Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
L’UNICA VOLTA CHE LE HANNO DATO RETTA CON IL CANDIDATO DI PARTE CASELLATI PER DARE LA SPALLATA SI SONO LUSSATI LA SPALLA
Nel gennaio del 2021, un anno fa, durante la presentazione del governo Draghi, la presidente di Fratelli d’Italia si lasciò prendere dall’ira e usando anche le mani e le braccia espresse insofferenza e cattivi pensieri. Interpretando il sentire di parecchi, il giornalista primatista dei social, Andrea Scanzi, la qualificò come “pescivendola”.
Più interessante la reazione, naturalmente social, che portò immediatamente Giorgia Meloni da un grossista di pesce e qui, raccolta da terra una cassetta di orate e spigole, sotto le luci al neon di quel gelido stanzone, l’unica esponente dell’opposizione parlamentare, con aria di sfida, si mise a gridare: “Pesce fresco! Pesce fresco! Avvicinatevi, ottimi prezzi!”
Non si alzerà il sopracciglio radical-chic perché l’odierna politica vive di questi spettacoli. Proprio ieri oltretutto, sempre sui suoi profili, Meloni è apparsa con un bel maglione bianco e alle spalle una candida orchidea. Con garbata vivacità, per 32 minuti, forse un po’ troppi, ha raccontato come il centrodestra abbia sbagliato tutto e la sua incredulità quando Salvini si è convertito al Mattarella bis. In fondo, nel gran circo quirinalizio, lei si è mantenuta in seconda fila e ha fatto quello che ci si aspettava, compreso dire, pressoché unica, che i deputati hanno rieletto Mattarella per salvare stipendi e pensioni.
In tal modo è apparsa coerente, essendo la coerenza il must, l’obbligo concettuale, su cui lavora il suo giovanissimo social media manager Tommaso Longobardi, oltre sul lato pop: remix, autobiografie, animali, frutta, bamboline e pupazzetti.
Illustri scienziati della politica, Dahl, Duverger, Sartori, hanno passato la vita a studiare l’Opposizione riconoscendone l’utilità nel funzionamento delle istituzioni. Un successivo filone di studiosi è arrivato a chiedersi se, oltre che elemento costitutivo della teoria democratica, il sistema abbia bisogno non solo di una semplice minoranza quanto di un “forte” opposizione
Ora, è evidente che la crisi parallela della Lega e dei cinque stelle apre da oggi grandi orizzonti a Fratelli d’Italia. Ma per quanto la politologa Sofia Ventura sostenga che Meloni sia più “brava” e “cattiva” del “bamboccione” Salvini, il punto cruciale è che fare l’opposizione, ma farla sul serio, è maledettamente difficile; oltre a comportare la più grave responsabilità.
Nel congedarsi dai suoi fan, poco prima di schioccargli un bacio, ieri Meloni ha fatto il gesto di rimboccarsi le maniche. Sarebbe interessante capire se ha compreso che tocca a lei spalare le macerie del centrodestra. O se restando in ambito ittico, non sia tentata da quella che a destra è da decenni la peggiore attitudine e abitudine: la pesca delle occasioni.
In questo senso Giorgio Almirante, nella cui stanza Giorgia ha voluto insediarsi a via della Scrofa, chiedeva sempre e comunque le elezioni. Meloni pure, con l’aggiunta di qualche Atreju per finire sui tg e di un patriottismo abbastanza innocuo, quando non sono i presepi e gli immigrati.
Vero è che il tempo fa vedere meglio ciò che prima sembrava fasullo. Ma Gianfranco Fini, dopo tutto, qualche sforzo teorico a suo modo l’aveva pur fatto; mentre l’impressione è che Meloni, cui Galli della Loggia ha riconosciuto “vivida intelligenza politica e personale simpatia (che in politica conta, eccome!)”, più che un partito capace di fare opposizione si ritrovi una palla al piede.
