Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
VIAGGIO TRA LE PAURE E LE SPERANZE DEI GIOVANI RUSSI CHE SI OPPONGONO AL REGIME
“Tu respiri la mia aria solo perché io te la faccio respirare”, disse ad Anna il poliziotto dopo averle allentato la presa alla gola. “E cammini su questa terra solo perché io te lo faccio fare, chiaro?”. Succedeva due anni fa a Penza, città oltre 600 chilometri a sudest di Mosca. La ventenne Anna Loyko, insieme ad altri tre attivisti tra i quali Olga Misyk – la ragazzina famosa per aver letto la costituzione russa agli agenti antisommossa -, era arrivata dalla capitale per manifestare solidarietà nei confronti dei membri del gruppo anti-fascista Sep (Rete), appena condannati dal tribunale locale a 18 anni di reclusione per terrorismo in un processo che per spettacolarità e livello di ingiustizia – dicono gli oppositori del regime – sarebbe piaciuto ad Andrey Vyshinsky, il grande accusatore delle purghe staliniane. Quelle vissuta nelle ore dell’arresto a Penza è una delle esperienze più traumatiche, nella sua breve storia di attivista anti-Putin. Ma Anna ne ha tante da raccontare. Per esempio, racconta di quel poliziotto che la segue dappertutto, la prende di mira e la terrorizza a ogni dimostrazione, e sembra avercela proprio con lei. Solo con lei. Anna non si è quindi né stupita né spaventata più di tanto quando, nel giorno dell’adunata putinista allo stadio Luzhniki, qualcuno le ha imbrattato la porta di casa con slogan “patriottici” e “Z” d’ordinanza. “Qualche idea su chi possa esser stato ce l’ho“, dice. Forse proprio un poliziotto. Quel poliziotto?
“Non ci serve un imperatore”
Tra l’altro, la porta non è solo sua. Anna infatti, vive in una kommunalka: un appartamento diviso tra più famiglie, con cucina e bagno in comune. Durante l’Unione Sovietica era la norma. Oggi è una situazione in cui si trova chi ha pochi soldi. “Chi ha vissuto in una kommunalka “non avrà mai più niente di cui stupirsi”, scrisse Mikhail Bulgakov, e non per sentito dire. Nella Russia di Vladimir Putin il 12% della popolazione è in povertà: significa 17,5 milioni di persone. “Sarà che son sempre stata povera, ma fin da quando ero piccola mi feriva vedere la grande diseguaglianza che c’è nel Paese tra chi ha e chi non ha”, dice Anna. “È il motivo principale per cui ho iniziato a partecipare alle proteste contro questo regime”. Regime che definisce “omicida”, oltre che plutocratico. Non che speri di cambiare granché, con le sue proteste. Navalny? Sì, c’è molto rispetto. Un leader moralmente ineccepibile. “Ma è un nazionalista”, sostiene Anna. “E noi ragazzi non abbiamo proprio bisogno di uno zar”. Nemmeno se si chiamasse Navalny. Più che altro, però, Anna teme che dopo Putin, comunque vada neanche lui è eterno, arrivi qualche suo sodale a far di tutto per evitare che la Russia diventi normale. Teme il putinismo oltre Putin. Non è una visione ottimista. “Ma qualche cosa protestando l’abbiamo pure ottenuta”, dice. Si riferisce alla liberazione del giornalista investigativo Ivan Golunov, arrestato tre anni fa con accuse considerate false da una gran parte dell’opinione pubblica e rilasciato dopo le dimostrazioni di piazza in suo favore.
Traditori veri
“Oggi, dopo l’attacco all’Ucraina, protestare è più necessario che mai. Se fossimo scesi in piazza in tanti e più spesso anni fa, forse non ci troveremmo in questa situazione”.
“La nostra generazione – aggiunge – ha il dovere di combattere per il suo futuro, e per il futuro di tutti”. Andarsene dalla Russia? Anna non ci pensa proprio: “Capisco chi lo fa, ma questo è il mio Paese e voglio provare a migliorarlo. Anche solo scrivendo onestamente la verità”.
