Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“I RUSSI CI STAVANO DANDO LA CACCIA. GLI UCRAINI CI DISSERO: SE VI BECCANO, VI FARANNO DIRE CHE TUTTO CIÒ CHE AVETE FILMATO È UNA BUGIA” – LE BOMBE SULL’OSPEDALE, IL FERIMENTO, LA FUGA
«I russi ci stanno dando la caccia, hanno una lista di nomi, compresi i nostri e si stavano avvicinando. Eravamo gli unici giornalisti internazionali rimasti nella città ucraina e da più di due settimane ne documentavamo l’assedio da parte delle truppe russe».
Inizia così il racconto drammatico del giornalista dell’Associated Press Mstylav Chernov che, insieme al fotografo Evgeniy Maloletka, è stato l’unico a poter documentare quello che è successo nella città che affaccia sul mar d’Azov, la porta del Mar Nero, nel mirino dei militari russi sin dall’inizio della guerra perché la sua conquista permetterebbe il ricongiungimento via terra della Crimea ai territori occupati del Donbass.
Sono stati loro a scattare le foto delle donne incinte portate via in barella dall’ospedale per la maternità colpito il 9 marzo, a farci vedere le fosse comuni dove le vittime dell’aggressione russa venivano gettate per toglierle dalle strade, a mostrarci con video e immagini una guerra che la propaganda del Cremlino vorrebbe nascondere.
Due testimoni troppo scomodi per essere tollerati. «Stavamo documentando quello che succedeva all’interno dell’ospedale ma alcuni uomini armati hanno iniziato a perlustrare i corridoi — racconta Chernov —. I chirurghi ci hanno dato dei camici bianchi da indossare per passare inosservati.
Improvvisamente all’alba arrivano una dozzina di soldati: “Dove sono i giornalisti per la miseria?”. Guardai le fasce intorno alle braccia, blu per l’Ucraina, e cercai di capire quante possibilità c’erano che fossero dei russi travestiti. Poi mi sono fatto avanti. “Siamo qui per farti uscire” hanno assicurato loro».
Segue una fuga rocambolesca: «Siamo corsi in strada, abbandonando i medici che ci avevano ospitato, le donne incinte che erano state ferite e le persone che dormivano nei corridoi perché non avevano altro posto dove andare — è il racconto di Chernov —. Mi sentivo malissimo a lasciarli tutti indietro. Nove minuti, forse dieci, un’eternità attraverso strade e condomini bombardati.
Quando i proiettili cadevano nelle vicinanze, ci buttavamo a terra. Il tempo veniva misurato dai colpi, i nostri corpi tesi e il respiro trattenuto. Un’onda d’urto dopo l’altra mi ha scosso il petto e le mie mani si sono raffreddate. Raggiungemmo un ingresso e delle auto blindate ci portarono in un seminterrato buio.
Solo allora abbiamo appreso da un poliziotto perché gli ucraini avevano rischiato la vita dei loro soldati per portarci fuori dall’ospedale. “Se vi beccano, vi faranno dire che tutto ciò che avete filmato è una bugia”, ci spiegò. “Tutti i vostri sforzi e tutto ciò che avete fatto a Mariupol saranno vani”.
Così gli stessi che ci avevano scongiurato di mostrare al mondo la loro città morente ora ci chiedevano di lasciarla. Era il 15 marzo. Non avevamo idea se ne saremmo usciti vivi».
L’intuizione
Chernov e Maloletka arrivano a Mariupol il 24 febbraio, un’ora prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Sanno che la città sarà un obiettivo strategico per Putin e decidono di andarci ben sapendo quali sono i rischi
L’attacco è da subito brutale, le forze russe bombardano senza pietà, la gente fugge e gli abitanti rimasti sembrano vicini alla resa. «All’inizio non riuscivo a capire perché Mariupol stesse cadendo così velocemente — spiega il giornalista — . Ora so che era per la mancanza di comunicazione.
