Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
MISSILI ANTICHI E INDICAZIONI SBAGLIATE
Il Sukhoi Su-34 avrebbe dovuto essere la rivoluzione dell’aviazione russa. Il cacciabombardiere ha inaugurato una nuova era, appunto, dei bombardamenti di precisione ad alta tecnologia. E invece nella guerra in Ucraina hanno riscontrato vecchi e antichi problemi: in particolare a rendere complicate le missioni sopra i cieli di Kiev e dintorni sono state la mancanza di munizioni comandate di precisione, oltre ad una dottrina russa che da sempre concepisce gli aerei come artiglieria volante.
Così gli aerei da guerra da 50 milioni di dollari sono costretti a volare spesso a quote molto più basse rispetto a quelle che pure avrebbero in dote, esponendosi al fuoco nemico ucraino che può colpirli con più sicurezza.
Di conseguenza, i Su-34 stanno cadendo dal cielo in numero sorprendente, quasi come la flotta più antica che li ha preceduti. I primi Su-34 sono arrivati nel 2008 (erano 32), poi un’altra flotta da 92 è arrivata nel 2012. Nel 2021 i russi possedevano 122 Su-34 in diversi reggimenti. Entro il 2030 tenendo anche conto delle perdite, secondo Forbes il numero potrebbe arrivare a 200.
Il piano, da sempre, prevedeva che il Su-34 sostituisse il Su-24 vintage degli anni ’70, di cui ne restavano in servizio circa 70. Il nuovo Su-34 ha una tecnologia incredibile per il mondo dell’aviazione: cabina di pilotaggio con due persone, può colpire obiettivi fino a 600 miglia di distanza trasportando 12 tonnellate di bombe e missili, inclusi i missili aria-aria.
Un jet da 22 tonnellate armato con un cannone da 30 millimetri e un radar che consentirebbe, in modo simile al Boeing F-15E (il cacciabombardiere da lavoro dell’aeronautica militare) di adottare una serie di missile e bombe comandati di precisione.
La mancanza di munizioni (per colpa del prezzo)
Ma c’è una differenza fondamentale. Laddove gli americani ogni anno acquistano migliaia di missili e bombe a guida satellitare, laser e infrarossi, addestrandosi spesso con loro e usandoli in combattimento quasi eliminando le armi non guidate, i russi hanno praticamente smesso di acquistare munizioni comandate anni fa a causa del loro costo elevato e, dopo il 2014, per effetto delle sanzioni estere sui produttori russi di bombe e missili.
Quindi, mentre il Su-34 può trasportare munizioni comandate ma di fatto non lo fa quasi mai. «La maggior parte dei 300 aerei da combattimento ad ala fissa dell’aviazione russa in giro per l’Ucraina ha solo bombe e razzi non guidati a cui attingere per attacchi sulla terra», ha detto Justin Bronk in una recente analisi per il Royal United Services Institute di Londra.
La dottrina russa
Analisti indipendenti hanno confermato la distruzione di quattro Su-34 in Ucraina. Secondo quanto riferito, gli ucraini hanno catturato vivo almeno un pilota di Sukhoi, Alexander Krasnoyartsev. Peggio nei cieli dell’Ucraina è andata solo al jet subsonico Su-25, che vola ancora più basso e più lentamente del Su-34.
Resta il fatto che i Su-34 stiano perdendo la battaglia nei cieli, prede di missili a corto raggio guidati da tv o infrarossi. Missili che hanno una portata di poche miglia ma che riescono a colpire i super jet russi. Che se solo impiegassero missili o bombe di precisione, potrebbero lanciare le proprie munizioni da decine di miglia di distanza e da 3-4 miglia in alto, mettendole fuori dalla portata di qualunque difesa aerea a corto raggio.
Ma non sono solo i limiti della tecnologia a mettere in pericolo i Su-34. Anche l’aereo da guerra più sofisticato è schiavo della dottrina di chi è al comando: così le regole che indicano come muoversi che arrivano dall’esercito, non lascia libera l’aviazione per perseguire la propria campagna.
Nella dottrina russa, gli aerei sono estensioni della forza di terra. Sono artiglieria aviotrasportata: veicoli rigidi per l’erogazione di un’enorme potenza di fuoco.
(da Il Messaggero)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
OBIETTIVO 300 MILIONI DI DOLLARI PER ACQUISTARE 12 VELIVOLI CON UNA TECNOLOGIA MIGLIORE DI QUELLI DEL CREMLINO
All’Ucraina servono due squadroni di aerei F-15 o F-16 per riuscire a combattere i russi: a dirlo è Sean Penn, che ha lanciato un appello, chiedendo a un miliardario di mettere a disposizione le sue risorse economiche e acquistarli per aiutare il Paese. Poche ore prima della richiesta di Penn, anche l’aviazione ucraina aveva fatto domanda per ottenere caccia di fabbricazione statunitense; l’attore ha specificato che ci sarebbe bisogno di 300 milioni di dollari per acquistare 12 velivoli con una tecnologia migliore di quella del Cremlino. –
L’impegno di Sean Penn è stato molto evidente sin dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, avvenuto mentre lui stesso si trovava a Kiev: l’attore è stato impegnato per mesi nelle riprese di un documentario sul Paese e il suo presidente, Volodymyr Zelenksy.
La scorsa settimana, in occasione della cerimonia degli Oscar, Penn ha lanciato un appello all’Academy, chiedendo di dare voce al presidente ucraino nel corso della serata.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
“I RUSSI SOPRAFFATTI DALLA NOSTRA ARMATA DIGITALE“
Prima che i tank russi arrivassero in Ucraina, il ministro classe 1991 doveva occuparsi della digitalizzazione del Paese. Ora è il generale dell’It Army che compie attacchi informatici alle società e banche russe
Mykhailo Fedorov è nato il 21 gennaio del 1991. Pochi mesi dopo il Parlamento ucraino avrebbe dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Per lui l’Ucraina è Ucraina. Non è mai stata Russia, non è mai stata un’invenzione di Lenin, non è mai stata niente di tutto quello che Vladimir Putin ha usato per giustificare l’invasione delle truppe di Mosca.
