Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
UNA VERA E PROPRIA FUGA DI CERVELLI CON UN MILIONE DI ACCADEMICI, GIORNALISTI, ARCHITETTI E ARTISTI CHE NON SI VOGLIONO PIÙ FAR IMBAVAGLIARE DAL CAPO DEL CREMLINO
Dal suo avvio lo scorso 24 febbraio l’invasione russa dell’Ucraina ha creato un numero impressionante di profughi. Secondo un portavoce dell’Alto Commissariato Onu peri Rifugiati interrogato giovedì da Libero «le persone che hanno cercato rifugio fuori dal paese sono 4,32 milioni mentre gli sfollati interni sono 7,1 milioni». In altre parole, oltre un ucraino su quattro ha lasciato la propria casa nel giro dell’ultimo mese per mettersi al riparo dalle incursioni militari di Mosca.
I paesi sui quali l’ondata di oltre 4 milioni di profughi si è riversata sono quelli che confinano con l’ex Repubblica sovietica: la Polonia (con 2,5 milioni di rifugiati), la Romania (654,000), l’Ungheria (400 mila) e la piccolissima e molto povera Moldavia che, con una popolazione complessiva di 3,5 milioni di abitanti, ospita anche lei 400mila profughi.
Chi scappa da Odessa, Kharkiv, Mariupol non vorrebbe però finire in un paese povero: secondo uno studio condotto dall’Istituto Ifo di Monaco di Baviera analizzandole le amicizie su Facebook degli ucraini con persone in altri Paesi e il numero di persone che vivono in ciascuno di essi, un terzo dei profughi vorrebbe trasferirsi in Polonia mentre il 12.4% sceglierebbe l’Italia, e il 12% la Repubblica Ceca tallonata all’11,9% dalla Germania. Si va insomma dove si conosce qualcuno sperando poi di trovare lavoro.
Da quando Mosca ha mosso le sue truppe verso Kiev anche un milione di russi ha fatto fagotto e chiuso casa. Con almeno due differenze da non dimenticare. La prima: 4,3 milioni di ucraini rappresentano oltre il 10% della popolazione totale dell’ex Repubblica sovietica, mentre un milione di russi su 147 milioni sono una goccia nel grande mare che va dagli Urali a Vladivostok.
La seconda: chi lascia la Federazione Russa non è un profugo messo in fuga dai razzi o dai colpi di mortaio ma è spesso un esponente della borghesia cittadina che non teme di trovare un cumulo di macerie al posto della propria casa e che ha in tasca un biglietto di andata e ritorno.
Secondo un’indagine della tedesca Deutsche Welle, quello sperimentato nelle prime cinque settimane del conflitto sarebbe il più grande esodo dalla Russia da oltre cento anni, più precisamente dai tempi della Rivoluzione d’ottobre.
I numeri non sono precisi perché le due nazioni più investite dagli arrivi di cittadini russi sono Georgia e Armenia, nessuna delle quali richiede un visto per arrivare da Mosca o San Pietrobugo.
Ciascuno dei due paesi avrebbe già accolto almeno 100 mila russi arrivati mentre i primi carri armati con la Z puntavano sul Donbass e su Odessa. Chi parte o meglio chi è già partito, cerca di arrivare in Azerbaijan, a Dubai, in Turchia, Grecia, Bulgaria, Serbia, Kazakistan, Kyrgyzstan, Uzbekistan ma anche Tajikistan, Mongolia e America Latina.
A RIGA O A TEL AVIV
Chi lascia di norma non è un allevatore o un contadino ma un cittadino che vive di social media – che Vladimir Putin ha chiuso – che si alimenta di informazioni – che Putin ha finito di imbavagliare – e che teme come dalla mattina alla sera nel Paese possa essere proclamata la legge marziale. Non è quindi la condizione economica a fare paura: nei servizi da Mosca della radio tedesca DLF oggi si apprendeva che i supermercati sono (ancora) pieni e che forti rincari legati alle sanzioni antirusse si sono sentiti solo su alcune categorie di prodotti come i pannolini per l’infanzia. Insomma: le preoccupazioni non riguardano il presente ma il futuro prossimo. Se
secondo il centro demoscopico Levada il 20% dei russi, ossia 30 milioni di persone, non sostiene la guerra di Putin, a lasciare sono solo pochi privilegiati.