Senza immagini di edifici demoliti e bambini morenti, le forze russe potevano fare quello che volevano. Ecco perché abbiamo corso dei grossi rischi per poter inviare al mondo ciò che abbiamo visto, ed è questo che ha fatto arrabbiare la Russia tanto da darci la caccia. Non ho mai, mai sentito che rompere il silenzio fosse così importante».
I primi morti
L’inferno si scatena in un attimo e gli unici giornalisti rimasti sul posto sono proprio Chernov e Maloletka. In città vengono interrotte le forniture di elettricità, gas e acquai. Secondo le autorità di Mariupol i morti finora sono stati 2.400.
«Il 27 febbraio, abbiamo visto un dottore cercare di salvare una bambina colpita da una scheggia — prosegue il giornalista — È morta. È morto un altro bambino, poi un terzo. Le ambulanze hanno smesso di raccogliere i feriti perché nessuno poteva chiamarle visto che non c’era rete e poi era pericoloso guidare nelle strade bombardate.
I medici ci hanno implorato di filmare le famiglie che portavano dentro morti e feriti e di usare il loro generatore per le nostre telecamere. “Nessuno sa cosa sta succedendo nella nostra città” ci hanno detto. I bombardamenti hanno colpito l’ospedale e le case intorno. A volte correvamo fuori per filmare una casa in fiamme e poi tornavamo indietro tra le esplosioni
C’era ancora un posto in città per avere una connessione stabile, fuori da un negozio di alimentari saccheggiato in Budivel’nykiv Avenue. Una volta al giorno, andavamo lì e ci accovacciavamo sotto le scale per caricare foto e video da inviare al mondo. Le scale non avrebbero fatto molto per proteggerci, ma sembrava più sicuro che stare all’aperto. Il segnale è scomparso il 3 marzo».
Abbiamo provato a mandare i nostri dalle finestre del settimo piano dell’ospedale. E da lì abbiamo visto disfarsi gli ultimi brandelli della solida città borghese di Mariupol. Per diversi giorni, l’unico collegamento che abbiamo avuto con il mondo esterno è stato tramite un telefono satellitare.
E l’unico punto in cui quel telefono funzionava era all’aperto, proprio accanto a un cratere creato da una bomba. Mi sedevo, mi rendevo piccolo e cercavo di trovare la connessione. Tutti mi chiedevano, per favore dicci quando la guerra sarà finita. Non avevo risposta. Ogni singolo giorno circolava la voce che l’esercito ucraino sarebbe venuto a rompere l’assedio. Ma non è venuto nessuno».
L’ospedale bombardato
«A questo punto avevo visto così tanti morti in ospedale, cadaveri nelle strade, dozzine di corpi spinti in una fossa comune — continua Chernov —. Il 9 marzo, due attacchi aerei hanno distrutto la plastica attaccata ai finestrini del nostro furgone. Ho visto la palla di fuoco solo un momento prima che il dolore perforasse il mio orecchio interno, la mia pelle, il mio viso.
Abbiamo visto salire il fumo da un ospedale dedicato alla maternità. Quando siamo arrivati, i soccorritori stavano ancora tirando fuori dalle rovine donne incinte insanguinate. Le nostre batterie erano quasi scariche e non avevamo alcun collegamento per inviare le immagini.
Tra pochi minuti sarebbe scattato il coprifuoco. Un agente di polizia ci ha sentito discutere su come diffondere la notizia dell’attentato all’ospedale. “Questo cambierà il corso della guerra”, ha detto. Ci ha portato in un posto dove c’era corrente e una connessione a Internet.
Avevamo già dato conto di così tante persone morte, anche bambini. Non capivo perché il poliziotto pensasse che queste morti potessero cambiare qualcosa. Mi sbagliavo. Al buio, abbiamo inviato le immagini allineando tre telefoni cellulari con il file video diviso in tre parti per fare più in fretta.
