Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
INDAGATO PER I FONDI NERI, MA PER LA MELONI LA LEGALITA’ VALE SOLO PER GLI ALTRI
C’è e non c’è. Riappare alla seduta plenaria dell’Europarlamento di Strasburgo che si
occupa dei migranti tra Polonia e Bielorussa.
Ma della “lobby nera” oggetto del video di Fanpage e della relativa inchiesta giudiziaria milanese non parla.
Vola a Miami a sostegno degli esuli cubani anticastristi, ma le “lavatrici” per il “black”, chissà se panni o soldi, restano un oggetto misterioso.
Impazza sui social – dall’asterisco del liceo Cavour alla sorte della tennista Peng Shuai – ma latita dalle patrie trasmissioni televisive.
Si è autosospeso da capo delegazione di FdI, ma sul profilo Twitter la carica resta intonsa. Carlo Fidanza è tornato alla superficie, ma anche no.
Silenzioso, appartato, un po’ sfuggente, eppur presente in aula ieri e oggi.
Lo è stato meno negli ultimi tempi, e i colleghi lo hanno notato, pare sia un recordman delle presenze. Ma chissà: il voto a distanza (che lì esiste), gli impegni istituzionali e le trasferte, i post e i tweet.
Forse, il suggerimento dal suo partito di inabissarsi per un po’- verso i ballottaggi e oltre – in modo da sfumare le ombre nere dell’inchiesta milanese (prima giornalistica e poi giudiziaria) che lo coinvolge. In attesa che la sua sorte politica venga decisa da Giorgia Meloni. Oppure no: tra la partita (persa) delle amministrative e quella (da giocare) del Quirinale, tutto trascolora.
Presunti finanziamenti irregolari, brindisi a Hitler, svastiche tatuate, offese a neri ed ebrei, saluti del legionario. Dodici minuti di immagini.
Uno spaccato della destra estrema, sotto l’apparente regia del Barone Nero, che una furibonda Giorgia Meloni aveva bollato come “paranazismo da operetta”.
La Procura di Milano ha indagato Fidanza con le ipotesi di reato di riciclaggio e finanziamento illecito. Lui si difende: “Mai preso soldi in nero”. La leader di FdI gli ha riservato una telefonata di fuoco, più o meno “tu quoque”, imponendogli il passo indietro da capo delegazione. Anche quello, però, provvisorio.
“Mi permetterete di non giudicare una persona che conosco da vent’anni sulla base di un breve video – ha detto Meloni – Deciderò dopo aver visto le cento ore di girato”. Fanpage le ha consegnate ai magistrati, che non hanno rilevato discrepanze.
E quindi? Quindi, niente.
A via della Scrofa non hanno fretta: “Non avendo potuto visionare il girato – trapela – aspettiamo di vedere come si evolve l’indagine”.
E la contiguità con gli “ambienti razzisti e antisemiti”? La circolare, ritirata fuori, della tolleranza zero nelle liste elettorali? Il malumore di parlamentari e dirigenti che faticano per distanziarsi da un certo humus e poi si ritrovano “sbattuti come il mostro in prima pagina”? Pazienza. All’estero ne hanno meno.
Si lamenta il capo delegazione del Pd all’Europarlamento Brando Benifei: “Abbiamo chiesto provvedimenti sanzionatori al suo gruppo, l’Ecr, e al suo partito. Al di là dei possibili reati c’è un tema politico grosso come una casa. Dovremo riaprire la discussione. Di quanto tempo ha bisogno Meloni per decidere? Se la stanno prendendo comoda”.
Nel limbo tra color che son sospesi, a Fidanza resta Facebook: il Trattato del Quirinale “schiaffo alla sovranità nazionale”, il blocco navale, la “follia” del Nutriscore, l’”inaccettabile esproprio” ai danni dei balneari (come, racconta, i suoi genitori che “dormendo 4 ore per notte e alzandosi all’alba hanno costruito un bellissimo stabilimento”).
Posta foto: con lo spagnolo Hermann Leopoldo Tertsch di Vox in Florida alla manifestazione Patria y Vida: “Abbiamo portato il sostegno di Ecr ai principali esponenti dell’opposizione cubana in esilio”.
All’Avana però non sono riusciti ad arrivare: il governo ha rifiutato loro l’ingresso, e via dall’aeroporto all’emiciclo. Fidanza all’estero c’è, in Italia è congelato. Aspettando non Godot ma più modestamente una decisione che non verrà.
(da Huffingtonpost)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
E’ LA FOTOGRAFIA DI UNO SCACCO AL LEADER DELLA LEGA
Per avere un’idea, facciamoci un giro sulla pagina Facebook di Giorgia Meloni, in tempi di discussione del “super green pass”.
Quando fu approvato, in versione normale e non super, campeggiava una foto, con i volti di Draghi e Speranza, con su scritto, a caratteri cubitali: “La discriminazione tra italiani è servita”. Insomma: la storia dei mesi recenti, di un’opposizione dura, aspra, verso il governo dei poteri forti e non del popolo, in nome di una presunta libertà, eccetera eccetera.