Anna è da un po’ di tempo una giornalista di Sota.vision, piccola testata indipendente che vive soprattutto sui social e si specializza nel documentare le persecuzioni politiche. Sono sempre i primi ad avere le immagini degli arresti. Anna attualmente sta lavorando a un’inchiesta sul comportamento della polizia e dei servIzi di sicurezza nei confronti dei minorenni che partecipano alle dimostrazioni. Paura? “Sì, essere all’opposizione e anche solo fare i giornalisti è sempre più pericoloso, in Russia”. E come ci si sente ad essere etichettati come “traditori”? Putin ha ufficializzato che chi non sta dalla sua parte nell’ultima avventura bellica tradisce la patria: “Il mio scopo – risponde Anna – è fare quel che posso perché nel mio Paese si viva meglio. Non mi pare proprio che chi ci governa faccia lo stesso. Allora chi sono i traditori”?
Tempi bui
“Non tradire la tua patria, Dima”: questa la scritta, contornata dalle solite “Z” ormai simbolo del regime, che si è trovato sulla porte di casa Dmitry Ivanov, 22 anni, attivista anti-Putin e studente di scienze informatiche all’università statale Lomonosov di Mosca – una delle migliori del Paese.
“No, non mi sento proprio un traditore. Sono un patriota. Come lo sono tante persone che conosco e che la pensano come me. Traditori sono quelli che hanno iniziato questa guerra“.
Camminiamo con Dmitry per la via Arbat piena di sole. I negozi di souvenir vendono magliette con l’onnipresente “Z”. Unici turisti, un gruppo di cinesi. Da un terrazzo, un dj improvvisato inonda la strada di musica house. Dima, così lo chiamano gli amici e non solo loro, ci racconta come nel 2017, non ancora maggiorenne, abbia iniziato a partecipare alle manifestazioni indette da Alexey Navalny contro la corruzione ai vertici del regime.
Più volte arrestato e detenuto, in un caso ha trascorso 40 giorni nel carcere di Sacharovo, normalmente destinato agli immigrati clandestini: la polizia aveva preso troppi manifestanti e non c’era posto nelle altre prigioni moscovite.
Dima riuscì a “imboscare” un telefonino: le sue foto delle condizioni igieniche proibitive nella cella sovraffollata con i muri ricoperti dalla shuba (pelliccia), l’intonaco putrido e irto di punte tipico delle galere russe, fecero il giro del mondo. “Cosa mi aspetto da questo Paese? Certo le cose stanno andando di male in peggio”, dice. “Ma credo che siano solo i momenti più bui prima del sorgere del sole: forse sto mentendo a me stesso, ma secondo me la Russia presto cambierà. Serviranno anni, forse. Ma non molti anni”.
I ragazzi cresceranno
Ci fermiamo a prendere un caffè in uno Shokoladnitsa, catena di locali attiva fin dai tempi sovietici. Sul tavolo, al contrario di di quanto avveniva solo un paio di settimane fa, non c’è lo zucchero. Te lo porta la cameriera, se proprio lo chiedi. Mica scontato trovare lo zucchero, oggi a Mosca. Dima è nato dopo la fine dell’Urss, ma sua madre gli racconta spesso di quando gli scaffali erano vuoti e le piazze piene per le adunate del regime.
Gli chiediamo cosa pensa del nuovo totalitarismo delle “Z”: “La manifestazione dello stadio Luzhniki non è una novità“, risponde. “Ne fu fatta una simile nel 2014. La differenza è che allora Putin poteva davvero cantar vittoria: aveva preso la Crimea senza colpo ferire. Oggi in Ucraina non c’è alcuna vittoria”.
A parte una buona dose di fanatici, gli altri – sostiene Dima – erano presenti perché obbligati dal capufficio, se dipendenti statali, o perché prezzolati: “Agli studenti di alcune università hanno dato 1.400 rubli, circa dodici euro”, spiega. Lo sa bene, perché li hanno offerti anche a lui. Nonostante le sbandierate manifestazioni di supporto allo zar, Dima sente odore di fine regime, in Russia. E come Anna, ad andarsene non ci pensa nemmeno.
Secondo alcune stime, sono un milione i russi che hanno lasciato o stanno per lasciare il Paese. Si tratta soprattutto di quarantenni con professioni liberali, generalmente avversi al regime. “Che se ne vadano: tutti traditori filo-occidentali di cui è sano ripulirsi”, è l’ultimo slogan del Cremlino.