Ci sono volute ore, ben oltre il coprifuoco. I bombardamenti sono continuati, ma i poliziotti incaricati di scortarci attraverso la città hanno aspettato pazientemente. Poi il nostro legame con il mondo esterno è stato nuovamente interrotto.
Siamo tornati in un seminterrato vuoto di un hotel con un acquario ora pieno di pesci rossi morti. Nel nostro isolamento, non sapevamo nulla di una crescente campagna di disinformazione russa per screditare il nostro lavoro.
L’ambasciata russa a Londra ha pubblicato due tweet definendo false le foto di Ap e affermando che una donna incinta era un’attrice. L’ambasciatore russo ha mostrato copie delle foto durante una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ha ripetuto le bugie sull’attacco all’ospedale per la maternità.
Nel frattempo, a Mariupol, tantissime persone ci chiedevano le ultime notizie sulla guerra. Venivano da me e mi dicevano, per favore filmami, così la mia famiglia fuori città saprà che sono vivo. In quel momento, a Mariupol non c’era più nessun segnale radiofonico o televisivo ucraino.
L’unica radio che si poteva ascoltare mandava in onda le bugie russe: che gli ucraini tenevano in ostaggio Mariupol, sparavano agli edifici e stavano mettendo a punto armi chimiche.
La propaganda era così forte che alcune persone con cui abbiamo parlato ci credevano nonostante la verità fosse davanti ai loro occhi. Il messaggio veniva ripetuto continuamente, in stile sovietico: Mariupol è circondata. Consegna le tue armi».
In salvo
Il reportage di Chernov si conclude così: «Il 15 marzo circa 30.000 persone sono uscite da Mariupol, così tante che i soldati russi non hanno avuto il tempo di guardare da vicino le auto con i finestrini ricoperti da pezzi di plastica che sbattevano. La gente era nervosa. Ogni minuto c’era un aereo che passava o lanciava un attacco. La terra tremava.
Siamo passati attraverso 15 posti di blocco russi. A ciascuno, la madre che guidava la macchina su cui eravamo pregava furiosamente, a voce talmente alta da farsi sentire. Mentre li attraversavamo – il terzo, il decimo, il 15esimo, tutti gestiti da soldati dotati armi pesanti – le mie speranze che Mariupol sarebbe sopravvissuta svanivano. Ho capito che solo per raggiungere la città, l’esercito ucraino avrebbe dovuto passare attraverso questo. E non sarebbe successo.
Al tramonto, arrivammo a un ponte distrutto dagli ucraini per fermare l’avanzata russa. Un convoglio della Croce Rossa di circa 20 auto era già bloccato lì. Abbiamo svoltato verso i campi e le stradine secondarie.
Le guardie al posto di blocco n. 15 parlavano russo con l’accento rude del Caucaso. Hanno ordinato a tutto il convoglio di spegnere i fari per nascondere le armi e le attrezzature parcheggiate sul ciglio della strada
Riuscivo a malapena a distinguere la Z bianca dipinta sui veicoli. Mentre ci fermavamo al sedicesimo posto di blocco, abbiamo sentito delle voci. Voci ucraine. Ho provato un enorme sollievo. La madre alla guida dell’auto è scoppiata a piangere. Eravamo fuori. Eravamo gli ultimi giornalisti a Mariupol. Ora non ce ne sono».
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
ORA DICE CHE “QUANDO SI PARLA DI ARMI NON RIESCO A ESSERE FELICE“
“Quando si parla di armi non riesco ad essere felice” – Matteo Salvini, marzo 2022. Facciamo un salto indietro nel tempo.
Non molto tempo fa, anche se prima di una guerra in Europa e una pandemia nel mondo. Un’altra Italia, quella con Salvini Ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio.
L’11 febbraio del 2018 Matteo Salvini è in visita alla fiera delle armi di Vicenza e firma un documento che lo impegna, nei confronti dei rappresentanti della lobby delle armi, a consultare il Comitato Direttiva 477 ogni volta che arrivano in discussione in Parlamento provvedimenti sulle armi.