Di questi tempi, invece, il volto di Mario Draghi è scomparso dalla pagina, assieme ai toni abrasivi, e non è un caso.
Per cui, certo, c’è un post contro la Lamorgese, qualche graffio sull’immigrazione, l’allarme sulla mafia nigeriana, ma, sul tema principale, davvero il minimo sindacale per un partito all’opposizione, e che opposizione (ricordate quando a palazzo Chigi c’era Conte, a proposito di toni?).
Giusto un paio di post con la faccia del povero Speranza, facile bersaglio da dare in pasto alla curva: uno sulla proroga dello stato di emergenza, uno sulla richiesta di una commissione di inchiesta per le malefatte del governo precedente.
Facciamola breve: tutto questo non significa che la Meloni abbia cambiato idea, ma che ha cambiato registro. Cioè: non porta il livello di attacco oltre la soglia del consentito, ove il consentito non è un generico bon ton di maniera, ma la soglia politica che possa poi giustificare, se e quando sarà, il voto per Draghi al Quirinale. Perché, se venisse oggi trattato come un mostro, sarebbe poi difficile contribuire ad eleggerlo tra un paio di mesi senza pagare il prezzo di una incoerenza.
È, semplicemente, politica. La verità è che adesso lei, Giorgia Meloni, ha messo in campo, proprio dall’opposizione un tasso di strategia superiore a quello prodotta da lui, Matteo Salvini, al governo.
Meno ossessionata dall’urgenza del recupero di consensi, meno assediata dall’ansia di perdita della leadership e – anche – più fredda nella reazione agli scandali che hanno coinvolto il suo partito (vai alla voce: Fidanza), pensa e si muove con l’orizzonte di qualche mese, mentre l’altro è prigioniero del day by day, e delle sue contraddizioni, col risultato che, ancora una volta – è il film ai tempi di Draghi – è riuscito a creare, ancora una volta, le condizioni di un cedimento.
È successo col “via Speranza”, e Speranza è sempre lì, poi col primo Green Pass, bollato a luglio come una “cazzata”, e poi arrivato per la scuola, poi “mai per tutto il privato” ed è arrivato per tutti, poi “no al super-Green Pass” di una settimana fa, diventato un sì purché non riguardi “gli under 12”, su cui non è in discussione. Subisce e cede, e ogni volta la tenuta del suo partito e la linea è affidata alla componente di governo e ai governatori del suo partito, interpreti del nord produttivo, operoso, attento alle ragioni del Pil.
In definitiva, ogni volta è costretto a cedere alle ragioni a migliori interpreti di quella questione settentrionale in nome della quale il suo partito nacque, sfavillante paradosso storico.
Col risultato che, come raccontano i colonnelli leghisti, lì dentro è una confusione totale, perché nelle sezioni litigano “no vax” e “pro vax” in un clima da congresso vaccinale permanete, dopo che ai primi l’ambiguità del leader ha dato piena cittadinanza.
E la linea di Salvini, che attorno all’operazione Draghi ha evitato di compiere la più classica delle “revisioni” è: fino a febbraio sopportiamo e ingoiamo rospi, poi si vede e, se ci sono le condizioni, proviamo a sfilarci, ammesso e non concesso che glielo consenta la medesima “questione settentrionale”.
È la fotografia di uno “scacco”, non matto, ma scacco sì al leader della Lega: mica male questa mossa di Giorgia, che ha scaricato Berlusconi per il Quirinale trasformandosi in grande elettrice di Draghi, mentre l’altro almeno per ora non può formalmente farlo, perché il Cavaliere gli serve a giustificare la sua permanenza al governo, sia pur vissuto come una prigione da cui liberarsi.
Non è solo un modo (per lei) di provare ad arrivare al voto anticipato, è anche un modo per legittimarsi, per quando sarà e semmai sarà, verso Draghi e quel che Draghi rappresenta, in termini di europeismo, atlantismo, fiducia delle cancellerie europee: ho contribuito ad eleggerti, rinunciando a sostenere financo Berlusconi, creando una ferita nello schieramento di centrodestra, a quel punto perché non dovresti darmi un incarico per formare il governo col retropensiero di una mia impresentabilità politica? È una linea, come era una linea ad essa “sfidante” quella di Giorgetti con Draghi che, anche dal Colle, “guida il convoglio”, di cui la Lega europeizzata e vaccinata dovrebbe essere la locomotiva.
Averla o non averla, la linea, questo il problema.
(da Huffingtonpost)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
GOVERNATORI IN PRIMA FILA NELLA RICHIESTA DI UNA STRETTA, SALVINI SCONFESSATO
.Più colpiti dal Covid, in prima fila nella richiesta di una stretta per i non vaccinati. 
E primi sponsor della campagna vaccinale, con una linea molto più precisa rispetto al segretario del loro partito, Matteo Salvini, inizialmente piuttosto vago sulla necessità di immunizzarsi e non propriamente entusiasta per l’introduzione dell’obbligo di green pass a lavoro.
