Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
IL PUGNO DURO DELLA 43ENNE IRINA VENEDIKTOVA, LA PROCURATRICE DI FERRO ED EX DOCENTE: “I CRIMINI DELL’INVASIONE VERRANNO DOCUMENTATI SENZA OMBRA DI DUBBIO, NULLA DEVE ESSERE LASCIATO AL CASO. NON HO ARMI, MA DALLA MIA HO LA LEGGE”
Il pomeriggio del 14 aprile Irina Venediktova è stata felice di poter annunciare agli ucraini e al mondo uno dei primi importanti successi del suo infaticabile lavoro: il Tribunale internazionale dell’Aia avvia un’inchiesta per processare la Russia per «crimini di guerra» e persino «contro l’umanità». Lo ha espresso col suo stile asciutto e determinato, ben felice per una volta di fare un passo indietro e lasciare la parola al giudice Karim Khan, l’inviato del Tribunale che sta raccogliendo prove e documenti che garantiscano gli estremi per istruire il processo. Lui era l’ospite gradito.
Eppure, sin da subito nella sala conferenze della procura generale dello Stato a Kiev, è stato evidente chi fosse il vero motore dell’intera operazione: lei, la 43enne procuratrice di ferro, ex docente di legge, che il presidente Volodymyr Zelensky due anni fa volle nominare a uno dei più delicati incarichi del governo per ripulire un’amministrazione pubblica tristemente nota per la corruzione interna, l’inefficienza e per il fatto d’essere spesso prona a soddisfare i piccoli oligarchi locali, che comunque restano una piaga del Paese. «Lavoreremo prima di tutto per trovare prove, testimonianze ed evidenze, nulla resterà intentato. I crimini dell’invasione verranno documentati senza ombra di dubbio, nulla deve essere lasciato al caso», ci spiega di persona.
C’è da crederle. I media locali la seguono con grande attenzione, pubblicano spesso le sue foto in tailleur grigio fumo di rappresentanza, ma anche e soprattutto vestita da battaglia, con stivali e giacconi militari, mentre si reca sulle fosse comuni di Bucha, Borodyanka, Irpin, Hostomel, Kharkiv, Chernihiv e degli altri centri devastati dalle bombe, inzaccherata sotto la pioggia tra le rovine delle abitazioni. «Io vorrei proteggere le nostre città, i nostri bambini, la nostra gente. Non ho armi per farlo. Ma cerco ogni mezzo legale. Vorrei salvare Mariupol e tutti i nostri centri urbani sotto assedio dalla battaglia. Ci penso di continuo, il mio strumento è la Legge, non ne possiedo altri», spiega. Un linguaggio che in genere si usa solo dopo la fine dei conflitti, quando i fucili non sparano più. Ma lei non esita a recarsi vicino alle prime linee: «Andiamo a proteggere civili innocenti e intanto cerchiamo già di compensarli contro la violenza del dittatore Putin», aggiunge.
In questo è molto diversa da altri esponenti del governo, per esempio la deputata Ludmilla Denisova, la presidente della Commissione parlamentare per la Difesa dei diritti umani (a sua volta incaricata di aiutare ad istruire il processo per i crimini di guerra) che si è già attirata critiche per la poca accuratezza e i toni barricadieri con cui accusa l’esercito russo di «sistematiche violenze sessuali contro le donne ucraine» nelle zone occupate. «Prima di avanzare imputazioni precise dobbiamo raccogliere prove serie e inconfutabili», specifica Venediktova.
Con i suoi collaboratori ha già dato avvio a oltre 8.000 inchieste criminali e identificato circa 500 sospetti, inclusi ministri russi, ufficiali e soldati dell’esercito invasore. Nelle prime fasi della guerra si è concentrata sul fiume di profughi che dalle zone occupate transitava per il centro ferroviario di Leopoli. Qui aveva messo assieme una cinquantina d’investigatori. Non era difficile far parlare gli sfollati, anche se molti non ne capivano il motivo. Lei però cercava verifiche, confronti incrociati: spesso non è sufficiente una testimonianza per costituire una prova di fronte ai giudici. Così la procuratrice non ha esitato a cercare altri testimoni già profughi in Polonia, o Moldavia. Lentamente ha trovato sostegno e finanziamenti grazie al circuito della Corte Internazionale in Polonia, Germania, Francia, Lituania.
Un giorno, per esempio, nel villaggio di Krakivets, sul confine polacco, incontra Liudmila Verstiouk, una 58enne fuggita l’8 marzo dal suo appartamento incendiato dalle bombe russe a Mariupol. La donna le dice che ha dovuto abbandonare il padre 86enne malato di Alzheimer nell’appartamento in fiamme. Quindi si è rifugiata nel teatro municipale, che ha lasciato il giorno prima che venisse bombardato. I collaboratori della procuratrice la intervistano per cinque ore: le sue parole sono ora conservate nei dossier.