Nel 2019 Fedorov è entrato nella squadra scelta da Volodymyr Zelensky per formare il suo governo. Il suo incarico era quello di ministro alla trasformazione digitale ma da quando è iniziata la guerra in Ucraina è diventato il generale che guida tutte le operazioni sul fronte digitale.
È lui che ha lanciato l’IT Army, l’esercito di hacker che lavora per l’Ucraina. È lui che ha chiesto a Elon Musk di aprire a tutto il Paese la rete di satelliti Starlink per restare connessi a internet. Ed è sempre lui che ha fatto pressione sulle Big Tech per chiudere le porte alla Russia.
Cosa significa per te Ucraina?
«Io ho la stessa età del nostro Parlamento. L’Ucraina è il mio Paese. Non riesco a immaginare di vivere da qualche parte fuori. È la mia patria. È una terra di libertà. Ed è una terra di persone creative e coraggiose. Sono orgoglioso di essere ucraino. L’indipendenza significa molto per me».
Dov’eri il giorno in cui è iniziata l’invasione?
«Ero a casa con la mia famiglia. L’invasione è iniziata al mattino presto. Eravamo tutti insieme in quel momento».
In queste settimane hai guidato il fronte della guerra digitale. Quando sei entrato nel governo, i tuoi progetti erano diversi. Cos’è il piano State in Smartphone?
«State in smartphone è un progetto avviato dal presidente Zelensky. È una delle sue promesse durante la campagna elettorale e una delle prime cose che ha iniziato a fare dopo essere diventato presidente. Questo progetto è in realtà alla base del motivo per cui nasce il ministero della Trasformazione Digitale. L’obiettivo principale è un’interazione facile, rapida ed efficace con lo Stato per cittadini e imprese tramite smartphone, tablet o laptop senza burocrazia e code. Abbiamo un obiettivo più che ambizioso: trasferire tutti i servizi pubblici in modalità online entro il 2024».
A che punto era questo progetto prima della guerra?
«Stava andando bene. Avevamo ottenuto diversi risultati».
Come è cambiato il tuo lavoro con la guerra?
«Il processo di digitalizzazione continua anche sotto gli attacchi dei missili e in mezzo a una guerra su vasta scala con la Russia. La nostra app Diia ora non si occupa solo di raccogliere documenti digitali o consentire l’identificazione dei cittadini ai posti di blocco. È anche un canale per sostenere finanziariamente il nostro esercito tramite le donazioni, fornisce report accurati sul sul movimento delle truppe militari e consente l’accesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7 a TV e radio. Inoltre, sempre con Diia, c’è anche la possibilità di prova l’esperienza di un operatore di droni Bayraktar. Abbiamo lanciato il minigioco eBayraktar».
Quali sono ora i servizi digitali più richiesti dalla popolazione?
«Di sicuro ci sono tutti i servizi per l’identificazione della persona attraverso i documenti digitali. In queste settimane abbiamo lanciato una nuova piattaforma per i documenti digitali: si chiama eDocument, funziona anche senza internet e permette di raccogliere i dati più importanti per i cittadini. C’è poi il portale ePidtrymka: qui invece i cittadini dai fronti più pericolosi della guerra possono chiedere assistenza statale con pochi click. In questi giorni abbiamo aperto anche un nuovo registro digitale dedicato agli imprenditori: al momento i cittadini ucraini hanno già aperto mille attività. L’ultimo servizio che abbiamo creato, sempre attraverso l’app Diia, permette ai cittadini di segnalare i danni causati dalla guerra alle loro proprietà e richiedere una compensazione da parte dello Stato».
Come fate a difendere tutto questo sistema dagli attacchi hacker?
«La sicurezza informatica e la protezione dei dati in tempo di pace e in tempo di guerra sono molto diverse. Non solo dobbiamo resistere a numerosi attacchi DDoS e vari tentativi di sabotaggio, ma anche garantire la sicurezza fisica dei registri governativi. Abbiamo dovuto organizzare urgentemente una posizione sicura per i server e per le strutture dove vengono conservati i backup. Questa forse è la parte più difficile: garantire la disponibilità del servizio e la migrazione dei dati in caso di emergenza. Ma finora abbiamo avuto successo».
Come è nata la strategia per fare pressione sulle Big Tech?
«Fin dal primo giorno di guerra, ci siamo resi conto che dovevamo elaborare una strategia completamente nuova per contrastare l’aggressione militare russa. Una guerra moderna richiede soluzioni moderne. Questa è anche una guerra tra passato e futuro. Il passato è pieno di equipaggiamento militare, goffi carri armati e una propaganda fuori controllo. Il futuro è tutto sulla tecnologia. Per questo motivo una nuova strategia militare deve includere nuove soluzioni. È così che mi è venuta l’idea di un blocco digitale. Questa strategia di embargo punta a bloccare la Russia in ogni modo possibile. Credo alla fine la tecnologia vincerà la guerra».
Qual è l’obiettivo di tutta questa campagna?
«L’impatto della guerra non deve essere avvertito solo dal governo russo ma da ogni cittadino russo. Vogliamo che i russi si muovano e comincino a protestare contro il regime di Putin perché sta uccidendo non solo i bambini ucraini, ma anche l’economia russa. Ora il mondo è diviso in bianco e nero. Siamo convinti che se un’azienda sceglie di collaborare con la Federazione Russa, sceglie il lato oscuro e supporta il sangue, la morte dei bambini e la distruzione causata dai missili».
