Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
LE TESTIMONIANZE DEI SOPRAVVISSUTI
Camminano ancora spaventati nella loro città semideserta. E quando qualcuno gli chiede cosa è successo, mettono le dita sulle tempie, le tirano indietro e danno un volto al nemico: «Avevano gli occhi a mandorla», dice la gente di Makariv, ennesima città a nord di Kiev presa d’assalto dall’esercito di Putin.
Anche qui i miliziani dell’estremo oriente russo non hanno avuto pietà. La città è per metà distrutta. Finora si sono contati 133 morti e sui cadaveri, rinvenuti nei campi e dietro le abitazioni, c’erano segni di torture.
«Avevano le mani legate e in almeno due casi si trattava di donne stuprate e poi uccise, una di queste è stata sgozzata. Abbiamo trovato i corpi». Mentre lo dice, Vadim Tokar fa il gesto con la mano che gira intorno alla gola. È il sindaco-soldato di Makariv, che prima della guerra era un avvocato, ma ora indossa una divisa militare come se fosse al fronte, tanto che dopo l’occupazione è stato decorato con una medaglia d’onore dal presidente Zelensky.
Per il ministero della Difesa ucraino si tratta di «un nuovo, mostruoso crimine di guerra». Fin dallo scorso 25 febbraio i morti, spiega Tokar, sono sparsi nelle case, sotto gli edifici crollati. Quelli che erano in strada sono stati recuperati. Nei racconti della gente, poca quella che esce dalle case ancora rimaste in piedi, il rituale di guerra è quasi sempre lo stesso anche se qui «gli spari alle auto in strada arrivavano anche dall’alto, dagli elicotteri», ricorda Oleh, 58 anni, che si è rifugiato con la moglie, i due figli, una parente, gatti e cani per tutto il tempo in cantina al buio e senza riscaldamento. Col dito ora indica le finestre sfondate della sua casa, dove entrava vento gelido mischiato a fumo e odore di polvere da sparo. Ma gli è andata bene, perché – spiega Maria – «in alcune abitazioni i militari russi hanno lanciato le granate nei rifugi, non volevano neanche ci nascondessimo, ammazzavano anche gli animali».
A quanto pare però l’esercito cambiava continuamente le sue posizioni all’interno della città, dove non c’erano sempre gli stessi gruppi di militari: «Alcuni soldati russi a un certo punto ci hanno detto di scappare perché sarebbero arrivati quelli più cattivi, gli “udmurt” e i “buryat”», l’etnia dei miliziani dell’estremo oriente che non fanno prigionieri e si sono accaniti anche su Bucha.
Del resto, in quest’area, tra un territorio e l’altro l’unica cosa che resta sull’asfalto e sul terreno dei campi sono le macchine schiacciate o traforate dal piombo, i relitti di carri armati, le casse vuote che contenevano kalashnikov e artiglieria e gli accampamenti di fortuna usati dai russi durante l’occupazione.
Come in un copione di guerra già visto in questi giorni, anche Makariv è stata isolata fin dall’inizio: «Sono entrati e hanno rotto i telefoni, uccidendo chi scriveva o cercava di mandare informazioni all’esterno».
Poi i collegamenti sono stati completamente distrutti e quasi per una quarantina di giorni il mondo non ha saputo nulla di cosa si stesse compiendo alle porte della capitale ucraina. Sviatoslav, che pure è rimasto in paese tutto il tempo, dice di essersi barricato in casa come gli avevano detto di fare e di aver sentito solo spari per settimane. Al fratello di Maria è andata tutto sommato bene: «Era per strada, lo hanno fatto inginocchiare e poi hanno sparato in aria per spaventarlo, la sua colpa era non aver portato con sé il passaporto».
Il vicino di Oleh invece non si trova più o almeno si vuole credere che sia soltanto scomparso, perché invece la sua macchina è rimasta lì trafitta da fori di proiettili ovunque: «Stava andando a trovare la moglie a Borodyanka, era in ospedale perché doveva partorire». Non potevano immaginare che l’onda disumana stesse arrivando anche lì: ad avvisarli era stato persino il nemico.
(da agenzie
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
LE TESTIMONIANZE DEI SOPRAVVISSUTI
Stiamo percorrendo in automobile la strada che porta verso Bucha, la città ucraina di cui tutto il mondo parla dopo la scoperta di circa 400 corpi di civili nelle fosse comuni o lungo i bordi delle strade.
