con le Camere riformate dal taglio dei parlamentari.
C’è poi un’altra partita che vede all’opera l’abilità di king maker di Matteo Renzi, che muove sulla scacchiera alla ricerca di alleanze robuste e bipartisan.
Qui il primo nome è quello di Pier Ferdinando Casini (65 anni), candidato non sgradito a una vasta area, una guida centrista che darebbe il tempo di andare a vedere se c’è nel Paese la possibilità di (ri)costruire una forza politica moderata capace di scardinare gli schieramenti classici degli ultimi anni. Ha il tallone d’Achille di avere alle spalle una lunga esperienza politica, un pregresso che può fare da freno nella ricerca di tutti i consensi necessari a superare lo scoglio del voto segreto.
Ecco allora apparire, tra le tante voci, la possibilità di puntare su una seconda carta coperta, quella del professor Sabino Cassese (86 anni). La scelta cadrebbe su un tecnico che ha attraversato lunghi decenni senza diventare mai portabandiera di uno schieramento. Nessuno vince con una spallata, nessuno perde davvero.
Ma anche il centrodestra ha i suoi nomi coperti. Il filosofo Marcello Pera (78 anni), presidente emerito del Senato, sarebbe un nome gradito in quello schieramento, pur con i leader sempre in competizione tra di loro, e potrebbe cercare voti nella terra di mezzo ma dovrebbe conquistarli quasi tutti, visto l’improbabile sostegno di Pd e Cinque stelle.
E infine, ma non ultimo, Gianni Letta (86 anni), il nome coperto per vocazione personale. Forte preparazione, senso delle istituzioni, capacità diplomatiche impareggiabili. L’unico che potrebbe far digerire a Silvio Berlusconi di essere usato come candidato di bandiera.
Ma quanto la partita sia lunga e incerta lo rivela l’ironia di Rosy Bindi, che non si sottrae al toto Quirinale e all’Espresso dice: «Sto già pensando al discorso, mentre Casini probabilmente se l’è già scritto tutto».
(da Il Corriere della Sera)

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I PATRIOTI EUROPEI DELLA SEA EYE 4 ATTRACCANO A TRAPANI CON 800 MIGRANTI: “SALVATI BAMBINI E UOMINI TORTURATI IN LIBIA”

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

“L’EUROPA AMMONISCA MALTA”… A BORDO 200 MINORENNI E 5 DONNE INCINTE

“Sono stremati e portano addosso i segni di tante ferite”, dice via radio dalla Sea Eye 4 la dottoressa Daniela Klein, che da cinque giorni non dorme.
Lei e il suo staff si stanno prendendo cura degli 800 migranti salvati nel giro di 48 ore, fra martedì e giovedì: nei sette barconi soccorsi nel Canale di Sicilia c’erano donne in stato di gravidanza, 200 minorenni, molti hanno meno di dieci anni.
Alle 14,30, la nave fa ingresso al porto di Trapani, la macchina dell’accoglienza predisposta dalla prefettura guidata da Filippina Cocuzza è pronta.
Prima verranno fatte le visite, con i tamponi, quindi si procederà con l’identificazione dei migranti, che saranno poi trasferiti su due navi quarantena, al largo del porto, e in alcuni centri
“Siamo incredibilmente sollevati che Sea-Eye 4 possa dirigersi verso un porto sicuro – dice ancora la dottoressa Klein – e che le persone siano portate in salvo dopo molti giorni di incertezza”.
I medici e i volontari della Ong tedesca hanno lavorato in condizioni estreme. “L’equipaggio ha lavorato al limite delle sue capacità”. E ha dovuto affrontare anche casi complessi: molti degli uomini soccorsi sui barconi portano anche i segni delle torture subite in Libia prima della partenza.
Dice Gorden Isler, il presidente di Sea-Eye: “Ringraziamo l’Italia, ma chiediamo all’Europa di ammonire Malta per non aver coordinato i soccorsi e per essersi rifiutata di fornire assistenza alle imbarcazioni in pericolo”.
(da agenzie)

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USA, UN ANNO FA L’ELEZIONE A PRESIDENTE DI JOE BIDEN, MA SE I VOTASSE OGGI VINCEREBBE TRUMP

Novembre 7th, 2021 Riccardo Fucile

IN UN IPOTETICO TESTA A TESTA, TRUMP AVANTI DI DUE PUNTI

Se oggi gli Stati Uniti tornassero a votare per il loro presidente la vittoria di Joe Biden sarebbe tutt’altro che certa. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio realizzato dall’Emerson College di Boston ad un anno esatto dalle elezioni presidenziali 2020: secondo i risultati del campione analizzato su base nazionale avrebbe la meglio Donald Trump sull’attuale inquilino della Casa Bianca. È la conferma del crollo del gradimento degli elettori nei confronti di Biden, che viene bocciato dal 50% degli americani, mentre solo il 41% ne apprezza l’operato, ben cinque punti in meno rispetto al mese di settembre, quando pesava sull’opinione pubblica la scelta del ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
Il calo di consensi è maggiore tra gli elettori neri/afroamericani, passando dal 72% di approvazione dello scorso febbraio al 52% di approvazione di novembre. Anche il supporto della comunità ispanica è sceso dal 56% di approvazione al 50% e quella tra gli elettori bianchi è scesa dal 43% al 38% di approvazione.
Ma è soprattutto il confronto con Trump a fornire ai democratici motivi di preoccupazione: l’ex presidente sarebbe avanti di due punti, 45 a 43 per cento, in un ipotetico testa a testa per la Casa Bianca a un anno dalle elezioni di Midterm. L’undici percento degli elettori ha dichiarato che voterebbe per qualcun altro e l’1% è indeciso. Nelle periferie prevale ancora Biden di un punto, in quelle rurali domina l’ex tycoon con 32 punti di vantaggio, 62 contro il 30 per cento del democratico, mentre nelle aree urbane è avanti l’attuale presidente, 52 a 36.
Alla domanda chi voteresti alle elezioni di Midterm del 2022, il 49 per cento ha indicato i conservatori, il 42 i progressisti. Il 62 per cento degli intervistati pensa che il Congresso abbia fatto meno di quanto si aspettava.
La media dei sondaggi calcolata dal sito politico FiveThirtyEight non si discosta dal risultato del rilevamento dell’università di Boston.
Il direttore dei sondaggi dell’Emerson College, Spencer Kimball, ha osservato che “con oltre un decimo degli elettori che esprimono sostegno per qualcun altro in un ulteriore ed eventuale faccia a faccia Trump-Biden, nel 2024, dopo le elezioni di Midterm si potrebbe forse assistere a un candidato di terze parti che raggiunge il supporto del 15% richiesto per salire al centro del dibattito”.
“I consensi sono in costante calo – ha confermato Mark Penn, co-direttore dei sondaggi per conto di Harvard/Caps/Harris – in pratica il presidente è sostenuto solo dalla sua base elettorale. Il declino è stato accelerato dalla percezione dell’incertezza nel gestire i temi economici”. Il punto più basso di affidabilità, Biden l’ha comunque registrato sull’Afghanistan: solo il 33 per cento degli americani, secondo il sondaggio di Harvard, ha approvato il suo modo di agire.
(da agenzie)

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