Gli oppositori più giovani, però, non se ne vanno per niente. Con buona pace dei propagandisti di corte. Non se ne vanno se non altro perché non hanno risparmi sufficienti per rifarsi una vita altrove. E poi, sperano di vedere presto una Russia migliore. Il 30% di chi ha tra i 18 e i 25 anni non gradisce Putin secondo un sondaggio fatto alla fine del febbraio scorso dall’istituto statistico indipendente Levada.
Non sarà una gran percentuale. Ma tra questi ragazzi ce ne sono come Anna e Dima. Il tempo è dalla loro parte. A Mosca non è ancora primavera. I ragazzi cresceranno.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
“PUTIN PERDA LA SUA GUERRA E SE NE VADA“
Vorrebbe una Russia “felice”, con Navalny come presidente. E che Putin perda questa sua guerra e poi “in un modo o nell’altro” sparisca. Alla svelta. Perché ha già rovinato troppe vite. Olga Misyk è inaspettatamente timida ma le sue parole sono forti e una simpatica balbuzie non le rende meno sicure.
Olga è la “ragazzina della costituzione”: nel luglio del 2019, durante una manifestazione per la trasparenza nelle elezioni amministrative a Mosca, si sedette a gambe incrociate davanti agli agenti antisommossa del reparto Omon, bardati come marziani, a leggere l’articolo 31 della legge fondamentale russa, che prevede la libertà di riunirsi pacificamente e manifestare, e somiglia parecchio all’articolo 17 della nostra. Olga lesse anche gli articoli che prevedono la libertà di parola e il diritto di ogni cittadino di partecipare alle elezioni. Aveva 17 anni. Le foto fecero subito il giro del mondo. Qualcuno le paragonò alle immagini dell’uomo davanti al carro armato durante la rivolta di Tienanmen.
A dimostrazione di quanto sia disattesa la costituzione russa, quel giorno Olga fu fermata e detenuta, insieme ad altre 1.000 persone. Ha poi partecipato ad altre dimostrazioni di protesta. È stata di nuovo fermata e imprigionata. Più volte. I poliziotti la prendono di mira, le stanno addosso, la tormentano – ci hanno confermato attivisti che sono stati con lei in piazza. All’ultimo arresto è seguita, nel maggio 2021 una condanna penale a oltre due anni di “restrizione della libertà”: obbligo di residenza e divieto di uscire di casa la sera. Il reato, “atti vandalici”. Per aver, insieme ad altre due persone, affisso un manifesto (subito rimosso dalle guardie) e fatto cadere gocce di vernice (lavabile) sulla garitta all’entrata della Procura generale di Mosca. Olga, nata e cresciuta in un sobborgo della capitale, oggi ha vent’anni, vive con la famiglia e studia giornalismo all’Università statale Lomonosov. Fin dal liceo, è sempre stata una studentessa da dieci e lode
La incontriamo sulla Bolshaya Polyanka, davanti alle cupole a cipolla della chiesa di San Gregorio. Preferisce parlare all’aperto. Troppe orecchie, nei caffè. È nervosa mentre cerchiamo un luogo tranquillo per registrare l’intervista. Quando ride, però, i nervi si sciolgono e sembra una bambina. Giriamo alla larga dagli agenti davanti a un posto di polizia. Mica potrebbe rilasciarne, Olga, di interviste.
Com’è la vita in liberà vigilata, cosa puoi fare e cosa non puoi fare?
Nel complesso non è così male come poteva sembrare. Da qualsiasi situazione, compresa la libertà vigilata, si può tirar fuori qualcosa di positivo. Che faccio? Molto volontariato sociale, cerco di essere utile. E poi scrivo, lavoro su me stessa, sul mio sviluppo intellettuale. Ma non posso partecipare ad azioni di protesta né a qualsiasi manifestazione o evento. E mi sento davvero repressa perché non posso nemmeno lasciare la città, né uscire di casa a determinate ore. Non posso viaggiare all’estero, anche se sono spesso invitata, e ogni volta è triste rifiutare. E poi mia madre ha il cancro, e vorremmo portarla in Europa per le cure, ma non posso muovermi e non posso portarla. È davvero triste.