Mentre procediamo, dietro i finestrini scorrono boschi, campagne e villette. Bucha si trova a una cinquantina di chilometri a nord della capitale ucraina Kiev. Era un posto tranquillo fino a qualche settimana fa, finché i militari russi non l’hanno occupata durante quella che Mosca ha definito «operazione militare speciale».
Il nostro arrivo a Bucha è preannunciato dal cadavere di un civile freddato vicino a una bicicletta verde. Qualcuno lo ha colpito alla testa, forse mentre fuggiva, e il suo corpo giace ancora lì, ai bordi della strada.
Più avanti ci imbattiamo in un’automobile abbandonata, con il paraurti sfondato. Sulla fiancata e sul cofano, davanti e dietro, c’è scritto “Bambini”, mentre all’antenna è legato un pezzo di stoffa bianca. È chiaramente l’auto di una famiglia in fuga, eppure è stata colpita, come dimostrano i fori di proiettile.
Per circa un mese Bucha ha vissuto sotto l’occupazione dei russi, diventando un campo di battaglia a tutti gli effetti. I militari hanno iniziato a lasciare la città lo scorso 31 marzo, quando Mosca ha deciso di riorganizzare le proprie truppe perché, dato il fallimento del piano che puntava a prendere la capitale Kiev in pochi giorni, i vertici militari hanno deciso di concentrare gli sforzi bellici nella parte meridionale e in quella orientale dell’Ucraina.
Al nostro ingresso la città appare semidistrutta e disseminata di rottami di automobili. Nel corso principale c’è una macchina che è stata schiacciata da un carro armato. All’interno è incastrato il cadavere del conducente.
«Era il giardiniere del Comune, è un mese che è lì. Non riusciamo a tirarlo fuori. Gli hanno prima sparato, poi gli sono passati sopra».
Vadim è stato tra i primi a fare i conti con le truppe di Mosca. Racconta che, appena arrivati, i militari russi hanno bersagliato un monumento a forma di carro armato, pensando fosse vero, e hanno sfondato il muro della sua casa.
Ci guida nello scantinato dove ha trascorso l’ultimo mese, nascondendosi insieme ad altre 19 persone. «Uscivamo solo per l’acqua, con una fascetta bianca al braccio e le mani in alto», dice mimando il gesto. Ma anche in questo modo correvano dei rischi: «Ci perquisivano. Controllavano pure i tatuaggi, in cerca di simboli militari o patriottici».
Poi ci indica un piccolo altare, formato da icone sacre e quadri poggiati su un tavolino: «Questa è la nostra mini-chiesa, la preghiera ci ha tenuti in vita».
“Sotterrateli come i cani”
«Io so di almeno due persone uccise mentre andavano al supermercato, uno colpito alla testa, uno al cuore», racconta un altro testimone. «A me e a mia moglie è andata bene. Ci hanno perquisito, nel suo telefono hanno trovato una foto di me in Afghanistan, con le medaglie sovietiche. Hanno detto: “Sei dei nostri”. La gente chiedeva di portare i morti al cimitero, i russi rispondevano: “Se lo fate, al cimitero ci finite anche voi. Sotterrateli dove vi pare come i cani”».
Raggiungiamo la fossa comune, scavata nel cortile di una chiesa. Ci sono ancora diversi cadaveri chiusi in sacchi neri, il lavoro di rimozione non è stato concluso. Tra i resti che emergono dal terreno, scorgiamo anche indumenti femminili e una ciabatta rosa. Vicino alla fossa solo due persone hanno avuto sinora una degna sepoltura. Sulla loro tomba sono poggiati dei mazzi di fiori gialli, e a terra sono state piantate delle margherite. La data di morte, segnata su un piccolo cartello nero, è il 19 marzo.
(da TPI)
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
LO SCOPO E’ DI IMPEDIRE IL RITORNO NELLE CITTA’
Trappole esplosive negli elettrodomestici come le lavatrici o i forni ma anche nelle auto abbandonate, così i russi hanno lasciato la maggior parte della città dell’Ucraina a nord di Kiev dopo la decisione di abbandonare la zona e ritirarsi oltre i confini, nel territorio della Bielorussia.