La determinazione governatori leghisti del Nord – Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, Attilio Fontana ai quali, da ultimo, si è allineato anche il trentino Maurizio Fugatti – per scongiurare nuove restrizioni mette di fatto a tacere le potenziali resistenze del Carroccio sul super green pass. E finisce per dettare la linea.
Una linea seguita anche dagli altri due governatori di centrodestra del nord, il ligure Giovanni Toti e il piemontese Alberto Cirio, ma non dagli unici due governatori di Fratelli d’Italia. Francesco Acquaroli e Marco Marsilio, vertici della giunta marchigiana e abruzzese, sono stati i soli a opporsi all’idea di restrizioni differenziate tra vaccinati e non. In perfetta sintonia con loro leader, Giorgia Meloni.
Al netto delle loro ripetute dichiarazioni, per capire su cosa si fonda la determinazione dei governatori del Nord in favore del super green pass, basta guardare i numeri. E il contesto.
Davanti a curve che, in piena quarta ondata, stanno risalendo, ci sono le attività da tenere aperte, il turismo da sostenere, con la stagione sciistica alle porte, gli imprenditori da accontentare, l’economia da far andare avanti.
Se la pressione sugli ospedali sale, se i positivi aumentano, tutti i settori riacciuffati a fatica dopo un anno e mezzo di pandemia rischiano di essere compromessi. Per di più, poche settimane dal Natale e dal piccolo boom di consumi che le feste, di solito, portano.
Nelle intenzioni di regioni e governo i provvedimenti che stanno per essere adottati dovrebbero porre un argine a questa nuova avanzata del virus.
Trascinata molto dai non vaccinati e in qualche misura anche dalla riduzione dell’efficacia del vaccino dopo sei mesi, la nuova ondata assume connotati diversi regione per regione.
Il Friuli Venezia Giulia, ad esempio, è ormai prossimo alla zona gialla. Secondo i dati di Agenas aggiornati al 22 novembre, le tre soglie spia di un peggioramento sono state superate: le terapie intensive sono occupate al 15% da malati Covid, una percentuale che va ben oltre il tetto del 10%. I positivi occupano poi il 17% nei reparti di area non critica. Secondo le regole dopo il 15% si va in giallo. Stessa cosa per l’incidenza settimanale: segna, sulla settimana scorsa, 317,44, più di sei volte il limite, posto a 50.
Pesa sulla regione una percentuale di non immunizzati un po’ più alta rispetto al dato nazionale.
“ll 18% di non vaccinati comporta il 70% di ospedalizzati”, aveva detto Fedriga, alla vigilia della conferenza delle regioni che aveva convocato. La sua linea, su un green pass rafforzato – che comporta di fatto l’esclusione dei non vaccinati dalle attività che si fanno nel tempo libero – ha convinto tutti e a breve si tradurrà in un provvedimento. Il governatore leghista dovrà però continuare a fare i conti con una circolazione importante del virus nella sua regione.
A guardare i grafici si nota come la curva – trascinata in alto nelle settimane scorse dai cortei no green pass di Trieste – si stia leggermente addolcendo, ma ancora la discesa non è iniziata. Oggi sono stati registrati 414 nuovi contagi e cinque morti. Le persone ricoverate in terapia intensiva scendono a 25 (-1), mentre i pazienti in altri reparti sono 229 (+6).
Non sono dati rosei, anche se non si può non notare quanto più critica fosse la situazione esattamente un anno fa. Il 23 novembre 2020 il Fvg era in zona arancione, i positivi di giornata erano 675, i ricoverati in terapia intensiva 56 e i degenti negli altri reparti 545. Nonostante i no vax a Trieste e dintorni siano più che altrove, il vaccino ha contribuito a tenere a bada il virus.
Si guardano con attenzione le curve anche in Veneto, dove però la zona gialla è più lontana, perché i ricoveri sono sotto controllo. “Che ci sia una recrudescenza del virus è sotto gli occhi di tutti. Ma dobbiamo sottolineare che per fortuna questa ondata propone uno scenario diverso dagli altri. E lo fa perché ci sono i vaccinati, altrimenti saremmo di nuovo in piena emergenza. Parlo del Veneto perché conosco meglio i numeri: oggi abbiamo avuto un migliaio di contagiati e 450 ricoverati, di cui 71 in terapia intensiva”, ha detto Zaia oggi al Messaggero.
Il governatore del Veneto fu il primo, insieme al collega lombardo, a trovarsi con il virus in casa. Era a Vo’ Euganeo, provincia di Padova, uno dei primi focolai di Covid e Veneto era Adriano Trevisan, il primo morto accertato per il virus. Intervistato dal Corriere su quei giorni tra fine febbraio e inizio marzo 2020, ha raccontato di aver pianto di fronte a una situazione che non si riusciva ad arginare.
