Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
“DURERÀ 25, ANNI, LAVORI FORZATI, VIA IL NOME UCRAINA. IMPOSSIBILE OGNI COMPROMESSO DEL TIPO NATO-NO, UE-SI’
Cosa intende Mosca per denazificazione? Non solo la sconfitta totale sul campo di battaglia degli avversari ucraini ma anche una successiva opera di «pulizia» di tutti gli apparati statali politici e militari, la rieducazione della popolazione «per la durata di almeno una generazione», la cancellazione totale del nome Ucraina.
La fonte è al di sopra di ogni sospetto perché l’inquietante «road map» è pubblicata dal sito dell’agenzia «Novosti», di stretta osservanza putiniana.
L’inquietante e brutale piano di pulizia è raccontato in un lungo articolo firmato dall’editorialista Timofey Sergeytsev dal titolo «Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina», pubblicato nelle stesse ore in cui il mondo scopriva gli orrori dei massacri sui civili a Bucha.
La denazificazione è una richiesta che il Cremlino ritiene irrinunciabile anche se fino a oggi non era mai stata esplicitata nel dettaglio. «La denazificazione è necessaria in quanto una parte significativa del popolo – molto probabilmente la maggioranza – è stata dominata e attratta dal regime nazista » attacca Novosti.
Dunque il primo obiettivo è che «i nazisti che hanno preso le armi dovrebbero essere distrutti al massimo sul campo di battaglia».
Giova ricordare che Putin in più circostanze ha equiparato Zelensky e il suo governo l’esercito regolare ucraino che contrasta l’invasione russa ai battaglioni che si rifanno a una simbologia nazista.
Tutto nel medesimo calderone. E dunque « oltre ai vertici, sono colpevoli anche una parte significativa delle masse, che sono naziste passive, complici del nazismo».
L’operazione di pulizia, poi, non dovrà essere solo fisica e militare ma investire anche la sfera della cultura e dell’educazione «che si realizza attraverso la repressione ideologica (soppressione) degli atteggiamenti nazisti e una severa censura: non solo nell’ambito politico, ma anche necessariamente nell’ambito della cultura e dell’istruzione».
E per il firmatario dell’articolo va da sé che «la denazificazione può essere effettuata solo dal vincitore». Niente forze di pace internazionali, niente Onu. Si tratta di un regolamento di conti tutto interno alla Russia. E come si chiarisce poco più avanti «non può compiersi con un compromesso, sulla base di una formula come “ Nato – no, UE – sì».
Un obiettivo di tale portata non si raggiunge dall’oggi al domani: «I termini della denazificazione non possono in alcun modo essere inferiori a una generazione» poiché «la nazificazione dell’Ucraina è continuata per più di 30 anni, almeno a partire dal 1989».
In che senso? «La particolarità della moderna Ucraina nazificata sta nell’amorfa e nell’ambivalenza, che permettono al nazismo di essere mascherato da desiderio di “indipendenza” e da un percorso “europeo” (occidentale, filoamericano) di “sviluppo”».
Dunque come procedere? «Il nome “Ucraina” non può essere mantenuto come titolo di qualsiasi entità statale completamente denazificata in un territorio liberato» ma qui Novosti lascia aperta la possibilità che per territorio liberato non si l’intero Paese attuale ma solo la sua parte orientale.
Si tornerebbe dunque plasticamente a un tempo di Guerra fredda, con due Ucraine sul modello delle due Germanie. Resta che «a differenza, per esempio, della Georgia e dei paesi baltici , l’Ucraina, come la storia ha dimostrato, è impossibile come stato nazionale e i tentativi di “costruirne uno” portano naturalmente al nazismo». Quindi «la denazificazione dell’Ucraina è anche la sua inevitabile de-europeizzazione».
In tempo di pace, la denazificazione dovrebbe procedere lungo alcune direttrici: «liquidazione delle formazioni armate naziste… formazione di organi di autogoverno pubblico e di milizie… installazione dello spazio informativo russo… ritiro dei materiali didattici e il divieto di programmi educativi a tutti i livelli contenenti linee guida ideologiche naziste… pubblicazione dei nomi dei complici del regime nazista, coinvolgendoli nei lavori forzati per il ripristino delle infrastrutture… creazione di organismi permanenti di denazificazione per un periodo di 25 anni». Un lavaggio dei cervelli in piena regola.