Quindi non sei più in grado di fare un’ opposizione attiva.
Invece – anche se non posso manifestare – sono coinvolta più di prima, nell’opposizione a questo regime. Che mi ha portato via tutto. E come a me a tante altre persone. Nessuno oggi ha la possibilità di vivere normalmente pensando ai fatti suoi e lasciando perdere la politica. Nessuno può più farlo. Ormai la vita di ogni persona in Russia è strettamente intrecciata con gli eventi politici, che ci se ne renda conto o no. La politica ha toccato tutti, è semplicemente impossibile ignorarla. Quindi è proprio adesso il momento per alzare il livello dello scontro, e fare un’opposizione sempre più ferma.
Tu come lo definisci, questo regime
È un sistema di potere autoritario. E non ha nemmeno un’ ideologia a sorreggerlo. È un regime senza idee. È solo criminale e corrotto. È molto importante considerare insieme tutti questi aspetti.
Ma perché allora i russi non si ribellano in massa contro l’”operazione militare speciale” in Ucraina e contro il Cremlino?
I russi non si ribellano alla guerra e non protestano in massa perché per molti anni sono stati repressi, torturati e addomesticati all’obbedienza. Quello che sta succedendo è il risultato di anni di repressione e persecuzione politica. Purtroppo, nel corso del tempo, le dimostrazioni di piazza sono diventate sempre più impraticabili. È ormai impossibile organizzarle e parteciparvi.
Come andrà a finire? Pensi che Putin resterà al potere ancora a lungo? Putin per sempre?
Spero che Putin non riesca a sopravvivere, in nessun senso della parola, fino alla fine di quest’anno. Spero che Putin perda questa sanguinosa guerra che ha inventato. Ma non voglio fare previsioni e costruire false speranze, perché la situazione è troppo imprevedibile. Spero solo che da tutto questo esca un quadro più favorevole per il popolo russo.
Non hai paura di parlare di queste cose in pubblico? Le leggi sono sempre più severe, riguardo ai commenti sulla guerra e sulla politica del Cremlino
Certo che ho paura. Ho sempre paura. Ma ciò non significa che smetterò di parlarne.
Hai mai pensato a lasciare la Russia, come stanno facendo in molti in questi giorni?
L’ho pensato molto spesso, e mi capita di pensarlo ancora. Ma ogni volta poi capisco che no, non me ne andrò in nessun posto. Preferisco lasciare che sia Putin ad andarsene.
Che tipo di Russia vorresti?
Vorrei una Russia felice.
E quale sarebbe, una Russia felice?
Un Paese dove la gente possa pensare alla vita, e non solo a come sopravvivere.
E il tuo sogno?
(Olga ci pensa un attimo) Eccolo, il mio sogno: è il 31 dicembre, su tutte le televisioni, a reti unificate, c’è il tradizionale discorso alla nazione del presidente della Federazione Russa. E il presidente è Alexey Navalny (Navalny è stato appena condannato ad altri nove anni di prigione in un processo che i critici del Cremlino ritengono motivato solo dal voler tenere il nemico numero uno di Putin in galera il più a lungo possibile, ndr)
Che piani hai per il futuro?
Io in generale non faccio piani per il futuro. Tutti i miei pensieri ultimamente sono volti alla sopravvivenza, appunto. Quindi, mi muovo a seconda della situazione.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
“IL FOGLIO”: “È PASSATO DA CENTODICIASSETTE A SOLE QUATTORDICI DICHIARAZIONI. IN MEZZO C’È STATA LA POLONIA. QUELLI DELLA LEGA DEVONO AVERGLI MESSO UNA CAMICIA DI FORZA” … ORA TACE, MA NON PER STRATEGIA. NÉ PER CALCOLO INTELLIGENTE. DOPO LA POLONIA IL SILENZIO È UNA NECESSITÀ
È il primo vero segnale di de-escalation, come direbbero i nuovi virologi, ovvero i geopolitologi che li hanno sostituiti in tv.
Matteo Salvini ha smesso di sparare dichiarazioni dalla mattina alla sera, di bombardare con la sua immagine tutti i canali social e di onda media 24 ore su 24.
È un evento straordinario. Degno della massima attenzione. Il dichiaratore pronto uso, il trapezzista provetto, s’è fermato.