Sono passati quasi due anni e il Covid resta un nemico, ma non è più sconosciuto, e per Zaia – che propone di ripristinare i controlli anti Covid alle frontiere – gli obiettivi ora sono due: “Il primo è non chiudere più, il secondo dare una risposta a chi si è vaccinato”.
Quanto il vaccino abbia funzionato in uno dei cuori produttivi dell’Italia si capisce dal confronto dei dati. Oggi si registrano 1632 casi e otto morti. I ricoverati in terapia intensiva sono 77, sei in più di ieri, i degenti nei reparti ordinari sono 335, 23 in più di ieri. Cifre in risalita, certo, ma esattamente un anno fa il Veneto era in zona gialla ma a un soffio dal peggioramento, tanto che il governatore sosteneva che bisogna preparare “l’arma finale” contro il virus. I positivi, il 23 novembre 2020, erano più di 2500, i morti 37. I ricoverati in area critica erano 290, quattro volte in più di oggi. I degenti nei reparti ordinari superavano abbondantemente le 2000 unità.
In prima fila a chiedere il super green pass anche il presidente della Lombardia, Attilio Fontana: “Non deve esserci inerzia: l’importante è tutelare la sicurezza delle aperture, la continuità delle attività commerciali e imprenditoriali e tutelare chi ha fatto il proprio dovere, rispettando richieste dello Stato”, ha detto ieri. Travolta per mesi nel 2020 dal virus – che ha causato, solo in quei confini, quasi 35mila morti – la Lombardia si è lasciata la fase più tragica alle spalle. I dati sul virus degli ultimi giorni mostrano una circolazione stabile ma ancora contenuta, una certa lontananza dalla zona gialla: ieri sono stati registrati 662 casi e 11 morti, in terapia intensiva ci sono 65 persone, 686 letti sono occupati nei reparti Covid, 20 in più di ieri. L’incidenza è elevata, ma nulla di paragonabile a quanto succedeva un anno fa, quando le persone ricoverate in rianimazione – solo in quella regione – erano 949, quasi il doppio dei degenti attuali in tutta Italia. Il 22 novembre 2020 inoltre i positivi erano 5094 e la regione era rossa, con i negozi e le scuole chiuse, forti restrizioni alla libertà di movimento, l’economia rallentata, Milano ferma. Settimane dure, di cui Fontana – che ieri ha incontrato Salvini insieme a Zaia – vuole scongiurare il ritorno.
Partito diverso – è di Forza Italia – stessa linea per Alberto Cirio. Il governatore del Piemonte solo pochi giorni fa diceva: “Se dobbiamo immaginare delle restrizioni, crediamo non debbano interessare i vaccinati, che hanno fatto una scelta di fiducia nei confronti dello Stato”, specificando che un anno fa il virus faceva alla regione dieci volte più male rispetto a oggi. Il confronto, anche in questo caso, chiarisce ogni possibile scetticismo.
Ieri in Piemonte sono stati registrati 372 nuovi casi, 445 domenica. I decessi sono stati tre, in terapia intensiva sono ricoverate 30 persone, nei reparti ordinari poco meno di 350. Esattamente un anno fai morti erano quasi 70, i ricoveri in terapia intensiva sfioravano i 400, quelli nei reparti ordinari superavano i 5mila. I positivi registrati in un solo giorno erano 2641. La situazione era tale che il Piemonte era in zona rossa. E fasi in questo colore ne avrebbe passate varie.
Tra i primi sostenitori, subito dopo Fedriga, del super green pass, Giovanni Toti più volte negli ultimi giorni ha chiesto al governo di fare in fretta per le nuove misure: “Dobbiamo correre, abbiamo gli strumenti per far sì che il covid non faccia così male eppure sta continuando a crescere”. L’incidenza nella sua Liguria è altina, ma la tenuta di ospedalizzazioni e terapie intensive allontanano la regione dalla zona gialla. Ieri sono stati registrati 137 positivi, domenica 313. Due i decessi, 136 i ricoverati, 18 i posti occupati in terapia intensiva. 15 erano non vaccinati, si legge nel bollettino della regione.
Una curva che, a guardare i dati, cresce. E il presidente, che anche in fasi più complesse chiedeva di riaprire, per tutelare le attività economiche, non può che guardarla con attenzione.
Anche in questo caso, però, a fare il confronto con l’anno scorso non si può non notare quanta strada sia stata fatta grazie ai vaccini. L’anno scorso a Genova erano state create, già da ottobre, delle micro zone rosse, nei quartieri dove il contagio era più alto.
Della situazione in Liguria si parlava poco, perché il basso numero di abitanti rispetto alle altre regioni del nord le consentivano di non essere ai primi posti tra i territori con la situazione più critica.
Eppure il 22 novembre 2020 la regione governata da Toti era in zona arancione, e ci sarebbe rimasta fino ai principi di dicembre, i positivi erano 611, i ricoverati 1375. In terapia intensiva c’erano 122 persone. Il quadro epidemiologico, con la scia di morti e di sofferenza che portava con sé, era serio, e l’economia compromessa. In Liguria come altrove. Grazie al vaccino difficilmente uno scenario simile potrebbe ripetersi. Ora che non combattiamo senza armi, l’obiettivo dei governatori del nord è fare in modo che il Paese, e il loro territorio, non si fermi di nuovo.