Con quante aziende avete parlato per imporre questo blocco?
«A dire il vero questa “diplomazia della Silicon Valley” è cominciata ben prima della guerra. Dall’inizio di questo governo abbiamo cercato ottenere per l’Ucraina servizi che fossero più personalizzati. Nel settembre 2021 ho partecipato a una visita molto importante negli Stati Uniti insieme al presidente Zelensky. Abbiamo incontrato molti Ceo delle migliori aziende di tecnologia del mondo e ora questi contatti ci hanno aiutato a imporre sanzioni alla Russia. Questo processo è stato avviato in modo rapido ed efficiente, visto che avevamo già stabilito creato un canale con Apple, Google e Meta. Ad oggi, abbiamo contattato più di 500 aziende di tecnologia».
Quali sono stati i risultati?
«Dipende molto dalle aziende. Alcune hanno mostrato un sostegno e una posizione significativa interrompendo tutti i tipi di operazioni in Russia e donando somme di denaro enormi per sostenere l’esercito ucraino o per far fronte ai bisogni umanitari. Altre aziende cercano di rimanere invece in una “zona grigia”. Ad esempio hanno dichiarando di aver interrotto le operazioni di esportazione e importazione, annunciando ovunque di aver interrotto il commercio con la Russia. Ma poi si è scoperto che vendono ancora prodotti lì. E poi ci sono le aziende che cercano di ignorare tutto e rimanere in silenzio il più possibile. Ma non è più il momento di tacere. Oggi devi scegliere: o continui a finanziare gli omicidi dei bambini ucraini o fai di tutto per fermarli».
Elon Musk ha messo a disposizione la sua rete di satelliti Starlink per mantenere la connessione dopo la vostra richiesta su Twitter. Come è nata questa collaborazione?
«Il nostro ministero era in dialogo con il team di SpaceX prima della guerra. Stavamo discutendo insieme di alcuni progetti. Quello che si è visto sui social è solo la punta dell’iceberg di un lungo lavoro cominciato prima della guerra».
Qual è lo stato della connessione Internet in Ucraina?
«La Russia sta distruggendo tutte le nostre infrastrutture per lasciare il territorio dell’Ucraina senza comunicazioni: l’obiettivo è cancellare la copertura di rete mobile, le trasmissioni radiofoniche e televisive. Ora la connessione internet è debole soprattutto nelle zone dove le operazioni militari sono più attive. Questo succede soprattutto nella regione di Kiev, in luoghi come Irpin, Bucha, Gostomel o Vorzel. A volte la connessione non riesce ad essere di alta qualità nemmeno a Kharkiv, Cherson e Chernihiv. A Melitopol invece la connessione è molto bassa. Ora tutti gli operatori statali per le telecomunicazioni stanno lavorando per mantenere il livello di connessione più alto possibile».
Chi si occupa di riparare e tenere in funzione tutte queste strutture?
«I nostri specialisti sono dei veri eroi. Riparano le infrastrutture danneggiate e ripristinano il segnale davvero in fretta. Molti lavorano anche sotto i bombardamenti. Alcuni di loro sono morti mentre portavano a termini i loro compiti. Oltre a tutto questo lavoro abbiamo fornito all’Ucraina la connessione Starlink in un modo che non si era mai visto prima. Migliaia di terminali Starlink operano dove ci sono problemi di connessione e in aree remote. Questa tecnologia aiuta a rimanere connessi a internet anche in situazioni specifiche, come nel caso di ospedali, infrastrutture strategiche o aziende che si occupano di tecnologia».
Un fronte importante in questa guerra digitale è quello degli attacchi hacker. Nei primi giorni di guerra avete aperto l’IT Army, un progetto aperto a chiunque avesse competenze informatiche e volesse contribuire ad attaccare la Russia.
«È come ho già detto: la guerra moderna richiede soluzioni moderne. L’Ucraina è una terra di talenti digitali ed è un crimine non usarli. Nei primi giorni di guerra, ho ricevuto così tante offerte di aiuto dalle aziende IT che la mia casella di posta è quasi esplosa. Abbiamo deciso di rafforzare il nostro fronte informatico con i volontari. La Russia attacca le strutture del nostro governo dal 2014, prima di questa guerra noi non abbiamo mai risposto a questi attacchi. Ci siamo solo difesi. Dal 24 febbraio abbiamo iniziato ad attaccare anche noi».
I volontari dell’IT Army sono migliaia: come li coordinate?
«Non posso rivelare tutto. Alcuni obiettivo però sono pubblici e si possono vedere nella chat aperta di Telegram IT Army. Questo esercito porta avanti attacchi cyber e DDoS alle strutture informatiche di società commerciali russe (Gazprom, Lukoil), alle banche (Sberbank, VTB, Gazprombank) e anche ai portali del governo (Servizio Civile russo, Cremlino e Parlamento)»
Pensi che la Russia sia attrezzata per vincere una cyberwar?
«Quello che so per certo e che posso condividere con voi è che la Russia subisce appieno l’impegno del nostro It Army. Penso che la nostra guerra cibernetica sia molto piu efficiente».
Come sarà l’Ucraina tra un mese?
«Non voglio indovinare o fare previsioni su cosa accadrà tra una settimana o un mese. Io e la squadra del ministero, i volontari e l’Esercito continueremo a fare il nostro lavoro per avvicinarci alla vittoria. Sono abbastanza sicuro che vinceremo. Prima o dopo. Meglio prima».