Chiosa finale: «Per mettere in pratica il piano di denazificazione dell’Ucraina, la stessa Russia dovrà finalmente separarsi dalle illusioni filo-europee e filo-occidentali, realizzarsi come l’ultima istanza per proteggere e preservare i valori dell’Europa storica». Insomma, il messaggio non vale solo per gli ucraini sotto le bombe.
(da Il Corriere della Sera)
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
MOSCA NEGA I CRIMINI DI GUERRA IN UCRAINA, COME FECE NEL 1940 CON L’ECCIDIO DEGLI UFFICIALI POLACCHI A KATYN, O CON LE “PULIZIE” DEI CECENI E L’AVVELENAMENTO DEGLI OPPOSITORI
«Mai più». In Europa, il mantra, scritto su monumenti e manifesti, vorrebbe scongiurare un orrore impossibile, rimasto nella memoria dalla guerra più crudele mai sperimentata finora.
In Russia, sugli adesivi appiccicati ai parabrezza e sui quaderni scolastici, sulle fiancate dei missili e sugli striscioni alle manifestazioni, si scrive «Possiamo replicare». Non è uno scongiuro, è una minaccia.
Una promessa. Un auspicio. Un modello. E le repliche sono state messe in scena, più e più volte. Grozny. Aleppo. Donbass. Bucha.
Quello che ha colpito l’immaginazione del mondo, nelle guerre russe degli ultimi decenni, è stata quella spietatezza indiscriminata, lo sfoggio di brutalità inutile, senza alcun criterio non soltanto di umanità, ma di ragionevolezza nell’utilizzare la forza bellica.
La distruzione come metodo di conquista, con Mariupol come monumento più recente a questo modello di guerra. Lo sterminio come metodo di sottomissione di un popolo che si dichiara “fratello”.
Il politologo russo Abbas Galyamov si chiede se la strage dei civili a Bucha sia stata una «violenza spontanea dei soldati e ufficiali russi per vendicarsi della loro umiliante sconfitta», oppure se sia avvenuta «per ordine del partito della guerra che vuole silurare il negoziato», e confessa che preferirebbe la seconda ipotesi, perché non vuole «credere che cittadini russi siano capaci in massa di atrocità così epiche»
Che però sono già state commesse diverse volte, e non sono state degli incidenti, delle eccezioni, degli eccessi scappati di mano, sono state stragi volute, e negate con la stessa veemenza con la quale il Cremlino oggi nega Bucha.
Come aveva negato nel 1940 l’eccidio degli ufficiali polacchi a Katyn, attribuendolo a un “fake” dei tedeschi.
Come aveva negato nel 2000 le “zachistke”, le “pulizie” dei ceceni, che facevano sparire dai villaggi tutti gli abitanti di sesso maschile, portati a torturare nei “campi di filtraggio”, oppure uccisi per le strade, esecuzioni sommarie, esattamente come a Bucha.
Come aveva negato l’uso di armi chimiche in Siria, l’avvelenamento di oppositori, le torture nelle carceri: era sempre una «provocazione dei media occidentali», volta a screditare un Paese che non ha mai ammesso nessuna colpa e non ha mai chiesto scusa o almeno manifestato rammarico per nulla.
Quando, nel 1945, l’Armata Rossa si portò via dalla Germania treni interi – gli aneddoti sulle mogli degli ufficiali sovietici che sfoggiavano le sottovesti di pizzo delle tedesche, scambiandole per abiti da sera, sono ormai storia, come i lampadari e i divani art decò nelle dacie di celebri scrittori e generali – gli europei considerarono questo saccheggio la ricompensa per un popolo poverissimo, e il suo sacrificio.
Quarant’anni dopo, con il crollo del Muro, gli ex sovietici scoprirono che i tedeschi che avevano sconfitto vivevano infinitamente meglio dei vincitori.
Ottant’anni dopo, quella guerra terribile viene sognata dai russi come il momento più intenso e giusto della propria storia, un trionfo di violenza che giustifica una missione nazionale, una vittoria conseguita all’insegna del motto staliniano «se il nemico non si arrende, va annientato»
Volodymyr Zelensky oggi si chiede, insieme a quel 5% dei russi che nei sondaggi dichiarano di provare “vergogna” per il proprio Paese come hanno potuto le madri russe tirare su “saccheggiatori e carnefici”.