Ordigni improvvisati e bombe di ogni tipo sono state scoperte dalle forze armate di Kiev man mano che riconquistavano il territorio lasciato dai russi, prova di una scelta sistematica e di una volontà di impedire il più possibile il ritorno degli ucraini, la ricostruzione degli edifici o la semplice rimozione delle macerie e infine dunque il ritorno dei civili.
Secondo Kiev, le forze russe hanno disseminato le zone che avevano occupato con ordigni esplosivi che possono innescarsi al semplice passaggio o anche toccando oggetti che sembrano innocui, come appunto qualche suppellettile in una casa. Alcuni sono stati piazzati proprio negli edifici civili diroccati dai bombardamenti con un alto rischio per la popolazione che si imbatte in questi dispositivi di morte che spesso, se non uccidono, mutilano.
Una tattica volta a terrorizzare la popolazione e a impedirne il ritorno nelle loro città. Alla luce dei numerosi esplosivi trovati nelle cittadine dei sobborghi di Kiev, infatti, lo stesso ministro dell’Interno ucraino, Denis Monastyrskyi, ha avvertito la popolazione di non tornare per ora nelle loro case per l’elevato pericolo che si incorre. Si segnalano già alcuni incidenti mortali come un uomo morto innescando involontariamente una trappola quando ha aperto il bagagliaio della sua automobile abbandonata.
Anche l’intelligence di Londra conferma l’elevato rischio per i civili a causa di trappole esplosive. “Le truppe russe continuano a usare ordigni esplosivi improvvisati (Ied) per causare vittime, abbassare il morale e limitare la libertà di movimento degli ucraini” riporta il ministero della Difesa britannico nel suo consueto aggiornamento dell’intelligence.
Secondo il Regno Unito, il ritiro dell’esercito russo dall’Ucraina settentrionale ha lasciato le prove di come siano stati presi di mira in modo sproporzionato i non combattenti e colpite massicciamente le infrastrutture civili con un “rischio elevato” di infliggere danni collaterali ai civili.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
A MOSCA CONTINUANO A GIRARE VOCI SU UNA FEROCE RESA DEI CONTI ALL’INTERNO DEL GRUPPO DIRIGENTE. E SONO INIZIATE LE PURGHE DEI GENERALI
«Questa guerra sarà vinta sul campo di battaglia», promette Josep Borrell da Kyiv, e tutti, ucraini, russi e occidentali si preparano alla madre di tutte le battaglie che dovrebbe iniziare nel Donbass, ormai ufficialmente riconosciuto come il nuovo obiettivo fortemente ridimensionato di quella che un mese e mezzo fa era stata lanciata da Mosca come una guerra per riprendersi l’Ucraina.
L’esito del negoziato, e la disponibilità stessa del Cremlino a trattare, dipenderà dalla capacità delle sue truppe di strappare all’Ucraina almeno un lembo di territorio che si possa presentare ai russi come una vittoria, entro il 9 maggio, la fatidica data dell’anniversario della vittoria su Hitler che per Vladimir Putin è diventata negli anni una sorta di culto. Ma non sarà un compito facile.
Perfino il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov, ha ammesso «cospicue perdite» tra i soldati russi, ammettendo una «tragedia enorme», e attirandosi le ire dei falchi russi. In Rete girano filmati di lunghe file di tombe di paracadutisti e marines russi, e secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, in alcune unità russe il numero dei militari che si rifiutano di partire per il fronte sfiora l’80 per cento.
Un alto funzionario europeo ha rivelato alla Cnn che in poco più di 40 giorni di guerra la resistenza ucraina ha reso non operative un quarto delle truppe russe.
Gli ucraini dichiarano di aver ucciso più di 19 mila soldati, i russi. Almeno 40 BTG – gruppi di battaglioni tattici, da circa mille componenti ciascuno – si sono ritirati dal Nord dell’Ucraina verso la Belarus, rinunciando all’offensiva sulla capitale, e un numero di militari che equivale a 29 Btg sono stati uccisi o feriti.
Secondo la fonte europea, i russi oggi «stanno cercando di mettere insieme quel che resta di due o tre gruppi per creare un’unità combattente». Mentre mancano ancora i numeri sulla campagna di chiamata alle armi primaverile – ma diverse voci parlano di famiglie pronte a pagare qualunque somma per salvare i figli dalla leva – è in corso anche una convocazione di 60 mila riservisti.
Le voci sul richiamo dei riservisti erano state smentite più volte dal comando russo, ma vengono confermate alla Reuters da una fonte militare americana, insieme alle difficoltà di radunare i numeri necessari a rilanciare un’offensiva seppure circoscritta.