(da Open)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
SI ERANO MESSI A SCAVARE TRINCEE NELLA FORESTA ROSSA, LA ZONA PIU’ CONTAMINATA…L’AGENZIA UCRAINA CHE GESTISCE IL SITO: “NESSUNA SORPRESA CHE GLI OCCUPANTI ABBIANO RICEVUTO UNA SIGNIFICATIVA DOSE DI RADIAZIONI E SIANO ANDATI NEL PANICO AI PRIMI SEGNI DI MALESSERE”
Un centinaio di veicoli militari in due colonne, con quasi 400 soldati russi alcuni dei quali contaminati dalle radiazioni di Chernobyl.
Il viaggio del terrore delle forze di occupazione russe, in fuga dal sito della centrale che la notte del 25 aprile 1986 esplose provocando la più grande catastrofe nucleare mai vista, è cominciato e si è concluso ieri in Bielorussia e il sito sarebbe tornato sotto il controllo delle autorità ucraine a cui l’avrebbero consegnato i responsabili della Guardia nazionale russa che svolge compiti di polizia militare.
Ufficialmente, la manovra rientra nelle operazioni di disimpegno e riposizionamento dei russi a nord di Kiev, per consentire l’alleggerimento e la sostituzione con truppe fresche.
I SINTOMI
I militari su cui sarebbero stati riscontrati effetti e sintomi di un eccessivo livello di radiazioni sarebbero sotto osservazione in un centro specializzato nella cittadina bielorussa di Gomel, sede di parte dei negoziati tra russi e ucraini delle ultime settimane.
A seguire nella notte, con il favore del buio, avrebbe passato il confine con la Bielorussia una teoria di pullman-fantasma con salme di soldati russi uccisi in combattimento. Le voci di contaminazione nucleare, come tutte quelle che riguardano Chernobyl conquistata nei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina, sono sufficienti a scatenare la paura tra gli abitanti di città e villaggi vicini (e non solo).
L’Agenzia di Stato ucraina che gestisce Chernobyl, sarebbe che i soldati russi si erano messi a scavare trincee nella spettrale, monumentale Foresta Rossa, chiamata così perché si colorò di rosso sangue, in un’esplosione di autunno nucleare, quando nell’86 fu investita dai fumi radioattivi e rientra oggi nella zona di alienazione o esclusione attorno alla centrale.
Ci vivono solo gruppi dispersi di contadini che si sono sempre rifiutati di lasciare le loro case, e una popolazione ancora poco conosciuta di fauna selvaggia che negli anni si è riversata in tutta quest’area dimenticata dall’uomo.
La guerra ha provocato incendi visibili da droni e satelliti, che però sono ricorrenti in un’area in cui gli organismi che decompongono i residui organici non sopravvivono agli effetti delle radiazioni e lasciano il campo a rami e radiche
«I militari che occupavano il sito» ha annunciato Energoatom «hanno comunicato in mattinata al personale ucraino della stazione l’intenzione di lasciare l’impianto nucleare di Chernobyl. I soldati russi hanno scavato trincee nella Foresta Rossa, nella zona più contaminata. Nessuna sorpresa che gli occupanti abbiano ricevuto una significativa dose di radiazioni e siano andati nel panico ai primi segni di malessere. Tutto è successo con grande rapidità».
LA SICUREZZA
Alzando la terra, i soldati hanno disperso nell’atmosfera componenti radioattivi che si erano accumulati nel suolo, spiega Antonio Ereditato, fisico delle particelle elementari e docente alla Yale University.
«Che la centrale sia invece il luogo più sicuro dove stare lo dimostra il fatto che non si registrerebbero casi di contaminazione radioattiva tra gli operai». Sono oltre 200 gli ucraini che garantiscono la sicurezza della centrale.
Il rischio reale, a detta di Ereditato, sarebbe nullo. I reattori sarebbero ben protetti, mentre un discorso a parte va fatto per il combustibile stoccato, «che di solito non gode di tutte le sicurezze del reattore attivo, ma viene messo in una piscina in attesa, anche per anni, di esser sistemato nei centri di raccolta».
Che senso ha bombardare una centrale nucleare, se la nube radioattiva colpirebbe anche i russi e la Russia? Ma se il rischio non è alto, l’impatto psicologico di ogni piccolo incidente è enorme. E l’incognita più grave riguarda l’interruzione di elettricità: le piscine vanno continuamente raffreddate. La sera dell’attacco russo, infatti, entrarono in funzione i gruppi elettrogeni.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
“IMPOSSIBILE DIMENTICARE QUELLO CHE HO VISTO, RUSSI PEGGIO DEI NAZISTI”
Non c’è tempo per piangere per chi è o è stato a Mariupol. Per chi ha assistito al disastro umanitario. “Ai pianti infiniti, incessanti dei neonati, affamati. Allo sguardo disperato delle madri che non hanno più latte per loro. Ai furti nei negozi per trovare un po di porridge. Ai fuochi per le strade per cucinare per i loro piccoli bambini, sciogliere la neve e dissetarsi, riscaldarsi…Ho visto l’inferno. Ed ho avuto paura ma non ho pianto ed ho promesso che piangerò solo il giorno della nostra vittoria”. Kateryna Yerska, 31 anni, giovane imprenditrice originaria di Odessa, trasferitasi per ironia della sorte qualche mese fa a Mariupol dove durante i bombardamenti russi ha lavorato da volontaria, è scappata lo scorso 16 marzo ed ancora sotto choc parla con l’Adnkronos, da una cafetteria della sua città natale dove “la vita sembra procedere in modo normale”.
