Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
IN UN POST LA DONNA HA RINGRAZIATO CHI LE HA AIUTATE
Vera è in salvo. La bimba che la madre aveva “tatuato” sulla schiena con i recapiti dei parenti nel caso in cui la guerra la uccidesse lasciando sua figlia orfana, è finalmente al sicuro in Francia.
Già qualche giorno fa la mamma di Vera, Aleksandra Makoviy, aveva pubblicato su Instagram un post in cui ritraeva la bimba con un completo rosa mentre giocava serena con un vaso di fiori.
A corredo della foto, la donna aveva scritto alcune righe in cui aveva ringraziato tutti per la disponibilità mostrata: «Sono commossa. Voglio solo dire a tutti che io e Vera siamo in salvo. Siamo riuscite a oltrepassare il confine e ora ci troviamo al sicuro nel sud della Francia. Siamo ospitate da volontari che ci hanno accolto e offerto una sistemazione. In questa foto Vera indossa un abito donato da una famiglia francese. Voglio ringraziare tutti i volontari francesi e chiunque ci abbia aiutato e supportato in questa fuga dalla guerra. Ma il grazie più sincero e sentito va alla gente della Polonia: la vostra generosità e compassione è senza pari. Il vostro sostegno è quello che ci ha fatto andare avanti».
Qualche ora fa, poi, la mamma di Vera ha rilasciato una intervista alla Bbc in cui conferma di trovarsi, insieme alla bimba, in Francia.
«Mi sento psicologicamente sopraffatta e non mi sono ancora ripresa dal lungo viaggio attraverso Moldova, Romania e Belgio. Ma sono circondata da amore e cura. Va tutto bene con Vera. È troppo piccola per capire cosa sta succedendo. Sente qualcosa da me, ma è troppo piccola per capire. Sono molto contenta che abbia questa età. Sono molto felice», ha detto.
E ha ricordato quando, facendo le valigie «sotto il rumore delle bombe che cadono e con poche informazioni disponibili, non ero sicura saremmo riuscite a lasciare la nostra casa. La mia più grande paura era che Vera si perdesse o non scoprisse mai chi fosse o da quale famiglia provenisse».
La storia di Vera e di sua madre era diventata nota al resto del mondo dopo un post su Instagram della stessa Makoviy, in cui era ritratta la bimba con la schiena piena di scritte: numeri di telefono e indirizzi di parenti che si sarebbero dovuti contattare nel caso in cui, sotto i bombardamenti, la donna fosse rimasta uccisa.
«Ho scritto su Vera – aveva scritto nel post la donna – nel caso ci fosse successo qualcosa e qualcuno l’avrebbe presa come sopravvissuta. Poi un pensiero folle mi è balenato nella mente: “Perché non l’ho tatuata con queste informazioni?”» La foto poi era stata fatta circolare su Twitter da una giornalista ucraina del Kyiv Independent Anastasiia Lapatina: «Le mamme ucraine scrivono sui corpi dei propri figli i contatti dei parenti nel caso in cui loro vengano uccise e il loro bambino sopravviva. E l’Europa sta ancora discutendo del gas russo», aveva commentato la reporter.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
GRAMELLINI: “ALL’ANPI SI È FINITO PER PERDONARE DI TUTTO. ANCHE CHE FOSSE SEMPRE IN PRIMA LINEA QUANDO SI TRATTAVA DI MANIFESTARE CONTRO GLI AMERICANI. I QUALI SARANNO PURE IL MALE ASSOLUTO, MA COMBATTERONO ACCANTO ALLE BRIGATE PARTIGIANE E LE RIFORNIRONO DI ARMI NELLA LOTTA ALL’INVASORE NAZISTA”
Nel sacro nome della Resistenza, all’Anpi si è finito per perdonare di tutto. Non solo che i pochi partigiani ancora vivi non vi avessero più da tempo alcun ruolo, ma che l’associazione fosse sempre in prima linea quando si trattava di manifestare contro gli americani.
I quali saranno pure il male assoluto, ma combatterono accanto alle brigate partigiane e le rifornirono di armi nella lotta all’invasore nazista.
All’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è stata perdonata anche la neutralità pelosa nella guerra in corso e persino certi arrampicamenti sui muri per distinguere la Resistenza buona da quella cattiva del popolo ucraino.