(da Huffingtonpost)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
UNA DECINA DI PARLAMENTARI FA RICORSO CONTRO IL GREEN PASS
Da un lato i ricorsi, dall’altro il ritorno dei contagi.
Alla Camera la partita contro il Covid si gioca su due fronti: quello dei “disobbedienti” e quello di chi è stato colpito dalla malattia.
Mentre infatti una decina di deputati ha fatto ricorso contro l’obbligo di esibire il Green pass, a Montecitorio è di nuovo allarme per la diffusione del virus tra i parlamentari dopo che sette deputati sono risultati positivi ai tamponi.
Ma procediamo per ordine. Da lunedì 18 ottobre per accedere all’Aula e agli uffici delle Camera è necessario, secondo quando stabilito da una delibera dei questori di Montecitorio, esibire il Green pass.
Una regola che segue le indicazioni del governo rispetto alla necessità di mostrare il certificato verde per accedere al lavoro e nei luoghi pubblici e istituzionali.
Oltre però alla deputata No Vax Sara Cunial, oggi altri dieci esponenti del gruppo Misto della Camera (tra cui Pino Cabras e Raffaele Trano di Alernativa c’è) hanno presentato ricorso contro la delibera dei questori.
Sulla richiesta di sospensiva dovrà esprimersi il Consiglio di giurisdizione di Montecitorio e la seduta è fissata per giovedì 25 novembre.
Sono sette e non quattro, come era stato detto in precedenza, i deputati positivi al Covid.
Lo ha detto, a quanto riferisce all’ ANSA uno dei partecipanti alla conferenza dei capigruppo, il presidente della Camera Roberto Fico.
Wanda Ferro di Fdi ha chiesto una “valutazione della situazione”. Da due settimane la Camera è tornata più o meno alla normalità con la riapertura del Transatlantico.
Si tratta di casi che sono stati riscontrati la scorsa settimana, e che da giovedì scorso non hanno fatto più ingresso a Montecitorio. Ora anche altri parlamentari che hanno avuto contatti con i positivi stanno eseguendo i tamponi.
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ ITALIANA DI PEDIATRIA CONSIGLIA LA VACCINAZIONE
Al momento in Italia e nel resto d’Europa i vaccini anti Covid sono approvati per le
fasce di popolazione con età uguale o superiore ai 12 anni, tuttavia entro la fine del mese l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) si pronuncerà sul via libera per i bambini tra i 5 e gli 11 anni.
Negli Stati Uniti la Food and Drugs Administration (FDA) ha già autorizzato il vaccino di Pfizer-BioNTech per questa fascia di età considerandolo sicuro ed efficace, mentre in Israele sono appena iniziate le prime inoculazioni.
Tutto lascia pensare che anche l’agenzia europea darà l’ok, così come l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) che si pronuncerà a stretto giro.
I dati epidemiologici dimostrano che anche i bambini e gli adolescenti possono ammalarsi gravemente di COVID-19 e sviluppare complicazioni potenzialmente fatali.
Non a caso sia la Società Italiana di Pediatria (SIP) che l’Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI) hanno recentemente pubblicato un documento ufficiale nel quale sostengono la vaccinazione nei più piccoli e condividono la recente autorizzazione dell’FDA del vaccino anti Covid per la fascia di età 5 – 11 anni, quale “ulteriore e valido strumento di prevenzione dell’infezione e della diffusione del virus pandemico all’interno di tale fascia di popolazione”.
Tale posizione è suffragata dai dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) relativi all’impatto della COVID-19 nei più piccoli.
Dall’inizio della pandemia al 9 novembre 2021, scrive la SIP, nella fascia di popolazione 0-19 anni sono stati confermati 791.453 casi di infezione, fra i quali 8.451 ospedalizzazioni, 249 ricoveri in terapia intensiva e 36 decessi.
I numeri sono significativamente più bassi rispetto a quelli degli adulti, ma sottolineano che anche i piccoli possono ammalarsi gravemente e purtroppo perdere la vita per il SARS-CoV-2. La SIP afferma che non vanno sottovalutati nemmeno i 239 casi di MIS-C (sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica) rilevati tra marzo 2020 a giugno 2021 e i casi di Long Covid rilevati tra i piccoli.