Cos’è questo famigerato Comitato? Il Presidente del Comitato dell’epoca, Giulio Magnani, (Oggi il Comitato si chiama UNARMI – Unione degli Armigeri Italiani), lo spiegava così a Repubblica: “Siamo un’associazione che tutela i privati cittadini che hanno armi da fuoco. In Italia rappresentiamo la Firearms United (confederazione europea dei possessori di pistole, ndr) e collaboriamo con Anpam, Conarmi e Assoarmieri”.
Cioè le più importanti sigle dei fabbricanti di armi, un settore che vale più o meno lo 0,7 % del Pil (2.500 imprese, tra indotto e produzione, 92.000 occupati) e si rivolge a 1,3 milioni di titolari di licenza. Cacciatori, tiratori sportivi, appassionati di armi (anche da guerra) e gente comune in cerca di sicurezza, che riempie i poligoni, meglio se privati.
Insomma, quando parliamo di lobby delle armi parliamo di queste aziende qui.
Con cui Salvini si impegnò, sul suo onore – parole sue – a nome suo e dell’intera Lega, all’assunzione pubblica di impegno a tutelare i detentori legali di armi, dei tiratori sportivi, dei cacciatori e dei collezionisti di armi.
Contestualizziamo: era l’epoca in cui una delle battaglie di Salvini era quella per la legittima difesa. Nel punto 8 del documento firmato a Vicenza, Salvini si vincolava “a tutelare prioritariamente il diritto dei cittadini vittime di reati a non essere perseguiti e danneggiati (anche economicamente ) dallo Stato e dai loro stessi aggressori”.
In quello stessa periodo la Lega depositava in Commissione Giustizia al Senato una modifica all’articolo 52 del Codice penale, introducendo proprio la “presunzione di legittima difesa” a cui si può appellare “colui che compie un atto per respingere l’ingresso o l’intrusione mediante effrazione o contro la volontà del proprietario (…) con violenza o minaccia di uso di armi di una o più persone, con violazione di domicilio”. In altre parole: prima si spara, poi si chiede. La giustizia da Far West che a Salvini piace tanto, sebbene oggi si dica contrario alle armi.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“HAI FATTO PRECIPITARE L’ECONOMIA NELLA FOGNA“
Elvira Nabiullina, capo della Banca Centrale Russa, è la prima a rompere il silenzio imposto da Putin sulle conseguenze della guerra in Ucraina.
E la sua non è una voce di poco conto, ma una delle più potenti in Russia. Nabiullina sfida direttamente Putin e ha annunciato le sue dimissioni, dicendo che Putin “ha fatto precipitare l’economia in una fogna”.
Elvira Nabiullina si era opposta fermamente a Putin quando ha invaso l’Ucraina e ha già consegnato due volte una lettera di dimissioni, che il Cremlino ha rifiutato di accettare. Anzi, ha rilanciato e ha inviato alla Duma la sua candidatura per la conferma per un terzo mandato a capo della banca centrale russa. Questo per far capire quanto sia potente Nabiullina, considerata parte della cerchia ristretta del presidente russo, di cui è stata consulente economica prima di diventare banchiere centrale.
Nabiullina ha avvertito che la guerra in Ucraina avrà come conseguenza mesi di recessione e inflazione alle stelle. Questo nonostante la situazione economica russa sembra essere in miglioramento negli ultimi giorni: il cambio del rublo è a 105 sul dollaro, in calo ma distante dai minimi di quasi 180 di pochi giorni fa. I bond russi restano sotto forte stress, ma si stanno riprendendo dal crollo per la minaccia di default immediato.
Ma gli investitori sono comunque spaventati dalle agenzie di racing che hanno classificato la Russia al più basso livello. La governatrice ha attribuito tutte le responsabilità alla decisione di Putin di invadere l’Ucraina.