“Ho visto i carri armati russi e quella Z. Ho visto i mercenari ceceni; i veicoli distrutti. Ho visto il nemico intimidire i civili ai check point dei corridoi umanitari. Il loro odio per noi volontari che ci ha spinti ad andar via. Ma il mio dolore più grande – afferma ingoiando la commozione – è per quei bambini che sono rimasti a Mariupol. E’ incredibile che nel ventunesimo secolo dei bimbi siano vittime di tutto questo”. Kateryna fa una pausa, e riprende: “Ero lì quando hanno bombardato il teatro. Sono scappata verso Odessa quando sono cominciati i combattimenti nelle strade. Provengo da una famiglia conservatrice sovietica, la propaganda russa ci ha sempre parlato di fratellanza fra Kiev e Mosca. Ma la realtà è un’altra: la Russia è il nostro nemico. Sono pazzi. Peggio dei nazisti. Noi abbiamo rivissuto la seconda guerra mondiale. Abbiamo visto l’inferno. E chi non era lì non può crederlo”.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE AVEVA PRESO TEMPO PER DECIDERE
La Fiba (la federazione internazionale di basket) ha preso tempo fino al mese di maggio per decidere se estromettere dalle competizioni internazionali la nazionale russa per via della guerra in Ucraina.
Una sanzione a livello sportiva presa già da moltissime altre federazioni internazionali di varie discipline. In attesa di un pronunciamento, la Nazionale italiana di basket ha annunciato il suo rifiuto di scendere in campo contro la Nazionale russa. Il match è in programma il prossimi 1° luglio ed è valido per le qualificazioni al Mondiale del 2023.
Già nei giorni scorsi il presidente della FIP (Federazione italiana pallacanestro) Gianni Petrucci aveva già redarguito la FIBA per quella non-decisione al livello di club e di nazionali:
“Non ci sto. La volontà di tenere ancora in sospeso la valutazione circa l’eventuale esclusione della Russia dalle competizioni Fiba è a mio avviso pilatesca. La tragedia in Ucraina è ancora in corso e speriamo possa concludersi nel più breve tempo possibile ma questo non cancellerà ciò che sta avvenendo da più di un mese a questa parte”.
E oggi è arrivata anche la dichiarazione da parte del Presidente del Coni Giovanni Malagò che appoggia a cento per cento la posizione di Petrucci:
“Il Cio è stato chiaro, non può obbligare le federazioni internazionali, ci ha detto però cosa pensa sia giusto fare. Solo basket e biathlon hanno preso tempo e non va bene. L’Italia non giocherà e come ha detto Petrucci come anche Olanda e Islanda non giocheranno con la Russia, il Coni è con Petrucci”.
In attesa della mossa della FIBA, dunque, la Nazionale italiana basket non scenderà in campo contro la Russia il prossimo 1° luglio. Qualsiasi sarà la decisione che sarà presa a maggio dalla Federazione internazionale.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
CHI SONO I MERCENARI DEL GRUPPO WAGNER E CHI E’ DMITRY UTKIN, IL LORO CAPO
Usare i neonazisti per “denazificare” l’Ucraina. La macabra tovata di Vladimir Putin e delle sue camicie brune: il Gruppo Wagner. Pochi dubbi infatti sulle idee politiche di Dmitry Utkin, l’ex militare russo e amico personale dello Zar, a capo del Wagner Group, la brigata di mercenari che si è fatta conoscere anche lontano dal Donbass dove opera dal lontano 2014 a “difesa” della autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk e in Crimea sul fronte filorusso.
Il gruppo di paramilitari risulta ora attivo nella guerra che Mosca ha mosso contro l’Ucraina e il presidente Zelensky: quest’ultimo sarebbe l’obiettivo dei paramilitari cui viene affidata la missione più difficile: la stessa fallita, sempre secondo fonte ucraine, alla milizia cecena trucidata dall’esercito regolare di Kiev
La carriera
Figlio di un geologo di Asbest, serve fino al 2013 l’esercito russo come comandante del 700° distaccamento speciale separato delle Forze armate di stanza a Pechora, nell’oblast di Pskov. Nove anni fa la scelta di vita: si unisce in Siria al Corpo slavo gruppo paramilitare che combatteo al fianco del presidente siriano Bashar al-Assad. Nel 2014 il ritorno in patria.
Nello stesso anno Dmitry lavora per una società privata di sicurezza, la Moran, che diventa l’embrione del Wagner Group, dove confluiscono membri del Corpo Slavo e veterani delle forze armate. L’omaggio a Wagner è presto spiegato: era il compositore preferito di Adolf Hitler.
La brigata combatte al fianco dei separatisti filorussi in Donbass e in Crimea, uccidendo comandanti del fronte opposto, e scontrandosi con la Brigata Azov, nazionalisti ucraini. Nel 2015, Utkin torna in Siria con i suoi mercenari e molti di questi muiono nella battaglia di Palmira. Il gruppo combatte anche in Libia.
Se sugli incarichi imprenditoriali per conto del miliardario Prighozin, a sua volta ritenuto a capo di un’organizzazione di hacker russi ingaggiati contro le potenze occidentali, ci sono dei dubbi certa è stata la presenza di Utkin al Cremlinodurante la celebrazione della Festa degli Eroi della Patria il 9 dicembre 2016.
Il soldato – divorziato – in quell’occasione ha ricevuto quattro onorificenze speciali per coraggio ed eroismo nella guerra in Siria, prima di venire fotografato con il presidente Vladimir Putin con cui avrebbe un rapporto molto stretto
Leonardo Bianchi per Valigiablu: “Subito prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina – annota Bianchi – alcuni funzionari dell’intelligence occidentale avevano detto al New York Times che circa 300 membri della compagnia erano entrati nelle sedicenti “repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk – sia per condurre falsi attentati e incolpare gli ucraini, sia per supportare i separatisti (come del resto avevano fatto nel 2014).
Secondo un mercenario intervistato dalla BBC, sempre nel periodo antecedente l’invasione, molti veterani della Wagner erano stati contatti su Telegram e invitati a partecipare metaforicamente a un “picnic in Ucraina” per assaggiare il ‘Salo’(la pancetta di maiale, un piatto tipico ucraino). Lo stesso aveva poi parlato dell’intensificazione della campagna di reclutamento in vista dell’aggressione dell’Ucraina.