Ma il manifesto del prossimo 25 aprile è imperdonabile e lascia intendere che il problema dell’Anpi sta diventando la sua P. Anzitutto nessun cenno all’invasore Putin, che se non è un nazista, di certo gli assomiglia.
Poi una citazione monca dell’articolo 11 della Costituzione, «l’Italia ripudia la guerra», dimenticandosi di aggiungere «come strumento di offesa» e arrivando così all’assurdo di ripudiare anche quella di Liberazione.
Ultimo tocco d’artista, la gaffe delle bandiere alle finestre: simil-italiane ma in realtà ungheresi, omaggio inconscio a un altro politico di estrema destra, Orbán, amico caro dell’aggressore russo.
Alla fine, l’unica cosa azzeccata del manifesto resta la sigla Anpi, purché la si declini in modo più veritiero: Associazione Nazionale Putiniani d’Italia
Massimo Gramellini
(da Il Corriere della Sera)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
“I CONTENDENTI SI STANNO LOGORANDO. S’ARRIVERÀ A UN CESSATE IL FUOCO, MA TUTTO DIPENDERÀ DAL VOLERE DI PUTIN, SE POTRÀ MOSTRARE D’AVER RAGGIUNTO UN OBIETTIVO CHE GLI SALVI LA FACCIA“
Sul recente mutamento di strategia russa nell’offensiva contro l’Ucraina abbiamo sentito il parere del generale in congedo dell’Aeronautica Vincenzo Camporini, già capo di Stato Maggiore della Difesa dal 2008 al 2011 e attualmente consigliere dell’Istituto Affari Internazionali.
Generale, le forze di Mosca si stanno ridislocando nel Sudest dell’Ucraina e molti parlano di una ridefinizione di obbiettivi, constatata la resistenza nel settore di Kiev. Lei che ne pensa?
«Sono d’accordo con questa interpretazione. Penso che i russi intendessero inizialmente attuare un piano di più ampio respiro, con le loro tre direttrici di attacco, non solo verso Kiev, ma anche nel Donbass e sulla costa del Mar d’Azov e perfino a Odessa, ritenuta importante perchè popolata da russofoni. Il loro scopo principale sembrava congiungere geograficamente la Crimea a Rostov, tagliando fuori del tutto l’Ucraina dal mare e quindi facendone più facilmente uno stato vassallo. Questo piano è però fallito per l’inattesa resistenza delle forze ucraine, che ha sorpreso un po’ tutti.
Nonché per le difficoltà intrinseche incontrate dall’esercito russo, che ha mostrato capacità inferiori alle potenzialità attribuitegli. È quindi comprensibile che Putin possa aver pensato di cambiare obbiettivo e di mandare le truppe là dove spera che le cose gli vadano meglio».
C’è chi sostiene però che l’esercito russo potrebbe realizzare una tenaglia impegnando da Est i battaglioni ucraini schierati sulla linea di contatto nel Donbass, e preparando nel contempo una calata da Nord, dalla regione attorno a Kharkiv, dove starebbero affluendo rinforzi, come carri armati e munizioni, lungo la linea ferroviaria che da Valujki, in Russia, arriva fino allo scalo di Kupjansk, in Ucraina. Potrebbero quindi prendere tra due fuochi i circa 90.000 soldati di Kiev che lottano nell’Est del paese?
«Guardando la carta geografica, sì, direi che è un’ipotesi credibile. Ci vorrà però del tempo. Anzitutto va ricordato che i reparti russi ritirati dal settore di Kiev non verranno probabilmente dislocati sui fronti dell’Est, perchè si tratta di reparti i cui uomini e mezzi sono logorati. Avranno bisogno di un periodo di ristoro e verranno presumibilmente rimpiazzati da forze fresche. Ma, anche in tal caso, se la Russia ha riserve per, poniamo, 900.000 uomini e quelli realmente capaci di combattere da subito in una guerra ad alta intensità sono solo 150.000, alla fineMosca deve fare i conti con dei limiti. Per ora, gli ucraini controllano ancora circa metà della regione del Donbass».
Negli ultimi giorni il governo ucraino ha chiesto ai paesi della Nato di aumentare le consegne di armi. Finora sono state fornite armi relativamente leggere, si passerà a quelle pesanti?