(da Globalist)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
SOTTRATTI 79 GB DI DATI SENSIBILI DEL REPARTO RICERCA E SVILUPPO DEL GIGANTE PETROLIFERO RUSSO
Anonymus ha preso di mira ed è riuscito ad hackerare il gigante petrolifero russo Transneft. Se il nome non dovesse essere familiare, stiamo parlando di quella che è conosciuta come la più grande compagnia di oleodotti al mondo.
Transneft, che è controllata dallo stato e ha sede a Mosca, è stata presa si mira nell’ambito di un’ampissima azione di contrasto alla Russia e a tutti i sistemi informatici che fanno funzionare il paese dopo che Putin ha scelto di mettere in ginocchio l’Ucraina con la sua invasione. –
Per avere un’idea più precisa dell’attacco hacker Anonymous Transneft basta avere qualche numero: la società statale russa gestisce oltre 70.000 chilometri tra gasdotti e oleodotti trasportando circa il 90% del petrolio e il 30% dei derivati petroliferi che vengono prodotti in Russia.
L’attacco è stato rivendicato da Anonymous, quindi, con un tweet che rimanda all’indirizzo dal quale si può scaricare il materiale che è stato pubblicato ovvero 79 GB di dati tra cui troviamo delle e-mail della società OMEGA.
Si tratta di un leak di dati relativi agli indirizzi e-mail del ramo dell’azienda che si occupa di “ricerca e sviluppo” e i dati degli account di posta elettronica dei dipendenti dell’azienda o anche documenti sensibili come fatture e informazioni sulla spedizione dei prodotti.
La corrispondenza hackerata è relativa anche all’ultimo periodo, quello di entrata in vigore delle sanzioni – come si legge nella descrizione che precede la possibilità di scaricare il materiale hackerato -.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA CINA TEME DI FINIRE NEL MIRINO DELLE SANZIONI SECONDARIE PER VIA DELLA SUA ALLEANZA “SENZA LIMITI” CON MOSCA … I PRIMI EFFETTI CI SONO GIÀ: GLI INVESTITORI STRANIERI SCAPPANO DALLA CINA. NEI PRIMI DUE MESI E MEZZO DEL 2022 SONO SPARITI 6 MILIARDI DI DOLLARI DI INVESTIMENTI
Scandalose, irragionevoli, dannose per tutti. Sono alcuni dei modi in cui la Cina ha descritto le sanzioni imposte da Stati Uniti e democrazie liberali alla Russia per l’invasione in Ucraina.
Alla base, oltre a ragioni retoriche, c’è il timore di Pechino di finire nel mirino di sanzioni secondarie. Il commento di ieri del ministro degli Esteri della Lituania lascia presagire confusione sotto il cielo: «L’Ue dovrebbe chiarire che i paesi terzi che aiutano la Russia saranno colpiti dalle stesse sanzioni adottate contro Mosca».
E la situazione è tutt’ altro che eccellente per il Partito comunista, che si avvicina al cruciale XX Congresso del prossimo autunno circondato proprio da ciò che odia più di tutto: instabilità. Prima la guerra, poi il ritorno del Covid-19, con nuovi lockdown che hanno coinvolto anche la megalopoli Shenzhen, la “Silicon Valley cinese”. La strategia “zero contagi” di Pechino ha tenuto finora sotto controllo la pandemia ma ha depresso i consumi.
Il conflitto si è innestato su uno scenario volatile, con la fiducia degli investitori già messa a dura prova dall’imponente campagna di rettificazione di Xi Jinping sul settore privato, in primis le Big Tech. Per non parlare della crisi immobiliare e l’aumento dei prezzi delle materie prime. Ipotetiche sanzioni completerebbero quella che diversi analisti hanno definito «tempesta perfetta».
Una tendenza già in atto sembra prendere maggiore velocità: la volontà dei Paesi occidentali e asiatici di diversificare e ridurre la dipendenza da Pechino. «Se dal conflitto dovessero emergere due blocchi contrapposti ci sarebbero forti ricadute sulla cooperazione economica con la Cina», spiega l’analista di Ispi Filippo Fasulo.