La faccenda oltrepassa il buon rapporto con Enrico Letta e il tenero dileggio con cui immancabilmente li si assimila a Vianello e alla Mondaini. È qualcosa di più. La dissoluzione della classe politica non si ferma a chiacchiere e siparietti. Nel salvare il salvabile tocca guardare fuori e lontano – magari anche ricordandosi che quando un professore un po’ chiacchierone le diede ancora della pescivendola, e anche peggio, il presidente della Repubblica volle esprimerle di persona la sua vicinanza, anche perché l’opposizione è una cosa seria.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA PROPONE IL MODELLO GOP, LA MELONI VUOLE ESCLUDERE I CENTRISTI, TAJANI RIPARTE DAL CAV, TOTI GUARDA AL CENTRO
Il centrodestra scricchiola e fatica a ricompattarsi, anche perché al suo interno vivono visioni molto diverse sulla strada da intraprendere. Lo si comprende ancora di più leggendo le interviste di Matteo Salvini al Giornale, di Giorgia Meloni alla Verità, di Antonio Tajani al Corriere della Sera e di Giovanni Toti a Repubblica.
Matteo Salvini propone un rilancio del centrodestra sul modello dei Repubblicani americani.
“Inutile nasconderci dietro un dito. Le votazioni per il presidente della Repubblica hanno mostrato la potenziale forza ma anche i limiti, della coalizione di centrodestra come è attualmente”… “Non basta sommare le nostre forze ma è necessario che si cominci a ragionare in un’ottica veramente unitaria. È giunto il momento di federarci. Solo un nuovo contenitore politico delle forze di centrodestra, a cominciare da quelle che appoggiano il Governo Draghi, può agire in modo incisivo. Il nostro modello può essere quello del Partito Repubblicano americano”.
Secondo Salvini c’è un bivio in cui “vivacchiare può significare morire, decidersi per un cambiamento e federarsi è un rischio, ma anche un’opportunità”.
Giorgia Meloni ha in testa un’idea diversa, tiene fuori i “centristi trasformisti” e fa un processo a Forza Italia.
“Credo che questa sia la sconfitta di molte persone. Sicuramente una sconfitta per il centrodestra che, ancora una volta, non ha voluto giocarsi le sue carte per indicare un proprio nome alla guida dell’Italia come gia’ accaduto in altre circostanze”… “Il popolo di centrodestra continua a esistere ed è probabilmente piu’ numeroso che in passato. Il problema è che alcuni dei partiti che dovrebbero rappresentarlo hanno rinunciato a farlo, preferendo seguire logiche tutte interne al Palazzo. Il problema, oggi, non sta tanto nei rapporti tra Fratelli d’Italia e gli altri partiti di centrodestra ma riguarda il rapporto tra il popolo di centrodestra e quei partiti che hanno smesso di rappresentarli”. Forza Italia “deve decidere se vuole essere un valore aggiunto del centrodestra, o se vuole avere un rapporto privilegiato con il centrosinistra. Perché non si possono fare contemporaneamente entrambe le cose. Purtroppo, la debolezza dimostrata dal centrodestra in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica nasce, in buona parte, proprio dalla poca convinzione di Forza Italia. Ed è paradossale anche questo, visto che la vicenda si e’ aperta con la nostra disponibilita’ a sostenere lealmente Silvio Berlusconi”.
Antonio Tajani ha una sola certezza, che è la guida dello schieramento: “C’è un fondatore del centrodestra che è Silvio Berlusconi. Poi alle elezioni si vedrà chi sarà il candidato”.
“Se il sistema elettorale resta questo, le coalizioni avranno una loro logica. E a parte il fatto che agli italiani il tema della legge elettorale interessa ben poco, io non credo si debba rinunciare al maggioritario e al bipolarismo”… “Il nostro obiettivo è prima di tutto lavorare affinchè il governi porti a termine il grande e delicato lavoro che abbiamo di fronte e poi che Forza Italia sia protagonista del grande rilancio dell’area che in Italia si riconosce nel Ppe, quella europeista, atlantista, liberale, moderata, senza la quale, non esiste un centrodestra vincente”.
Ma secondo il vice presidente azzurro il passaggio del Quirinale ha mostrato che Silvio Berlusconi “si è ripreso la scena”.
Giovanni Toti attende una riflessione perché “oggi abbiamo un centrodestra ancora strutturato come nell’epoca d’orao della Seconda Repubblica, quando il mondo intorno a noi è cambiato”. Il leader di Cambiamo guarda però al centro.