(da Il “Corriere della Sera”)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
OTTANTA ANNI DOPO LE PARTI SONO ROVESCIATE. SONO I SOLDATI RUSSI GLI INVASORI CHE DEVONO STRAPPARE I RUDERI DELLA PIÙ GRANDE FONDERIA D’EUROPA AL BATTAGLIONE AZOV
Tutti i bambini russi, da generazioni, crescono sillabando questi nomi: la fonderia “Ottobre rosso”, la fabbrica di cannoni “Barricata rossa”, lo stabilimento chimico “Lazul”. A ripeterle quelle parole si gonfiano di epopea, di storia, di gloria.
Anche se oggi il luogo dove sorgevano ha cambiato nome, Volgograd, per loro per sempre sarà Stalingrado, la città del mito russo, della grande guerra patriottica.
Tra dieci, venti anni tutti i bambini in Ucraina impareranno a memoria un altro nome: la fonderia Azovstal, lo scriveranno nei compiti a scuola, la ripeteranno riempiendola di gloria, di eroismo, di sacrificio patriottico.
Forse su Mariupol dove sorge lo stabilimento sventolerà un’altra bandiera, quella russa, ma per loro sarà sempre la città della gloria dove un pugno di soldati ucraini preferirono morire tra le rovine che arrendersi. Così nascono le leggende. E le guerre senza fine. Ottobre rosso, Azovstal restano nella memoria tutta la vita, si radicano, si infiltrano, incominciano a crescere e germogliare, fino a trasformarsi in qualcosa di grande, raccolgono tutta l’essenza di ciò che è avvenuto.
La storia riserva strane combinazioni, capovolge i destini, li fa specchiare l’uno nell’altro come per prendersi gioco degli uomini e della loro illusione di esserne i padroni, di tenerli saldamente in pugno. Nell’agosto del 1942 i soldati russi, e ucraini, con alle spalle il Volga, barricati in una fonderia trasformata in fortezza, cambiarono il corso della Seconda guerra mondiale fermando la sesta armata nazista. Ottanta anni dopo le parti sono rovesciate. Sono i soldati russi gli invasori che devono, metro dopo metro, strappare i ruderi della più grande fonderia d’Europa ai fanti di marina e ai miliziani del battaglione Azov che rifiutano la resa. Per i russi gli ultra nazionalisti dell’Azov sono «i nazisti».
Aggrediti e invasori, vittime e aggressori: lo scambio delle parti nell’atroce gioco delle guerre.
Stalingrado era una bella città nel 1942, come Mariupol 50 giorni fa. Con una università, grandi spazi aperti, ombre fresche e lunghe, parchi e blocchi di appartamenti bianchi con certe figure di donna sulle facciate a sorreggere niente, palazzi dall’aspetto immacolato che riflettevano il grande fiume e la abbagliante luce estiva. Portava il nome del Padrone, era simbolo e vetrina del mondo nuovo.
Quando i tedeschi attaccarono il 23 agosto, seicento aerei, a turno, volando basso, la schiantarono pezzo a pezzo. Da settimane i civili fuggivano verso il Volga portandosi dietro fagotti, carrette, spronando il bestiame.
Come a Mariupol avevano dato loro pale, carriole e ciocchi di legno per costruire all’ultimo momento trappole per carri armati e trincee. Ma avevano capito che sarebbero servite a poco. Sapevano che la armata del generale Ciukov, un tipo ambizioso, ostinato, sopravvissuto nei tempi di ferro di Stalin, aveva l’ordine di morire nella stretta lingua di terra che correva lungo il fiume, come se dall’altra sponda del Volga non ci fosse terra.
Molti non ebbero il tempo di fuggire, nel primo giorno e nella prima notte di bombardamenti morirono in quarantamila.
Anche a Mariupol i russi sono arrivati troppo presto, il 13 marzo. E pare che, dice Mosca, ormai le aree urbane sono state “ripulite” dalle forze ucraine.
Accade sempre così, si spera, si ritarda, forse il fronte si sposterà. Non lo sanno ma gli Stati maggiori hanno già tirato un segno rosso sulla carta geografica: qui vietata la resa, obbligatorio morire.
Oltre diecimila civili sono già morti. I soldati rimasti si battono nella immensa acciaieria. Davanti a loro ad ogni lato ci sono i russi che si aprono la strada con l’apocalisse dei “Solntsepeck”, che 80 anni fa si chiamavano “gli organi di Stalin”, alle loro spalle il mare da cui non verrà alcun aiuto.
Guardiamo Stalingrado dopo pochi giorni di battaglia: le case e le strade erano morte, sugli alberi non c’era più un ramo verde, tutto era stato distrutto dal fuoco, i palazzi erano una enorme discarica di frontoni in pezzi, nei pochi edifici ancora in piedi la gente si affollava cercando di portar via quello che non era stato distrutto
Uomini si davano la caccia per uccidersi, con mitra, bombe a mano, baionette. Il Volga fumava per il calore delle granate tedesche.
E ora guardate le fotografie di Mariupol con i suoi campanili amputati e le file interminabili di edifici distrutti i cui fregi neoclassici riposano le loro volute sui marciapiedi, il teatro, cupo, annerito e solitario si innalza tra un cumulo di macerie con una ferita di mattoni che sembra sanguinare al crepuscolo.