«Tra i temi in discussione non c’è solo il disaccoppiamento con l’economia cinese ma anche la biforcazione tra le attività in Cina per la Cina e quelle nel resto del mondo per i mercati globali. Se le sanzioni dovessero colpire Pechino i piani di crescita di Xi si complicherebbero», dice Fasulo.
La situazione sta già avendo effetti sugli investimenti esteri. Come segnalato dal Financial Times, gli investitori stranieri hanno scaricato un valore record di 6 miliardi di dollari di azioni cinesi nei primi due mesi e mezzo del 2022.
Un andamento in netto contrasto con lo stesso periodo del 2021, quando gli afflussi erano stati superiori a quanto si sta perdendo ora. L’indice Csi delle borse di Shanghai e Shenzhen è appena il 4% al di sopra di fine 2019, mentre nello stesso lasso di tempo gli americani S&P 500 e Nasdaq Composite sono cresciuti del 37 e del 52%. J.P. Morgan ha declassato tutti i titoli cinesi nel settore digitale, sconsigliando investimenti per i prossimi 6-12 mesi.
Gli investimenti locali sono risaliti dopo che il governo ha anticipato che avrebbe adottato una serie di misure favorevoli al mercato. Ma le partecipazioni straniere in azioni quotate continuano a soffrire. Il vicepremier Liu He, braccio destro di Xi, ha assicurato che verranno adottate misure per rilanciare l’economia. Le ricette, però, sono sempre le solite.
A partire dagli investimenti a debito sulle infrastrutture, risposta che può funzionare soprattutto nel breve periodo. Per passare poi a un congelamento dei programmi di riforma: stop alla tassa sulla proprietà per provare ad alleviare la stretta sul settore immobiliare, inversione in direzione del carbone sulla già accidentata strada della transizione energetica
Il tutto mentre si cerca di accelerare su una sorta di autarchia economica che possa schermare Pechino dalle turbolenze commerciali e geopolitiche esterne. Impresa complicata, visto che i capitali e la tecnologia occidentali sono ancora essenziali per la Cina, nonostante gli sforzi tesi a raggiungere l’autosufficienza. «La Cina non può svilupparsi da sola e il mondo non può svilupparsi senza la Cina», aveva detto lo scorso novembre il vice presidente Wang Qishan. Un assunto che potrebbe presto essere messo almeno parzialmente alla prova.
(da la Stampa)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
GRAZIE AL LAVORO DELLE SPIE, KIEV È STATA GUIDATA MOSSA DOPO MOSSA CONTRO I RUSSI, TRA COMUNICAZIONI INTERCETTATE E MOSSE DELL’ARMATA SORVEGLIATE A DISTANZA
È tutto scritto, dichiarato e diffuso per il pubblico. Quando il 16 marzo la Casa Bianca ha autorizzato nuove forniture belliche in favore dell’Ucraina, all’ultima riga della «lista della spesa» c’erano quattro parole: immagini satellitari e lavoro d’analisi.
È un’annotazione fugace, riempita però, qualche giorno dopo, dalle dichiarazioni in chiaro di alti funzionari
La condivisione dell’intelligence con gli ucraini ha assunto caratteristiche «rivoluzionarie» e senza precedenti, ha detto il generale Scott Berrier, direttore della Dia, lo spionaggio militare, durante un’audizione al Congresso.
Poi è entrato in scena il suo collega, Paul Nakasone, responsabile del Cyber Command e della Nsa, l’agenzia che tutto ascolta: nei miei 35 anni di servizio – ha sottolineato – non ho mai visto una collaborazione migliore nel condividere ciò che sappiamo: l’intelligence americana – spiega – osserva e reagisce rapidamente ai tentativi di fare disinformazione.
Le imbeccate Usa
«Abbiamo continuamente condiviso informazioni dettagliate con il governo ucraino», aveva detto a inizio marzo Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca. «Queste informazioni hanno permesso loro di capire i piani russi e sviluppare una risposta militare».