“Convergenze già in questo Parlamento si sono trovate, ad esempio con Italia Viva. Il modello francese di una federazione tra tante forze è un obiettivo auspicabile. È chiaro che di questo disegno con Renzi abbiamo parlato spesso così come negli ultimi giorni con Antonio Tajani, con Lupi e Cesa e tutti coloro che si riconoscono in una tradizione che va dal riformismo liberale al socialismo riformista” … “Una federazione di forze moderate non la vedo così lontana dalla Lega e d’altra parte la Lega ha tre ottimi ministri nel governo Draghi”.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
AVEVA RAGIONE GRILLO SUL “NEL RIMARRA’ UNO SOLO”?
L’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale potrebbe portare il MoVimento 5 Stelle verso la resa dei conti finale. La guerra aperta che si è scatenata tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio porta a due possibili soluzioni. ù
La prima è quella della scissione. La seconda – e sarebbe incredibile – è quella dell’espulsione del ministro degli Esteri dal MoVimento. E mentre Alessandro Di Battista si schiera con l’ex premier, anche Beppe Grillo è dipinto come “molto irritato” dopo il caso di Elisabetta Belloni.
Indicata da Conte e, a quanto pare, non appoggiata da Di Maio. Per questo c’è anche chi chiede a “Luigi” di chiarire davanti agli iscritti.
La corrente dimaiana
A parlare dei progetti bellicosi di Conte su Di Maio è un retroscena della Stampa. Che parte dal presupposto del fatto che la convivenza tra le due “anime” del movimento, per l’ex premier, non è più possibile. Per questo si va verso un confronto. O meglio, un processo. I big vicini a Conte vogliono portare nei confronti del ministro degli Esteri una serie di accuse che potrebbero portare alla sua espulsione. La prima è quella di aver puntato su altre candidature durante la partita del Quirinale. La seconda, più cogente, è quella di aver creato una vera e propria corrente. Cosa espressamente vietata dallo Statuto grillino. La sentenza di espulsione però dovrebbero emetterla gli iscritti M5s con un voto in rete.
Perché Conte non vuole sporcarsi le mani. Ma proprio per questo la via della punizione è stretta. Perché per portare i grillini al voto su una questione del genere ci vogliono prove più schiaccianti. E perché intanto Di Maio potrebbe anche mangiare la foglia. E anticipare tutti andandosene lui prima di farsi cacciare. Ma portandosi dietro un buon numero di eletti e magari anche qualche voto, visto che il ministro ha saputo in questi anni costruirsi una base di consenso interna al MoVimento. Sul tavolo c’è anche il problema del governo Draghi. Conte, secondo i dimaiani, ha deciso di togliere l’appoggio del M5s a SuperMario e quindi di ritirare tutti i ministri e i sottosegretarie. Un’evenienza che gli altri vedono malissimo.
E se alla fine cacciassero Conte?
La prova dell’intenzione di lasciare il governo da parte del premier sarebbe nella sua ritrovata vicinanza con Di Battista. Che continua a chiedere una riflessione nel M5s e, soprattutto, che ha posto come condizione per il suo rientro proprio l’addio a Draghi. «Ora basta, vanno cacciati tutti, meglio pochi ma uniti», si è sentito dire negli ultimi giorni — più volte — da esponenti vicini all’attuale vertice secondo quello che riporta Repubblica. «La situazione è fuori controllo, serve un chiaro atto di sfiducia contro Conte e i suoi», è la linea dei dimaiani. Che non se ne vogliono andare e nemmeno rimanere per fare la corrente di minoranza. Il quotidiano aggiunge che i giochi per il Quirinale sono stati una sorta di precongresso. E che la la convinzione del ministro è di poter contare su almeno 70-80 parlamentari, ad oggi. Ma secondo i contiani i veri dimaiani sono solo venti.
E questo potrebbe portare l’ex leader grillino a evitare la battaglia. Perché è uno che la farebbe soltanto se fosse certo di vincerla. Altrimenti è meglio attendere, visto che il 2023 è vicino e che il parlamento sembra orientato a varare una legge elettorale proporzionale che consentirebbe la rielezione ai big grillini. Ma prima ci vuole la famosa deroga per il terzo mandato. E sono Grillo e Conte a doverla concedere. Anche se c’è chi è più pessimista: «Andremo in guerra, ci saranno morti e feriti. E però obiettivi, esigenze, linguaggi e target sono ormai troppo diversi», commenta un big grillino con il quotidiano.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
RITORNO AL PROPORZIONALE, INVISO AI SOVRANISTI PERCHE’ NON CONTEREBBERO UNA MAZZA
Del progetto che Salvini potrebbe rilanciare martedì di una federazione del centrodestra o dell’idea di rifondare il centrodestra espressa da Giorgia Meloni non si sa ancora molto, ma una cosa è certa: non ci sarà spazio per una riforma della legge elettorale che vada in direzione di un ritorno al proporzionale.