«Tecnicamente non ci sarebbero problemi a fornire agli ucraini sistemi relativamente pesanti, come i carri armati. Per adesso sono stati autorizzati però solo dei veicoli blindati BMP-1 dell’esercito ceco, che non sono veri carri armati, ma veicoli da fanteria di origine sovietica, abbastanza scadenti. C’è poi il capitolo dei missili antiaerei a lungo raggio, segnatamente gli S-300 che gli ucraini ben conoscono e sono capaci di usare. Alcuni paesi dell’Est Europa che possiedono S-300 si sono detti disponibili a darli all’Ucraina, ma pongono una condizione, che gli Stati Uniti glieli sostituiscano con più moderni missili Patriot. Nel frattempo, di sicuro affluiscono numerosi missili più leggeri come l’antiaereo americano Stinger e gli anticarro Javelin, americano, e Spike, israeliano, che hanno causato molte perdite ai russi. Peraltro, è significativo che l’aviazione russa abbia sempre mantenuto un’attività molto limitata, ripiegando sui missili e contenendo l’impiego di aerei pilotati. Anche recentemente abbiamo visto nuove immagini di un caccia russo Sukhoi Su-35 abbattuto dalla contraerea ucraina. C’è però una cosa che non mi spiego…».
Che cosa? Ci dica, generale…
«I russi dovrebbero, teoricamente, mettere a ferro e fuoco tutte le linee di comunicazione, sia strade sia ferrovie, della regione occidentale dell’Ucraina, attorno a Leopoli, da cui entrano nel paese e affluiscono verso il fronte le forniture occidentali. Dal punto di vista russo, non ci dovrebbe essere tregua per bloccare l’arrivo di armi straniere, invece non è così…».
Forse, per loro scopi, i russi intendono riservarsi dei margini liberi per una ulteriore escalation, intesa come limitata comunque al territorio ucraino. Del resto il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha paventato che la guerra possa durare anni. Che ne pensa?
«Le dichiarazioni di Stoltenberg mi hanno lasciato perplesso. Se intendiamo la guerra civile nel Donbass, quella può durare ancora anni, come del resto dura dal 2014, se non si risolve il problema a livello politico.
Se però si intende l’attuale conflitto ad alta intensità russo-ucraino, come sviluppatosi dalla fine di febbraio, non credo possa andare avanti più di alcune settimane o forse qualche mese, dato il logorarsi dei contendenti. S’ arriverà a un cessate il fuoco, ma tutto dipenderà dal volere di Putin, se potrà mostrare d’aver raggiunto un obbiettivo che gli salvi la faccia. Le trattative facilitate dalla mediazione della Turchia possono avere un ruolo perchè è l’unico tentativo di mediazione che non è ancora morto e sepolto, ma dipende tutto da Putin. Ritengo inoltre che a Mosca ci siano spaccature e recriminazioni fra il presidente e i suoi generali. Non si vede più in pubblico il capo di stato maggiore russo, il generale Valery Gerasimov, segno di liti interne».
(da Libero quotidiano)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
DI FAMIGLIA MODESTA, HA FATTO LA COMMESSA PER MANTENERSI ALL’UNIVERSITA’… HA AFFRONTATO LA PANDEMIA MEGLIO DEI SUOI VICINI E PER IL QUINTO ANNO DI FILA GOVERNA IL “PAESE PIÙ FELICE DEL MONDO”
La notizia che la Finlandia abbandonerà la sua storica neutralità per entrare nella Nato (si parla di pochi mesi per formalizzare l’adesione) riaccende i riflettori sul paese scandinavo che ha ben 1340 chilometri di frontiera con la Russia e sulla sua premier, Sanna Marin, socialdemocratica, 36 anni in carica dal dicembre 2019, la più giovane primo ministro del mondo (al momento dell’elezione).
Che, se tutto procede come previsto, verrà ricordata non solo come la premier più giovane di sempre, ma anche quella il cui governo ha deciso un cambiamento epocale negli equilibri delle alleanze tra Est e Ovest in Europa.
Perché se è vero che a fare l’annuncio è stato il presidente della Repubblica finlandese, Sauli Niinisto, politico di lungo corso del Paese nordico e, per Costituzione, responsabile della sua politica estera, è il governo presieduto dalla millennial Marin che sta portando avanti il progetto: a giorni Marin presenterà al Parlamento un libro bianco sul tema e poi si procederà al voto.
E gli scenari politici internazionali mutati dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina fanno pensare a un voto favorevole ad ampia maggioranza. I tempi sono rapidi, la relazione del governo arriverà al Parlamento entro Pasqua, fanno sapere da Helsinki.