La collaborazione con l’Ucraina, iniziata nel 2015, è diventata nel tempo molto efficace. Le spie statunitensi hanno anticipato da mesi quello che sarebbe poi accaduto, ossia l’invasione: un flusso di informazioni costante, mai visto prima.
Poi, una volta iniziato il conflitto, hanno reagito su più livelli: la ricognizione aerea elettronica e i satelliti hanno raccolto i «segnali» russi, intercettato le comunicazioni, sorvegliato a distanza – ma da vicino, grazie agli strumenti – le mosse dell’Armata. Uno sforzo al quale partecipano velivoli di diversi Paesi, Italia inclusa.
Quindi hanno passato agli ucraini coordinate precise, avvertimenti, dettagli: secondo alcuni analisti è possibile che numerosi attacchi di precisione condotti dalla resistenza siano avvenuti grazie alle imbeccate preziose arrivate da Washington. «L’ingrediente segreto», ha detto sempre Nakasone, è l’abilità di lavorare fuori dal Paese, di «vedere cosa sta facendo il nostro avversario».
Chissà che i numerosi ufficiali russi caduti al fronte non siano stati centrati dai cecchini locali addestrati in passato dai paramilitari della Cia con un progetto ad hoc iniziato nel 2015.
La Cnn ha scritto che sarebbe stato anche creato un database dove sono riversate le informazioni più importanti, un archivio digitale al quale i «difensori» hanno un accesso immediato e con una finestra temporale ristretta. Un ruolo importante lo hanno avuto anche le stazioni internet Starlink, i satelliti forniti da Elon Musk che hanno permesso a Kiev di collegarsi in modo stabile alla Rete.
La raccolta di dati
Il sito The Intercept ha aggiunto che l’intelligence non è grezza, ma già studiata, quindi utilizzabile con maggiore efficacia. Gli Stati Uniti amplificano i dati che gli agenti possono confermare, usando anche un funzionario di collegamento per riferirli agli ucraini, e scartano quelli non confermati.
È un regime sofisticato, che per ora ha permesso a Washington di fornire assistenza evitando di diventare un «combattente attivo» nel conflitto: per questo motivo i droni e gli aerei che effettuano ricognizioni stanno attenti a non entrare nello spazio aereo ucraino.
A questa missione potrebbe aggiungersi quella sul terreno, affidata a team clandestini. Su questo punto non si possono avere conferme: la linea ufficiale è che non vi sono americani sul terreno, ma sono apparse voci che sostengono il contrario, chiamano in causa forze speciali e le «ombre».
È il mondo sotterraneo protetto dalle smentite e dalle posizioni di rito che escludono il coinvolgimento diretto. La Storia ha spesso dimostrato quale fosse poi la realtà.
(da il Corriere della Sera)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL PARTITO DELLA MELONI CALA DELLO 0,1%, IL PD GUADAGNA LO 0,3% , IL MOVIMENTO 5 STELLE SCENDE ANCORA
Come sarebbe la situazione se gli italiani andassero oggi alle urne? Lo scenario della guerra in Ucraina premia sicuramente le forze politiche che sin dall’inizio hanno condannato l’invasione russa senza tentennamenti.
E così l’ultimo sondaggio di Swg per La7 mostra il partito di Giorgia Meloni – che ha sottolineato il suo “atlantismo” anche con la sua recente partecipazione alla convention dei conservatori Usa- ancora saldamente al primo posto.
Il Pd – il cui segretario Enrico Letta è stato tra i primi leader a sostenere con decisione l’aiuto militare all’Ucraina – recupera e si piazza subito dietro al secondo posto. Viceversa la Lega – con il suo segretario Matteo Salvini in evidente difficoltà per i suoi pregressi rapporti con la Russia e con Putin – rimane al terzo posto, staccata di cinque punti.
Nel dettaglio FdI è stimata al 21,8%, con un calo dello 0,1% rispetto alla settimana scorsa. Il Pd guadagna lo 0,3% e sale al 21,6%.