Salvini e Meloni sono fermamente attestati a difesa del maggioritario, i toni sono durissimi: “nel centrodestra che costruiremo – affonda Meloni – non può esserci un centro trasformista che può formarsi con il proporzionale, spregiudicato e pronto a muoversi ovunque dove si governi”.
In direzione esattamente contraria sta andando la federazione di centro nata due giorni fa in un incontro tra Toti, Tajani, Cesa, De Poli e Lupi.
La stessa Forza Italia, un partito nato dalle ceneri della prima repubblica, sinora convintamente maggioritario, dopo il Mattarella bis, potrebbe allinearsi ai suoi nuovi compagni di cordata, appunto fortemente impegnati a favore del ritorno del proporzionale.
Dopo la conferma di Sergio Mattarella al Colle l’ex centrodestra si divide su quella che si prospetta essere la prima e la più importante delle battaglie in vista delle prossime elezioni, previste nel giugno 2023.
Dal lato Pd, Enrico letta non si è ancora pronunciato esplicitamente per il proporzionale, ma ha detto che occorre cambiare il Rosatellum e che occorre stringere il dialogo con Renzi, da cui ha avuto un aiuto fondamentale nelle varie fasi della rielezione di Mattarella, e intavolare un dialogo anche con Forza Italia.
Si tratta per il PD, in pratica, di lavorare in direzione di una possibile ‘maggioranza Ursula’, dal nome della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen che venne eletta da una maggioranza composta da socialisti, popolari e liberali. Appunto, dal Partito Democratico a Forza Italia con dentro la neonata federazione di centro.
Coinvolgere il Movimento 5 Stelle in un progetto di legge elettorale proporzionale non dovrebbe essere un problema, è tra gli obiettivi iniziali del Movimento.
Lo stato di guerriglia interna tra Conte e Di Maio, dagli esiti al momento non prevedibili, ma che potrebbero portare anche a scissioni con la nascita di un nuovo soggetto favorisce questa soluzione.
Infatti una legge elettorale proporzionale è nei desiderata anche di chi nell’attuale Parlamento non siede. Ad esempio, proprio ieri il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha detto: “solo così si agevolerà la nascita di nuove forze politiche. E di nuove idee, di conseguenza”.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
DURANTE LA VOTAZIONE SULLA CASELLATI SONO ARRIVATI I VOTI DEI CENTRISTI
C’è un momento ben preciso nella partita del Quirinale in cui si è capito che la rielezione di Sergio Mattarella poteva costituire una soluzione possibile. È successo tutto venerdì mattina, durante la votazione per Elisabetta Casellati.
Nell’occasione all’allora presidente uscente sono arrivati 46 voti. Meno di quelli che aveva ricevuto il giorno prima (166). E di quelli che avrebbe ricevuto anche nel voto successivo.
Ma Enrico Cuccia spiegava che le azioni a volte si contano e a volte si pesano, e questo vale anche per i voti. Come racconta oggi un retroscena su Repubblica, mentre nelle precedenti votazioni a scegliere Mattarella erano stati Grandi Elettori del centrosinistra e del M5s, nell’occasione le preferenze sono arrivate da Forza Italia, da Coraggio Italia e dal Gruppo Misto.