A Mosca intanto continuano a girare voci di una feroce resa dei conti all’interno del gruppo dirigente russo. Mentre i falchi – tra cui spiccano il leader ceceno Ramzan Kadyrov e i propagandisti televisivi come Vladimir Solovyov, che ieri ha inneggiato ai guerrieri ortodossi russi che combattono «i demoni di uno Stato nazista e satanico» – continuano a scagliarsi contro chiunque mostri un minimo di rammarico per la guerra, continua la caccia al capro espiatore.
Gennady Gudkov, ex deputato ed ex ufficiale del Kgb diventato oppositore di Putin, rivela che un generale dell’Fsb è stato mandato in carcere: secondo le sue fonti, si tratta del responsabile dell’intelligence che doveva preparare la guerra.
Mentre Kyrylo Budanov, capo dello spionaggio militare ucraino, dice che le truppe russe stanno ricompattando i ranghi nei dintorni di Izyum, la città chiave che apre la direttrice verso il Donbass, sembra che Mosca abbia deciso di affidare le redini dell’operazione nel Sud-Est al generale Aleksandr Dvornikov, un comandante che ha alle spalle l’esperienza della guerra in Siria.
Resta da capire se il cambio di comandante riuscirà ad ovviare ai numerosi disastri di una armata rotta che ha colpito gli osservatori militari di mezzo mondo per le sue scarse capacità. Il generale David Petraeus ha sostenuto qualche giorno fa in un’intervista al Times che Mosca ha «ampiamente sopravvalutato le proprie capacità, sottostimato molto quelle dell’Ucraina, oltre a sbagliare il piano strategico e il coordinamento tra le diverse truppe».
Aggiungendo una scarsità di ufficiali preparati e a una «logistica inadeguata», lo stratega americano delle guerre in Iraq e in Afghanistan ha sostanzialmente bocciato l’ex Armata Rossa in tutte le materie, ma soprattutto nella catena di comando, rigida e verticale, per cui gli ufficiali sul terreno devono aspettare gli ordini dei superiori dal centro. Il contrario dell’esercito ucraino, che il suo comandante Valery Zaluzhnyy ha voluto riformare sul modello occidentale, scommettendo su piccoli gruppi autonomi e una gestione orizzontale e flessibile: «Basta con i piani di guerra del 1943», era stato il suo motto.
(da la Stampa)
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
E PERCHE’ E’ DIVENTATA UN SIMBOLO DELLA RESISTENZA UCRAINA
Non solo Z. Sono tanti i simboli e gli oggetti che stanno diventando protagonisti di questa guerra. L’ultimo è un gallo in ceramica, diventato uno dei simboli della resistenza ucraina, tanto che una donna ha deciso di donarne uno al presidente ucraino Volodymyr Zelensky e uno al premier britannico Boris Johnson durante la visita a Kiev di ieri, 9 aprile.
Quando la signora si è avvicinata, Johnson le ha detto: «Vengo da Londra», e lei ha risposto sorridendo: «Lo so, io vengo da Kharkiv».
La diffusione di questo simbolo nasce dopo una foto diventata virale su web: una caraffa in ceramica a forma di gallo rimasta intatta sopra il mobile di una cucina di una casa distrutta dai bombardamenti di Borodianka, città a nord-ovest di Kiev. Successivamente, si è scoperto che il gallo in questione era stato progettato per la prima volta dallo scultore ucraino Prokop Bidasiuk, classe 1895, che ha esposto le proprie opere al National Museum of Folk Applied Arts di Kiev.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
LE BUFALE GIORNO PER GIORNO
In ogni guerra, in ogni conflitto, la vera verità non è mai al 100%: propaganda, fake news, esagerazione e qualsiasi altro aggettivo fanno parte integrante dello scontro.
La prima cosa inconfutabile di quanto succede in Ucraina, però, è che Putin abbia invaso deliberatamente il Paese di Zelensky, e chi trova giustificazioni per qualcosa del genere mente sapendo di mentire.
L’invasore, però, ha raccontato e racconta a se stesso e alla propria gente una serie di panzane inenarrabili, al limite del ridicolo, convincendosi e provandosi a convincere che le cose vadano esattamente come dicono loro.