La Lega, nonostante un piccolo incremento dello 0,2%, rimane ferma al 16,4%. Fuori dal podio gli altri partiti: il M5S perde lo 0,1 e scende al 12.9
Forza Italia è in calo dello 0,2 e si ferma al 7,8%. Azione-+Europa invece è stabile al 5,2%.
Seguono Mdp-Articolo 1 al 2,4%, i Verdi al 2,3%, Italia viva al 2,2% (con una perdita dello 0,3 rispetto a sette giorni fa), Italexit con Paragone al 2%, Altre liste al 3,2%.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
MANCANO 19 GIORNI AL VOTO
I sondaggi politici in Francia non sono generosi con Emmanuel Macron: per la seconda settimana di fila, il Presidente uscente è in calo e questa non è certo una buona notizia visto che il tempo stringe e alle presidenziali mancano solo 19 giorni.
Sondaggi politici positivi invece per Marine Le Pen e Jean-Luc Melenchon: la leader del Rassemblement National, sempre indicata come probabile duellante con Macron al ballottaggio, guadagna un punto e si insedia al 20%, Jean-Luc Mélenchon continua la sua scalata che lo ha portato dal 10% di un paio di mesi fa all’attuale 15%.
Entrambi in crisi Eric Zemmour (estrema destra, Réconquete!) e soprattutto Valérie Pécresse (Républicains) che perdono rispettivamente lo 0,5% e l’1,5% e scendono sotto quota 10%. Ma il caso più vistoso è quello per il presidente in carica, che ha perso 3,5 punti in una sola settimana, scendendo fino al 27,5% delle intenzioni di voto.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2022 Riccardo Fucile
ANCHE UN SECONDO YACHT SAREBBE IN ROTTA VERSO LA TURCHIA
Lo yacht da 140 metri Solaris, collegato al miliardario russo Roman Abramovich, è arrivato a Bodrum, in Turchia. Prima dell’attracco, alcune persone avrebbero provato a bloccarlo con un gommone.
Come si vede in diversi video pubblicati sui social network, un gruppo di ragazzi ucraini – membri di un club di vela di Odessa – ha tentato di impedire che l’imbarcazione attraccasse al molo.
Negli ultimi giorni sono diversi i mezzi di Abramovich che si sono diretti verso la Turchia. Il suo jet privato ha affrontato diverse volte questa tratta. Oltre a Solaris, Abramovich possiede anche un secondo yacht. Si chiama Eclipse, è lungo oltre 160 metri e in questo momento si trova vicino all’isola di Rodi. Anche Eclipse sarebbe diretto verso la Turchia.
Alla base di questi movimenti ci sarebbero le sanzioni: mentre l’Unione europea e Stati Uniti hanno deciso da subito di aprire un fronte economico nell’opposizione alla Russia, la Turchia ha preferito una linea più morbida. Come documentato da Agi in questi giorni si stanno registrano diversi casi di cittadini russi che per fuggire dalla crisi economica aprono conti bancari in Turchia
Nelle scorse settimane i portali che raccolgono i dati di navigazione delle barche e quelli che seguono il traffico aereo hanno avuto un’improvvisa crescita di interesse.
È qui che migliaia di persone hanno cominciato a seguire le rotte di yacht e jet degli oligarchi russi, tanto che su Twitter fioriscono account che pubblicano aggiornamenti in automatico su ogni spostamento e soprattutto dei sequestri. Alex Finley, ex ufficiale della Cia ha parlato al Washington Post di uno Schadenfreude collettivo, quel sentimento che di gioia che si prova talvolta a guardare da lontano i guai altrui. Non sorprende quindi che le proprietà degli oligarchi più noti non possano spostarsi nemmeno di un porto prima che qualcuno le riconosca.
Secondo gli account Twitter che hanno tracciato il suo percorso, Solaris ha costeggiato le acque di tutti i Paesi europei che hanno messo sanzioni sul suo patrimonio.
(da agenzie)
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