Non stiamo parlando di oligarchi ma di chi si può comunque permettere un soggiorno all’estero a tempo indeterminato. Programmatori, accademici, giornalisti, artisti e star della tv che alle radunate di nazionalisti volute da Putin preferisce l’esilio nella fresca Riga o nella torrida Tel Aviv. Con loro se ne vanno architetti, blogger, designer, attori e registi nella più grande fuga di cervelli dalla Russia in tempi moderni.
(da Libero)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
LE TESTIMONIANZE DEI SANITARI SALITI A BORDO INSIEME AL PROCURATORE
“Vivevano situazioni molto al limite, erano tutti molto provati. Come si può dire che potessero stare ancora a bordo?”. Parola di Vincenzo Asaro, dirigente dell’Asp di Agrigento, salito sulla Open Arms il 20 agosto 2019 insieme all’allora procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che proprio all’esito di quel sopralluogo ha dato il via libera allo sbarco della nave e aperto un fascicolo a carico dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Il leader della Lega è in aula, siede accanto al suo legale, Giulia Bongiorno, quasi annoiato. Passa il tempo a trafficare con il cellulare
A parlare in aula delle condizioni in cui si trovavano i 147 migranti dopo oltre venti giorni di permanenza a bordo è il dottore Vincenzo Asaro. E non ha dubbi. “Erano mediocri” sottolinea “Il protrarsi di quella situazione rappresentava un fattore di rischio molto elevato per la loro salute psicofisica. Avrebbe potuto determinare un aggravamento delle loro condizioni e rappresentare un rischio sia per i migranti che per il personale della nave”.
La Open Arms, spiega, era affollata, tra uomini, donne e bambini non era possibile alcun tipo di privacy o separazione. Erano tutti su un ponte di circa cento metri quadri, “meno di uno a testa” sottolinea. “I migranti dormivano sul ponte della nave, non c’erano altre alternative perché non c’era nulla. Dentro i bagni alla turca potevano in qualche modo lavarsi” ma non avevano a disposizione cambi, né di vestiario, né di biancheria intima. Un rischio, soprattutto per le donne. Mancava anche il sapone, per l’igiene potevano usare solo acqua desalinizzata.
“Non abbiamo fatto accertamenti individuali sulle loro condizioni di salute, sarebbe stato impossibile, non c’erano spazi a sufficienza per vedere le persone una alla volta” spiega il medico, ma ricorda in modo preciso che a decine gli si avvicinavano per mostrargli ferite, lesioni, dermatiti. I casi più gravi, ricorda, erano stati già portati a terra con i “medevac”, le evacuazioni sanitarie urgenti. Ma a bordo, rimanevano anche donne in avanzato stato di gravidanza. Il diario medico, aggiunge, elencava le problematiche più comuni, soprattutto scabbia e pidocchi. Tipiche del sovraffollamento.
“Alcune persone si erano già buttate in mare, tentando di raggiungere le coste di Lampedusa – sottolinea il medico – Le condizioni più preoccupanti erano di tipo psicofisico”. E no, non avrebbero retto ad ulteriori giorni di navigazione, necessari per raggiungere la Spagna, come dal Viminale si ordinava. “”Stiamo parlando di persone in condizioni di grave disagio – conclude – Provammo un sentimento di grande tristezza vedendoli. Erano in una condizione di mancanza di tutto”.
Anche l’equipaggio iniziava a mostrare segni di stanchezza. “E faticava a mantenere la calma a bordo”. Troppo tempo ad aspettare, troppo tempo passato a guardare quella terra che non potevano raggiungere. E il terrore di essere riportati in Libia.
“Per loro rappresentava la morte” chiarisce Cristina Camilleri, la psichiatra responsabile del Dipartimento salute mentale di Agrigento, anche lei nel pool di periti scelti dalla procura di Agrigento.
“La situazione era di urgenza – chiarisce – si doveva evitare che si trasformasse in emergenza”. Un po’, spiega, come nei momenti che precedono l’infarto. Soprattutto fra gli uomini – i cui corpi “lacerati, cuciti, oltraggiati” raccontavano la storia delle torture subite – la situazione era tesa. “Erano terrorizzati, temevano di essere riportati in Libia ed era quello che avevano deciso di evitare a tutti i costi” spiega la dottoressa. Fra le donne a prevalere era un grave stato depressivo. E soprattutto due si trovavano in condizioni gravi.
“La sorella di uno dei profughi che si erano buttati in acqua aveva avuto una reazione grave- ricorda – tanto che era stata curata con tranquillanti”.
Un’altra donna invece “era in stato catatonico, non mangiava, non rispondeva”. In molte hanno raccontato di aver subito torture e violenze sessuali, ma se le gravidanze di molte delle naufraghe fossero conseguenza di quegli abusi “mi è stato chiesto per favore di non chiederlo – sottolinea – perché tante viaggiavano insieme a mariti e compagni”.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
DELINQUENTI DEGNI DEL LORO CAPO CRIMINALE
Nella razzia sistematica delle case degli ucraini il tenente russo, Denis Vladimirovich Gorovenko, comandante del plotone della compagnia di fanteria motorizzata dell’unità militare 71.718 (70 PMI della 42a divisione della 58a armata della Federazione Russa) ha preso come souvenir una montagna di vecchie monete sovietiche.
Più che essere un collezionista di vecchie memorabilia dell’Urss, quella merce è piuttosto richiesta dai collezionisti.
Quando lo hanno catturato gli hanno trovate nello zaino diverse centinaia di monete, così come alcuni cellulari Apple, cosmetici e piccoli gioielli d’oro da donna.
Secondo diversi siti ucraini questo militare avrebbe dichiarato con orgoglio di essere venuto a fare la guerra anche per ottenere il suo piccolo bottino. Oggi le foto di quello che gli è stato confiscato girano sul web assieme al suo passaporto e alle sue fotografie identificative.
Il sito InformNapal è tra i più attivi nel raccogliere informazioni di questo tipo, sia per dimostrare l’intento predatorio dei militari russi, sia da utilizzare queste informazioni una volta finita la guerra.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
L’HA SCOPERTO E VERIFICATO BBC, CHE HA RACCOLTO LE TESTIMONIANZE DEGLI ABITANTI DEL VILLAGGIO: I MILITARI RUSSI HANNO RACCOLTO CIRCA 150 PERSONE, SOPRATTUTTO ANZIANI E BAMBINI, PER AMMASSARLE NELLA PALESTRA DI UNA SCUOLA
A Obukhovychi, un villaggio nel Nord dell’Ucraina nelle vicinanze della zona di esclusione di Chernobyl, le truppe russe hanno usato i civili come scudi umani per proteggersi dal contrattacco delle forze ucraine.
L’ha scoperto e verificato Bbc, che ha raccolto le testimonianze degli abitanti del villaggio.
L’episodio sarebbe avvenuto la notte del 14 marzo, quando le forze russe si trovavano in difficoltà sotto il fuoco di quelle ucraine. I militari russi, secondo i testimoni, sarebbero andare di porta in porta e avrebbero raccolto, sotto la minaccia delle armi, circa 150 abitanti del villaggio, la maggior parte persone anziane e bambini. I civili sarebbero poi stati ammassati nella palestra di una scuola, usata come scudo di protezione per le forze russe.
Ancora una volta, come già riferito da altri testimoni in altre città liberate, i soldati «erano ubriachi», «sparavano alle persone solo per divertirsi, senza motivo».
Un 25enne, a cui i russi hanno sparato a una gamba, ha detto alla Bbc di essere stato tenuto prigioniero per 15 giorni all’aperto a temperature sotto lo zero, legato e imbavagliato.
Human Rights Watch dice di aver documentato crimini di guerra commessi dalle forze russe nelle aree di Kiev, Kharkiv e Chernihiv, nell’Ucraina settentrionale, tra cui un caso di stupro ripetuto e due casi di esecuzione sommaria.
Amnesty International ha pubblicato ulteriori testimonianze, raccolte sul campo, su esecuzioni extragiudiziali di civili ucraini da parte dell’esercito russo che fanno pensare a crimini di guerra.
«Nelle ultime settimane abbiamo raccolto prove di esecuzioni extragiudiziali e altre uccisioni illegali da parte delle forze russe. Molte di queste prove devono essere indagate come probabili crimini di guerra. Stiamo parlando di atti di inspiegabile violenza e di sconvolgente brutalità, come le uccisioni di civili privi di armi nelle loro case o in strada», ha detto Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
«L’uccisione intenzionale di civili è una violazione dei diritti umani e un crimine di guerra». Finora Amnesty International ha ottenuto prove di uccisioni di civili in attacchi indiscriminati a Kharkiv e nella regione di Sumy, di un attacco aereo che ha ucciso civili in coda per il cibo a Chernihiv e della situazione delle popolazioni civili sotto assedio a Kharkiv, Izium e Mariupol. Le persone intervistate hanno raccontato ad Amnesty International di essere rimaste prive di elettricità, acqua e riscaldamento sin dai primi giorni dell’invasione e di aver avuto scarse quantità di cibo a disposizione.
Due abitanti di Bucha hanno detto che i cecchini aprivano regolarmente il fuoco contro chi andava a recuperare cibo da un negozio che era stato distrutto.
(da la Stampa)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
“MA QUANDO LI STERMINATE TUTTI QUESTI UCRAINI?”…“PAPÀ, DEVI SBRIGARTI AD UCCIDERE TUTTI GLI UCRAINI COSÌ TORNI PRESTO A CASA”
I soldati russi usano spesso radio non criptate per comunicare tra loro e telefonini comuni per parlare con casa. Per i servizi segreti occidentali è stato facile intercettare comandi tattici e trasmetterli in tempo reale agli ucraini. Per le compagnie telefoniche del Paese è stato ancora più semplice tenere sotto controllo le sim che chiamavano numeri russi. Ne è uscito un quadro sconvolgente della loro condizione di vittime oltre che di carnefici della guerra.
L’UOMO IN BICICLETTA
I servizi segreti tedeschi, Bnd, sono riusciti ad accoppiare le loro intercettazioni radio con il video registrato da un drone che aveva già sconvolto il mondo. Combaciano l’ora e la geolocalizzazione. Il filmato mostra un carro armato che mira e centra un civile che si muove tra le macerie del villaggio. Ha le mani sul manubrio, non appare minimamente in grado di nuocere al corazzato. Anche così, dalle immagini mute in bianco e nero, appare un’esecuzione crudele e ingiustificata.
L’intercettazione tedesca rende ancora più assurdo quel colpo: pochi secondi o minuti dopo l’orario segnato sul film del drone, dallo stesso luogo, un soldato comunica euforico ad un collega «abbiamo sparato a un ciclista». Come si trattasse di un successo al tiro a segno.
INTERROGATORI MORTALI
Le intercettazioni tedesche, visionate da Der Spiegel , sembrano mostrare un modus operandi per il quale le stragi immaginate guardando i cadaveri di Bucha e Borodyanka non sono affatto il risultato di schegge impazzite o reparti fuori controllo.
Dagli accenti e dai nomi dei soldati intercettati, appare che dopo la conquista compiuta da militari molto giovani, siano arrivati anche elementi più anziani, sicuramente ceceni e forse anche mercenari del gruppo Wagner. Nelle conversazioni dei soldati le atrocità sono descritte come giochi o come banali ordini portati a termine. La violenza che semina terrore diventa così arma di guerra per piegare la volontà di resistenza del popolo e dei militari. La regola, spiegata da un soldato all’altro, era «prima si interrogano i soldati prigionieri, poi si spara».
BENZINA PER LO STUPRO
Dai cellulari dei soldati russi, emergono attraverso l’intelligence ucraina, racconti di un abbruttimento umano che lascia sgomenti. Un militare delle milizie indipendentiste filorusse telefona alla compagna che sembra vivere in un’area occupata dalle truppe di Mosca. Lui parla in russo, lei gli risponde, piangendo, in ucraino. «Serghey, tu non puoi capire quel che sta succedendo qui. I soldati ammazzano, sparano, violentano anche i bambini». «Lo dici per sentito dire o perché l’hai visto?» «Non volevo dirtelo, ma non riesco più a stare zitta. Quando sono arrivati, gli abbiamo aperto la porta, gli abbiamo dato pane e salame. Ma poi di notte sono tornati con delle taniche di benzina. Ve le diamo in cambio delle due ragazze. Capisci? Avevano 13 e 15 anni». «Ma chi ha fatto una roba del genere?» «Non lo so. Avevano la fascia rossa».
MEDAGLIE E SANGUE
I russi chiamano spesso con disprezzo gli ucraini «kholki». È un riferimento all’immagine folklorica degli antichi cosacchi con i baffoni e il ciuffo sulla testa rasata. Un soldato telefona a quella che sembra la moglie. Entrambi infilano una parolaccia dietro l’altra che, qui, sono lasciate all’immaginazione. «Questi khokli ci fanno soffrire». «Ho paura, guarda che sono già andata al funerale di tre tuoi coscritti. Non farti fregare».
«A me lo dici? Il comandante ha detto che meritiamo la medaglia, ma io gli ho risposto di tenersela e di rimandarmi a casa». «Ma perché non li sterminate tutti questi khokli?» «Credi sia facile? Non è mica un film questo. Da quando sono qui, non ho visto ancora un soldato ucraino. Gli spariamo le cannonate. Mica è semplice beccarli».
Nel gergo militare, sin dai tempi sovietici, i russi si riferiscono alle perdite come «carico 200» e ai feriti come «carico 300». In questa intercettazione, sempre zeppa di volgarità, un soldato sembra parlare con la sua compagna. «Eravamo 80 e siamo rimasti in 13. Da giorni non faccio altro che caricare cadaveri. Carico 200 e carico 300». «Tu però stai attento?». «È da due settimane che vivo sottoterra. Ho paura di ogni rumore che sento. Quando torno, se torno, penso che dovrei chiedere di andare a lavorare al camposanto. Al carico 200 ormai sono abituato e almeno lì c’è silenzio. Guarda, a Capodanno non voglio neanche sentire i fuochi d’artificio. Penso che mi chiuderò in cantina».
SBRIGATI A UCCIDERE
Lui chiama la moglie. «Ho già sentito la mamma e mi ha raccontato della bambina. È vero che a scuola hanno fatto una colletta per i soldati al fronte?». «Sì è vero, ma non solo soldi, anche oggetti, cibo, regali». «La bambina ha preparato dei guanti per me, mi ha detto mamma». «Ti ha anche spiegato cos’ ha scritto sul bigliettino?». «No, cosa?». «Papà, devi sbrigarti ad uccidere tutti gli ucraini così torni presto a casa». I due genitori ridono.
Un soldato telefona al padre. Hanno entrambi l’accento delle estreme regioni orientali della Federazione russa. Potrebbero essere di Buriazia e Carcassia confinanti con la Cina. In quelle steppe i molossi turkmeni, gli alabai, sono cani diffusi, utili per difendere le greggi e le case dai lupi. «Avete da mangiare? Siete a posto?» «Sì, sì, siamo a posto. Abbiamo tutto. Anzi ieri abbiamo anche mangiato un alabai». «Davvero? Un alabai? Era buono?». «Eccome. E comunque ho trovato anche una sorpresa per la mamma e un iPad per mia moglie».
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
UN 38% DI INTERVISTATI NON PRENDE POSIZIONE (FRANCIA O SPAGNA PURCHE’ SE MAGNA)… IL 32% E’ CONTRARIO ALLE SANZIONI … UNA SOLUZIONE PER I FAN DI PUTIN: TRENI SPECIALI PER MOSCA CON BIGLIETTO DI SOLA ANDATA E FUORI DAI COGLIONI
«L’Italia è a fianco dell’Ucraina», ha ripetuto più volte il premier Mario Draghi. Di certo lo è il governo, al netto dei mal di pancia di Matteo Salvini. Ma, a quanto pare, non lo sono tutti i cittadini.
Secondo l’ultimo monitoraggio del “sentiment” della nostra opinione pubblica curato da Ipsos, solo sei italiani su dieci (57%) dicono apertamente di stare con l’Ucraina, mentre c’è un 5% che non si fa problemi ad ammettere di parteggiare per la Russia.
In mezzo troviamo un 38% di intervistati che non prende posizione, scegliendo l’equidistanza tra gli aggressori e gli aggrediti: «Esiste la percezione che i filorussi siano molti di più», spiegano i ricercatori dell’Ipsos. Non tutti hanno voglia di dichiararsi ammiratori di Putin, ma lo lasciano intendere
Un italiano su tre, ad esempio, sostiene che Mosca abbia ragione a sentirsi minacciata dall’allargamento della Nato, anche se quasi tutti ritengono comunque ingiustificata l’invasione dell’Ucraina, a parte un 6% completamente allineato sulle mosse del Cremlino.
In un quadro di questo tipo, non sorprende che solo la metà del campione si dica favorevole a mantenere le sanzioni nei confronti della Russia, anche a fronte di un aumento dei prezzi: un terzo (32%) è, invece, poco o per niente d’accordo, un’opinione in crescita rispetto alle prime settimane di guerra.
La volontà che prevale è quella di cercare di restarne fuori, il più possibile.
Metà degli italiani (48%) preferirebbe evitare qualsiasi coinvolgimento nel conflitto, astenendosi anche dall’inviare armi all’Ucraina, un’azione sostenuta solo dal 29% degli intervistati.
Se per uno su quattro (28%) il governo fa bene a insistere con le sanzioni, c’è una percentuale analoga che chiede di scegliere la neutralità: il nostro Paese dovrebbe ritirare le sanzioni e proporsi come mediatore, anche a costo di creare contrasti con gli Stati Uniti e gli alleati europei.
A proposito, sul fronte diplomatico è la Francia di Macron a emergere come l’attore internazionale che più sta contribuendo alla ricerca di una soluzione al conflitto. Seguita dalla stessa Unione europea, dal Vaticano e da Israele.
L’avvio dei negoziati ha ridotto i timori di un allargamento della guerra su scala globale: per oltre il 50% resterà una questione tra Russia e Ucraina o, al massimo, si estenderà ad altri Paesi dell’Est Europa. Allo stesso modo, per il 45% è poco o per niente probabile il ricorso ad armi nucleari.
Tuttavia, l’85% degli italiani resta molto o abbastanza preoccupato delle conseguenze di questo conflitto. In particolare di quelle economiche, sia per la propria famiglia che per il Paese in generale: rincari di beni e servizi, rischi per i risparmi, peggioramento dei conti pubblici, rallentamento dell’export e della produzione industriale.
Ma è in aumento, fino al 30%, anche il timore di un coinvolgimento diretto dell’Italia nelle operazioni militari. Decisiva, poi, per farsi un’opinione circostanziata, è l’offerta di informazione garantita dai media italiani, che solo tre intervistati su dieci giudicano neutrale e oggettiva. Per il 37% del campione, invece, è troppo sbilanciata a favore dell’Ucraina e del presidente Zelensky. In generale, il 28% si considera poco o per nulla informato, confuso rispetto allo scenario bellico, mentre il 42% si ritiene informato solo in parte.
Un terzo degli italiani ritiene che le nostre aziende debbano prendere una posizione pubblica sul conflitto, mentre un 43% auspica che restino distanti e neutrali, per evitare di compromettere gli affari. La maggioranza (58%), comunque, sostiene che le aziende dovrebbero partecipare alle sanzioni nei confronti della Russia, ritirando i loro prodotti dal mercato di Mosca e chiudendo eventuali fabbriche ed uffici. Ma c’è anche un 40% che ritiene giusto non penalizzare i cittadini russi, assicurando loro i prodotti cui sono abituati. Per quanto riguarda le azioni a sostegno dell’Ucraina, per l’85% degli intervistati le aziende dovrebbero innanzitutto inviare aiuti materiali ai profughi, mentre il 72% vorrebbe che arrivassero a donare parte dei loro ricavi a beneficio di chi è scappato dalla guerra.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
IN STAZIONE C’ERANO QUATTROMILA CIVILI INNOCENTI, DONNE E BAMBINI… L’OCCIDENTE CONTINUA A STARE A GUARDARE
La Russia ha lanciato un attacco aereo sul cavalcavia vicino alla stazione di Barvinkove, la ferrovia utilizzata per evacuare gli abitanti di Sloviansk e Kramatorsk, nella regione di Donetsk. Il bilancio è di oltre 30 morti e 100 feriti.
Nei giorni scorsi molti filmati avevano mostrato la folla che si radunava intorno alla stazione per cercare di prendere il treno e scappare dalla città.
Il cronista di France Presse sul posto ha riferito di aver visto i corpi di almeno 20 persone in sacchi per cadaveri.
Il governatore della regione di Donetsk, Pavlo Kyrylenko, ha detto che al momento dell’attacco migliaia di persone si trovavano nella stazione nella speranza di lasciare la città, minacciata da una grande offensiva russa.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pubblicato un post su Facebook con video e foto dell’attacco.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
NON SE NE PUO’ PIU’ DELLA PRESENZA DEL SOCIOLOGO IN TV, IERI ERA ANCHE DA FLORIS
“Ci tengo a precisare che io sono un diplomatico, sono attaccato alla forma, lui è un professore che ha studiato, è attaccato alla sostanza. Ma la forma, nel nostro mestiere, è anche sostanza”: l’ambasciatore Riccardo Sessa replica ad Alessandro Orsini nello studio di PiazzaPulita.
“Mi permetto di dirle, data la differenza di età, che io ho studiato parecchio più di lei. E la porto a riconsiderare seriamente alcune sue posizioni, che io rispetto perché per fortuna – a differenza degli ucraini che combattono contro un regime che a una persona che ragiona in questo modo l’avrebbero già fatta sparire in un manicomio criminale – lei può sostenere quello che vuole sulla Nato. Ma sono dei discorsi di una propaganda che mi consenta di dirle non sta in piedi e non rende giustizia a quelle migliaia di persone che stanno morendo in Ucraina e che grazie al cielo da decenni paesi della Nato, compresa l’Italia, hanno aiutato a difendersi. Noi siamo nati dalla parte giusta del mondo, dove ognuno può dire quello che pensa”.
(da NetQuotidiano)
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Aprile 8th, 2022 Riccardo Fucile
LE IMMAGINI DA UN DRONE CONFERMANO L’ECCIDIO AD OPERA DEI CRIMINALI RUSSI
Dopo l’analisi del New York Times basata sulle immagini satellitari, ora anche il sito indipendente russo di approfondimento Meduza produce le prove che il massacro di Bucha sia avvenuto durante l’occupazione della città da parte delle truppe di Mosca, e non in un secondo momento, come ipotizzato dal Cremlino per provare a scaricare sugli ucraini le responsabilità dell’uccisione di centinaia di civili inermi.
Un video registrato con un drone mette a confronto le immagini dei corpi in strada con quelle filmate a bordo dei mezzi militari di Kyiv, costretti a fare lo slalom tra i corpi in strada che coincidono perfettamente nelle posizioni rispetto a quanto si vede dall’alto.
Nei filmati si possono vedere le salme che giacciono in via Yablonskaya, e anche in altre strade adiacenti di Bucha.
Meduza fa notare, oltre alla perfetta sovrapposizione della geolocalizzazione dei corpi, anche il fatto che si trovino nella stessa posizione dei filmati registrati da terra, smontando le teorie del Cremlino che avevano parlato di “set cinematografico” nei discorsi propagandistici.
Secondo i metadati dei file in possesso del sito russo indipendente, le immagini dal drone sono state girate dal 23 al 30 marzo 2022, in piena occupazione russa, che sarebbe terminata – come affermato dal ministero degli Esteri del Cremlino – all’inizio di aprile.
Sono anche visibili diverse attrezzature militari in dotazione dell’esercito di Mosca. Il video è stato consegnato a Meduza dal nazionalista russo Sergei “Botsman” Korotkikh, il cui gruppo sta combattendo dalla parte dell’Ucraina. Per dimostrare trasparenza Meduza ha anche pubblicato i file con cui ha costruito il video su Google Drive.
(da NetQuotidiano)
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