Movimenti di soldati della Wagner si sono registrati anche in Africa. Il sito HumAngle, fondato dai giornalisti nigeriani Obiora Chukwumba e Ahmad Salkida, ha riportato che diversi membri del gruppo hanno lasciato la Repubblica Centrafricana all’inizio di marzo. In un’intervista a The Voice of America, il generale americano Stephen Townsend (comandante dello U. S. Africa Command), ha parlato di “reclutamento” di mercenari russi in Libia.
L’8 marzo è emersa la prima prova della loro presenza sul campo. La pagina Facebook del Direttorato dell’intelligence militare ucraina ha postato la foto di una strana targhetta militare: su un lato si vede un indirizzo mail e un numero siriano; sull’altro c’è la scritta “per piacere aiutateci e contattateci” in inglese, francese e arabo.
Nel testo d’accompagnamento si sostiene che la targhetta in questione appartiene a un mercenario della Wagner, i cui membri – prosegue il post – “stanno morendo” e “combattendo insieme all’esercito dell’aggressore”. Il 22 marzo, una fonte del Pentagono ha confermato che “il gruppo Wagner è attivo in Ucraina, e pensiamo che stazionino soprattutto nell’area del Donbass”.
Tuttavia, è difficile conoscere appieno il numero reale di mercenari impiegati in Ucraina le loro attività sul campo. Del resto, ha detto la ricercatrice Aaanu Adeove a iNews le compagnie militari private sono tendenzialmente “organizzazioni molte oscure” che si muovono nella zona d’ombra informativa creata dalla cosiddetta “nebbia di guerra (‘fog of war’).Nel caso specifico c’è un ulteriore elemento di complessità: sulla carta, il gruppo Wagner non esiste nemmeno.
La prima cosa da capire del gruppo Wagner, ha scritto Amy Mackinnon su Foreign Policy, è che “non c’è nessun gruppo Wagner” – a partire dal punto di vista legale. La legislazione russa proibisce esplicitamente le compagnie militari private e, almeno a parole, non ha alcuna tolleranza verso i mercenari.
Da un punto di vista sostanziale, continua Mackinnon, più che un’entità monolitica è
una rete di affaristi e gruppi di mercenari uniti da interessi economici […] e coinvolti in varie attività, tra cui la soppressione di insurrezioni e proteste pro-democrazia, la diffusione di disinformazione, lo sfruttamento di miniere di oro e diamanti, e naturalmente le operazioni militari.
Ma come si è arrivati a questo punto? E qual è il vero ruolo del “gruppo Wagner” all’interno dell’apparato di potere putiniano? E cosa differenzia questa compagnia militare privata russa da quelle di altri paesi, tipo l’americana Blackwater?
La nascita, come detto, risale al 2014 nell’Ucraina dell’est – ma il modello di riferimento è ancora più risalente, essendo il prodotto dell’inestricabile intreccio tra l’interesse pubblico e gli interessi privati nella Russia post-sovietica.
In particolare, ricostruisce un paper di Candace Rondeaux pubblicato sul sito New America, le basi per l’ascesa delle compagnie private militari russe vengono gettate negli anni Novanta, quando l’allora presidente Boris Yeltsin permise ai colossi energetici e petroliferi (da poco privatizzati) di costruirsi dei veri e propri “eserciti privati”.
In quel periodo molti membri di corpi d’élite dell’esercito passano nel settore della sicurezza aziendale, mantenendo comunque i legami con le forze armate e soprattutto i servizi di sicurezza militari dominati dai siloviki (gli “uomini forti” fedeli a Putin).
Una delle prime compagnie a utilizzare questa formula è Anti-Terror Orel, fondata da veterani dell’intelligence militare e degli spetsnaz (corpi speciali). Negli anni Novanta, membri del gruppo Orel sono ingaggiati in Iraq per sminare i terreni e proteggere infrastrutture energetiche.
Alla fine dello stesso decennio l’ex agente del Kgb Vyacheslav Kalashnikov crea il Moran Security Group. Inizialmente si specializza in operazioni anti-pirateria nel golfo di Aden e nell’Oceano Indiano, e in seguito espande le sue attività e il proprio raggio d’azione in Iraq, Somalia, Afghanistan e altri paesi.
Dopo la prima apparizione ufficiosa nell’Ucraina dell’est, i mercenari della compagnia militare privata sono volati in Siria per combattere a fianco delle truppe governative di Bashar al-Assad e dell’esercito russo. In base a vari resoconti il “gruppo Wagner” ha contribuito alla riconquista di Palmira, ha preso parte a operazioni contro l’Isis e si è occupato della sicurezza di giacimenti petroliferi e oleodotti – in cambio, ovviamente, di una considerevole quota dei profitti.
Non solo: ha commesso diversi crimini di guerra, compresa la decapitazione del disertore dell’esercito siriano Muhammad “Hamdi Bouta” Taha al-Abdullah (un brutale omicidio ripreso in video, su ordine di Utkin in persona); e nel 2018 si è addirittura scontrato con membri delle forze speciali statunitensi in una battaglia di quattro ore svoltasi intorno alla centrale di gas di Conoco a Deir el-Zor, dove ha subito pesanti perdite (le stime variano dai cento ai duecento morti).
Per i servizi resi in Ucraina e Siria, comunque, nel dicembre del 2016 Utkin è stato premiato con una medaglia al valore al Cremlino, alla presenza di Vladimir Putin. Oltre alla Siria, il “gruppo Wagner” è stato impiegato in vari paesi africani. Tra il 2019 e il 2020 si è unito al Libyan National Army (“Esercito nazionale libico”) del generale Khalifa Haftar, partecipando al fallito assedio di Tripoli e all’offensiva contro il premier Fayez al-Serraj e il Governo di accordo nazionale.