A preoccupare gli esperti vi è il significativo incremento dei contagi nella fasce d’età pediatrica che si sta riscontrando nelle ultime settimane. “Da un confronto con i dai dati pubblicati dall’ISS il 25 agosto, emerge che in poco più di due mesi, per la sola fascia di età 6-10 anni, c’è stato un incremento pari a 24.398 casi; oltre all’aumento dell’incidenza dei casi in tutte le fasce di età, si rileva, in particolare un’incidenza più elevata nella popolazione di età < 12 anni, attualmente non eligibile per la vaccinazione”, scrive la SIP. Il principale motore della quarta ondata dei contagi in Italia e in molti altri Paesi, attualmente, è la variante Delta (B.1.617.2, ex seconda indiana), divenuta dominante nei messi scorsi dopo aver soppiantato l’Alpha (ex inglese) che aveva dominato la terza ondata. Come spiegato a Fanpage dal virologo Fabrizio Pregliasco, questa variante del patogeno pandemico – notoriamente più contagiosa – colpisce di più i bambini rispetto ad altri ceppi perché ha una migliore capacità di agganciarsi al recettore ACE2, quello che il virus sfrutta per avviare l’infezione. I bimbi hanno meno ACE2 degli adulti ed è per questo che durante la prime fasi della pandemia sono stati meno coinvolti, ma ora, con la variante Delta in forte circolazione, le cose stanno cambiando.
Lo dimostrando anche i dati dei CDC americani, che hanno osservato un significativo incremento delle ospedalizzazioni dei piccoli proprio da quando la nuova variante ha iniziato a diffondersi con forza.
“Il tasso di ospedalizzazione settimanale associato a COVID-19 per 100.000 bambini e adolescenti durante la settimana terminata il 14 agosto 2021 è stato quasi cinque volte superiore al tasso durante la settimana terminata il 26 giugno 2021; tra i bambini di età compresa tra 0 e 4 anni, il tasso di ospedalizzazione settimanale durante la settimana terminata il 14 agosto 2021 è stato quasi 10 volte superiore a quello della settimana terminata il 26 giugno 2021. Nel periodo 20 giugno-31 luglio 2021, il tasso di ospedalizzazione tra i bambini adolescenti non vaccinati (di età compresa tra 12 e 17 anni) era 10,1 volte superiore a quella tra gli adolescenti completamente vaccinati”, si legge nell’articolo “Hospitalizations Associated with COVID-19 Among Children and Adolescents — COVID-NET, 14 States, March 1, 2020–August 14, 2021”. Da quando è iniziata la pandemia negli USA sono morti per COVID-19 214 piccoli nella fascia di età 0 – 4 anni e 498 giovanissimi in quella 5 – 18 anni, numeri drammatici riportati dai CDC in questa tabella costantemente aggiornata.
Non c’è da stupirsi che alla luce di questi dati la Food and Drugs Administration (FDA) abbia approvato la vaccinazione anche nei più piccoli, dopo aver analizzato a fondo i dati depositati da Pfizer-BioNTech.
“Gli scienziati hanno condotto studi clinici con circa 3.000 bambini e la Food and Drug Administration (FDA) ha stabilito che il vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19 ha soddisfatto gli standard di sicurezza ed efficacia per l’autorizzazione nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni”, scrivono i CDC. Come emerso dalla sperimentazione, il vaccino si è dimostrato sicuro e ben tollerato, determinando effetti collaterali lievi e transitori paragonabili a quelli evidenziati nella fascia di età tra i 16 e i 25 anni, come febbre, dolore al sito dell’iniezione, affaticamento e mal di testa. Nessuno ha avuto reazioni avverse severe. Va ricordato che la dose di vaccino Covid per i più piccoli è di 10 microgrammi, un terzo di quella somministrata agli adulti. Per quanto concerne i casi di miocardite (infiammazione al muscolo cardiaco) osservati negli adolescenti dopo la vaccinazione, la Società Italiana di Pediatria nell’infografica Vaccino Covid-19 per bambini e adolescenti: 8 domande e 8 risposte indica che in generale “è difficile stabilire un collegamento diretto e certo con la vaccinazione COVID-19. Tutti i casi di miocardite ad oggi riportati sono stati comunque di modesta entità e si sono risolti con le specifiche cure mediche”.
In conclusione, il presidente di AOPI Alberto Zanobini afferma che i dati mostrano con chiarezza “che l’infezione da coronavirus non è priva di rischi anche per l’età pediatrica”, per questa ragione si ritiene opportuno “sfruttare tutte le opportunità che la ricerca scientifica ci mette a disposizione per proteggere al meglio i più piccoli, vaccini compresi”. Non va infine dimenticato che i bambini non immunizzati possono rappresentare un serbatoio significativo per il virus, permettendo la diffusione anche alla popolazione adulta più suscettibile di malattia grave.
(da Fanpage)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
LIBERA DI FARE QUELLO CHE CREDE, MA NON DIFFONDA FALSITA’: IN ITALIA SONO MORTI PER COVID 36 BAMBINI, 791.000 CONTAGIATI, 8.450 OSPEDALIZZATI, 249 IN TERAPIA INTENSIVA
Ospite a Quarta Repubblica, Giorgia Meloni è tornata a ribadire di non avere intenzione di vaccinare sua figlia perché, secondo lei, “un bambino ha le stesse probabilità di morire di Covid che di essere colpito da un fulmine”.
Sia chiaro: Giorgia Meloni ha il pieno diritto di non fare vaccinare sua figlia. Sono fatti suoi. Sono fatti di tutti però quando la leader di uno dei partiti di maggioranza in Italia utilizza la sua influenza per diffondere fake news, disinformazione e paura sui vaccini.