Una risposta possibile si nasconde in quel culto della guerra, che equipara forza e violenza, e considera la grandezza come diritto a imporre e sottomettere.
«La Russia è un Paese governato dai forti, le leggi sono riservate ai deboli», sintetizza un pensiero nazionale radicato il politologo Vladimir Pastukhov, in uno degli ultimi numeri della Novaya Gazeta ormai chiusa.
Se le dittature resistono per decenni, non è soltanto perché reprimono il dissenso: creano una piramide della violenza, nella quale ciascuno accetta di venire abusato dal superiore, in cambio del diritto di abusare dei sottoposti.
Una sorta di nonnismo su scala nazionale, dove i generali mandano gli ufficiali a morire senza munizioni per accontentare il capo supremo, tenenti e capitani si premiano saccheggiando le case ucraine, e i soldati affamati raccattano possono sentirsi parte di una “potenza” violentando e uccidendo civili con le mani legate.
È la banalità del male degli autoritarismi, ed è quella la diversità dalla civiltà occidentale che la Russia rivendica da anni, quel “difetto genetico” che, secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, impedisce all’Europa di accettare la Russia.
Ogni volta che Mosca ha fatto un passo indietro rispetto a all’Occidente è stato proprio per difendere il diritto sovrano a usare la forza: i primi screzi delle critiche europee alle pulizie etniche dei ceceni sono diventati crepe con la repressione degli oppositori e dei media liberi, e voragini con i brogli elettorali e la discriminazione delle persone Lgbtq.
Non è stato il famigerato “accerchiamento della Nato”, a spingere la Russia putiniana lontano dall’Europa, ma il rifiuto di un sistema dove avere potere non significa automaticamente poter massacrare impunemente gli avversari. Grozny. Aleppo. Bucha. Mariupol. To be continued.
( da La Stampa)
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
UN SOPRAVVISSUTO RACCONTA LA MATTANZA DI BUCHA: “C’ERANO RUSSI, UOMINI DI KADYROV E I BURIATI DELLE REGIONI SIBERIANE. CERCAVANO “I NAZISTI”… MA IN REALTÀ SONO STATI FUCILATI ANCHE QUELLI CHE AVEVANO LO STEMMA UFFICIALE DELL’UCRAINA”
Ero lì. So chi sono. C’erano russi, kadyroviti, buriati. Gli hanno sparato alla nuca e al cuore». Il metodo russo è questo: sparano alla nuca di persone disarmate. I buriati, russi delle regioni siberiane. I kadyroviti. E ci sono anche soldati bielorussi.
Questa che scriviamo è solo la storia di una foto. Non certo un quadro di tutti gli orrori avvenuti a Bucha, meno che mai (per quello purtroppo ci vorrà tempo) in tutte le città occupate dai russi in Ucraina.
La foto con otto uomini ammazzati e gettati in un cortile, dove sono stati ritrovati giorni dopo, quando Bucha è stata liberata. A raccontarla è, al collettivo giornalistico Vot Tak, un ucraino che era lì, Vladislav Kozlovsky, che ha vissuto nella città occupata per un mese.
«L’anno scorso ho vissuto e lavorato come sommelier a Kiev, ma dopo lo scoppio della guerra sono tornato nella zona di Steklozavod (Bucha), dove vivono mia madre e mia nonna. Il 2 marzo le truppe occupanti sono entrate nella nostra città, ero vicino al quartier generale della difesa territoriale con diversi amici. A tutti quelli che non avevano armi è stato ordinato di nascondersi in un rifugio antiaereo vicino alla base». Poi sono arrivati loro, e «tra loro c’erano per lo più russi e bielorussi, sono facili da riconoscere dal loro caratteristico dialetto». «Eravamo seduti nella completa oscurità. Non c’era luce, acqua o calore, ovviamente. Poi altri hanno preso il loro posto». E son stati i peggiori.
