Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
LUI NEGA DI ESSERE IN UCRAINA E OGNI COINVOLGIMENTO CON GLI AFFARI DI “MAD VLAD”, MA IN CINQUE ANNI LA SUA SOCIETÀ (CHE NON SI OCCUPA SOLO DI RISTORAZIONE) HA RICEVUTO APPALTI PUBBLICI PER TRE MILIARDI DI DOLLARI
Passare anni a giurare di non avere nulla a che fare con i mercenari della Wagner per poi farsi fotografare in tuta mimetica nel Donbass non sembra una mossa particolarmente astuta.
Ma Evgenij Prigozhin, conosciuto da tutti come il cuoco di Putin, ricercato dall’Fbi per le ingerenze nelle elezioni americane, è abituato a trincerarsi dietro cortine fumogene. Da sempre lui nega tutto, fin da quando, ventenne, fu condannato a 13 anni di carcere nella allora Leningrado.
Niente fabbrica dei trolls, quella che si occupava di indirizzare le presidenziali Usa in un certo modo; niente Wagner, gruppo privato impiegato per azioni «sporche» in Siria, Libia, Repubblica Centroafricana e Ucraina.
Niente contratti miliardari sospetti per rifornire le mense del ministero della Difesa. Il sessantenne imprenditore ammette solo di occuparsi di ristorazione, riconosce la paternità della sua «Isola Nuova» (dove conobbe Putin), del «Polenta», dei negozi «Museo della cioccolata», del villaggio «La Versailles del nord». E continua a chiedersi perché sia finito in tutte le liste degli oligarchi sanzionati e perché l’Fbi offra 250 mila dollari per la sua cattura.
L’immagine
Così ha subito smentito anche la foto in tuta mimetica che era stata postata dal deputato (ovviamente del partito putininano) Vitalij Milonov che si trova nel Donbass dal 14 aprile: «Ho incontrato un vecchio amico», ha scritto il parlamentare su Vkontakte, il Facebook russo. E il nostro si è affrettato a precisare: «Passeggio sulla prospettiva Nevskij (a San Pietroburgo, ndr ), vedo avvicinarsi Milonov e lo saluto. Ecco tutta la storia». Niente Donbass, dunque, anche se è un po’ difficile credere che i due si aggirino abitualmente per la strada centrale della capitale del Nord in assetto militare. D’altra parte, i Wagner non sono in Ucraina.
Alcune centinaia di loro non si sono contaminati a Chernobyl e non sono finiti a Gomel in Bielorussia nel Centro di medicina radioattiva. La discrezione, lo sappiamo, è una delle prerogative fondamentali degli osti di successo. E non si può negare che Prigozhin di successo ne abbia avuto parecchio.
I locali
Risolte dopo nove anni le questioni giudiziarie, nel 1990 mise su assieme al patrigno un chiosco di hot dog col quale fece i primi rubli. Poi entrò nei casinò, in una catena di negozi di alimentari, e finalmente aprì il primo ristorante, «La vecchia dogana». Quindi un battello sul fiume trasformato in lussuoso ritrovo, «New Island» (in inglese).
Putin ci porta il presidente francese Chirac, quello americano Bush e il giapponese Mori. Ha raccontato lo stesso Prigozhin: «Il presidente ha visto come ho costruito la mia fortuna iniziando da un banchetto; ha visto come non mi tiravo indietro se c’era da portare a tavola un piatto». Un uomo che si adatta, che è pronto a fare qualsiasi cosa gli venga chiesto.
Le fake news Nel 2013 spunta a San Pietroburgo un palazzo nel quale vengono assunti giovani informatici incaricati di diffondere notizie fasulle, di amplificare storie di fantasia. È la cosiddetta fabbrica di trolls che inizia a infiltrare le chat americane, spingendo sull’acceleratore dell’odio razziale e della violenza. Poi arrivano le elezioni e i trolls fanno tutto il possibile per far perdere Hillary Clinton. È Prigozhin che non si tira indietro.