Già in passato l leader di Fratelli d’Italia aveva sostenuto che i vaccini non hanno completato la sperimentazione. Cosa non vera. Adesso, nonostante il parere favorevole della comunità scientifica, sostiene che il vaccino, per i bambini, sia “più rischioso del Covid”.
Dove prende queste informazioni Giorgia Meloni? Non è dato saperlo. La leader di FdI, come fa l’amico Salvini, ha preso l’abitudine di snocciolare informazioni scientifiche senza alcun tipo di formazione in merito, né tantomeno competenza.
Un comportamento che in un periodo di pandemia globale, con la necessità assoluta di fidarsi ciecamente di ciò che dicono gli scienziati, è molto, molto pericoloso.
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO DC: “PICCOLE FORMAZIONI DEL PAESE DI LILLIPUT, GUIDATE DA PADRI PADRONI SENZA IDENTITA’ ”
Cirino Pomicino, in tanti parlano di centro. Qualcuno sicuramente a vanvera Quale è
il centro dei suoi desideri?
Lasciamo stare il centro dei miei desideri o dei desideri degli italiani, premette l’ex ministro del Bilancio e della Funzione Pubblica, rispondendo a SprayNews. La verità è che manca un asse portante del sistema politico italiano. Non a caso, c’è una frantumazione nell’arco dei partiti e al centro, in particolare, sono cresciuti, si fa per dire, una serie di nani politici, che pensano di essere il centro, ma che, in realtà, non hanno neppure una struttura di riferimento. Sono nani menzionati, senza una riconoscibilità culturale e politica. Nani con nomi incredibili. A cominciare dagli amici di Forza Italia, che vanno avanti da trent’anni con uno slogan sportivo, per finire a Italia Viva, ad Azione e ancora, meglio mi sento, a Cambiamo e a Coraggio. Tutte parole senza senso. Piccole formazioni del paese di Lilliput, che finiscono per essere guidate da padri padroni. Così non funziona e non può funzionare. Così il sistema politico degrada a una guerra di tutti contro tutti.
Esistono tanti aspiranti centristi: Conte, Renzi, Calenda, Cesa, Lupi, Bonino, Toti, Mastella. Tutti personaggi in cerca di alleanze, che su tante cose, dai diritti di genere alla cannabis libera, dal green pass all’eutanasia, fra di loro non ci azzeccano niente…
Il problema vero è che la scomparsa delle identità di ciascuno fa sì che poi ciascuno imbracci la bandierina di una piccola cosa programmatica. C’è quello che vuole il reddito di cittadinanza, quello che vuole la quota 100 e quello che si sbandiera un’altra piccola e particolarissima questione. Sostituiscono tutti l’identità culturale e politica con una bandierina programmatica, con la conseguenza che chi difende quella bandierina finisce per essere rigido perché, ce lo insegna la storia, la bandiera, ed anche le bandierine, si difendono fino alla fine. La verità è che dovrebbe abbandonare le loro bandierine programmatiche e sostituirle con un’identità riconoscibile. Se fanno questo, daranno vita a partiti seri, compreso un partito di centro perché, se c’è un’identità culturale, la ricomposizione è molto più semplice. Se resteranno, invece, solo i nomignoli di partiti personali, perché il personalismo è la loro unica e vera identità, continueranno a essere solo tanti personalismi, che si scontrano fra di loro. E’ un disastro politico. E’ una situazione allarmante.
Mi faccio un partito e quindi esisto?
Perfetto. E’ proprio così. Mi faccio un partito e quindi esisto. Le sembra possibile che ci sia un partito che si chiama Coraggio e un altro che si chiama Cambiamo. Siamo nel mondo di Disneyland. Se avessero la testa sul collo, potrebbero, ad esempio, chiamarsi Liberali o Popolari, cosicché la gente li possa riconoscerli. Non è possibile continuare con questa pantomima, che purtroppo getta l’Italia nell’insicurezza e nel dramma, tanto da dover ricorrere a qualcuno, che con la politica non aveva nulla a che fare. Era un autorevole banchiere e resta tale. La politica, purtroppo, non c’è più, con tutti i problemi che questa assenza porta con sé.
(da agenzie)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
ORA GLI STESSI IPOCRITI LE RESPINGONO AI CONFINI TRA BIELORUSSIA E POLONIA
Vi ricordate quando andava di moda l’Afghanistan? Che bei tempi. Un Paese allo sfascio lasciato solo mentre i talebani conquistavano il potere rendendo farsesco oltre che inutile il superficiale e interessato processo di pacificazione dell’Occidente che aveva riempito le tasche dei signori della guerra e che vent’anni dopo ha lasciato l’Afghanistan sotto le stesse macerie in cui l’aveva ritrovato.