«Il 7 marzo hanno fatto uscire prima donne e bambini, poi uomini. Ci hanno messo in ginocchio e hanno iniziato a perquisirci. Avevo i miei soldi e il mio orologio con me. Hanno preso tutto, proprio come gli altri, quindi mi hanno derubato. Cercavano “i nazisti”, ma in realtà sono stati fucilati anche quelli che avevano lo stemma ufficiale dell’Ucraina».
I dettagli dell’esecuzione sono crimini di guerra: «Gli hanno sparato alla nuca o al cuore. Tra loro c’erano russi e, ritengo dall’aspetto, buriati». Kozlovsky ha visto proprio quegli otto, «penso che otto di loro siano stati uccisi. Ieri ho visto i loro corpi dietro un edificio di pietra in un mucchio di roba in una delle foto di Bucha. Quando sono riuscito a tornare a Kiev, non dimenticherò come la gente piangeva alla vista del pane, perché da tempo morivano di fame».
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
“È IMPAZZITO, AVEVA PREVISTO CHE IL POPOLO UCRAINO LO AVREBBE ACCOLTO LANCIANDOGLI FIORI : VOLEVA CAMBIARE IL POTERE A KIEV E INSERIRE IL SUO BURATTINO, MA È ANDATO FUORI DI TESTA QUANDO GLI UCRAINI HANNO RESISTITO”
Per molti anni Mikhail Khodorkovsky è stato l’uomo più ricco di Russia. Poi è diventato il nemico numero uno di Vladimir Putin, l’oligarca dissidente. Ex ceo del gigante petrolifero Yukos, è stato in carcere nove anni, condannato per evasione fiscale. Rilasciato nel 2013, ha riparato in esilio.
E ora, intervistato dalla Cnn, fa il punto sulla guerra in Ucraina e soprattutto su Putin: “Lui è impazzito perché aveva previsto che il popolo ucraino lo avrebbe accolto lanciandogli dei fiori quando ha invaso il Paese.
All’inizio quello che voleva fare era cambiare il potere a Kiev e inserire il suo burattino. Ma è andato fuori di testa quando gli ucraini hanno resistito all’invasione”, ha premesso.
Dunque, Khodorkovsky dà la sua versione dei fatti sulle ragioni dell’escalation a Kharkiv e Kiev: “Il fatto che le persone a Kharkiv non lo abbiano accolto con i fiori, non solo lo ha fatto arrabbiare, ma penso davvero che lo abbia fatto letteralmente impazzire. È stato allora che ha iniziato a bombardare Kharkiv e Kiev”, spiega
Quindi, l’ex oligarca spiega quali, a suo giudizio, sono le vie per provare a uscire dal conflitto: “Putin adesso ha tre possibilità: continuare a fare pressione sull’Ucraina, usare armi di distruzione di massa per costringere gli ucraini a ritirarsi o avviare negoziati reali”. Infine, la profezia: lo zar Putin avrebbe il tempo contato.
“Sì, sono convinto che Putin non abbia ancora molto tempo. Forse un anno, forse tre”, conclude Khodorkovsky riferendosi alla possibilità che lo zar muoia oppure che venga deposto.
(da La Stampa)
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
NON SPICCANO CERTO PER TECNOLOGIA E SONO DATATE
Le armi date dall’Italia all’Ucraina per difendersi dall’invasione della Russia non sono state accolte con grande entusiasmo dall’esercito di Kiev. Perché, spiega oggi Gianluca Di Feo su Repubblica, il contributo bellico del Belpaese non spicca per innovazione tecnologica.
Per questo sui social network hanno più fortuna i missili Javelin dati dagli americani o le forniture made in Uk. Anche se da Pratica di Mare sono arrivati i missili terra-aria Stinger e i razzi controcarro Panzer Faust. Ma in numeri limitati visto che dalla fine della Guerra Fredda il parco armi non è stato rinnovato. Molti di questi razzi sono stati usati nelle missioni afghane e irachene. Poi ci sono i missili Milan, che sono ritenuti ancora efficienti anche se il progetto risale al 1993: ma il personale ucraino deve venire addestrato per usarli.