I russi di Putin stanno commettendo una serie di violazioni incredibili che vanno contro tutte le regole di guerra, dalle Convenzioni di Ginevra allo Statuto di Roma oltre ad altre leggi e accordi internazionali, molti delle quali la Russia stessa è firmataria. Ecco come smonteremo pezzo per pezzo le frottole raccontate dall’informazione (finta) putiniana.
Il bombardamento degli edifici
“L’esercito russo non colpisce i civili”, ha affermato più di un commando militare russo: ma è credibile, una cosa del genere, di fronte a decine di migliaia di condomini bombardati in giro per l’Ucraina? Obiettivamente sarebbe stato meglio tacere. Quella che hanno chiamato “missione militare speciale” riguarda non soltanto obiettivi sensibili ma la stessa incolumità dei civili. Come abbiamo scritto sul Giornale.it, “gli oggetti civili non devono essere oggetto di attacco o di rappresaglia. Gli attacchi devono essere strettamente limitati a obiettivi militari”, recita l’Art.52 del Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra dell’8 giugno 1977. Questa sezione si concentra sui selvaggi attacchi della Russia contro edifici e infrastrutture civili. I russi stanno bombardando case familiari tranquille, ospedali dove le persone stanno già combattendo per la propria vita. Asili, scuole e persino rifugi antiaerei. Ed è la prima, grossa, fake news alla Putin.
Il numero dei russi uccisi
Come abbiamo visto sul nostro Giornale, una delle propagande più becere che la Russia porta avanti dal 24 febbraio riguarda i caduti sul campo di battaglia: quanti sono esattamente? Se, certamente, gli ucraini montano i decessi per eccesso, i russi li montano per difetto. Tra le 1.300 perdite complessive che dichiara il Cremlino e le 19mila dichiarati dall’Ucraina c’è una bella forbice che non può mai essere né a favore del primo numero e neanche del secondo. Questo significa che i russi hanno subìto ingenti perdite, molto più gravi delle previsioni, e che si cerca di nascondere ad arte quanto accaduto con dietrofront, smentite, accuse. Una disinformazione a prova di Putin, che nel suo Paese chiude le redazioni contro il regime.
La fake news dell’ospedale
Una delle cose più gravi accadute finora è lo scempio che hanno provocato i russi nell’ospedale di Mariupol, città devastata e rasa al suolo. Come sottolinea il Corriere, lo stesso Cremlino ha risposto con tesi diverse: prima ha sostenuto che l’edificio fosse vuoto di pazienti e pieno di “neonazisti del Battaglione Azov”. Poi, accortosi che non esistono resti militari, ha inventato la balla della recita. Una recita? Ma neanche un bambino di 5 anni crederebbe alla “recita”. L’ambasciata russa a Londra bolla come “fake” una delle gestanti, “È una beauty blogger ingaggiata per recitare in due parti”. Una ragazza partorisce, l’altra muore. La prima viene intervistata dai media filorussi che titolano sull'”imbroglio dell’ospedale”. Però, le parole della sopravvissuta sono ben diverse da quelle raccontate da Mosca e la versione russa viene smentita, e zittita. La neomamma, infatti, ha raccontato ogni momento del vero bombardamento e della vera morte dell’altra donna.
Gli orrori a Bucha
L’altra follia a cui abbiamo assistito in questi giorni è la negazione di quanto accaduto a Bucha, città degli orrori che al momento conta 360 civili uccisi e molto bambini. “I cadaveri che vedete sulle strade di Bucha non esistevano prima che i soldati russi arrivassero. Cioè se ne andassero”: il lapsus freudiano dell’ambasciatore russo all’Onu, Vasily Nebenzy, è veramente la punta dell’iceberg delle frottole. Come quando si parlava dell’ospedale che, secondo la versione russa, si trattava di manichini, morti finte, non persone vere in carne e ossa. Anzi, in realtà corpi presi chissà da dove per “una messinscena ben organizzata” come ha affermato il portavoce dello zar, il fedelissimo Dymitri Peskov. A incastrare ulteriormente i russi anche le immagini dei droni, dall’alto, a mostrare lo scempio compiuto ovunque. Ma neanche quelle servono a far ammettere qualcosa.