Sulla guerra di Ucraina, per dire, è passato da centodiciassette dichiarazioni (calcolate dal Foglio tra il 24 febbraio e il 10 marzo) a sole quattordici dichiarazioni (dall’11 marzo a oggi). In mezzo c’è stata la Polonia. La figura di tolla in mondovisione.
Il momento fatale, direbbe Zweig. L’evento decisivo. Dopo il quale quelli della Lega devono avergli messo una camicia di forza. Un tappo di stoppa in bocca. Altrimenti non si spiega.
D’altra parte, Matteo s’era imposto da anni un regime di comparsate piuttosto rigido per evitare che qualcuno potesse malauguratamente dimenticarsi della sua esistenza: alle 8.00 iniziava a parlare alle trasmissioni del mattino, poi convocava tutti i giornalisti davanti al Senato, subito dopo si concedeva un passaggio su Rete 4, seguito da “direttina” Facebook, mitragliata di agenzie, salottone di Bruno Vespa e infine ultima apparizione notturna su Instagram. Casa Salvini: le notti bianche di Matteo. Un format.
Un intreccio di vita vissuta in movimento tra soggiorno e tinello, tra un commento all’attualità politica e uno sguardo cupido alla Nutella.
E all’alba si ricominciava da capo: Mattino 5, conferenza stampa, Rete 4, diretta Facebook, Vespa o Giordano o Porro, Instagram, Nutella… All’infinito.
Volando sulle liane. Come quando s’era convinto d’essere il king maker del presidente della Repubblica, e allora lanciava nomi tipo coriandoli.
In tv, sui social, in agenzia. Citofonava a Cassese, a Massolo, a non meglio precisati “professionisti e avvocati”, quindi candidava la Casellati e dopo un’ora buttava in mezzo la Belloni. Ambi, terne, cinquine… tombola! Tutto in diretta. Un reality.
Chiunque altro si sarebbe già fermato allora, dopo il filotto del Quirinale, per consegnarsi all’arte del tacere.
Un fondamentale e disatteso precetto politico, già espresso nel Settecento dall’abate Dinouart: “Il silenzio politico è quello di un uomo prudente, che si contiene, che si comporta con circospezione, che non si apre sempre, che non dice tutto ciò che pensa”.
Ora tace Salvini, ma non per strategia. Né per calcolo intelligente. È troppo tardi. Dopo la Polonia il silenzio è una necessità. La nemesi di uno che ha straparlato fino a perdere la voce (assieme alla faccia).
(da il Foglio)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
LA CANDIDATA ALLE PRESIDENZIALI FRANCESI ABBRACCIA UNA DONNA DI COLORE MA SI LIMITA A METTERLE UN SOLO DITO SULLA SPALLA: “COME SE STESSE TOCCANDO UN BIDONE DELL’IMMONDIZIA”
L’ambiguissimo rapporto tra i politici nazionali francesi e la Francia d’oltreoceano è stato confermato dalla recente visita, durante lo scorso fine settimana, di Marine Le Pen.
Sabato la politica di destra ha subito un piccolo assalto da parte dei cittadini delle Antille Francesi: stava registrando un’intervista per un programma TV, quando una folla di nazionalisti locali della Guadalupa ha interrotto le riprese e la Le Pen sarebbe stata colpita “alla schiena”.
Ma il punto è che poi Marine Le Pen è incappata in un “epc fail”, o “gaffe” per dirla in francese, a proposito di comunicazione politica. Su Instagram, tra le innumerevoli immagini a uso politico che sono state scattate durante la visita, ne ha postata una emblematica in cui si vede la mano “schifata” che non si appoggia sulla spalla di una persona di colore.
Proprio all’opposto di Emmanuel Macron, che ha sempre dimostrato un altro feeling per le Antille e soprattutto per i suoi abitanti. Correva l’anno 2018 quando nel mese di ottobre alcune immagini mostravano un felicissimo e raggiante Presidente che abbracciava alcuni sudatissimi ballerini caraibici.