Una inchiesta della Bbc, resa possibile dal ritrovamento di un tablet appartenente a un mercenario di Wagner, ha rivelato che anche in Libia la compagnia privata militare si è resa responsabile di crimini di guerra, tra cui l’uccisione indiscriminata di cittadini e prigionieri, nonché la disseminazione di mine ed esplosivi in aree civili.
Nel settembre del 2019 i mercenari russi sono arrivati in Mozambico per reprimere le milizie jihadiste di Al-Shabaab (legate all’Isis) nella regione di Cabo Delgado, ricca di gas naturale e pietre preziose. Stando al Moscow Times l’incarico è stato affidato dal presidente Filipe Nyusi, che nell’agosto dello stesso anno era stato in visita a Mosca per siglare con Putin diversi accordi di cooperazione su energia e sicurezza.[…].
I servizi della compagnia militare privata, che comprendono anche l’addestramento dell’esercito locale, sono ripagati con contratti per la “sicurezza” delle miniere di oro e diamanti e soprattutto con le concessioni esplorative nei giacimenti, stipulate con aziende riconducibili all’oligarca russo…
Osservando questi casi, è evidente che il “gruppo Wagner” persegue obiettivi geopolitici, militari e commerciali che sono perfettamente sovrapponibili a quelli dello stato russo. Non a caso, un’inchiesta della Bbc l’ha descritto come ”l’esercito privato di Putin”.
I governi che si sono rivolti ai mercenari della Wagner, del resto, l’hanno fatto proprio per le loro connessione politiche e militari di alto livello; gli stessi mercenari, inoltre, sono convinti di agire per conto del governo russo.
Dopotutto si addestrano nella base di “Molkino” a Krasnodar, di fianco alle baracche del Gru; hanno combattuto fianco a fianco con i soldati regolari, si sono spostati con i mezzi dell’esercito e sono stati curati negli ospedali militari; Utkin è stato premiato da Putin in persona; e alcuni dei loro caduti hanno ricevuto gli onori funebri militari.
Nel documentario di France 5intitolato Wagner, l’arméè de l’ombre de Poutine,,un soldato della Wagner dice ai giornalisti francesi che “al momento la Federazione russa non è ancora un impero, ma vuole tornare ad esserlo…il gruppo Wagner è uno degli strumenti per farlo”.
Un altro, parlando con il giornale russo Moskovsky Komsomoletsma a proposito del disastro di Deir el-Zor, spiega che i caduti della Wagner “erano andati a difendere la Russia ai confini della nostra sfera d’influenza. Sono morti per la patria, per un’idea”.
Marat Gabidullin – l’unico ex membro di Wagner ad aver pubblicato un libro di memorie sulle sue esperienze in Siria, ha detto a Meduza che nella preparazione delle missioni era chiaro a tutti che “si partecipava a guerre dove il nostro stato ha interessi”.
Per Gabidullin “i sacrifici dei mercenari” nel conflitto siriano sono stati molto più decisivi di quanto non sia mai stato raccontato, e i successi della compagnia sarebbero stati sfruttati dagli ufficiali dell’esercito russo per fare carriera.
Quello che manca davvero, a suo avviso, è una forma di riconoscimento da parte dello stato. “Tutto il mondo sa che una compagnia militare privata è coinvolta nei combattimenti“, dice, “solo i nostri non lo ammettono”…
Fin qui la dettagliata analisi di Bianchi.
Secondo gli analisti della Nazioni Unite, contractor militari russi sono impegnati in Libia in operazioni “su vasta scala” — dal training al fronte — per sostenere le ambizioni politiche armate di Haftar. Ci sarebbero tra gli 800 e i 1200 uomini del gruppo Wagner, che operano attivamente in Libia almeno dal 2018. Tra questi ci sono anche una quarantina di cecchini in prima linea sul fronte tripolino. Sono ex forze speciali che mesi fa hanno fatto la differenza pro-Haftar, e da quando hanno un po’ allentato le attività il capo miliziano dell’Est ha iniziato a indietreggiare.
Nel report ci sono le immagini di questi professionisti della guerra e prove tecniche circostanziali, come la presenza in Libia di granate Vog-25 da 40 mm, che sono state utilizzate dagli agenti Wagner nell’Ucraina orientale e in Siria.
Questi sarebbero i liberatori dell’Ucraina dal giogo nazista. Verrebbe da ridere se non fosse una tragedia. Immane.
(da Globalist)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
”IL PRESIDENTE NON ASCOLTA PIU’ NESSUNO”
La giornalista indipendente russa Farida Rustamova, tra i pochissimi ad avere accesso al “cerchio magico” di Putin, nel suo ultimo blog racconta l’atmosfera sempre più cupa che circonda il presidente Vladimir Putin.
“Non vuole parlare più con nessuno. Inutile tentare di convincerlo a fermarsi in Ucraina,” le riferiscono diverse fonti russe.
Secondo la giornalista Putin non crede nei negoziati di pace se non per guadagnare tempo, ed è ancora convinto che possa conquistare la costa del mar d’Azov e la parte di Donbass ancora sotto il controllo ucraino.
“Nella sua testa ha un’idea ben precisa e la propina a tutti quanti,” spiega un alto funzionario russo, “Volevamo essere amici, ma ci hanno dichiarato nemici, ci hanno circondati da tutte le parti, erano pronti ad accettare l’Ucraina nella Nato e a dispiegarvi missili. Sono stati loro a provocarci e non c’era altra scelta”.
Putin è sempre più inaccessibile, spiega un’altra fonte alla Rustamova. Il suo cerchio magico si è ulteriormente ristretto, anzi,” dice, “non ci sono più cerchie. È tutto azzerato.”