Lo stesso problema hanno i mortai da 120 millimetri – anche questi usati in Afghanistan – che si trovavano nelle prime liste di aiuti. Tutti elementi che non hanno entusiasmato i militari di Kiev, tanto che non sono mai comparsi al fronte.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
MA CI SONO ALTRI INDIZIATI
Si chiama Omurbekov Azatybek Asanbekovich, è il comandante dell’unità militare 51460, 64esima brigata di fucilieri motorizzati. E secondo gli ucraini sarebbe il responsabile del massacro di Bucha. Di certo era lui il comandante delle truppe russe il 31 marzo, giorno in cui le truppe russe hanno lasciato la cittadina. Ad accusarlo ieri sono stati gli attivisti di InformNapalm, che hanno detto che Asanbekovich, che ha circa 40 anni, fa parte dei buriati, la più grande minoranza etnica di origine mongola della Siberia. Per muovere guerra all’Ucraina l’unità 51460 è partita da Knyaze-Volkonskoye, nel territorio di Khabarovsk, nell’estrema Russia orientale.
La strage dei buriati?
«Siamo riusciti a trovare anche l’indirizzo di casa del boia russo», ha scritto InformNapalm, annunciando la pubblicazione di dati, archivi e spiegazioni su come trovare il comandante russo. «Ogni ucraino dovrebbe conoscere i loro nomi. Ricordate. Tutti i criminali di guerra saranno processati e assicurati alla giustizia per i crimini commessi contro i civili dell’Ucraina», si legge nella dichiarazione della Direzione principale dell’intelligence del Ministero della Difesa dell’Ucraina. E a seguire l’elenco dettagliato di 87 pagine con i nomi degli oltre 1.600 soldati russi ritenuti coinvolti nel massacro di Bucha. Truppe che in parte rispondono al tenente colonnello Asanbekovich. Nell’elenco i soldati sono identificati con grado militare, nome e cognome, data di nascita ed estremi del passaporto. Per molti di loro c’è l’indicazione soldato semplice.
Tra i cognomi anche alcuni tra i più diffusi in Cecenia. Per gli attivisti, in base alle informazioni che hanno avuto, sono stati i militari di questa unità a commettere crimini di guerra nelle città di Bucha, Gostomel e Irpin’, nella regione di Kiev.
I residenti di Bucha dal canto loro hanno raccontato al sito di news Obozrevatel che i soldati russi sono «semplicemente andati di cortile in cortile sparando a tutti gli uomini e ai ragazzi. Tra di loro abbiamo riconosciuto buriati con gli occhi stretti e lunghi». Ma va segnalato che nell’elenco pubblicato dall’intelligence ucraina il nome di Omurbekov Asanbekovich non c’è. Il Corriere della Sera scrive che le informazioni sono state rilasciate anche da Anonymous e sembrerebbero provenire dalla lista di 120 mila soldati russi pubblicati da un giornale di Kiev nei giorni scorsi.
Nell’area però si trovavano anche carristi della Guardia, ovvero la 36esima armata del distretto dell’estremo oriente militare russo. Oltre ad elementi del 36esimo reggimento parà della 98esima divisione aerotrasportata. Ieri intanto il New York Times ha mostrato le immagini satellitari dei cadaveri in strada risalenti a più di 3 settimane fa, quando le milizie russe erano ancora presenti nella città. Mentre la bandiera che si vede nella foto dell’unità 51460 è quella della repubblica di Sachs, Yakutia, lontana sette fusi orari ad est di Bucha, una degli ottantacinque “soggetti” amministrativi della Federazione Russa.
Il Nyt sostiene che da successivi confronti e verifiche si possa dedurre che i cadaveri siano apparsi per le strade tra il 9 e l’11 marzo. La loro posizione – e la distanza da altri oggetti sulla stessa strada come auto abbandonate e alberi – sembra coincidere con le immagini registrate e trasmesse sabato scorso da un consigliere comunale.
Quelle in cui si vede un veicolo circolare lungo Yablonska Street evitando di investire i cadaveri che giacciono in strada. Repubblica racconta oggi in un articolo a firma di Daniele Raineri che il primo aprile sul canale tv del ministero della Difesa russo è comparsa un’intervista al maggiore Aleksej Szabulin. L’uomo con tanto di passamontagna ha raccontato che nei giorni precedenti i suoi fanti hanno “ripulito” proprio le aree di Hostomel, Bucha e Ozura. La parola “zachistka” veniva associato durante il conflitto di Cecenia ai rastrellamenti delle truppe russe. Si parla dei giorni che vanno dal 27 marzo al primo aprile. Che quindi sono compatibili dal punto di vista temporale con il ritrovamento delle immagini.