Se volete vedere un paesaggio di rovine più desolato di un deserto, più selvaggio di una montagna e fantastico come un incubo angoscioso, allora avete due città a cui pensare ora, Stalingrado e Mariupol.
Sono le città senza più luci come se cercassero di negare la propria esistenza, solo chilometri di edifici che sembrano aver spento gli occhi. I russi nella città sul Volga avevano ammassato mezzo milione di soldati, ne morirono più di trecentomila. A Mariupol i difensori ucraini sono ridotti a qualche migliaio, gli altri che difendevano la città, e molti di coloro che cercano di conquistarla da un mese, sono morti.
Anche ottanta anni fa il cuore dell’epopea e della tragedia furono, nella parte Nord della città, gli indefinibili resti della fonderia Ottobre rosso: resti ancora alti, scolpiti arditamente dalle bombe come monumenti alla guerra, oppure piccoli come pietre tombali, travi contorte spuntavano dalle macerie come ruote di prua di navi affondate da tempo, e poi le sei ciminiere rimaste in piedi che un destino dotato di senso artistico aveva reciso dai capannoni distrutti si alzavano su mucchi grigi di calcinacci che sembravano eterne pietre messe lì dall’origine del mondo e apparecchiature fuse dal calore.
La leggenda racconta che quando già i tedeschi erano nel sobborgo di Spartakovka e gli Stuka scendevano in picchiata gli ultimi carri armati uscirono senza verniciatura, appena montati, dalle catene di montaggio per gettarsi nella battaglia.
Nei sotterranei di Azovstal e allora in quelli di Ottobre rosso immaginate solo bombardamenti, rumore incessante, polvere, fuoco, freddo e buio. Il fetore di carne putrefatta si mischia con quello del metallo rovente e del sudore. In luoghi simili dieci giorni è il massimo che chiunque può sopportare, si diventa un po’ meno che umani, si impara che esiste qualcosa peggiore della morte, restare mutilati o cadere in mano al nemico.
Si comincia a provare una sorta di estasi durante l’azione che arriva al suicidio. E questo spinge anche a rifiutare la resa.
Accadono cose eroiche e altre che sono la spietatezza e pura crudeltà. Bisogna diventare esseri di ferro.
Agli uomini di Ottobre rosso fu detto che dovevano resistere perché dietro il Volga non c’era più niente. Non era vero: tre armate preparavano la trappola gigantesca per i tedeschi.
Dietro Azovstal non c’è davvero più niente
(da La Stampa)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
LEGA E FORZA ITALIA SIGLANO L’ACCORDO PER IL CANDIDATO SINDACO, LASCIANDO FUORI LA MELONI CHE SI INCAZZA… GLI ALLEATI VOGLIONO AZZOPPARE LA RICANDIDATURA DI NELLO MUSUMECI
Il centrodestra va in frantumi in Sicilia, Lega e Forza Italia siglano l’accordo per il candidato sindaco a Palermo lasciando fuori Fratelli d’Italia e il partito di Giorgia Meloni reagisce duramente chiedendo l’intervento di Silvio Berlusconi.
Una mossa che per FdI ha una sola spiegazione: gli alleati vogliono frenare la crescita del partito di Giorgia Meloni. E, nella fattispecie, l’operazione viene vista come la prova generale del no alla ricandidatura di Nello Musumeci alla guida della regione, nome sul quale invece la Meloni non intende transigere.
La reazione di FdI è immediata e aspra: «Non possiamo non notare come questi comportamenti, e molti altri segnali, testimoniano più la volontà di danneggiare Fratelli d’Italia piuttosto che quella di combattere le sinistre».
Un sospetto che la Meloni ha ormai da un po’ di tempo: già due settimane fa, durante la presentazione del suo libro, aveva avvertito: «Va fatta una domanda ai nostri alleati: è più importante far vincere il centrodestra o frenare la crescita di FdI?».
L’intesa su Palermo la chiudono a livello locale Gianfranco Micciché per Fi e Nino Minardo, segretario regionale leghista. Il nome scelto è quello di Francesco Cascio, del partito di Silvio Berlusconi.
L’accordo prevedeva come candidato vice-sindaco Francesco Scoma, parlamentare della Lega, che però non ha gradito il ruolo da numero due e si è tirato indietro, formalmente per «proseguire il mio impegno come parlamentare». Ma Micciché e Minardo non hanno dubbi, Cascio «vincerà a Palermo risollevando la città dal disastro finanziario e sociale in cui è precipitata negli ultimi 5 anni.
Una scelta condivisa dalla Lega Prima l’Italia e da Forza Italia che sancisce la fine di settimane di sterili polemiche e che consente di avviare in tempo una campagna elettorale convincente e di alto livello».
Le polemiche, però, non si fermano affatto, anzi.