I mercenari
Nel 2014 con lo scoppio della guerra nel Donbass sale alla ribalta la Wagner, una compagnia privata fondata da un ex delle truppe speciali, Dmitrij Utkin, nome di battaglia Wagner. I suoi soldati di ventura combattono al fianco dei miliziani filorussi, così Mosca non compare ufficialmente. È sempre il Nostro che non si tira indietro. La cosa piace in alto e i mercenari vengono adoperati in altre operazioni in giro per il mondo. In Siria un centinaio di loro finiscono sotto il fuoco americano, ma nessuno si lamenta e la Russia non è coinvolta.
Ora in Ucraina si dice che i militari di Utkin siano tra i più brutali con la popolazione civile. Ma Prigozhin, che gira in mimetica per Pietroburgo «non ha nulla a che fare con questa società privata». Stranamente, secondo il sito ucraino Uawire, l’agenzia di stampa ufficiale Interfax ha pubblicato nel 2018 che un certo Dmitrij Utkin era diventato direttore generale della Concord management, la società di ristorazione del cuoco di Putin.
Gli affari
La società non si occupa solo di ristoranti. Ottiene appalti pubblici uno dietro l’altro: scuole, mense dell’esercito, pulizia delle caserme, costruzioni. In cinque anni avrebbe ricevuto contratti da quasi tre miliardi di dollari, secondo il Fondo anticorruzione di Aleksej Navalny. E spesso si sarebbe trattato di appalti non proprio trasparenti, tanto che perfino i contabili del ministero della Difesa si sarebbero lamentati con una lettera ufficiale.
Secondo lo stesso Fondo, in Siria Prigozhin sarebbe andato oltre: in cambio della partecipazione dei suoi, avrebbe ottenuto una percentuale della vendita del petrolio ricavato dai pozzi protetti dai mercenari. Della vita privata del «cuoco» si sa poco. Qualcosa emerge dai post dei figli Pavel e Polina. Una foto sullo yacht di famiglia o sulla scaletta del jet; la vista dalla villa sul Mar Nero sul profilo di Polina. La casa si trova a Gelendzhik, proprio dove Putin si sarebbe fatto costruire un palazzo da un miliardo di euro.
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
SETTE SU DIECI AVEVANO VOTATO PER MELANCHON AL PRIMO TURNO
Al primo turno delle elezioni presidenziali francesi i voti dei musulmani sono andati in massa a Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale. Secondo un sondaggio dell’istituto Ifop, sette su dieci hanno dato la loro preferenza al candidato della France insoumise, aiutandolo a ottenere quel 21,95% che gli ha permesso di arrivare sul podio e sfiorare la qualificazione al ballottaggio.
E ora, in vista del secondo turno di domenica prossima, verso chi si dirigerà il prezioso bacino elettorale musulmano? Venerdì, la Grande moschea di Parigi e il Rassemblement des musulmans de France (Rmf), ossia due delle più importanti federazioni islamiche di Francia, hanno invitato i loro correligionari a sbarrare la strada all’«estrema destra» di Marine Le Pen, orientandosi verso il presidente uscente, Emmanuel Macron.
«Oggi alcune forze maligne si stanno facendo sentire e chiedono la messa al bando dei musulmani. Come reagire dinanzi a questa malvagità che si sta banalizzando e insinuando nell’animo delle persone?
Con un voto per garantire la continuità della République», ha scritto il rettore della Grande moschera di Parigi, l’algerino Chems-Eddine Hafiz, in un comunicato di venerdì 15 aprile.
Sulla scia di Hafiz, l’Rmf, presieduto dal franco-marocchino Anouar Kbibech, ha lanciato un appello ai fedeli di Allah affinché facciano «trionfare i valori repubblicani».
«Siamo coscienti dell’obbligo di neutralità politica richiesto dalla nostra missione, ma dobbiamo agire anzitutto come cittadini responsabili. Per questo motivo, riteniamo che solo un voto per Emmanuel Macron possa permettere al nostro Paese di preservare i princìpi repubblicani e consolidare i valori di apertura, di tolleranza e di solidarietà che lo hanno sempre caratterizzato», ha affermato Kbibech.
Quest’ ultimo, ex direttore del Consiglio francese del culto musulmano, disse nel 2015 che «bisognava raddoppiare il numero di moschee in Francia» (attualmente ce ne sono più di 2.500) per venire incontro alla comunità islamica francese e migliorare le sue condizioni.