Putin avrebbe dunque sollevato intorno a sé un vero e proprio muro di gomma.
I suoi funzionari sanno che ormai è impossibile provare a convincerlo sulle disastrose conseguenze economiche, a partire dal suo ex ministro delle Finanze, Aleksej Kudrin,che il 16 marzo ha scritto su Facebook: “”Il mondo in cui viviamo è cambiato radicalmente. E questi cambiamenti resteranno con noi a lungo”.
Anche il capo della Banca centrale, Elvira Nabullina, governatrice dal 2013 e al fianco di Putin da più di vent’anni, ha capito che è inutile tentare di far ragionare il presidente e neanche lo spettro delle sue dimissioni servirebbe a cambiare la situazione.
Non ci sarebbero dunque più liberali e falchi, oligarchi e generali, spie e tecnocrati. Nel nuovo mondo di Putin adesso esistono solo “traditori” e “patrioti”.
Dopo l’entrata in vigore della “legge sulle fake news” non circolano neanche più le petizioni pacifiste e il dissenso in Russia viene a un prezzo sempre più caro.
L’élite ora non ha altra scelta che stringersi attorno al presidente, scrive la Rustamova, “dato che ci hanno sanzionato, li fotteremo,” è uno dei tanti sfoghi raccolti dalla giornalista.
Si tratta della “sindrome da fortezza assediata”, come la definiscono i sociologi
(da TPI)
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Aprile 1st, 2022 Riccardo Fucile
COALIZZA PROTESTE PERCHÉ UNA PROFESSORESSA APOSTROFA COME PROSTITUTA UNA RAGAZZA CON L’OMBELICO SCOPERTO E POI SI SCATENA A CENSURARE UN’ALTRA PROFESSORESSA CHE POTREBBE ELEGGERE A VESSILLO DELLA LIBERTÀ DI GESTIRE LA PROPRIA AFFETTIVITÀ
Uno spiacevole odore di antica muffa perbenista aleggia attorno alla vicenda della preside romana, presunta amante di un suo studente maggiorenne.
Una tendenza a senso unico sembra volere, a tutti i costi, far coincidere l’immagine di quella donna alle professoresse procaci dei filmetti con Alvaro Vitali, di mezzo secolo fa.
Forse dovremmo resistere alla tentazione collettiva di puntare il dito contro “la peccatrice”, solo perché troviamo appagante l’idea che la foto-icona della preside a spalle scoperte, truccata e parruccata, sia già pregna di segnali premonitori una lussuria vorace.
Io ci vedo solo una signora a una festa in famiglia, potrebbero essere le nozze d’argento di un parente, la cresima di un nipote, un capodanno.
Non basta coglierci una lontana somiglianza con Michela Miti, la supplente di Pierino, per affibbiarle d’ufficio la lettera scarlatta.
Questa storia è oramai troppo intrisa di pregiudizio tossico per essere vista con sguardo obiettivo.
Ammesso e non concesso ci trovassimo realmente di fronte a un’aspirante Bovary, una donna che non abbia saputo gestire i suoi desideri d’evasione, si ricordi che nulla di ciò che le è attribuito ha un profilo penale.
Potrebbe avere sbagliato nel lasciarsi coinvolgere dalla passione per un (troppo) giovane uomo, dimenticando il suo ruolo istituzionale, non esiste però prova di questo.
Il caso semmai sarebbe di competenza dell’ufficio scolastico a lei preposto, che potrà intervenire se accerterà infrazioni al regolamento. Nulla che comunque le faccia meritare la condanna preventiva a uno stigma infamante che mai più si leverà di dosso
Nel caso che i fatti corrispondessero al pettegolezzo, quale è il problema per tutti noi? Potremmo concludere che la preside ha scelto la persona sbagliata per ardire un azzardo passionale così poco socialmente tollerabile.
Alla professoressa Brigitte Marie-Claude Trogneux nel 1993 andò molto meglio, quando avviò una relazione con il suo allievo sedicenne Emmanuel Macron. Oggi è la Première Dame, la sua è stata per il mondo intero una scelta d’amore vero.
In quel liceo invece il giovane coinvolto nel presunto idillio ne ha fatto scempio raccontandolo ai suoi compagni, ai genitori, agli altri professori.
Trovo singolare e veramente desolante la reazione collettiva degli studenti; posso capire che liberarsi di una preside può essere visto anche come un gesto epico, a cui può essere difficile resistere, non capisco però perché non abbiano colto quanto sia parte di un mondo a cui apparentemente si contrappongono, togliersela dai piedi usando l’espediente, arcaico e scellerato, della diffusione di voci sulla sua (sempre presunta) condotta sessuale.
Non è questa la generazione che coalizza proteste e manifestazioni perché una professoressa apostrofa come prostituta una ragazza che balla sul banco con l’ombelico scoperto?
Perché poi si scatena con tanta foga a censurare un’altra professoressa che, proprio per far rabbia a un sistema passatista, potrebbe eleggere a vessillo della libertà di gestire la propria affettività e sessualità?
Davvero faccio fatica a capire perché non sia poi considerato un atto spregevole, come penalmente perseguibile, quando il ragazzo è arrivato a divulgare i messaggi passionali che si sarebbe scambiato con la donna, marchiandola a vita.
Leggiamo ovunque le trascrizioni di quello che la preside avrebbe scritto addolorata quando lui le ha comunicato di voler troncare la storia, perché si era fidanzato.
Tutto dato in pasto a chi non sogna altro che vedere questa donna “giustiziata” per il reato di presunta follia amorosa.
È triste che questo non avvenga in un conciliabolo di beghine, circola invece negli smartphone della Generazione Z, che dovrebbe darci lezioni di spregiudicatezza.
(da La Stampa)
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