Fino al 24 marzo nella stessa area si trovavano i ceceni della Rosgvardia, la Guardia Nazionale di Putin che ha trovato tra le sue fila anche chi si è rifiutato di obbedire all’ordine di andare in guerra, è stato licenziato e ha fatto causa a Mosca.
L’indagine indipendente
La Rosgvardia ha compiti di controllo dei territori conquistati, ma dopo quella data i russi hanno trasferito i ceceni nel Donbass. Ma lo stesso quotidiano avverte che i massacri potrebbero essere avvenuti in tempi diversi e per mani diverse. Le foto dell’agenzia di immagini satellitari Maxar mostrano che accanto alla chiesa di Sant’Andrea di Bucha a partire dal 10 marzo si comincia a scavare una fossa comune. L’agenzia di stampa Afp ha scritto che in quell’area sono stati trovati 57 corpi, in gran parte bruciati. Secondo InformNapalm il maggiore Szabulin in realtà sarebbe Aleksej Bakumenko. Ieri anche Slidstvo.info ha pubblicato informazioni sui soldati russi presenti a Bucha. Tra questi c’era chi si vantava di tagliare le orecchie agli ucraini sui social network.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
I CADAVERI IN STRADA DA SETTIMANE, QUANDO LA CITTA’ ERA IN MANO AI RUSSI
Hanno provato in tutti i modi a negare un vero e proprio massacro di civili. Hanno prima dato adito a paradossali teorie del complotto parlando di messinscena, scambiando il movimento di una goccia d’acqua sul finestrino per quello del braccio di un cadavere.
Poi, decaduta questa prima bufala, hanno iniziato a dire: non sono stati i russi, ma gli ucraini. E ora cosa potranno inventarsi i negazionisti? Perché le immagini satellitari di Bucha pubblicate dal New York Times raccontano quella verità negata da chi ha deciso di vivere nella posizione di megafono del Cremlino.
Le immagini sono state analizzate dal Visual Investigations team del quotidiano newyorkese. Si tratta di fotografie tratte dal satellite e che immortalano la situazione per le strade di Bucha – un sobborgo alle porte della capitale Kyiv – in data 11 marzo. La data è fondamentale, visto che la Russia e i negazionisti avevano messo in dubbio la cronistoria di quelle barbare uccisioni. Perché in quella data la cittadina ucraina era nelle mani dell’esercito russo. E nel video pubblicato dal New York Times si mostrano le posizioni in strada di quei corpi, purtroppo senza vita, immortalato poi nei giorni successivi alla liberazione.
Lo scorrere di quelle immagini è tragico e straziante. Per tre settimane quei cadaveri sono rimasti all’addiaccio, senza neanche essere coperti da un lenzuolo. Fino alla liberazione di Bucha e alla perlustrazione dei militari ucraini. Il video mostra 11 corpi, un numero solamente parziale rispetto al totale di quel massacro.
I complottisti dell’ultima ora, adesso, sostengono che quelle vittime potrebbero esser stati colpiti dai militari ucraini nei loro assalti missilistici contro le truppe russe. Dinamica che si smentisce, purtroppo, facilmente.
Non solo per la data di quel confronto fatto dal New York Times, ma anche perché molti di quei corpi sono stati ritrovati con le mani legate e con segni di una vera e propria esecuzione. Con mitra, fucili e pistole. Non con le bombe. E in quella data, per le strade di Bucha c’erano solamente i militari inviati dal Cremlino.
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
IL CREMLINO SOSTIENE CHE I SUOI SOLDATI SIANO ANDATI VIA IL 30 MARZO
A vederli gettati alla rinfusa nella trincea scavata di fresco, questi poveri corpi sembrano cose, manichini dalle apparenti sembianze umane confusi nella terra sabbiosa. I militari ucraini, assieme ai volontari della difesa civile, nelle ultime ore li hanno deposti in sacchi di plastica nera, ma ancora emergono mani rattrappite, unghie annerite di sangue rappreso e stracci di vestiti, giacche strappate.