Chissà dove sono tutti quelli che hanno promesso che non avrebbero perso di vista la condizione delle donne afghane, condannate dal ritorno dei talebani a ripiombare in periodo oscuro senza diritti e senza voce, mentre da 66 giorni le ragazze non possono andare a scuola (tranne in 7 provincie su 34) e proprio ieri il governo afghano ha ufficializzato nuove restrizioni per le donne.
Le nuove linee guida rilasciate ai canali televisivi afghani infatti impongono alle giornaliste televisive di non apparire mai senza velo ma soprattutto le donne sono state bandite dalle fiction televisive, sparendo di fatto dall’intrattenimento più popolare nel Paese. E per non lasciare troppo adito all’appetito di libertà il governo ha deciso anche che saranno vietati i film stranieri (e quelli che “promuovono valori culturali stranieri”= uniformando di fatto la comunicazione televisiva ai principi della sharia e ai valori che i talebani stanno imponendo con apparente dolcezza all’interno del Paese.
Di fatto è un ritorno all’Emirato del 1996 (quello che aveva indignato e mobilitato tutto il mondo) solo che questa volta i talebani sono consapevoli che un ritorno morbido a quelle stesse restrizioni ne favorisce la credibilità internazionale, soprattutto in un momento in cui il Paese sta sprofondando in una crisi economica senza precedenti che lo costringerà a chiedere supporto finanziario agli altri Paesi.
Un membro di un’organizzazione che rappresenta i giornalisti in Afghanistan, Hujjatullah Mujaddedi, ha dichiarato alla BBC che l’annuncio di nuove restrizioni è stato inaspettato e che le linee guida sono talmente vaghe che rischiano seriamente di mettere in pericola la sopravvivenza stessa delle emittenti televisive nel Paese. Chi non rispetta i nuovi diktat infatti rischia la chiusura di tutte le trasmissioni e la discrezionalità, si sa, è il metodo perfetto per l’autoritarismo.
Tutto questo accade mentre sono passati pochi giorni dall’omicidio di Frozan Safi, attivista e docente di economia che in questi mesi si era battuta per i diritti delle donne. È stata ritrovata con con la faccia stralciata da colpi di arma da fuoco: “c’erano ferite da proiettile dappertutto, troppe da contare, sulla testa, sul cuore, sul petto, sui reni e sulle gambe”, ha raccontato la sorella Rita. Con lei altre due donne sono rimaste uccise. I talebani, ovviamente, negano qualsiasi responsabilità.
Vi ricordate quando andava di moda l’Afghanistan e le donne afghane chiedevano di non essere lasciate sole? Sono sole. Sta accadendo progressivamente ciò che temevano.
(da TPI)
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Novembre 23rd, 2021 Riccardo Fucile
FA PIU’ DA SOLA LA INFLUENCER AMERICANA CHE TANTI GOVERNI PAGLIACCI … ANDRANNO A GIOCARE NEL LEEDS, IL CUI PRESIDENTE E’ UN ITALIANO
Dove non poterono gli americani e gli europei, riuscì Kim Kardashian. 
L’influencer si è resa protagonista di un gesto di generosità straordinario: ha noleggiato un charter per far volare oltre 30 calciatrici adolescenti membre della nazionale giovanile femminile dell’Afghanistan e le loro famiglie (in tutto circa 130 persone) e permettere loro di trasferirsi in Inghilterra, più precisamente a Leeds, dove saranno accolte dal Presidente della squadra di calcio locale, l’italiano Andrea Radrizzani.
Kim Kardashian ha voluto mettere al servizio la propria popolarità e le sue finanze al servizio di una causa per cui si batte da tempo.
Alle giovani donne afghane, infatti, a partire da settembre è stato proibito di fare sport da quando i talebani hanno insediato il nuovo regime su Kabul. Il futuro di queste ragazze sarà a Leeds, nella squadra di Radrizzani, che ha twittato: “Sono orgoglioso di far parte del team che ha reso possibile il sogno delle ragazze e delle loro famiglie”.
“Fare sport per le donne è contro i principi islamici, è inappropriato e non necessario per loro” hanno imposto i talebani, scatenando una gara di solidarietà in tutto il mondo, anche in Italia, per dare alle atlete afghane un futuro e la possibilità di continuare a praticare la propria disciplina.
L’iniziativa di Kardashian e Radrizzani è stata resa possibile grazie anche agli sforzi dell’associazione non profit “Tzedek” del rabbino newyorkese Moshe Margaretten, decisivo per l’evacuazione delle calciatrici da Kabul.
Cosa succederà adesso alle giovani calciatrici
Ora cosa succederà alle ragazze? Dieci giorni di quarantena obbligatori per il Coronavirus, dopodiché comincerà la loro nuova vita in Uk, inseguendo il sogno di diventare calciatrici professioniste, sulle orme di Nadia Nadim, la più famosa calciatrice di origine afghana, riuscita a sfuggire ai talebani e a coronare in Danimarca il sogno di diventare una stella del calcio internazionale. Chissà se in quelle 30 giovani calciatrice ci sia anche la nuova Nadia Nadim?
(da agenzie)
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