Il piano inclinato
I 46 voti arrivati dal centrodestra hanno rappresentato, come ha detto il giorno dopo il segretario del Pd Enrico Letta, il “piano inclinato” su cui si è fondata la rielezione. Insieme, ovviamente, ai 336 racimolati durante la sesta votazione. E ai segnali arrivati durante i voti andati buchi. Come l’intervista rilasciata dal Grande Elettore e presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Gianfranco Micciché, il santino del presidente che tanti parlamentari sfoggiavano e le condizioni sussurrate ai partiti per il bis, secondo uno schema che alla fine è risultato vincente. E che servirà anche a puntellare il governo Draghi, che ora diventa quasi impermeabile ai veti dei partiti
Lo staff riconfermato
Intanto il presidente ha deciso di riconfermare lo staff che lo ha accompagnato nel suo primo settennato. Tranne la consigliera diplomatica Emanuela D’Alessandro, che sarà ambasciatrice a Parigi, gli altri torneranno tutti al suo posto. Giovanni Grasso, 60 anni, sarà ancora portavoce. Ugo Zampetti, 72 anni sarà il segretario generale del Quirinale. Gianfranco Astori, 74 anni, rimane consigliere per l’informazione così come il consigliere politico Francesco Saverio Garofani, esperto per le questioni internazionali ed ex deputato Pd.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
“HA SOCCORSO I PARTITI LACERATI DA LITIGI E LOTTE INTESTINE”
Sei giorni di scontri. Sei giorni di divisioni. Non sono passate inosservate ai giornali stranieri le battaglie dell’ultima settimana tra centrodestra e centrosinistra, ma anche all’interno delle singole coalizioni e della maggioranza. Una palude politica nei giorni delle votazioni per l’elezione del presidente della Repubblica in cui, sostiene il Financial Times, il premier Mario Draghi ha avuto un ruolo centrale e dirimente. Il presidente del Consiglio, sostiene il quotidiano britannico, è andato “di nuovo in soccorso” ai partiti. Questo perché, si legge nell’articolo, “i partiti politici del Paese sono stati lacerati da litigi e lotte intestine durante i sei giorni di voto”, dimostrando così di essere “incapaci di unirsi per qualcosa di diverso dallo status quo – timorosi come erano della prospettiva di elezioni anticipate”.
In questo scenario, sostiene Ft, “i partiti sembrano indeboliti e le battaglie interne stanno peggiorando”. Ciò “potrebbe renderli meno disposti e capaci di opporsi seriamente al programma di Draghi”. L’unico obiettivo dei diversi schieramenti è “mantenere in vita l’attuale governo ed evitare le elezioni prima della scadenza nella prima metà del 2023”. Il che permetterebbe al premier Draghi e al suo esecutivo di “rimanere in linea con i suoi impegni di riduzione del deficit e gli impegni di riforma nell’ambito del piano di ripresa e resilienza di Roma da 191 miliardi di euro”.
La rielezione di Mattarella – scrive oggi Ft – “ha deliziato gli italiani, in particolare la comunità imprenditoriale, così come i politici e i politici di tutta Europa. La proroga del Presidente italiano evita l’instabilità – titola il quotidiano -. L’esito con Mattarella lascia Draghi libero di spingere sulla modernizzazione richiesto dal piano finanziato dall’Ue”. La conferma di Mattarella “consentirà inoltre a Draghi di partecipare a conversazioni decisive a livello europeo sulle riforme dell’Ue, comprese le modifiche al Patto di Stabilità e crescita del mercato unico”.
“La potenziale ascesa di Draghi alla presidenza aveva sollevato preoccupazione nella comunità imprenditoriale italiana, nelle capitali europee e nei mercati, con la preoccupazione che un successore meno formidabile come primo ministro avrebbe lottato per spingere le riforme attraverso una coalizione turbolenta – segnala ancora Ft – Gli stessi legislatori italiani temevano di essere spinti alle elezioni anticipate se non fossero riusciti a trovare un sostituto come premier. Ma mentre la rielezione di Mattarella ha impedito l’immediata implosione del governo, gli analisti avvertono che Draghi dovrà affrontare delle sfide cercando di attuare il prossimo ciclo di riforme”.
Il quotidiano segnala le “tensioni nel governo” emerse con la prova dell’elezione del Presidente, come pure le “crepe nei partiti”, anche se questo “potrebbe rafforzare Draghi” e “la sua capacità di spingere attraverso accordi di compromesso”. La sua ultima arma “sarebbe una minaccia di dimettersi e staccare la spina al governo di unità nazionale, innescando elezioni anticipate, se i partiti si rifiutassero di cooperare”. Comunque “la mano di Draghi si indebolirà quando le elezioni generali, ora previste per il prossimo anno, si avvicineranno e i partiti entreranno in modalità campagna a tempo pieno, rendendo i prossimi mesi critici”.