I russi dicono che è una montatura degli ucraini, ma le immagini satellitari diffuse ieri sera dal New York Times mostrano che diversi cadaveri erano già per le strade di Bucha l’11 marzo.
Il confronto con un video girato il 2 aprile da un consigliere locale mostra i corpi nelle stesse posizioni. Viene da paragonare tutto questo al modo in cui noi trattiamo i nostri defunti.
Come possiamo immaginare civili torturati e abbandonati nell’agonia?
Come accettare l’idea di donne, vecchi e bambini trucidati a sangue freddo, l’immagine di uomini fucilati con le mani dietro la schiena, o ancora il fetore di un massacro insepolto?
E, invece, eccoli questi fagotti informi, alcuni dei quali sono stati lasciati per settimane a decomporsi sul selciato delle strade sconvolte dalle bombe e nelle cantine dove adesso vengono via via trovati dalle squadre di soccorso.
«Guardate qui attorno» Li abbiamo visti ieri nei pressi della basilica di Bucha, una decina di sacchi neri appoggiati gli uni sugli altri che attendevano di essere portati via, senza cerimonie, senza nessuno che li piangesse. Quanti sono in tutto? Due giorni fa soltanto qui erano una quarantina, la zona viene via via ripulita.
«Se guardate qua attorno forse ne troverete altri. Potrebbero essere ancora centinaia. Occorre cercare tra la terra smossa dei giardini, nelle abitazioni, dentro le cisterne, ma soprattutto nelle macchie di bosco e lungo il fiume», dice Oleg Anatolienko, il poliziotto 43enne di guardia al quartiere della chiesa. Le autorità ucraine sostengono di avere recuperato e identificato sino ad ora oltre 410 cadaveri nella trentina di villaggi attorno a Kiev appena evacuati dall’esercito russo in ritirata verso la Bielorussia.
A dire il vero, sembra piuttosto una rotta. Il Pentagono conferma che almeno due terzi delle forze russe, che componevano l’armata originariamente destinata a conquistare la capitale, negli ultimi quattro giorni sono usciti dai confini dell’Ucraina. Anche qui a Bucha i soldati ucraini non temono contrattacchi, almeno per il momento, possono così concentrarsi sulla ricerca dei morti, sull’assistenza ai sopravvissuti e soprattutto sullo sminamento della regione.
«I russi ritirandosi hanno lasciato montagne di proiettili inesplosi e migliaia di mine, molte innescate come bombe trappola per boicottare la nostra opera di bonifica», aggiunge Oleg.
Parola d’ordine «Zviak», che in ucraino significa chiodo. Ce la dicono nel primo pomeriggio i volontari che portano cibo e medicine e improvvisamente i posti di blocco sulla strada per Bucha diventano più facili da passare.
Si trova 37 chilometri a nord della capitale, arrivandoci non è difficile capire il motivo dell’importanza: è il nodo stradale che arrivando dalla Bielorussia garantisce di imboccare le grandi arterie che conducono facilmente a Maidan.
I russi dovevano prenderla, necessitavano dei carri armati per battere la guerra partigiana, fatta di barricate e bottiglie molotov, che li attendeva nella cerchia metropolitana di Kiev. Poco prima c’è la zona dell’aeroporto di Hostomel, dove i russi già la mattina del 24 febbraio avevano paracadutato le loro teste di cuoio per poi puntare sugli uffici del governo di Zelensky. Oggi la sfioriamo appena.
E subito dopo ci sono i resti carbonizzati degli edifici belli e delle ville con piscina a far comprendere la vastità prolungata della battaglia: Bucha è ormai un grande campo di macerie. Non c’è costruzione che non sia stata colpita. I palazzi del centro sono inabitabili, le strade deserte, con detriti di ogni genere che ci costringono a continue gimcane per non forare. I pochi civili rimasti si muovono come fantasmi tra i rottami, quasi tutte le auto e i bus ai lati delle strade sono danneggiati dai proiettili, sui sedili macchie di sangue.
I testimoni insistono sulle rapine dei soldati russi. «Telefonavano alle loro famiglie a casa e chiedevano cosa dovessero rubare», racconta Tatiana, 35 anni. «La moglie di uno ha chiesto che lui prendesse il computer di nostra figlia per darlo alla loro».