FdI parla di «enorme confusione» che «emerge dall’annuncio di un solitario accordo tra la Lega e Fi». Contro gli alleati viene lanciata l’accusa più pesante, quella di lavorare per proseguire la grande coalizione con la sinistra: «Quello che preoccupa è che il comportamento di Lega e Fi sembra essere finalizzato soprattutto a dividere e indebolire il centrodestra, strada che può avere come unico obiettivo quello di proseguire l’alleanza arcobaleno con la sinistra anche dopo le prossime elezioni politiche».
Ignazio La Russa è drastico: «Se si vuole trovare un’intesa per vincere non ci si comporta così. Se il punto invece è frenare FdI, allora capisco». Soprattutto, il dirigente di FdI dice chiaramente qual è il nodo: «Per noi Cascio a Palermo va benissimo, anche se abbiamo una candidata altrettanto valida come Carolina Varchi. Abbiamo posto una sola condizione: si discuta insieme di Palermo, di Messina e della regione Sicilia, dove si vota il prossimo anno. Ci dicano se hanno dubbi sulla conferma di Musumeci, che è onesto e ha fatto bene».
Per questo nella nota di FdI si chiede l’intervento del Cavaliere: «Non ci resta che auspicare un intervento diretto di Silvio Berlusconi che – complice la Pasqua – non siamo certi sia stato reso partecipe delle ultime scelte del partito siciliano».
(da La Stampa)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
L’UCRAINA È STATA TRASFORMATA NEL TERZO REICH CON “GRAN PARTE DELLA POPOLAZIONE SPROFONDATA NELLA FOLLIA NAZISTA”: TEORIE FOLLI CHE SPINGONO I SOLDATI RUSSI ALLE FEROCIE SUI CIVILI
«Lo stesso nome di ucraini è una vergogna, un insulto per un popolo che è russo». Il talk show di Vladimir Solovyov apre un nuovo capitolo nella propaganda russa, e stabilisce, per bocca di un ospite particolarmente infervorato, che l’accusa di genocidio del popolo ucraino lanciata a Vladimir Putin da Joe Biden è «un’idea geniale, perché se si tratta di cancellare l’idea stessa di poter essere ucraini, sono d’accordo, l’idea dell’ucrainità va cancellata, dall’inizio alla fine, sono cento anni che avvelena la vita dei popoli slavi».
Gli altri ospiti ascoltano e annuiscono, qualcuno chiede se con ciò l’Ucraina deve essere definitivamente disconosciuta come Stato sovrano, ma è chiaramente poco aggiornato rispetto alle ultime direttive.
In studio infatti è presente la capa della propaganda del Cremlino Margarita Simonyan, secondo la quale la guerra in Ucraina non è un genocidio, anzi, non è nemmeno una guerra, perché il giorno che lo diventa «per prima cosa si fa a pezzi Kiev, in polvere, a pezzettini». Dello stesso avviso è il regista Vladimir Bortko, che con voce stridula invita a vendicare l’incrociatore Moskva affondato da un missile ucraino, invocando nel talk «60 minuti» «una guerra, quella vera, senza stupidaggini, al 100%».
I talk-show delle tv di Stato russo vanno presi con cautela: sono un circo mediatico che punta a spaventare ed eccitare il nocciolo duro dell’elettorato putiniano. Ma proprio in quanto arma strategica, vengono monitorati e diretti con attenzione, e il cambiamento del loro tono difficilmente può essere casuale. P
ronunciare la parola «genocidio» in un contesto positivo di «cancellazione dell’idea ucraina» è un traguardo di ferocia finora mai sfiorato, ma già qualche giorno fa l’idea che «l’ucrainità radicata è un unico grande fake, non è mai esistita» è stata teorizzata molto più in alto, dall’ex presidente e premier Dmitry Medvedev, che ha completato la sua trasformazione da colomba del regime in uno dei suoi sostenitori più sfacciati.
L’obiettivo della «operazione militare speciale» russa, secondo lui, è «cambiare la mentalità sanguinaria e piena di miti falsi di una parte degli ucraini», e aggiunge che «l’Ucraina farà la stessa fine del Terzo Reich nel quale è stata trasformata». E prima era stata la stessa Simonyan – che di solito ha il compito di annunciare al pubblico le svolte del pensiero dei falchi del Cremlino – a lamentarsi in un’intervista che il problema non erano solo i vertici di Kiev, ma anche «una parte considerevole degli ucraini è sprofondata nella follia nazista».
Un delirio propagandistico – il «nazismo» associato al «liberalismo occidentale» che si propone di «sterminare i russi» – che però mostra una svolta pericolosa: da una guerra per «salvare i fratelli ucraini» dalle grinfie degli Usa e dell’Ue si passa alla teoria della profonda corruzione degli ucraini medesimi, non più «piccoli russi» da riabbracciare, ma un popolo inesistente da «cancellare».