La riforma fiscale
L’esito del voto “è stato accolto con favore in particolare dalla Francia, che ha lavorato a stretto contatto con Roma sulle proposte di revisione”, si legge nell’articolo, dove si osserva che il presidente del Consiglio italiano e il presidente francese avranno difficoltà a convertire il nord fiscalmente conservatore a tutte le loro idee di riforma, anche dopo il cambio di governo in Germania che ha visto uscire di scena la Cdu e l’arrivo di una coalizione più favorevole alle riforme nei Paesi Bassi. “Ma le proposte – tra cui l’idea di concedere un trattamento di favore agli investimenti in progetti green e digitali – avranno più peso altrove se godranno del sostegno attivo di Draghi, ex presidente della Banca centrale europea”.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
LAMORGESE RESTA AL SUO POSTO, NESSUN RIMPASTO
Dopo una settimana in cui la politica partitica ha dato il peggio di sé, risolvendo la situazione di stallo puntando sull’usato si curo (seppur obtorto collo e per mero spirito di sacrificio verso la Repubblica da parte di Sergio Mattarella), il Consiglio dei Ministri torna a riunirsi a Palazzo Chigi.
In agenda ci sono le nuove misure sanitarie, ma anche i piani futuri e futuribili che riguardano la ripresa economica e quello spettro chiamato PNRR lasciato in sospeso nell’ultimo mese per “colpa” dell’elezione del nuovo (poi “vecchio”) Capo dello Stato. E si segnalano tensioni tra il Presidente del Consiglio Mario Draghi e il leader della Lega Matteo Salvini.
Per accelerare dopo il momento di pausa causa Colle, il capo del governo sembra essere intenzionato a intensificare il lavoro dell’esecutivo: come riporta Il Corriere della Sera, la prima mossa potrebbe esser quella di passare da uno a due Consigli dei Ministri alla settimana.
Perché la carne sul fuoco e molta. Prima, però, ci sono da sciogliere tutti i nodi venuti al pettine dei partiti (all’interno e all’esterno della folta chioma che sembra essere meno fluente rispetto a qualche mese fa) prima, durante e dopo l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale.
Perché già da settimane, come spiega Ilario Lombardo su La Stampa, il leader della Lega sta proseguendo il suo pressing sul caro bollette, chiedendo di istituire un maxi-fondo da 30 miliardi di euro per contenere il costo di elettricità e gas. Mario Draghi, però, non è assolutamente d’accordo con questa richiesta che comporterebbe una notevolissima spesa extra-budget da parte dello Stato.
Niente di più lontano dai piani del premier. A Palazzo Chigi provano a minimizzare la proposta di Salvini, ma il senso delle risposte va sempre nella stessa direzione: ci sono già stati tre interventi ravvicinati per abbattere i costi delle bollette e 30 miliardi sono una cifra enorme, di fatto una finanziaria, che andrebbe contrattata con l’Europa.
Il segretario del Carroccio, che ancora si sta leccando le ferite dopo quanto accaduto la scorsa settimana con l’elezione del Presidente della Repubblica, starebbe provando a coinvolgere anche Giancarlo Giorgetti nella trattativa con il Presidente del Consiglio. Lo stesso ministro leghista, però, sembra essere ai ferri corti con il suo segretario. E questa tensione è stata notata anche da Draghi che stima, e non poco, il suo capo del dicastero dello Sviluppo Economico.
Rimpasto? Assolutamente no
Ma le tensioni Draghi-Salvini si spostano anche su un altro campo. Come già riportato nelle scorse settimane, il segretario della Lega ha chiesto al Presidente del Consiglio la sostituzione di alcuni ministri. Nel suo mirino, da sempre, c’è Luciana Lamorgese che – secondo i piani del leader del Carroccio – dovrebbe, come spiega La Repubblica, essere sostituita dal prefetto Matteo Piantadosi.
Ma anche questa richiesta sarà rispedita a via Bellerio: il capo del governo non ha alcuna intenzione di cambiare la sua squadra e, soprattutto, non vuole cedere ad alcun veto mosso dai partiti. Da nessun partito.