Un uomo mostra le carte di credito ancora sparse per strada. «Ci prendevano i portafogli. Rubavano nelle cucine, volevano vodka e sigarette. Ma qui hanno cercato di portarsi via anche le tegole che usavamo per rifare il tetto».
Proprio nella centrale Vokzalna, la via che porta alla stazione ferroviaria, il 56enne Dmytro ha resistito per quasi un mese e mezzo sotto le bombe con il padre Grigory di 85 anni. «I russi sono venuti a prendersi i nostri cellulari. Non siamo mai usciti di casa, troppa paura: dormivamo a terra per evitare le schegge. Tre giorni fa abbiamo guardato per la prima volta fuori dal cancello e sulla strada abbiamo visto quindici persone uccise a colpi di mitra, tutti i nostri vicini che avevano deciso di restare», racconta.
A poche decine di metri da loro si trovano i resti carbonizzati di un’intera colonna blindata russa. Decine di carri armati e mezzi logistici ridotti a ferraglia annerita. Fu il 27 febbraio. I partigiani locali colpirono il tank di testa e quello di coda: gli altri rimasero intrappolati e per i droni e le artiglierie ucraine fu un gioco da ragazzi colpirli uno a uno. Non è da escludere che proprio allora sia iniziata la vendetta: soldati impauriti decisi a prendersela vigliaccamente con i civili. Dietro l’angolo ci sono i resti di un’auto carica di valigie devastata dai proiettili, si vedono a terra giocattoli e vestitini.
L’accusa di violenze sessuali continua a venire ripetuta. All’una del pomeriggio arriva in visita il presidente Zelensky. «A Bucha si è consumato un genocidio», dichiara, quindi si rivolge alle madri dei soldati russi: «Anche se avete cresciuto dei saccheggiatori, come possono essere diventati dei macellai? Hanno trattato gli ucraini peggio degli animali».
Uscendo dal centro incontriamo diverse chiazze di sangue, i locali mostrano il luogo dove hanno raccolto gli uomini fucilati con le mani legate e persino la bicicletta dell’anziana la cui foto ha fatto il giro del mondo. A terra c’è ancora la sua borsetta aperta: occhiali da vista infranti, un tubetto di crema per le mani, un barattolo di legumi.
(da il “Corriere della Sera”)
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Aprile 5th, 2022 Riccardo Fucile
ALMENO DIECI VITTIME, TRA CUI UN BAMBINO
Ancora bombe a grappolo, quelle vietate dalla Convenzione di Ginevra. Ancora un attacco a un nosocomio che, secondo il diritto internazionale, non dovrebbe essere mai colpito. Neanche nel bel mezzo di una guerra.
Le immagini mostrano la situazione all’esterno dell’Ospedale pediatrico di Mykolaiv – città che da settimane sopravvive sotto il peso delle bombe -, colpito nella giornata di ieri dalle forze armate russe che stanno proseguendo nella loro offensiva nel Sud dell’Ucraina.
Il video è stato pubblicato da Jake Godin, giornalista investigativo di Bellingcat, e mostra la situazione dell’ospedale Mykolaiv colpito dalle bombe a grappolo.
E l’utilizzo di bombe a grappolo – vietate dalle convenzioni internazionali – è testimoniato anche da altre immagini, come quelle scattate dal giornalista italiano – inviato Rai in Ucraina – Giammarco Sicuro.
E lo stato maggiore di Kyiv, parla di alcuni morti e diversi feriti a causa di quell’attacco. Tra di loro non solo adulti civili, ma anche alcuni bambini:
“Le truppe russe hanno effettuato il bombardamento di Mykolaev con munizioni vietate dalla Convenzione di Ginevra. Quartieri civili e istituzioni mediche, in particolare – l’ospedale pediatrico era sotto il fuoco nemico. Ci sono morti e feriti, compresi i bambini”.
Numeri ancora da confermare, ma già si parla di 10 persone morte nei bombardamenti (non solo quello all’Ospedale) e di una piccolissima vittima che si trovava all’interno del nosocomio quando sulla struttura sono piovute quelle bombe a grappolo.
(da NetQuotidiano)
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