(da Dagospia)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
“MI FA SCHIFO LA MODA DI QUELLI COME LUI CHE PARLANO DI ‘MAINSTREAM’. LORO SONO I PRIMI CHE NE FANNO PARTE…QUANDO MI PARLANO DI “NARRAZIONE UFFICIALE” MI SALE IL CRIMINE”
In pochi se ne sono accorti, ma in sordina e grazie al “lavoro, lavoro e ancora al lavoro” c’è una trasmissione che piano piano sta scalando le gerarchie degli ascolti e iniziando a insidiare i propri competitor sul terreno del talk televisivo.
Si tratta di Zona Bianca, che nell’ultima domenica è arrivata a un soffio dal raggiungere Non è l’Arena (4.7% di share di Rete4 contro il 5% di La7) e punta “a mettere la freccia” nelle prossime settimane. Se gli riuscirà o meno lo staremo a vedere, certo è che fino a poco tempo fa sembrava impensabile.
Non si tratta comunque di un caso, visto che il timoniere del programma ci ha spiegato che dietro a questi risultati c’è una vera e propria strategia pianificata da Mediaset nel corso di diversi mesi: giocarsi le proprie carte attraverso questo format per contrastare l’egemonia di Massimo Giletti.
E fedele ai dettami di Zdenek Zeman, perché, come vedremo, più che al calcio è rimasto affezionato agli insegnamenti dell’eretico allenatore boemo, l’importante alla fine anche nella vita è segnare un gol in più dell’avversario.
È la filosofia di Giuseppe Brindisi, giornalista e conduttore di Zona Bianca, che abbiamo incontrato per parlare di come vengono costruiti oggi i talk, delle immancabili polemiche sugli ospiti (“chi dice di essere censurato è sempre in Tv, ormai è una moda”), sulla libertà di espressione (“noi diamo parola a tutti”) sulla responsabilità di chi amplifica certe tesi controverse (“a volte mi sono pentito di avergli dato voce”)
Partiamo da una nota positiva per il tuo programma. Zona Bianca, che nelle ultime settimane sta marcando stretto Non è l’Arena intorno al 5% di share.
Siamo molto soddisfatti. Ci siamo spostati dal mercoledì alla domenica proprio perché l’azienda voleva inseguire Giletti e si è pensato che Zona Bianca fosse il programma migliore per contrastare Non è l’Arena. Abbiamo lavorato per mesi per costruirci il nostro “tesoretto” di pubblico in un giorno difficile. La vera sfida era questa. Non è facile, ma i risultati ci stanno dando ragione. Siamo vicini e siccome io e la mia squadra siamo molto competitivi tra un po’ proviamo a mettere la freccia.
I talk spesso sono al centro delle polemiche per gli ospiti che invitano. Ultimamente si è parlato molto del professor Alessandro Orsini, in particolare per il compenso che avrebbe ricevuto a Cartabianca sulla Rai che poi è stato annullato. Voi come vi regolate con i compensi per gli ospiti?
Tutti gli ospiti politici vengono a Zona Bianca gratuitamente. Non solo i politici in senso stretto, anche gli opinionisti. Se qualcosa come produzione paghiamo, riguarda soltanto i personaggi esterni a questo ambito. Se invitiamo Al Bano, per esempio, gli riconosciamo un cachet. Ma in generale la nostra policy è di non pagare. Lo facciamo solo se hanno una funzione che può servire davvero dibattito, quindi prevediamo un “gettone”. Ma parliamo di cifre molto molto limitate.
Al di là del compenso, Orsini ha lamentato di essere ostacolato perché le sue tesi escono dal racconto “mainstream” o dalla “narrazione ufficiale.
Guarda, quando sento parlare di “mainstream” o “narrazione ufficiale” posso andare giù di testa. Orsini dice di essere censurato, ma in realtà è in tv più volte al giorno e scrive per i giornali o viene intervistato. Quelli come Orsini che parlano di “mainstream” sono i primi che ne fanno parte. Gli fa comodo nella loro narrazione essere censurati.
È diventato un mestiere gridare alla censura per poi avere visibilità?
È diventata una moda che a me fa veramente schifo. Provo ribrezzo per questo atteggiamento, perché non bisogna perdere un po’ di onestà intellettuale. Quando mi parlano di “narrazione ufficiale”, come dicono i giovani mi “sale il crimine”. Noi che siamo “mainstream” non facciamo nessun tipo di censura. Il talk deve essere una contrapposizione fra varie tesi, a parte alcuni programmi che hanno un messaggio univoco da lanciare. Quindi noi a Zona Bianca abbiamo interesse ad avere più voci e a non limitare nessuno.