Non solo, il ministro degli Esteri Pekka Haavisto ha aggiunto che la Svezia, impegnata nello stesso processo, potrebbe entrare nella Nato contemporaneamente alla Finlandia.
Anche il governo svedese è guidato da una donna, Magdalena Andersson, anche lei socialdemocratica, eletta per la seconda volta alla fine del 2021
Cresciuta in una famiglia arcobaleno (formata da due donne) Sanna Marin è entrata in politica giovanissima e politico-amministrativa è la sua formazione universitaria e post universitaria; la famiglia viveva in condizioni economiche modeste e per pagarsi gli studi Marin lavorava come commessa: «Sono stata la prima nella mia famiglia a laurearsi» racconterà poi.
Ha guidato la giunta comunale di Tampere, è diventata vicepresidente del partito socialdemocratico nel 2010, a 25 anni, è eletta deputato nel 2015, a 30 anni, e nel 2019 viene scelta come ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni.
A dicembre dello stesso anno è primo ministro. «Non ho mai pensato alla mia età o al mio genere, io penso al perché sono entrata in politica e alla cose che ci hanno fatto vincere tra gli elettori. Abbiamo molto lavoro da fare per ricostruire la fiducia», ha risposto a chi le chiedeva come gestire un incarico così importante alla sua giovane età.
E forse c’è riuscita a catalizzare la fiducia, visto che nel marzo 2022 la Finlandia ha vinto per il quinto anno di fila la classifica di Paese più felice del mondo: il World Happiness Report 2022, sponsorizzato dalle Nazioni Unite, si basa su sondaggi che incrociano dati diversi come il Pil, livello di solidarietà, la libertà individuale, la salute e il livello di corruzione.
Le nozze sostenibili e la pandemia
Mentre andava avanti con la carriera politica Marin, nel 2018 è diventata mamma di una bambina avuta dal suo compagno storico Markus Räikkönen, ex calciatore: un amore nato sui banchi di scuola quando avevano 18 anni. Nell’agosto 2020, Sanna e Markus si sposano con una cerimonia semplice nella residenza del primo ministro ad Helsinki: abito da sposa semplice, di raso, realizzato eticamente e a mano, da stiliste locali emergenti e destinato al riuso.
«Sono felice di poter condividere la mia vita con l’uomo che amo — scrisse lei sul social postando le foto —. Abbiamo visto e vissuto molto insieme, condiviso gioie e dolori e ci siamo sostenuti l’un l’altro nel profondo e nella tempesta».
Quando parla di «tempesta» Marin fa riferimento soprattutto al periodo difficile della pandemia. Una tragedia collettiva con cui si è dovuta confrontare pochi giorni dopo la sua elezione a premier e che, con il suo governo, ha affrontato fin dall’inizio in modo molto diverso rispetto alla vicina Svezia: infatti, mentre Stoccolma, nella prima fase dei contagi, aveva deciso di non introdurre lockdown e restrizioni diventando in poco tempo il paese con un tasso di decessi altissimo, la Finlandia seguì l’esempio di Italia e Germania chiudendo le scuole, introducendo restrizioni, stanziando fondi per la Sanità e il welfare. I fatti le hanno dato ragione.
Gli attacchi sessisti
All’indomani della sua elezione a premier, nel dicembre 2019 e anche nei mesi che seguirono, la stampa internazionale si è occupata spesso di Marin non sempre in modo «politicamente corretto»: essere una premier giovane e bella fa riemergere, evidentemente, molti stereotipi, anche in un paese «evoluto» come la Finlandia. Come quella volta, nell’ottobre del 2020 quando tutto il mondo parlò della polemica social scatenata da un suo ritratto sulla copertina di un magazine finlandese in cui indossava un blazer nero giudicato troppo scollato.
La polemica sessista ebbe l’effetto positivo di far partire una controcampagna social in difesa della premier, #ImwithSanna, con centinaia di finlandesi che postarono una loro foto vestite con una giacca come quella della premier.
Niente che possa far passare in secondo piano la levatura di questa giovane premier alla vigilia della sua sfida più grande: cambiare la collocazione della Finlandia in Europa, prendendo una posizione netta verso l’ingombrante vicino di sempre, l’Unione Sovietica ieri, la Russia di Putin oggi.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
DASPO PER UN ANNO, COSI’ NON VA ALLO STADIO A INFETTARE LE PERSONE CIVILI
In occasione della partita di calcio tra Brescia e Vicenza giocata lo scorso 3 aprile allo stadio Rigamonti della città lombarda, un tifoso biancoazzurro aveva rifiutato di sottoporsi ai controlli prima di poter accedere al settore Curva Nord perché lo steward addetto era nero.
“Sono razzista – avrebbe detto – e tu sei neg…”. Un comportamento penalmente rilevante, ma che – in attesa di eventuale querela del diretto interessato – è stato punito con il provvedimento del Daspo.
“Il tifoso – spiega la Questura – rivolgeva ripetutamente frasi discriminatorie nei confronti di uno steward di origini africane, addetto alla sicurezza, dinnanzi a personale di polizia in servizio. Invitato alla calma, il tifoso, con decisione affermava, agli agenti intervenuti, di professarsi razzista e di non voler in alcun modo che quello steward controllasse il suo biglietto e/o documenti, per accedere alla struttura, articolando in dialetto bresciano la frase”.
Il bando dagli impianti sportivi, emesso dal questore di Brescia Giovanni Signer, avrà validità di un anno.
Sul tema l’Italia potrebbe avere qualcosa da imparare dagli inglesi: lì lo scorso 30 marzo un giovane è stato condannato a sei settimane di carcere per aver rivolto alcuni insulti razzisti al calciatore Marcus Rashford dopo la finale di Euro 2020, persa dall’Inghilterra contro l’Italia anche a causa del rigore fallito proprio dal centravanti del Manchester United. Justin Lee Price, 19 anni di Worcester, ha ammesso i fatti davanti alla Kidderminster Magistrates: aveva scritto dei tweet offensivi. “Price aveva preso di mira il calciatore per il colore della sua pelle – ha dichiarato il pubblico ministero Mark Johnson – e le sue azioni sono state guidate da intenti razzisti e sono a tutti gli effetti crimini d’odio. Chi discrimina i calciatori rovina il calcio per tutti. Spero che questo caso renda chiaro a tutti che non tollereremo il razzismo, e che i colpevoli verranno perseguiti dalla legge”.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
IN EUROPA È ALLEATA CON IL PARTITO POLACCO PIS, IL PIÙ ANTI-RUSSO D’EUROPA: LE SBANDATE FILO-RUSSE (E I FINANZIAMENTI DI MOSCA) DELLA LEADER DEL “RASSEMBLEMENT NATIONAL” NON SONO TOLLERATE… E BERLUSCONI TIFA MACRON
Era pronto a dirlo in tivù, se fosse andato – come era previsto – ospite a Retequattroalla trasmissione di Nicola Porro.
Ma alla fine Silvio Berlusconi ci ha ripensato, ha annullato la sua partecipazione ufficialmente a causa di un contatto a rischio con un contagiato Covid (ma qualcuno ipotizza per stanchezza o mancata voglia), è tornato ad Arcore dove ha fatto un tampone risultato negativo e alla fine comunque non ci sono state da parte sua esternazioni ufficiali.
Ma il suo pensiero sulle elezioni francesi, che era stato accuratamente preparato con i suoi collaboratori, resta. Ed è stato informalmente diffuso dai suoi: tra Macron e Le Pen, molto meglio che vinca il primo.
Nessuna ambiguità, per un leader che non ha mai avuto rapporti diretti né tantomeno di alleanza o vicinanza con la leader del Front National, anche per la differente collocazione europea: «Penso che vincerà Macron – è il suo pensiero – è un europeista, un moderato, un uomo che guarda all’Occidente».
Certo, è anche «un tecnocrate» lontano dalla sua cultura, ma meglio vinca lui che la sua rivale, è il pensiero affidato ai suoi e completato da Alessandro Cattaneo: «Siamo noi l’antidoto all’incubo Le Pen ».
Sì perché, a chiarire, Berlusconi aggiunge una riflessione, che va letta sicuramente in chiave interna: «L’indebolimento delle forze di destra moderata a favore dei due candidati della destra estrema porterà alla vittoria di un leader sostenuto dalla sinistra, che ha occupato lo spazio politico del centro. Questo dovrebbe far riflettere».
Insomma, come già detto al Parco dei Principi sabato scorso, senza una Forza Italia baricentro della coalizione non si va da nessuna parte: o vince la sinistra, o si dà spazio a forze estreme non europeiste.
Ed è un messaggio agli alleati Salvini e Meloni, che però sulle elezioni francesi si sono differenziati parecchio, Forse per ragioni più di collocazione partitica europea che di contenuti,
Salvini, come è noto, già domenica sera si era congratulato con Le Pen per essere approdata al ballottaggio, e ieri ha ribadito tutto il suo appoggio al «progetto di rinnovamento, cambiamento e autentica sovranità popolare rappresentati da Marine Le Pen».
Nessuno sforzo nel farlo, non solo per la comunanza di posizioni in moltissimi campi, ma anche perché i due fanno parte dello stesso eurogruppo, e certo nessuno dei due ha avuto rapporti ostili con la Russia, anzi.
Meloni, viceversa, è a capo dei Conservatori europei, egemonizzati dal fortissimo partito polacco che è il più anti-russo in Europa, e la difficoltà nel creare un forte schieramento delle destre comune nasce anche da queste distanze nel rapporto con Putin. Anche per questo la leader di FdI è più cauta.
Non si scopre, non tifa: «Al secondo turno non c’è nessun candidato che mi interessa, se si unissero tutti i candidati di centrodestra vincerebbero».
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
IL 70ENNE E’ IL PIU’ VOTATO TRA I GIOVANI… HA APPOGGIATO IN EXTREMIS L’UCRAINA… APPENA 400.000 VOTI IN MENO DELLA LE PEN
«Ho davvero creduto di poterla battere». Questa frase amara Jean-Luc Mélenchon l’ha pronunciata tante volte nella sua lunga carriera politica. Anche domenica notte, a urne chiuse da ore, quando lo spoglio dei voti gli ha regalato un’ultima crudele speranza
All’improvviso, attorno alla mezzanotte, è sembrato che il leader della sinistra radicale potesse sorpassare Marine Le Pen, già sicura della qualificazione al ballottaggio. Sarebbe stato un colpo di scena clamoroso, lui è uscito dal Cirque d’Hiver per salutare con il pugno chiuso la folla pazza di gioia che gli gridava merci!, come se questa potesse essere la volta buona. Invece, Le Pen 23,1%, Mélenchon 21,9%.
La rincorsa della tartaruga, come Mélenchon ama definirsi, si è fermata a un passo dal trionfo. Per il settantenne ex impiegato delle poste, correttore di bozze, giornalista, insegnante di francese e ministro socialista, il nome Le Pen al secondo turno è un incubo che dura da vent’ anni.
Quando il 21 aprile 2002 Jean-Marie Le Pen si piazzò davanti al socialista Lionel Jospin e arrivò inaspettatamente al duello finale contro Jacques Chirac, Mélenchon non la prese bene. Cadde in depressione, «piangevo di continuo, il corpo non ce la faceva più, non riuscivo a lavorare».
Ma quella fu l’occasione di una delle tante rinascite: Mélenchon smise di fumare, si dedicò all’agopuntura e alla pittura di paesaggi, e si dette una missione esistenziale e politica: battere Le Pen.
All’elezione presidenziale del 2012, la prima per entrambi, Mélenchon arriva quarto dietro all’erede del partito di estrema destra.
Secondo tentativo nel 2017, ma anche stavolta Mélenchon non ce la fa: arriva terzo, dietro a Marine Le Pen che si qualifica al ballottaggio per soli 600 mila voti. Quei 600 mila voti mancanti sono stati l’incubo degli ultimi cinque anni.
Terza corsa all’Eliseo domenica: stavolta le schede che lo separano da Le Pen sono appena 400 mila, ma bastano a tenerlo lontano dalla sfida decisiva del 24 aprile contro Macron.
Tutto separa Mélenchon dalla grande rivale: lui è nato nel 1951 a Tangeri, in Marocco, da un impiegato delle poste e un’insegnante entrambi originari dell’Algeria francese; lei nel 1968 nel sobborgo chic parigino di Neuilly-sur-Seine, e ha ereditato non solo il partito ma anche gli agi del padre Jean-Marie.
Mélenchon stavolta però si pone come una specie di beautiful loser , è lo splendido perdente di queste elezioni.
Sarà decisivo per designare il vincitore finale – e lui ha subito chiarito che «non un solo voto dovrà andare a Marine Le Pen» -, e poi ha trovato i toni giusti nel discorso di accettazione della sconfitta, davanti ai tanti giovani che lo adorano riuniti al Cirque d’Hiver: «Ho il dovere di dirvi, visto che sono il più anziano, che l’unico nostro compito è quello del mito di Sisifo: il macigno ricade, e noi allora lo spingiamo di nuovo su . Non siete né deboli né privi di mezzi, potete combattere questa battaglia, e la successiva, e quella dopo ancora! Guardate me, non ho mai mollato, non ho mai abbassato lo sguardo. Ora tocca a voi»
Capace di paurosi scatti di collera passati alla storia – come quando urlò «La repubblica sono io!» in faccia al poliziotto venuto a perquisire la sede del partito della France Insoumise -, e di molti sorrisi affettuosi, a 70 anni Mélenchon è il nonno burbero che affascina i nipoti.
Se votassero solo i giovani tra i 18 e i 24 anni, Mélenchon sarebbe largamente il presidente della Francia. I video efficaci e divertenti su TikTok e Instagram e anche l’appoggio in extremis all’Ucraina sono riusciti anche a mettere in secondo piano una vita di alleanze internazionali regolarmente sbagliate, dal Venezuela di Chávez alla Russia di Putin.
La lotta contro le diseguaglianze, il sogno di un mondo meno spietato, l’idea un po’ improvvisata della «creolizzazione», del miscuglio di etnie da contrapporre all’ossessione identitaria di Le Pen e Zemmour, hanno fatto di Mélenchon il più votato non solo tra i giovani ma anche nella regione dell’Île de France, quella di Parigi, la più ricca di Francia ma anche la più attraversata da tensioni tra centro e periferia, e tra maggioranza e minoranze etniche.
«Vado a votare per lei», gli ha detto domenica Emmanuelle Béart quando lo ha incontrato sul treno da Marsiglia (dove è deputato) a Parigi.
Lui, quasi sordo dalla nascita, le ha sorriso dopo avere letto le parole sulle labbra, come fa sempre. «Ma la sordità per me è un vantaggio – si è confidato una volta -, mi tiene più all’erta. E chi mi parla non sa con chi ha a che fare».
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
DAVIDE TABARELLI, PRESIDENTE DI NOMISMA ENERGIA: “I NOVE MILIARDI IN PIÙ GARANTITI DALL’ALGERIA? CI VOGLIONO TRE ANNI PER OTTENERLI, UN MILIARDO IN PIÙ LO POSSIAMO RICEVERE DALLA LIBIA, UN PAIO DALL’AZERBAIJAN, POI C’È IL GAS LIQUEFATTO, PERÒ ANCHE IN QUESTO CASO CI VUOLE TEMPO PER GLI IMPIANTI DI RIGASSIFICAZIONE“
L’intesa con l’Algeria? Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, fa una lunga pausa prima di rispondere alla domanda: «Di più non potevamo aspettarci… tutto conferma l’estrema difficoltà a trovare dei volumi importanti di gas nel breve termine»
Quindi l’accordo con l’Algeria non risolve i nostri problemi.
«Tanto di cappello per lo sforzo fatto dal presidente del Consiglio, dal ministro degli Esteri e dall’Eni. Ma l’accordo conferma che se domani dovessimo mettere in pratica l’embargo totale al gas russo ci attende un razionamento».
Abbasseremo il riscaldamento…
«Con una temperatura più bassa si può sperare nella migliore delle ipotesi di tagliare un miliardo di metri cubi. Ci sono 29 miliardi di metri cubi di gas russo da sostituire. Perciò bisogna far lavorare meno le fabbriche, utilizzare più carbone se i sindaci delle città dove ci sono le centrali ce lo lasciano fare. Quindi cercare di usare tutti i prodotti petroliferi al posto del gas e la legna nelle aree rurali, ma vanno tolti subito i vincoli ambientali sulla polveri sottili. Alla fine arriviamo a 15-20miliardi».
I nove miliardi in più garantiti dall’Algeria non ci aiutano?
«Ci vogliono tre anni per ottenerli, forse c’è un po’ di capacità inutilizzata che ci garantisce quattro o cinque miliardi di metri cubi per il prossimo inverno, ma è comunque poco. Ci aiuterà la Spagna che rinuncerà al gas via tubo dall’Algeria perché ha tanti rigassificatori e può cercare con più facilità il gas liquefatto in giro per il mondo. L’accordo con l’Algeria è un primo passo, è l’occasione per rafforzare i legami con l’Africa che ha tante risorse energetiche. Però ragioniamo sul lungo termine: vale 9 miliardi di metri cubi di gas su 29 che ci mancano».
Spostarci dalla Russia all’Africa non sembra promettere bene.
«L’Algeria non ci ha mai fatto mancare il flusso di gas, nemmeno durante la guerra civile. I legami sono sempre stati solidi, il picco di importazione è stato di 28 miliardi di metri cubi nel 2006, l’anno scorso abbiamo toccato i 21miliardi».
Dove prenderemo il gas che manca?
«Un miliardo in più lo possiamo ricevere dalla Libia, un paio dall’Azerbaijan, poi c’è il gas liquefatto, però anche in questo caso ci vuole tempo per gli impianti di rigassificazione. Non resta che il razionamento».
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2022 Riccardo Fucile
IL COLONELLO GENERALE SERGEI BESEDA, CHE ERA A CAPO DELL’UNITA’ E SI TROVAVA AGLI ARRESTI DOMICILIARI, E’ STATO TRASFERITO NELLA PRIGIONE DI MASSIMA SICUREZZA DI LEFORTOVO A MOSCA… PER IL PRESIDENTE SONO TUTTI COLPEVOLI DELLE FUGHE DI NOTIZIE SUI PIANI DELLA RUSSIA FINITE NELLE MANI DEI SERVIZI OCCIDENTALI
Ieri sera Vladimir Putin ha dato il via a un’epurazione di massa licenziando 150 funzionari dell’FSB, il servizio di sicurezza nazionale erede del Kgb, e arrestando alcuni di loro.
Da quando si è scoperto che gli agenti dell’intelligence occidentale hanno ottenuto i piani di battaglia della Russia prima dell’invasione, il presidente è a caccia dei colpevoli. A maggior ragione ora che è tramontata l’idea di una rapida invasione dell’Ucraina.
Il colonnello generale Sergei Beseda, capo dell’unità di intelligence estera dell’FSB, è stato trasferito nella prigione di massima sicurezza di Lefortovo a Mosca dopo un periodo passato agli arresti domiciliari.
Ufficialmente, l’uomo è indagato per appropriazione indebita, ma in realtà è noto che il Cremlino lo sta incolpando per le fughe di notizie che hanno paralizzato lo sforzo bellico della Russia.
L’indagine è guidata dal servizio di controspionaggio militare russo mentre Putin cerca di bloccare il flusso di informazioni dell’Occidente. Anche altri funzionari dell’FSB sono stati arrestati con l’accusa di «aver riferito false informazioni al Cremlino sulla reale situazione in Ucraina prima dell’invasione», ha riferito il sito web investigativo Bellingcat.
Si dice che abbiano presentato rapporti secondo cui le truppe russe di Putin sarebbero state accolte come liberatori e che le forze ucraine avrebbero offerto scarsa resistenza.
La campagna militare russa non si è mai ripresa dalle ipotesi di pianificazione del Cremlino che erano così imprecise
Ore prima che i carri armati di Putin arrivassero in Ucraina alla fine di febbraio, il Ministero della Difesa britannico ha pubblicato mappe che mostravano dove si stavano dirigendo le colonne corazzate. Da allora, gli ufficiali dell’intelligence britannica e statunitense hanno continuato a trasmettere agli ucraini valutazioni accurate degli obiettivi russi.
Grazie alle informazioni ottenute, l’Ucraina è riuscita a colpire e uccidere numerosi generali dell’esercito russo, lasciando le unità militari allo sbando.
Nelle ultime sette settimane le forze russe hanno subito una serie di sconfitte. Sono stati anche costretti a ritirarsi da Kiev dopo non essere riusciti a sfondare le difese della capitale.
Ieri sera è emerso che Putin probabilmente triplicherà il numero delle truppe russe nella regione del Donbass nel disperato tentativo di portare a casa una vittoria che gli salvi la faccia. Secondo i funzionari occidentali, intende intrappolare i combattenti ucraini in inferiorità numerica con un movimento a tenaglia mortale.
La manovra richiede che le truppe russe si spostino a nord dalla città portuale assediata di Mariupol e qui si uniscano alle unità che si spingono a sud da Izyum.
Ieri sera un funzionario ha detto: «Quando Mariupol cadrà, se questo è ciò che deve accadere, le forze russe saranno libere di unirsi a quelle che attaccano da Izyum. L’Ucraina dovrà affrontare un movimento a tenaglia. La portata della forza russa deve ancora essere vista. Ma si stima che ci potrebbe essere la forza nel Donbas potrebbe raddoppiare o triplicare».
(da Daily Mail)
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