Perché se la situazione nel centrodestra è deflagrata nei giorni scorsi, anche il MoVimento 5 Stelle non gode di ottima salute: le tensioni tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte sono sempre più evidenti. E mentre Partito Democratico e Forza Italia veleggiano spediti nel sostegno all’esecutivo, anche tra i pentastellati è tempo di riflessioni interne.
Ma Mario Draghi vuole che tutto ciò resti fuori da Palazzo Chigi, perché la ripresa economica, la fine della pandemia e il PNRR sono le priorità del Paese.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO REPLICA… MA NELL’ARTICOLO NON SI PARLA DI BAGNO
Una frase all’interno di un articolo in cui si riportavano alcuni commenti “velenosi” fatti trapelare da due alte personalità all’interno della Lega
Da lì è partito un tam tam fatto di annunci social, di comunicati stampa e di una querela fatta dai legali di Matteo Salvini al quotidiano Il Riformista, diretto da Piero Sansonetti.ù
L’articolo (datato 29 gennaio) contestato è a firma Angela Nocioni e la frase contestata da Matteo Salvini è la seguente: “Due colonnelli della fronda leghista, seduti sui divanetti rossi, svelenano tra loro commenti pesanti sulle frequenti necessità del segretario di assentarsi un attimo, giusto un attimo, per poi tornare rinfrancato e pimpante”.
Nessun riferimento esplicito all’utilizzo di sostanze stupefacenti, ma il leader del Carroccio non ha dubbi che questo fosse l’obiettivo.
“Ho capito io quello che avete capito voi? Uscirei spesso dall’ufficio, durante le riunioni, per andare a drogarmi in bagno e tornare pimpante […] drogato proprio no: questo non fa parte della contesa politica, questo va oltre
Poi l’annuncio della querela contro la giornalista a il quotidiano Il Riformista, con i soldi – secondo Salvini, dunque, la causa è già vinta – che saranno devoluti “ai ragazzi di San Patrignano”.
Il direttore de Il Riformista, Piero Sansonetti, ha risposto all’accusa mossa da Matteo Salvini e dal comunicato stampa diffuso dalla Lega – firmato da Romeo e Morelli – spiegando come non ci fosse alcuna allusione all’utilizzo di sostanze stupefacenti da parte del leader del Carroccio:
In nessun suo articolo Il Riformista ha parlato di droga o di bagni e neppure di ufficio di Salvini. Semplicemente abbiamo riferito di un colloquio tra due suoi parlamentari nel quale si accennava alle “frequenti necessità del segretario di assentarsi un attimo per poi tornare rinfrancato e pimpante”. Il riferimento è all’ipotesi che Salvini sia eterodiretto, e che per prendere le decisioni abbia bisogno di ricevere indicazioni e rassicurazioni dall’esterno.
Questa ipotesi – assolutamente politica – è stata definita dal Riformista “velenosa”, dunque in nessun modo presentata come credibile. Il Riformista si è limitato a raccontare quanto sia infuocato il clima dentro la Lega, cosa, peraltro, largamente comprovata dalla pagina Facebook dello stesso Salvini.
Questa, dunque, la spiegazione del quotidiano più garantista d’Italia. Ma, probabilmente, la questione non finirà qui.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2022 Riccardo Fucile
HA PURE DETTO AI CARABINIERI DI FARE IN FRETTA ALTRIMENTI PERDEVA UNA SVENDITA
Una donna di 51 anni e positiva al Coronavirus è stata fermata fuori casa dai carabinieri a Renate in provincia di Monza. Quando le è stato chiesto perché fosse fuori dalla quarantena ha detto che voleva andare a fare shopping per i sardi.
La donna è stata controllata in auto durante un servizio di routine. E ha chiesto ai carabinieri di fare in fretta perché le stavano facendo perdere una svendita.
Poi ha fornito la stessa giustificazione – «non volevo perdere i saldi» – quando i militari le hanno contestato la violazione della quarantena. Secondo quanto raccontato dai militari intervenuti, la donna, si sarebbe subito giustificata dicendo di avere già terminato la quarantena e che probabilmente la banca dati non era aggiornata.
I carabinieri, sebbene la scusa del mancato aggiornamento potesse essere plausibile, hanno comunque deciso di andare a fondo e hanno scoperto che la donna, al tampone di verifica di fine quarantena era nuovamente risultata positiva, quindi avrebbe dovuto proseguire l’isolamento.
(da agenzie)
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