Sei stato accusato di interrompere troppo spesso certi ospiti con argomenti un po’ al limite.
Quando sento delle castronerie provo a dire la mia. È più forte di me. Ma non interrompo nessuno. Anzi, a volte sono orgoglioso di interrompere quelle che ritengo delle ricostruzioni palesemente false o surreali. Va bene tutto, ma a un certo punto bisogna dire basta.
Bianca Berlinguer che conduce Cartabianca alle critiche di Aldo Grasso ha risposto: “Non ho mai letto una recensione negativa ai programmi della rete del suo editore (La7 di Urbano Cairo, ndr). Anche nella critica c’è spesso un vizio di fondo?
Non entro nella questione tra Berlinguer e Grasso, però parto dall’idea che chi parla di giornalismo libero, dei duri e puri, mi fa un po’ sorridere. Io ricordo sempre che dalla Bibbia in poi un editore fa emergere gli aspetti che sono funzionali alla sua narrazione. Per questo, nel rispetto della deontologia professionale e dell’onestà intellettuale è chiaro che una televisione abbiamo una sua linea editoriale.
Poi è responsabilità di chi conduce fare i conti con la propria coscienza ed essere il più obiettivo possibile. Ma io di filantropi che si mettono a buttare milioni di euro per produrre giornali o programmi televisivi non ne ho mai conosciuti. Come nella Bibbia, se l’editore è Dio non troverai certo delle pagine benevole sul diavolo…
C’è mai stata una volta che ti sei pentito di aver dato spazio a qualcuno per parlare nei tuoi programmi?
È successo più volte. Mi è capitato di avere la netta impressione di essere utilizzato per promuovere delle tesi che altrimenti non avrebbero avuto altro spazio. E in quei casi mi pento di essere stato l’amplificatore di teorie strampalate, come quelle dei vari complottisti. Ma se mi guardo indietro credo di aver comunque fatto il mio lavoro mettendo a confronto delle opinioni, sperando che la gente sia riuscita a capire qual è quella giusta. Sempre che esista una opinione giusta. Più volte ci ho pensato, ma in linea di massima credo di aver fatto bene a contrapporre opinioni diverse anche dalle mie. E quando penso che una sia totalmente strampalata lo metto in evidenza.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
SI VOTA PER I REFERENDUM E PER LE COMUNALI
Si voterà il 12 giugno per il referendum sulla giustizia e per le amministrative, il secondo turno sarà il 26 giugno.
Il Consiglio dei Ministri ha ufficializzato le date, ha fatto sapere su Twitter il Capogruppo del PD alla commissione affari costituzionali Stefano Ceccanti. Andranno alle urne 26 comuni capoluogo di provincia, tra cui Genova, L’Aquila, Palermo e Verona.
Per quanto riguarda la giustizia, i quesiti su cui gli italiani sono chiamati a pronunciarsi sono cinque. Il primo è l’abolizione del testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità, che quindi permetterebbe ai condannati in via definitiva per mafia, terrorismo, corruzione e altri reati gravi di candidarsi alle competizioni elettorali del Parlamento italiano, di quello europeo e alle elezioni regionali. Si vota poi per la riduzione della custodia cautelare solo per reati legati all’uso delle armi, alla criminalità organizzata o all’evasione. Il terzo quesito propone l’abolizione del numero minimo di 25 mila firme per il magistrato che intende candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura. Infine, il quarto interroga gli italiani sulla possibilità da parte degli avvocati che fanno parte dei Consigli giudiziari di votare i magistrati anche facendo valutazione nel merito della loro professionalità.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DEL SINDACO DI MELITOPOL, RAPITO DA RUSSI
Ivan Fedorov, sindaco di Melitopol rapito dai russi lo scorso 11 marzo, ha raccontato il suo rapimento e l’arrivo delle forze di Mosca nella città ucraina. «Sono molto grato alla comunità internazionale e al presidente ucraino per il suo ruolo di mediatore, altri 29 funzionari eletti sono ancora nelle mani dell’aggressore russo» – ha dichiarato Fedorov all’emittente Bfmtv.