Il politologo liberale Konstantin Skorkin sostiene che una certa cultura russa ritiene «estremismo nazionalista» l’idea stessa che gli ucraini possano essere un popolo distinto, meno che mai una nazione indipendente. Ma il cambiamento del paradigma, da «guerra di liberazione dei fratelli» a «guerra per sterminare i nazionalisti», teorizzata ora dal ministro degli Esteri Sergey Lavrov, è un’indicazione che le truppe sul terreno hanno già fatta propria, come si vede dai massacri di civili.
«Ovviamente, dopo essersi scontrati con la coraggiosa resistenza degli ucraini, non rimaneva che accusarli del fallimento, e sostenere che fossero profondamente infetti dal nazismo», scrive il sociologo russo Greg Yudin. Una teoria che non si limita agli schermi televisivi, ma diventa progetto politico, non solo a Bucha e Mariupol. Da Kherson, unico capoluogo regionale ucraino in mano ai russi, arrivano notizie dei preparativi per un «referendum» per creare una «repubblica popolare» da annettere alla Russia, senza nemmeno la parvenza dell’indipendenza.
Si dovrebbe tenere dal 1 al 9 maggio, la data fatidica dell’anniversario della vittoria su Hitler, entro la quale Putin vuole regalare ai suoi sudditi una conquista, seppure ridimensionata rispetto ai piani iniziali di espansione del «mondo russo», il Lebensraum putiniano. «Un’idea vuota, senza alcuna prospettiva di sviluppo culturale», commenta Yudin, che osserva come la Russia «abbia abbandonato un concetto molto semplice, che un popolo non si conquista con i cannoni».
(da La Stampa)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
ERA IL 30 AGOSTO 2003 E L’AMMIRAGLIA DELLA MARINA DI MOSCA ERA ANCORATA AL LARGO DELLA MADDALENA
Una foto di 19 anni fa scattata in Sardegna mostra l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e Vladimir Putin – all’epoca come oggi, presidente russo – in posa sul ponte dell’ammiraglia della marina di Mosca: l’incrociatore Moskva. La stessa nave colata a picco nel Mar Nero a sud di Odessa, centrata da due missili ucraini secondo la ricostruzione del Pentagono.
Era il 30 agosto 2003 e il Moskva era ancorato al largo della Maddalena, proprio davanti alla base americana di Santo Stefano. Berlusconi e Putin passarono in rassegna il picchetto d’onore e in quell’occasione il leader russo ribadì l’interesse per il sistema europeo di difesa e parlò di pace: «Penso che non abbiamo niente da temere dal processo di realizzazione della politica europea di difesa», aveva detto, «la Russia è pronta a collaborare con la Nato e con la Difesa europea».
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
STAREBBERO ISTRUENDO IL 112ESIMO BATTAGLIONE A UTILIZZARE I 5MILA MISSILI ANTI-TANK NLAW FORNITI DA LONDRA… L’MI6 STA COLLABORANDO CON KIEV PER PENETRARE LE COMUNICAZIONI RUSSE
Nell’ultimo incontro ufficiale tra Russia e Regno Unito l’11 febbraio scorso a Mosca, il ministro della Difesa Sergei Shoigu provocò così il pari britannico Ben Wallace: «Mi piacerebbe sapere perché Londra stia mandando forze speciali in Ucraina e quanto resteranno ». Ora ci sarebbe la conferma. Secondo il Times , il leggendario corpo di élite britannico Sas (Special Air Service) starebbe addestrando militari ucraini a Obolon, alla periferia Nord di Kiev, che due mesi fa i soldati regolari britannici avevano abbandonato prima dell’invasione ordinata da Putin, poiché si temeva che la capitale sarebbe caduta in pochi giorni. Invece, la resistenza ucraina è stata sorprendente. Anche grazie all’addestramento britannico negli ultimi anni.
In questi giorni, le Sas, che hanno ridotto la presenza in Afghanistan e Siria, starebbero istruendo le nuove giovani reclute e il 112esimo battaglione ucraini ad utilizzare i circa 5mila missili anti-tank NLaw sinora forniti da Londra. Armi eccezionalmente efficaci contro gli impacciati carri armati di Mosca, monouso (costo 40mila euro l’una) ma leggere (12,5 kg), facili da utilizzare e capaci di colpire a oltre 770 km/h obiettivi in movimento fino a 400 metri di distanza (e 800m per gli stazionari). Insieme agli altri missili anti-carro americani “Javelin” forniti dai britannici, che hanno una gittata superiore (circa 2 km) ma meno versatilità, gli NLaw hanno cambiato il corso di questa guerra.
Il ministero della Difesa britannico, come sempre sulle forze speciali, non commenta. Ma che le Sas orbitino da tempo in Ucraina non stupisce. Qualche giorno fa il Figaro , citando fonti di intelligence francese, aveva riportato la presenza loro e delle americane Delta. A metà febbraio, il Sunday Mirror aveva scritto che, prima dell’aggressione russa, cento forze speciali Sas e Sbs (Special Boat Service) erano state spedite a Kiev per addestrare gli ucraini in controguerriglia, artiglieria, cecchinaggio e sabotaggio dei piani di Mosca e delle forze speciali russe Spetsnaz per assassinare il presidente Volodymyr Zelensky.
Non solo. Si apprende che Londra, nei prossimi giorni, addestrerà altre centinaia di truppe ucraine nel Regno Unito. L’MI6 sta collaborando con Kiev per penetrare le comunicazioni russe. Mentre in Ucraina sono arrivate ex forze speciali inglesi in pensione soprattutto nella zona di Yaroviv (guardacaso bombardata dai russi settimane fa), e persino soldati “disertori” britannici, arrivati a combattere nel Paese contro gli ordini dei propri superiori.
Ma l’impegno militare britannico per l’Ucraina arriva da lontano.
Sin dall’indipendenza da Mosca nel 1991, quando arrivarono le prime truppe da Londra. Poi, dopo l’invasione russa della Crimea nel 2014, è scattata l’Operazione Orbital: l’esercito britannico ha addestrato da allora quasi 25mila truppe ucraine a Kiev, Odessa e Mykolaiv – artiglieria, fanteria, intelligence militare, logistica – e fornito numerose armi difensive non letali. Nel 2016, Londra e Kiev hanno firmato un memorandum di cooperazione militare di 15 anni per 2 miliardi di euro, e nel 2020 un altro sulla formazione aeronautica.
Ora, dopo l’invasione russa, il Regno Unito è stato il primo Paese occidentale a fornire armi letali a Kiev, seguite da una linea di credito di 1,5 miliardi di aiuti, 125 milioni per la Difesa ucraina, 120 veicoli armati, almeno 6mila missili difensivi anti-carro e anti-aerei come gli Starstreak, e misteriosi missili anti-nave, sebbene gli ucraini insistano che l’ultimo, clamoroso affondamento dell’incrociatore russo Moskva nel Mar Nero sia merito dei “Neptune” fatti in casa. Per tutto questo Mosca è furiosa con Londra – che ha ordinato ulteriori dure sanzioni contro la Russia – e minaccia «conseguenze mai viste» e la Terza Guerra Mondiale, considera Boris Johnson “il leader occidentale più ostile di tutti” e ieri lo ha dichiarato «persona non grata» insieme al suo governo, come già visto con gli Stati Uniti e Biden.
«Ma noi faremo ogni cosa possibile per l’Ucraina», ha promesso il primo ministro britannico nella sua recente visita a sorpresa a Kiev per incontrare “l’amico” Zelensky, che sente praticamente ogni giorno. Oltre alle accuse di voler distrarre l’opinione pubblica dallo scandalo “Partygate”, Johnson è diventato un falco sull’Ucraina per il legame storico del Regno Unito con Kiev. Ma anche perché cedere sulla Russia significherebbe mutilare la strategia anti-Cina nell’Indo-Pacifico, su cui Londra punta enormemente (proprio giovedì Boris vola in India da Modi, che spera di poter convincere a schierarsi contro lo zar).
Per questo, sebbene non punti alla caduta di Putin («sarebbe pericoloso e controproducente»), Johnson vuole infliggere una punizione severissima al presidente russo, strappargli nei prossimi mesi quanto più terreno occupato in Ucraina in questi anni e far così arrivare Kiev ai colloqui di pace nella posizione più forte possibile per «una soluzione a lungo termine», come discusso nella telefonata di ieri con Zelensky. Ossia mettere Putin, e le ambizioni della Cina su Taiwan, nella condizione di non (ri)provarci mai più.
(da La Repubblica)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
PRESE DI POSIZIONE A FAVORE DI PUTIN, BUFALE RUSSE E ODIO PER GLI USA
Da qualche ora circola lo screenshot di un post Facebook nel quale vengono prese le difese di Vladimir Putin in chiave anti americana, definendo illegittimo il governo di Kiev in quanto «nato di fatto da un colpo di Stato foraggiato dagli Stati Uniti».
La pubblicazione non è recente, risale al 14 gennaio 2015, ma a pubblicarlo è stato l’attuale Presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, rieletto lo scorso 12 aprile 2022.
A scatenare questa sua reazione è stato un articolo pubblicato da Repubblica, a firma Andrea Tarquini, critico riguardo l’assenza di Putin alle celebrazioni di Auschwitz del 27 gennaio successivo.
Pagliarulo si scaglia contro i giornalisti, mettendo in dubbio la loro professione e insinuando una propaganda «scritta sotto dettatura della Cia». L’ attuale presidente dell’Anpi contesta la definizione di «annessione illegale» del Donbass alla Russia, sebbene i referendum non siano stati riconosciuti da alcun organo internazionale terzo.
Contesta, inoltre, che ci sia stata un’aggressione militare contro l’Ucraina e un appoggio ai «terroristi separatisti russofoni» – preferendo definirli «patrioti dell’Est» – da parte della Russia.
Quest’ultima ha sempre negato, come nel caso dei paracadutisti russi arrestati dalle forze ucraine, affermando che i propri militari si sarebbero «persi» e dunque entrati in territorio ucraino «per errore».
Ecco il testo completo del post di Gianfranco Pagliarulo:
SPAZZATURA DI GUERRA
E con questo “articolo” (?) Repubblica si è superata: non è giornalismo; è propaganda di guerra. Vediamo. Ecco l’inizio: “Ormai da Vladimir Vladimirovic Putin ci si deve aspettare di tutto”. Non è la notizia. E’ l’opinione di chi scrive. Avanti: “Non è bastata l’aggressione militare contro l’Ucraina con l’annessione illegale della Crimea e le provocazioni militari, né l’appoggio aperto ai terroristi separatisti russofoni dell’Ucraina orientale, non sono bastate nemmeno le minacce aperte contro Polonia, paesi baltici e Nato in generale “che le mie armate potrebbero invadere in poche ore”. Dunque per il “giornalista” (?!) Andrea Tarquini c’è stata “un’aggressione militare” russa, una “annessione illegale”, un “appoggio aperto ai terroristi”, cioè i patrioti dell’Est, una minaccia aperta alle repubbliche baltiche e persino alla Nato!!!. Si tratta di una sequenza di giudizi senza uno straccio di prova, a cui si giustappone il totale silenzio sui massacri da parte del regime di Kiev, sulla sua illegittimità (è nato di fatto da un colpo di Stato foraggiato dagli Stati Uniti), sulle attività criminali delle bande armate naziste inviate ad assassinare le popolazioni dell’Est, sullo scempio di democrazia, libertà, diritti umani che sta avvenendo oramai da quasi un anno in quello sfortunatio Paese, sul riamo dell’occidente in chiave antirussa, sull’atteggiamento (e non solo l’atteggiamento) aggressivo della Nato. Insomma c’è il cattivo Putin (come sempre gli americani hanno diabolicamente dipinto il leader di un Paese prima di aggredirlo), e poi ci sono i buoni, fra cui la Nato. Ma chi si vuole prendere per i fondelli? Questa spazzatura non è giornalismo. E’ solo propaganda di guerra. Una propaganda che sembra scritta sotto dettatura della Cia.
Le prove della presenza russa in Ucraina
La presenza dei militari russi nel Donbass venne dimostrata soprattutto attraverso il giornalismo investigativo di nuova generazione come quello svolto dal team di Bellingcat.
Putin negava che i militari del suo esercito si trovassero in terra ucraina durante la guerra del Donbass, ma a smentirlo sul campo è stato il giornalista Simon Ostrovsky attraverso le fotografie pubblicate sul social network russo Vk da parte dei soldati di Mosca. Simon si recò nei punti dove vennero scattate, fotografandosi a sua volta imitando i russi, al fine di dimostrare che questi si trovavano effettivamente a Debal’ceve, in Ucraina.
Non è l’unico. Il 22 agosto 2014, condividendo un comunicato del sito Russia.it, Pagliarulo sostiene che fosse l’Ucraina, definendo quello di Kiev un «governo nazista», a cercare un conflitto con la Russia: «Da leggere. E’ evidente che il governo ucraino, che andrebbe processato per crimini contro l’umanità, non vuole fare arrivare gli aiuti alle popolazioni che sta bombardando. E’ altrettanto evidente che cerca ogni pretesto per aprire un conflitto armato con la Russia. E’ infine ancora più evidente che gli Stati Uniti, con l’accordo più o meno sofferto dell’UE, sono i burattinai del governo nazista di Kiev».
Il 9 settembre 2014, Pagliarulo condivide un articolo di Repubblica sul rapporto del volo MH17 abbattuto in terra ucraina il 17 luglio 2014. Per l’attuale presidente dell’Anpi, la colpa doveva essere di Kiev:
Grottesco e reticente il rapporto dell’Ufficio di Sicurezza olandese sull’abbattimento del Boing malese. La prima conclusione è che è stato abbattuto. Grande scoperta! La seconda conclusione è che, guardando le foto che si conoscono da mesi e che io ho pubblicato su Facebook molto tempo fa e che dimostrano incontrovertibilmente che l’aereo è stato mitragliato da centinaia di proiettili (la grande parte dei fori è tondeggiante, più piccoli e piegati all’interno quelli di entrata, più grandi e piegati all’esterno quelli di uscita), è che forse è stato colpito da un missile! Gli olandesi cercano malamente di accreditare la tesi di Kiev. E’ invece ovvio pensare che sia stato abbattuto da uno o più aerei. Caso vuole che due aerei di Kiev fossero nei pressi del Boing; con tutta probabilità prima lo hanno costretto a cambiare rotta e poi lo hanno abbattuto mitragliandolo. Ma non si può dire, perchè questa malandata Europa, disgraziatamente a rimorchio degli USA, sostiene proprio il governo di Kiev. Sarebbe bene sapere cosa ne pensa il governo della Malaysia.
Un’indagine congiunta venne affidata a un Joint Investigation Team (Jit), composto da esperti provenienti da Australia, Belgio, Malaysia, Olanda e Ucraina, arrivando a una conclusione: il missile che ha abbattuto il volo MH17 della Malaysia Airlines è di origine russa. Il mezzo che lo aveva lanciato era stato portato in un campo vicino alla città di Pervomaisk, all’epoca controllata dai separatisti, e riportato in Russia dopo il lancio. A supporto dell’indagine ci furono anche le immagini satellitari fornite dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa).
(da Open)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
“TUTTI PARLANO MA NESSUNO HA IL CORAGGIO DI AGIRE”
«L’Ucraina non è disposta a cedere il territorio nella parte Orientale del Paese (nella regione del Donbass, ndr) per porre fine alla guerra con la Russia: l’esercito ucraino è pronto a combattere contro l’esercito di Mosca nella regione del Donbass in una battaglia, che potrebbe influenzare il corso dell’intera guerra».
È quanto dichiarato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un’intervista esclusiva alla Cnn, pubblicata integralmente oggi, 17 aprile, dal network statunitense. «Non mi fido dell’esercito e della leadership russa. Ecco perché non possiamo perdere questa battaglia».
Nei giorni scorsi erano state rese note alcune dichiarazioni in anteprima, in cui il presidente ucraino ha dichiarato: «Tutti i Paesi del mondo dovrebbero farsi trovare pronti davanti alla minaccia nucleare della Russia». Il presidente ucraino ha poi dichiarato di «non aver più fiducia nel mondo dopo l’escalation della Russia», così come nelle parole dei vari leader mondiali, specialmente quelli dei «Paesi vicini». «Le uniche certezze le riponiamo in noi stessi, nella nostra gente, nelle nostre forze armate. Riporremo fiducia nei Paesi ci sosterranno non solo con le loro parole, ma con le loro azioni. Tutti ne parlano, ma non tutti hanno il coraggio di agire».
E queste «azioni», ossia l’invio di aiuti militari, secondo il presidente ucraino sta procedendo a rilento: «Siamo pronti a utilizzare qualsiasi tipo di attrezzatura, ma deve essere consegnata in fretta».
Il presidente ucraino non chiude del tutto la porta a possibili ulteriori colloqui di pace, ma osserva che «gli attacchi della Russia contro gli ucraini li rendono più complessi».
Secondo Zelensky, infatti, «se ci sarà l’opportunità di discutere, discuteremo. Ma è possibile aprire una discussione quando da Mosca arrivano solo ultimatum? È una domanda sull’atteggiamento nei nostri confronti, non sul fatto che la strada della diplomazia e del dialogo siano un bene o un male. È impossibile». E infine Zelensky incalza: «Qual è il prezzo di questo conflitto? Sono le persone, in particolare le vittime. E chi finisce per pagare per tutto questo? L’Ucraina, solo noi».
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2022 Riccardo Fucile
L’AGENZIA PORTUALE DI TRIESTE SMENTISCE IL NO VAX
L’Agenzia portuale per il lavoro di Trieste (Alpt) di cui era dipendente a chiamata, ha dato il “ben servito” a Stefano Puzzer, che ieri, in dodici minuti di audio in cui millantava di essere stato licenziato per aver osato ‘opporsi al sistema’, ha dichiarato di essere intenzionato a fare ricorso contro l’azienda, che l’avrebbe destituito per non ben chiare ‘motivazioni politiche’.
Ma, come ha dichiarato il presidente dell’azienda Franco Mariani, non ci sarebbe alcuna motivazione politica: “Il licenziamento nulla ha a che vedere con vicende politiche sulle quali il lavoratore fa leva. E le cose andrebbero raccontate tutte”, ha dichiarato in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. E tra le cose da raccontare, c’è senz’altro il fatto che il portuale non si recava al lavoro dallo scorso 15 ottobre per via della sua strenua opposizione al Gren pass (pur essendo lui vaccinato con due dosi).
Puzzer, che aveva poi contratto il Covid, avrebbe potuto tornare a lavoro una volta guarito, nonostante la scelta di non fare la terza dose (a cui si era dichiarato contrario) e, secondo quanto riporta il presidente dell’Alpt, si sarebbe effettivamente mosso in quel senso: “Ci ha inviato una pec nella quale chiedeva di essere riammesso al lavoro. Ha fatto la visita medica ottenendo l’idoneità al lavoro. Poi evidentemente ci ha ripensato”. Un ripensamento che lo ha portato a uno scontro vero e proprio con l’azienda, che da marzo gli chiede ripetutamente di tornare al lavoro.
“La vicenda — continua Mariani — è legata strettamente al rapporto del lavoratore con la sua Agenzia, che deve essere improntato alla lealtà e al rispetto delle normative sanitarie e contrattuali, senza creare nocumento agli altri lavoratori portuali in termini di immagine e di concreta partecipazione all’attività lavorativa. No, nulla di politico”, ribadisce il presidente. Semmai, di politico ci sarebbero le ambizioni, quelle di Puzzer, che sempre Mariani definisce “personali e del tutto legittime” ma che “non possono colpire, indebolire i lavoratori art. 17 (quelli a chiamata) del porto e il porto di Trieste stesso”.
(da NextQuotidiano)
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