La strage di Kramatorsk
Infine, la strage compiuta nella stazione di Kramatorsk dove 50 innocenti sono morti, era stata anche questa premeditata dai russi: due missili cadono tra gli sfollati in attesa del treno, si viene a sapere della notizia della strage ma un canale Telegram filorusso cancella il post di pochi minuti prima dove si annunciava un attacco missilistico con tanto di post: “vedranno l’inferno”. Il Cremlino probva a buttare la questione sul tipo di missile, non prodotto da Mosca e che si tratta di una “provocazione per addossarci la colpa”. I missili SS21 (classifica Nato) sono assolutamente in uso tra le forze filorusse del Donbass, lo sanno tutti. Putin, però, è così convinto che gli Occidentali siano scemi da raccontarne una al giorno. Ma il tempo, lo sappiamo, saprà essere galantuomo.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
CON MARINE LE PEN ALL’ELISEO IL NOSTRO CONTINENTE CONTEREBBE ANCORA MENO SULLA SCENA INTERNAZIONALE. E IL VERO VINCITORE SAREBBE VLADIMIR PUTIN
Perdere Parigi, per il fronte occidentale, sarebbe forse meno drammatico, ma certo politicamente più grave che perdere Mariupol. Eppure è quello che rischia di accadere, tra oggi e domenica 24 aprile.
Intendiamoci: Emmanuel Macron, al di là delle sue difficoltà e dei suoi errori, resta il favorito. Al ballottaggio potrebbe raccogliere più di quel 51% che gli attribuiscono i sondaggi.
È stato un buon presidente, è ancorato al centro, raccoglie il voto dei socialisti riformisti (gli irriducibili sosterranno Jean-Luc Mélenchon, dato al 17%) e della destra moderata. Ma ha clamorosamente sottovalutato la campagna elettorale.
E ha visto crescere Marine Le Pen, che nelle previsioni arriverà al primo turno quasi appaiata a lui, poco sotto il 25%; senza che si intraveda quella mobilitazione repubblicana che cinque anni fa portò agevolmente Macron all’Eliseo.
Di sicuro, stasera avremo l’estrema destra francese (Le Pen più Eric Zemmour) vicina a un terzo dei voti. Marine Le Pen pone questioni giuste, cui da la risposta sbagliata. L’impoverimento dei ceti medi, la perdita del potere d’acquisto, la precarizzazione del lavoro, il senso di abbandono dei piccoli, delle periferie, della provincia: sono tutte istanze reali.
Ma la ricetta che la figlia di Jean-Marie Le Pen propone non aiuterebbe chi sta male; lo farebbe stare ancora peggio. La distruzione dell’Unione europea, e della sua rete di protezione finanziaria, sarebbe la rovina dei piccoli risparmiatori.
L’inflazione galopperebbe ancora di più, i prezzi del gas – contrattati non dall’Ue ma dai singoli Stati – aumenterebbero, il nostro continente conterebbe ancora meno sulla scena internazionale. E il vero vincitore sarebbe Vladimir Putin.
Marine Le Pen non ha mai nascosto di ammirare il satrapo di Mosca. La sua campagna elettorale del 2017 è stata finanziata da una società russa, questa campagna è pagata da una banca ungherese. Qualche giorno fa lei stessa ha detto che Putin può tornare a essere un alleato.
Marine Le Pen è una scaltra e avveduta interprete del disagio dei vinti della globalizzazione, delle classi popolari che pagano il prezzo dell’immigrazione, dei lavoratori che faticano più di prima e guadagnano meno.
Le elezioni di oggi saranno segnate da una forte astensione. Le Pen potrebbe risentirne, perché operai e studenti votano meno dei funzionari e dei pensionati, più vicini ai partiti tradizionali e comunque meno ostili a Macron.
Ma ci sono milioni di elettori arrabbiati, e quindi motivati, che potrebbero mobilitarsi al fianco di Marine.
Al secondo turno il 9% che raccoglierà Zemmour, l’altro candidato di estrema destra, la appoggerà; e una parte degli elettori di Mélenchon potrebbe farlo, in nome della rivolta contro il sistema.
Macron rischia di ritrovarsi con riserve di voti inferiori, al di fuori di quella rappresentata dal buon senso e dal patriottismo europeo.
La rielezione del presidente è spesso un problema: Valéry Giscard d’Estaing fu battuto nel 1981, Nicolas Sarkozy nel 2012; François Hollande nel 2017 non si è neppure ripresentato.
Se con Macron venisse meno un tassello fondamentale dell’alleanza filoucraina che parte da Varsavia e attraverso Berlino, Roma, Parigi, Madrid arriva sino a Washington, per Putin sarebbe una straordinaria notizia. Una buona ragione per sperare che Parigi non sia espugnata.
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
UNO DEGLI ESEMPI PIÙ NOTI È L’ECCIDIO DI 22 MILA TRA UFFICIALI, POLITICI, GIORNALISTI, PROFESSORI E INDUSTRIALI POLACCHI NELLA FORESTA DI KATYN NEL 1940 …MOZZATI NASO, ORECCHIE E DITA E CAVATI GLI OCCHI, DETENUTE COL SENO TAGLIATO
Importante promessa: dagli italiani a Addis Abeba agli americani a Sand Creek e Mi Lai passando per i francesi in Algeria o gli inglesi in India, la gran parte degli eserciti del mondo si sono macchiatidi crimini di guerra.
Ma la Russia rispetto ad altri Paesi ha avuto un’incapacità storica a riconoscere colpe del genere molto maggiore: sia relativamente all’epoca zarista che a quella sovietica e post-sovietica. Anche per questo, la quantità di eccidi sembra maggiore.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolare, l’Armata Rossa commesse una gran quantità di crimini di guerra che non furono mai giudicati.
Uno degli esempi più noti fu il massacro di 22.000 tra ufficiali, politici, giornalisti, professori e industriali polacchi che avvenne nella foresta di Katyn tra il 3 aprile e il 19 maggio 1940. Ma quello fu uno scenario che si ripeté prima in tutti i territori occupati in base al patto Molotiv-Ribbentrop, e poi in quelli occupati dopo la sconfitta nazista.
Anche gli ufficiali dell’esercito estone, ad esempio, furono tutti giustiziati o deportati. Ma furono in tutto più di 300.000 cittadini estoni che durante la Seconda Guerra Mondiale furono colpiti da deportazioni, arresti, esecuzioni e altri atti di repressione.
Quasi un terzo della popolazione, mentre le 200.000 vittime furono un estone su cinque. Una Bucha estone fu ad esempio Viru-Kabala: un villaggio in cui nell’agosto del 1941 fu uccisa tutta la popolazione. Anche un bambino di due anni e un neonato di sei giorni.
Pure in Lettonia il 14 giugno 1941 ci fu una deportazione in massa verso la Siberia. E la Lituania perse 780.000 cittadini, cui seguì una sanguinosa coda nel gennaio 1991, con le 13 persone uccise durante le manifestazioni indipendentiste. In Romania ci fu il primo aprile 1941 il massacro di Fantana Alba.
L’Urss ammetterà 44 vittime, ma varie stime arrivano a 3000. Dalla Moldavia ci furono almeno 46.000 deportati. Katyn a parte, in Polonia gli storici parlano di prigionieri scottati con acqua bollente a Bobrka; di altri a cui a Przemyslany furono tagliati naso, orecchie e dita e cavati gli occhi; di detenute col seno tagliato a Czortków.
Secondo gli studi di Tadeusz Piotrowski, negli anni dal 1939 al 1941 quasi 1,5 milioni di persone furono deportati dalle aree controllate dai sovietici dell’ex Polonia orientale.
Secondo lo storio Carroll Quigley, almeno un terzo dei 320.000 prigionieri di guerra polacchi catturati dall’Armata Rossa nel 1939 furono assassinati. I soldati dell’Armata Rossa iniziarono in Polonia la politica di stupri di massa poi portata avanti in Germania, al punto da provocare nel 1945 una pandemia di malattie sessuali.
Gli archivi di Stato polacchi stimano almeno 100.000 vittime. Il governo tedesco nel 1974 stimò in almeno 600.000 i civili morti durante le espulsioni di massa tra 1945 e 1948. E sono stimate in almeno 2 milioni le tedesche vittime di stupri.
Ma stupri furono documentati non solo in un altri Paese occupato come l’Ungheria, ma perfino in Cecoslovacchia e Jugoslavia. In Jugoslavia almeno 121 casi, da cui proteste di Tito che forse ebbero un ruolo nella rottura con Stalin.
Violenze contro i civili ci furono anche durante la Rivoluzione Ungherese del 1956 e l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, per non parlare dell’Afghanistan. Almeno 500 civili furono per esempio uccisi durante il massacro di Laghman nell’aprile 1985, e 360 durante il massacro di Kulchabat, Bala Karz e Mushkizi.
Nel 1992 l’Urss cessò di esistere, ma episodi del genere hanno continuato a essere denunciati anche nelle successive guerre russe. Nell massacro di Samashki dell’aprile ’95 oltre 100 civili ceceni furono uccisi dalla polizia antisommossa, e il rapporto Onu del 26 marzo ’96, accusò i russi di aver sparato e ucciso civili ai posti di blocco e di aver giustiziato sommariamente ceceni catturati, sia civili che combattenti.
(da “Libero Quotidiano”)
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Aprile 10th, 2022 Riccardo Fucile
IL TIMORE E’ CHE IL “MACELLAIO” POSSA ADOPERARE LA “TECNICA GROZNY”: BOMBARDAMENTI MASSICCI E INDISCRIMNATI PER SPIANARE LA STRADA ALLE FORZE DI TERRA… OBIETTIVO: IL CONTROLLO DEI DUE PORTI DI MARIUPOL E ODESSA
Ci sono voluti 44 giorni e alla fine il Cremlino sembra aver deciso di nominare un comandante unico dell’Operazione militare speciale in Ucraina.
Da tempo gli esperti occidentali facevano notare come le varie forze impegnate sui differenti fronti sembrassero non agire in maniera coordinata. Segno evidente della mancanza di un solo centro di supervisione generale.
Adesso, secondo una fonte della Bbc, al generale Aleksandr Dvornikov, ex capo del corpo di spedizione in Siria, sarebbe stata assegnata la guida di tutte le truppe in vista della battaglia che dovrebbe portare Mosca a controllare l’intero Sud-Est dell’Ucraina.
Le truppe alle quali era stato affidato il tentativo di conquista di Kiev, poi abortito, e quelle schierate nel Donbass o sulla costa del Mare d’Azov «sembravano competere per ottenere le risorse necessarie, invece di agire in maniera univoca», ha commentato un analista americano parlando con la Cnn.
«Invece uno dei princìpi della guerra è l’unità del comando, nel senso che una persona deve avere la responsabilità di tutto: deve coordinare gli attacchi, dirigere la logistica, adoperare le forze di riserva, misurare i successi e gli insuccessi delle differenti ali del fronte e, in base a quello che vede, modificare la strategia».
Questa situazione ha portato probabilmente molti generali russi a doversi impegnare direttamente quasi in prima linea per tenere sotto controllo l’azione dei vari reparti. Da qui le fortissime perdite tra gli alti gradi denunciate dagli ucraini che affermano di aver ucciso almeno sei generali russi
E la morte in combattimento di un altissimo ufficiale è un evento che di solito è estremamente raro, secondo David Petraeus, ex comandante delle forze statunitensi in Afghanistan e in Iraq nonché ex direttore della Cia.
Non è del tutto certo che prima di Dvornikov i russi non avessero una guida unica delle operazioni, il cui nome, magari, non era stato rivelato. Nel caso, sostengono gli analisti occidentali, si sarebbe trattato di un comandante non molto efficiente, visti i risultati.
Dvornikov, sessant’anni, è attualmente alla guida del Distretto militare del Sud, dopo essere stato a capo delle forze in Siria. In quell’occasione i russi adoperarono la cosiddetta «tecnica Grozny», vale a dire bombardamenti massicci e indiscriminati per spianare la strada alle forze di terra mandate poi ad occupare i centri cittadini.
Quella strategia comportò un ampio uso di bombe a grappolo e di armi termobariche, che provocano un alto numero di morti tra i civili.
Si teme che lo stesso metodo stia per essere adottato nelle città tenute dall’esercito di Kiev e dai volontari. Il generale, che ha studiato alla prestigiosa accademia Frunze di Mosca, è stato insignito del titolo di Eroe della Russia proprio per la sua attività in Siria.
In vista di quella che dalla prospettiva di Mosca dovrebbe risultare l’offensiva definitiva, i russi continuano a tentare di fermare i rifornimenti di armi alle forze di Kiev. Anche con rinnovate minacce.
Ieri è stata la volta dell’ambasciatore negli Usa Anatolij Antonov: «I Paesi occidentali seguitano a rifornire di armi l’Ucraina. Sono azioni provocatorie e pericolose che possono portare gli Stati Uniti e la Russia sulla strada del confronto diretto». Antonov ha detto ancora una volta che i convogli sono considerati «obiettivi militari legittimi».
(da il Corriere della Sera)
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