«Mi hanno arrestato perché accusato di finanziare il partito radicale ucraino – ha continuato – ma non ne conosco l’esistenza».
Quando l’hanno rapito, l’hanno privato di ogni mezzo di comunicazione e con lui erano presenti altre persone rapite, di cui sentiva le urla per le torture.
Ha poi dichiarato che la ‘moneta di scambio’ per la sua liberazione è stata la sostituzione con nove prigionieri russi. Inoltre, i soldati russi gli avrebbero detto che hanno sentito dire che i veterani della Seconda guerra mondiale erano stati picchiati e che loro erano lì per prendere i nazisti, sottolineando quindi che diversi russi credono alla causa della denazificazione data da Putin.
Lui avrebbe risposto di non averne mai incontrato uno in 30 anni. Fedorov ha infine ringraziato e lodato il coraggio dei cittadini di Melitopol che avevano manifestato contro il suo rapimento.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
I RUSSI IN FUGA CON SINTOMI DI RADIAZIONI
La vice premier ucraina Iryna Vereščuk ha scritto una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres per chiedere la demilitarizzazione dell’area della centrale di Chernobyl.
Durante l’incontro con i media internazionali, Vereščuk ha detto che «la situazione a Chernobyl è catastrofica, i russi non hanno il controllo della situazione. Si rischiano effetti ad ampio raggio».
L’allarme lanciato dalla vicepremier arriva poche ore dopo la notizia dell’inizio del ritiro, annunciato dal Pentagono, delle forze russe dalla zona della centrale di Chernobyl. I media bielorussi hanno rivelato che i soldati di Mosca vengono regolarmente portati al Centro repubblicano bielorusso di ricerca e pratica per la medicina delle radiazioni e l’ecologia umana.
«Soldati russi senza protezioni»
Secondo Kiev, sette bus di soldati russi con sintomi hanno lasciato la zona di Chernobyl. Energoatom, la Compagnia nazionale di generazione elettronucleare, che gestisce le centrali, ha evidenziato che i soldati russi sono esposti a significative radiazioni interne ed esterne nella zona di esclusione di Chernobyl, dove già il 26 marzo erano stati individuati 31 incendi per una superficie pari a 10.111 ettari.
Pochi giorni fa, due membri del personale dello stabilimento nella Foresta Rossa, zona boschiva a meno di un chilometro dalle centrali di Chernobyl a cui è proibito accedere senza permessi, avevano dichiarato a Reuters che quest’area è stata attraversata dai veicoli russi. I soldati non avrebbero indossato alcuna protezione, e avrebbero sollevato grandi quantità di polveri radioattive.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Marzo 31st, 2022 Riccardo Fucile
UN SOLO COMMENTO: VOMITEVOLE
Solidarietà un tanto al chilo: questa la linea della Lega, che non si smentisce mai, nemmeno quando si tratta di accoglienza ai ‘profughi veri’. Perché saranno veri e vera sarà la guerra in Ucraina, ma sempre profughi sono. E prima gli italiani, sempre e comunque. Anche se a rimetterci sono i bambini.
A Vigevano, in provincia di Pavia, la giunta a guida leghista ha confermato che non intende concedere deroghe al regolamento sulla mensa ai bambini profughi ucraini. Tradotto, significa che il buono pasto sarà da pagare, sempre a tariffa massima, e non verrà offerto dal comune.
Non esistono indicazioni a livello nazionale, ogni comune deve decidere da sé come risolvere la questione.
Molti comuni hanno pensato che la solidarietà ai bambini non ha prezzo e hanno deciso di pagare la mensa per chi è scappato dalle bombe. Vigevano no. E la decisione ha scatenato le opposizioni.
Il Polo Laico parla di “solidarietà svenduta per un pugno di voti”. Dal Pd, Arianna Spissu parla di “etichette e distinguo tra chi ha diritti e chi no, tra chi ci piace e chi non ha questo privilegio”. Emanuele Corsico Piccolini ha fatto due conti: “Si tratta di 8 bambini, non più di qualche centinaia di euro fino a fine anno. Un comune con 80 milioni di bilancio che non trova qualche centinaia di euro per dei bimbi scappati dalla guerra”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »