Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
TESTA A TESTA TRA LETTA E MELONI, STACCATI ORMAI GLI ALTRI
Nei sondaggi elettorali è sempre più testa a testa tra Partito Democratico e Fratelli d’Italia. Alcuni istituti demoscopici danno i dem avanti, altri Meloni e i suoi. Secondo la rilevazione effettuata da Dire e Tecnè, invece, la situazione è di parità assoluta.
I due partiti sono appaiati in testa, esattamente con la stessa percentuale. Brutte notizie per gli ex alleati del governo gialloverde: Lega e Movimento 5 Stelle continuano a essere molto distanti dai primi due partiti, nonostante questa settimana per i grillini ci siano lievi segnali di ripresa e per il Carroccio una sostanziale stabilità.
Ma vediamo le percentuali nel dettaglio, partito per partito.
Secondo il sondaggio di Dire e Tecnè, in testa nelle intenzioni di voto ci sono a pari merito il Partito Democratico di Enrico Letta e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, entrambi al 21,9%.
Entrambi, tra l’altro, sono in crescita: i dem guadagnano lo 0,2% rispetto a una settimana fa, mentre Meloni e i suoi crescono dello 0,1%.
Distante la Lega di Matteo Salvini, che non perde e non guadagna punti percentuali questa settimana, restando inchiodata al 15,8%.
È ancora peggiore la situazione del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che pure recupera lo 0,2% in una settimana, ma si trova ancora al 12,7%. Praticamente il minimo storico.
Forza Italia di Silvio Berlusconi, intanto, continua a risalire secondo il sondaggio elettorale: più o,1% in una settimana e chiude al 10,8%.
Gli azzurri si trovano a meno di due punti dal Movimento 5 Stelle, con il quale fino a qualche anno fa c’era un abisso.
La federazione tra Azione di Carlo Calenda e +Europa perde lo 0,3% e cala al 4,4%, restando ampiamente in vetta tra i partiti minori.
A seguire c’è Italia Viva di Matteo Renzi, che segna un meno 0,2% e cala al 2,4%. Poi troviamo i Verdi al 2,2% (meno 0,1%) e Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni all’1,9% (meno 0,1%).
(da Fanpage)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
MOSCA RINUNCEREBBE SIA A ODESSA, SIA AI TERRITORI A EST DEL FIUME DNIPR CONSIDERATI INDISPENSABILI INIZIALMENTE PER CREARE UNA ZONA CUSCINETTO CON L’UCRAINA FILO OCCIDENTALE… ZELENSKY E GLI USA POTREBBERO NON CONCEDERE NULLA VISTO CHE, SECONDO L’INTELLIGENCE STATUNITENSE, MOSCA HA PERSO A OGGI IL 15% DELLA SUA FORZA COMBATTENTE
Ora una fine s’ intravvede. Non è dietro l’angolo e costerà molte altre vite, ma prenderà forma se Vladimir Putin potrà rivendicare la riconquista di tutti i territori delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk ancora in mano ucraine. Certo pace e guerra, si fanno in due. E a volte anche in tre. Dunque va capito se il possibile obbiettivo finale, abbozzato dal presidente russo durante l’incontro di ieri con l’omologo bielorusso Alexander Lukashenko, sia accettabile anche per Kiev e gli alleati di Washington.
La novità è, però, indiscutibile. Per la prima volta in 48 giorni di guerra Putin tralascia gli accenni alla necessità di «denazificare» l’Ucraina, ovvero rimuovere Volodymyr Zelensky e il suo governo, per concentrarsi su obbiettivi molto più limitati sintetizzati nell’«aiutare la gente del Donbass».
Mosca, insomma, potrebbe avviare negoziati non appena terminata la conquista delle città di Sloviansk e Kramatorsk nell’oblast di Donesk e di quella Slevierdonetsk nell’oblast di Lugansk. Sloviansk, Kramatorsk e Slevierdonetsk sono – assieme alla martoriata Mariupol – le città su cui si va chiudendo in queste ore la morsa delle unità russe posizionate sul quadrante nord orientale di Izrum e di quelle in movimento dai territori del Donbass, a Sud e ad Est.
Ma perché ridimensionare la portata dell’Operazione Speciale?
Per capirlo bisogna guardare non solo al costo delle sanzioni e alle dolorose perdite subite sul campo di battaglia, ma anche al deciso «repulisti» in corso a Mosca dove stanno cadendo da giorni, le teste di tutti quei fedelissimi a cui Putin aveva delegato la gestione del dossier Ucraina. Fedelissimi pronti, pur di compiacerlo, a sottostimare le capacità di Kiev e a promettere successi facili e veloci quanto quello della Crimea nel 2014.
Non a caso si sussurra dell’arresto di Sergei Beseda, il responsabile del Quinto Direttorio dei servizi segreti dell’Fsb responsabile degli affari ucraini. E in carcere, o agli arresti domiciliari, sarebbe anche l’ex-eminenza grigia Vladislav Surkov, inventore a suo tempo del concetto di «democrazia gestita» e consigliere sull’Ucraina dal 2014 fino al 2020.
Preso in mano il dossier Kiev e resosi conto degli errori Putin si sarebbe imposto il duplice obbiettivo di una vittoria minimamente accettabile e di una rapida via d’uscita da un’operazione capace di compromettere non solo la stabilità della Russia, ma il suo stesso potere.
Proprio per questo il bottino potrebbe limitarsi agli oblast di Donetsk e Lugansk e al corridoio che congiunge Mariupol con i territori della Crimea.
Un bottino da scambiare con i territori già conquistati intorno a Kherson e a Kharkiv. Mosca rinuncerebbe, insomma, sia alla presa di Odessa, sia di quei territori a Est del fiume Dniepr considerati indispensabili inizialmente per creare una zona cuscinetto con l’Ucraina filo occidentale e rivendicare la riconquista dell’originaria Novorossya zarista.
Una rinuncia imposta anche dalla consapevolezza che il controllo di quei territori richiederebbe il dispiegamento di decine di migliaia di soldati impegnati in uno sfiancante conflitto a bassa intensità con delle forze insurrezionali fedeli a Kiev e armate dalla Nato.
In cambio di queste rinunce la Russia chiederà il riconoscimento della piena sovranità russa su Crimea, Lugansk e Donetsk. Un obbiettivo che Zelensky e gli alleati della Nato potrebbero però non concedergli. Secondo le stime dell’intelligence statunitense Mosca ha perduto a oggi il 15% della sua forza combattente e dovrà affrontare l’offensiva nel Donbass senza alcuni dei suoi reparti migliori.
Dunque l’esito dei negoziati dipenderà dall’esito delle prossime battaglie. Se l’esercito russo riuscirà a dare incisività alla propria superiorità numerica avanzando più velocemente di quanto non abbia fatto a Mariupol e dintorni, Kiev e Washington potrebbero decidere di chiudere la partita.
Se l’avanzata russa resterà lenta e faticosa qualcuno potrebbe convincere Zelensky che l’obbiettivo più allettante non è una pace imminente, ma un nemico in ginocchio.
(da Il Giornale)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
ZELENSKY HA CONSEGNATO LE CHIAVI DELLE FORZE ARMATE A ZALUZHNYI, UN GENERALE DI FERRO, CHE COMBATTE NEL DONBASS DAL 2014 E CHE HA LAVORATO FIANCO A FIANCO CON GLI ADDESTRATORI NATO
Dicono che dopo la stretta di mano nei negoziati a Istanbul, quando i russi annunciarono «una significativa riduzione delle operazioni militari a nord nelle regioni di Kiev e Chernihiv», il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia mandato il suo fido capo di gabinetto, l’amico e produttore cinematografico Andriy Yermak, a lisciare il pelo al generale Valerii Zaluzhnyi, che nove mesi fa aveva nominato capo delle forze armate. Che ne dice, generale, di fare altrettanto? Di mettere in atto «un cessate il fuoco di fatto» per favorire le trattative?
Zaluzhnyi gli sorrise, lo salutò cordialmente e diede l’ordine opposto: picchiare duro sui russi in rotta, prima di ritrovarseli davanti nel Donbass.
In effetti è lì che erano diretti. Ci siamo, la “fase due” di questa guerra che strazia e demolisce è alle porte dell’Est; e se ci sono due presidenti poco disposti a far pace, per certo hanno schierato due generali molto pronti a far guerra.
Vladimir Putin ha affidato le redini della battaglia ad Aleksandr Dvornikov, ribattezzato “il macellaio” per i precedenti nella seconda guerra cecena e in Siria: civili massacrati, obiettivi raggiunti. Zelensky ha consegnato le chiavi delle forze armate a Zaluzhnyi, che combatte nel Donbass dal 2014 e ha più volte ribadito di ritenere necessario «condurre operazioni offensive per liberare i territori occupati».
Decisamente non è uno stratega di pace. Ma ha respinto l’avanzata dei russi a nordovest impedendo che prendessero Kiev «in due giorni», e si è conquistato il soprannome di generale «di ferro».
Le due biografie divergono sul campo: entrambi hanno ottenuto la patente di “eroe”, ma Dvornikov l’ha bagnata nel sangue dei civili siriani e ceceni massacrati senza pietà. Zaluzhnyi è nato in una cittadina 240 chilometri a ovest di Kiev, Novohrad-Volynskyi. Ha 48 anni, è figlio di un militare, laurea a Odessa e accademia a Kiev con medaglia d’oro: nel 2014 guidava una brigata motorizzata a Debaltseve, dove si combatté una delle battaglie più drammatiche e sanguinose per le forze armate ucraine.
Ha scalato tutti i gradi della carriera senza mai apparire, parlando pochissimo e mettendo a tacere i politici invadenti. Non ha mai cercato di essere una star. Per Zelensky era un partner perfetto: al generale pieni poteri sulle forze armate, a lui nessun ostacolo in politica. E così è stato ed è.
Putin invece ha scelto un 60enne nato a Ussuriysk, a 50 chilometri dalla Corea del Nord. Primo comando nell’estremo oriente, da lì una scalata fino al vertice del Distretto militare Sud da cui dipende la Crimea, il Caucaso e il Mar Nero. È accusato di avere usato spudoratamente ogni arma ibrida pur di ottenere l’obiettivo: collaborare con Assad per le partite sporche, la tortura, le armi chimiche, distruggere ogni forma di resistenza costi quel che costi. Spiana la Cecenia, demolisce Aleppo. Ma sa come ottenere ciò che vuole, e Putin ne ha un dannato bisogno.§Zaluzhnyi ha lavorato fianco a fianco con gli addestratori Nato, e fonti militari italiane assicurano che i progressi nella gestione della catena di comando ucraina sono stati decisivi. Hanno imparato «la flessibilità del comando invece della rigidità di stampo sovietico», che è costata la sconfitta nella prima parte dell’invasione.
Per Hanna Shelest, capo analista militare del think tank ucraino Prisma , «avendo realizzato che l’Ucraina non si arrenderà, il Cremlino ha scelto Dvornikov per l’esperienza di guerra e l’assenza di limiti. E purtroppo dobbiamo aspettarci un numero crescente di atrocità».
(da la Repubblica)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
TOMASO MONTANARI E MARCO REVELLI CONTRARI. LUCIANO CANFORA NEANCHE AMMETTE CHE PUTIN SIA L’AGGRESSORE. PAOLO FLORES D’ARCAIS, DACIA MARAINI E ERRI DE LUCA FAVOREVOLI AD ARMARE GLI UCRAINI
È più di un mese e mezzo che il popolo ucraino resiste all’invasore russo, eppure il tema dell’invio delle armi a Zelensky da parte dell’Occidente continua ad agitare il dibattito tra gli intellettuali della sinistra italiana. Tutti, o quasi, però, ammettono che Putin è l’aggressore.
Certo, ci sono alcune eccezioni, come Luciano Canfora, secondo il quale si sta assistendo a «uno scontro tra potenze e il torto sta dalla parte della potenza che vuole prevaricare». Che a suo giudizio non è la Russia, come verrebbe spontaneo immaginare, bensì l’Ucraina.§L’altro ieri lo storico ha fornito un altro esempio di come la pensi sull’argomento, dando della «neonazista nell’animo» a Giorgia Meloni, rea di essersi «subito schierata con i neonazisti ucraini». Ma gli altri intellettuali pacifisti non seguono la strada di Canfora.
Benché anche altri usino toni non certo accomodanti nei confronti degli ucraini. La filosofa Donatella Di Cesare ha insinuato che sia Kiev a voler allargare il conflitto e sul dibattito che si è aperto in Italia ha tagliato corto con un tweet: «Chi chiede l’invio delle armi non è di sinistra».§Differente l’impostazione di un altro «pacifista», Tomaso Montanari, che è convinto che l’aggressore sia il presidente russo e proprio per questo mal sopporta che le «poche voci in dissenso» rispetto al mainstream vengano «additate come degli amici di Putin». Questo, per il rettore dell’Università per stranieri di Siena, «è intollerabile».
Ad avviso di Montanari la guerra deve cessare «il prima possibile», e perciò le armi agli ucraini non vanno inviate «mentre la strategia dell’Occidente è che la guerra si prolunghi il più possibile».§Contrarissimo agli aiuti militari anche Marco Revelli, secondo il quale «mandare le armi aumenta il rischio di far crescere il numero delle vittime». Il sociologo piemontese ieri all’Aria che tira su La7 ha però introdotto un altro argomento che fa discutere: «È in corso uno scontro tra narrazioni, tra quella imbarbarita russa, un racconto evidentemente falsificato, e la narrazione dell’altro combattente che fa filtrare informazioni che gli interessano».
Chi non nutre dubbi sulla necessità di aiutare il popolo ucraino è Luigi Manconi, che ha sottolineato la «necessità di difendere i propri diritti attraverso la forza».
Il politologo si è interrogato anche sui motivi che hanno spinto alcuni intellettuali di sinistra ad assumere certi atteggiamenti: «Più che l’anti-americanismo, che pure è rilevante e che ritengo abbia anche delle buone ragioni, pesa l’attrazione verso ciò che rappresenta la Russia.§Una storia di potenza che resiste all’Occidente, il volontarismo socialista di cui non si riconosce il fallimento, il fascino del decisionismo putiniano, una tradizione terrigna e fiera. È quanto seduce una certa sinistra autoritaria, spaventata come Cirillo I, da un Occidente decadente e consumistico».
Per lo scrittore Erri De Luca, che si è definito «un partigiano della resistenza ucraina» «attendere che il più forte e il più prepotente vinca non coincide con nessuna tregua e nessuna pace».
Paolo Flores D’Arcais, che su Micromega sta animando un dibattito su questo tema, è determinato: manderebbe «molte più armi e molto più efficienti» all’Ucraina, anche perché il non darle, come chiedono i pacifisti, «di fatto avvantaggia» i russi.
Del resto, ieri sul Corriere Dacia Maraini ha individuato tra i falsi miti di questa guerra proprio la tesi di chi sostiene che «armare gli ucraini» significhi «incrementare la guerra».
(da Il Corriere della Sera)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
GLI ANEDDOTI DI FIONA HILL, UNA DELLE MAGGIORI ESPERTE DI RUSSIA: “MI SONO TROVATA A SEDERE NON LONTANA DA LUI IN UN PRANZO UFFICIALE. AVEVA DAVANTI UN FOGLIO DI CARTA CON APPUNTI STAMPATI IN CARATTERI INUSUALMENTE GRANDI. PORTA LE LENTI A CONTATTO, MA NON VUOLE CHE SI SAPPIA”
«Putin non è il superman che immaginiamo», si legge nel libro di Fiona Hill, «There is nothing for you here», da qualche settimana al centro del dibattito politico negli Stati Uniti. Hill, 56 anni, è tra le maggiori esperte della Russia putiniana.
È stata consigliera nelle amministrazioni di George W.Bush e di Barack Obama, prima di far parte del Consiglio di sicurezza nazionale con Donald Trump, dal 2017 al 2019. Il suo incarico: direttrice degli affari europei e della Russia.
È una figura nota al grande pubblico anche grazie alla testimonianza nel Congresso nella procedura di impeachment contro Trump, nel novembre del 2019. Joe Biden ha raccontato di aver tratto grande profitto dalla lettura del suo lavoro sul leader russo «Mr. Putin, un “operativo” al Cremlino» (2015).
Nel suo ultimo volume, Fiona Hill descrive anche dettagli inediti sulla personalità dello «zar» di Mosca. Ne ha parlato in alcune interviste televisive, come il «Late night show», condotto da Stephen Colbert. Ecco il suo racconto: «Ho avuto l’opportunità di osservare Putin da vicino diverse volte. Per esempio ricordo di essermi trovata a sedere non lontana da lui in un pranzo ufficiale. Mi ha colpito il fatto che non abbia bevuto niente. Non ha mai toccato la sua tazza che non so se contenesse dell’acqua o del tè».
Secondo l’ex consigliera, Putin sarebbe ossessionato dalla sua sicurezza, forse perché, ha aggiunto, «alcuni dei suoi oppositori sono stati avvelenati sciogliendo il polonio proprio nel tè». Il leader russo, comunque, non «è quel superman che la propaganda ci vuole fare credere». «Sempre in quell’occasione notai come avesse davanti un foglio di carta con appunti stampati in caratteri inusualmente grandi; Putin porta le lenti a contatto, ma non vuole che si sappia, probabilmente perché teme possa trasmettere una sensazione di debolezza all’opinione pubblica».
L’ex agente del Kgb, 69 anni, «vive in una bolla», circondato da un ristretto gruppo di collaboratori «che non sono gli oligarchi».
«Questa è gente – conclude Fiona Hill — che non ha investimenti, non ha interessi fuori dalla Russia. Sono profondamente radicati nel loro Paese e tutti molto legati a Putin. Per questo è difficile immaginare dei cambiamenti nel potere a Mosca».
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
GLI ABBRACCI CON ZELENSKY
Volodymyr Zelensky ha incontrato il presidente della Polonia Andrzej Duda, quello della Lituania Gitanas Nauseda, quello della Lettonia Egils Levits e quello dell’Estonia Alar Karis, in visita in Ucraina oggi, 13 aprile.
«L’Ucraina sente il supporto forte e affidabile di ciascuno di voi», ha detto il presidente ucraino accogliendoli a Kiev. Tra le foto diffuse da Ukrinform su Telegram, ce n’è una dei quattro presidenti con al centro Zelensky che mettono la mano una sopra l’altra in segno di unità e compattezza.§«Continueremo a sostenere l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e ad aiutare questa nazione eroica a superare gli orrori della guerra», ha scritto su Twitter Nauseda. «Provo profondo orrore per i crimini che l’esercito russo ha commesso contro il popolo ucraino», ha scritto Karis a seguito della visita tra le macerie di Borodyanka.
«Uccisioni e torture, uso di armi illegali, brutali crimini di guerra: non rimarranno impuniti».
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
SACCHI DELLA SPAZZATURA IN TESTA E MUTANDE INSANGUINATE
Terzo giorno di protesta contro l’invasione russa dell’Ucraina a Tallin, in Estonia. Oggi, 13 aprile, decine di donne si sono riunite davanti all’ambasciata russa della capitale estone per attirare l’attenzione sugli abusi sessuali commessi dai soldati russi nei confronti di donne e bambini ucraini.
Con le teste coperte da sacchi della spazzatura, le mani legate dietro la schiena e le mutande ricoperte di sangue, le manifestanti si sono allineate davanti all’edificio della diplomazia russa, in una silenziosa protesta.
«In Ucraina, i soldati russi stanno stuprando e uccidendo donne e bambini innocenti. Le persone che appoggiano questa invasione stanno anche appoggiando i crimini di guerra, omicidi sconcertanti di cui sono complici. Questo è il nostro messaggio ai sostenitori del regime di Putin, in Russia, in Estonia e in qualunque altro posto», hanno dichiarato le attiviste.
Come riporta il tweet di Oleksandra Matviichuk, direttrice del Centro per le libertà civili ucraino, la protesta è stata ripresa anche da Liubov Tsybulska, a capo del centro ucraino di contrasto alla disinformazione e alla propaganda (l’Hybrid warfare analytical group dell’ong Ukraine Crisis Media Center).
§«È un’iniziativa così forte da togliere il respiro. Grazie Estonia», ha commentato su Twitter Tsybulska, che già nei giorni precedenti sul suo profilo aveva espresso duri commenti nei confronti di Putin e della popolazione russa.
Già lunedì 11 aprile una decina di attivisti contro la guerra avevano protestato di fronte all’ambasciata tedesca di Tallin. L’obiettivo della performance, che li vedeva stesi per terra con le mani legate dietro la schiena come i civili uccisi a Bucha, era sollecitare la Germania e gli altri Paesi europei ad adottare una linea più dura con la Russia. Martedì 12 aprile, invece, le proteste si erano svolte di fronte all’ambasciata ungherese: i manifestanti avevano indossato delle maschere anti-gas per esprimere il loro dissenso nei confronti dell’Ungheria che, continuando a comprare il gas russo, finanzia la macchina da guerra putiniana in Ucraina.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
I PRECEDENTI FILO-RUSSI DI STEINMEIER
Giorni di tensioni tra la Germania e l’Ucraina. Tutto è nato da un rifiuto arrivato da Kyiv e indirizzato al Presidente della Repubblica tedesca Frank-Walter Steinmeier il cui viaggio nella capitale ucraina sarebbe stato fermato dal secco “no” di Volodymyr Zelensky.
L’atteggiamento del presidente ucraino ha provocato molte reazioni. E non solamente da Berlino. Perché il capo di Stato tedesco, nella giornata di ieri, voleva partire alla volta di Kyiv per portare un messaggio di solidarietà (in compagnia di altri Presidenti) al popolo colpito dalla guerra. Ma qualcosa è andato storto.
Riannodiamo il filo della matassa. Martedì, Frank-Walter Steinmeier si trovava a Varsavia per una visita istituzionale. E proprio il Presidente polacco Andrzej Duda gli aveva proposto di partire per Kyiv (insieme ai Presidenti di Lettonia, Lituania ed Estonia) per incontrare Volodymyr Zelensky e portare un messaggio di vicinanza e solidarietà a lui e al suo popolo.
Poi il colpo di scena, anticipato da Bild: qualora Steinmeier fosse arrivato in Ucraina, il Presidente Zelensky non lo avrebbe ricevuto. Il quotidiano tedesco ha citato fonti ucraine che, alla fine, sembrano aver centrato il punto. Perché lo stesso Presidente della Repubblica tedesca ha dichiarato in conferenza stampa: “Ero pronto a farlo ma a quanto pare, e devo accettarlo, questo non è gradito”.
La Germania ha prontamente criticato questo atteggiamento da parte di Kyiv, con il Cancelliere tedesco Scholz che ha sintetizzato questa vicenda con due concetti: il primo è racchiuso nel termine “irritazione”, il secondo nell’annuncio che per il momento non è e non sarà programmato nessun viaggio in Ucraina.
Una frattura che potrebbe sanarsi solamente nei prossimi giorni e che non è passata inosservata. In Italia, il primo a esporsi è stato il segretario del PD Enrico Letta, con un tweet sintetico ma incisivo.
I precedenti
Questo è quel che è accaduto nelle ultime ore. Ma occorre fare dei passi indietro per capire le “cause” del caso Steinmeier Zelensky.
L’Ucraina, infatti, hanno sempre criticato il posizionamento storico dell’attuale Presidente della Repubblica tedesca, considerato da tempo filo-russo. La “pietre dello scandalo” sono diverse.
Quando era capo della cancelleria di Schröder e durante i suoi due mandati da ministro degli Esteri negli esecutivi guidati da Angela Merkel, il 66enne politico tedesco è stato il fautore dell’apertura (e della fortificazione) dei ponti commerciali tra la Germania e la Russia. Il suo ruolo è stato fondamentale anche per il gasdotto Nord Stream 2.
Ma non ci sono solamente rapporti commerciali con Mosca. Perché Frank-Walter Steinmeier è stato uno degli artefici dei famosi accordi di Minsk del 2014, quelli tra Russia e Ucraina sul Donbass. E, secondo Kyiv, quegli accordi sono stati troppo sbilanciati in direzione di Mosca. Comportamenti che, a quanto pare, non sono stati perdonati da Zelensky. Nonostante lo stesso Steinmeier, subito dopo l’inizio della guerra, avesse fatto un mea culpa pubblico spiegando di aver sottovalutato le mire e la crudeltà di Vladimir Putin.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2022 Riccardo Fucile
L’AVVERTIMENTO MAFIOSO DI MOSCA: TRUPPE RUSSE VERSO IL CONFINE
Alcuni veicoli militari russi sono stati ripresi a Vyborg, in Russia, mentre si dirigono verso il confine con la Finlandia.
Il video, verificato da Sky News e ripreso da diversi media internazionali, mostra lo spostamento di attrezzature militari di Mosca, compresi i sistemi di difesa costiera, al confine tra Russia e Finlandia.
La mossa è stata letta come un apparente avvertimento a Helsinki, che in queste settimane vede montare il dibattito interno sulla sua possibile adesione alla Nato.
La premier Sanna Marin ha aperto all’ipotesi di aderire all’alleanza atlantica «nelle prossime settimane», un cambiamento di prospettiva arrivato a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin lo scorso 24 febbraio.
Nei giorni appena successivi all’invasione, il Cremlino aveva annunciato ripercussioni «gravi militari e politiche» nel caso in cui la Nato si fosse allargata tra Finlandia e Svezia. «La Russia è il nostro vicino», ha detto oggi Marin. «Abbiamo un lungo confine condiviso con loro e abbiamo visto come si comportano in Ucraina. Ci sono ovviamente diversi rischi per i quali dobbiamo essere pronti».
L’incontro a Stoccolma
Oggi, 13 aprile, è previsto a Stoccolma, in Svezia, un incontro tra Marin e la premier svedese Magdalena Andersson per discutere anche dell’argomento. La Finlandia presenterà il suo nuovo rapporto sulla politica di sicurezza, e vorrebbe convincere anche Stoccolma a candidarsi per entrare nella Nato. Anche in Svezia il dibattito è cresciuto dopo le ultime mosse di Mosca: la scorsa settimana, il ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto aveva anticipato alla stampa che il governo sta preparando la domanda di adesione.
Le intenzioni di Stoccolma sembrano farsi sempre più decise, e dall’esecutivo svedese dicono che l’adesione definitiva verrà presentata a giugno. La Nato si è già espressa a favore della possibilità che Norvegia e Svezia si uniscano all’alleanza.
(da agenzie)
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