Hafiz, dal canto suo, balzò al centro delle cronache nel 2006 dopo aver sporto denuncia contro il settimanale Charlie Hebdo, per aver pubblicato alcune vignette su Maometto, le stesse che costarono la vita a Wolinski e agli altri vignettisti il 7 gennaio 2015.
Dall’Algeria, come riportato dal quotidiano El Watan, è arrivato un altro segnale in favore di Macron. Il presidente del Senato algerino, Salah Goudjil, avrebbe avuto una conversazione telefonica con il suo omologo francese, il gollista Gérard Larcher, per decidere da che parte stare, ossia dalla parte di Macron.
«L’Algeria ha scelto il suo campo. I due candidati in lizza per il secondo turno sono consapevoli che, benché minoritari, i francesi di origini algerine possono cambiare il risultato delle elezioni», ha scritto El Watan. Questa sera, alla Grande moschea di Parigi, il rettore ha organizzato un iftar di sostegno alla candidatura di Emmanuel Macron all’Eliseo
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE MALATO DI LEUCEMIA RIBADISCE LA SUA CONTRARIETÀ AL CONFLITTO, DOVE “MUOIONO INNOCENTI E SOLDATI”… “CHI VA IN GIRO A DISEGNARE LE Z È UN IDIOTA, MA GLI IDIOTI SONO IL 10 PER CENTO. IL 90% DEI RUSSI È CONTRO LA GUERRA”
Oleg Tinkov non è nuovo a prese di posizioni che sono decisamente eccentriche. Sin dai primi giorni dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si è detto contrario alla guerra, con nettezza. Ma il suo sfogo di oggi segna uno scatto ulteriore: se non altro, nei toni.
In un post su Instagram, Tinkov — ex miliardario, malato di leucemia acuta, fondatore della banca Tinkoff, sanzionato dalla Gran Bretagna, proprietà anche in Italia — ha definito «folle» la guerra», e attaccato l’esercito: «Stanno morendo persone innocenti e soldati. Ora i generali, svegliandosi dopo una sbronza, si accorgono di avere un esercito di mer…. Come potrebbe essere altrimenti, se tutto il resto in questo Paese lo è, ed è affogato nel nepotismo e nel servilismo?».
E ancora, parlando del simbolo della «Z», divenuto simbolo dell’«operazione speciale militare» in Ucraina e usato, in Russia, per indicare il proprio sostegno alla guerra: «Certo che ci sono idioti che disegnano la Z. Ma gli idioti sono il 10 per cento in ogni Paese. Il 90 per cento dei russi sono contrari a questa guerra!».
Tinkov poi chiede all’Occidente di «dare a Putin una via d’uscita chiara per fargli salvare la faccia — e intanto porre fine a questo massacro. Siate più razionali».
Il miliardario potrebbe essere incriminato, per le sue parole: in base alla legge varata da Mosca, rischia fino a 15 anni di carcere.
Ora — come nota Pjotr Sauer, del Guardian — la reazione del Cremlino al post di Tinkov potrebbe essere osservata con grande attenzione da parte di diversi oligarchi.
(da Il Corriere della Sera)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
PECCATO CHE LE PRESUNTE STRISCE SIANO SOLO I RIFLESSI DI UNA CORNICE: I CAZZARI SOVRANISTI DA BUONI SERVI FANNO GIRARE IL FALSO
La macchina della propaganda russa o filo-russa non si ferma mai. Nel mirino, più di tutti gli altri, Volodymyr Zelensky, il premier ucraino che Vladimir Putin vorrebbe eliminare. L’ultimo capitolo delle fake-news sul capo della resistenza ucraina è un video, raccapricciante, che circola in alcune chat e in altri account social filo-russi e dediti al complottisimo. O al delirio.
Stando a chi ha diffuso le immagini, Zelensky avrebbe mostrato un video, girato da lui stesso, in cui sulla scrivania comparirebbero delle strisce di cocaina. Ovviamente è un falso, in primis indimostrabile. Ma soprattutto le “strisce di cocaina” sono i riflessi della cornice presente sulla scrivania di Zelensky, cornice che contiene una foto di famiglia. I
l fatto che si tratti di una sporca menzogna e di basso livello emerge semplicemente guardando un frame del video.
La qualità delle immagini come spesso accade nei video-fake è bassissima, proprio per trarre in inganno meglio. La disposizione delle righe, comunque, è simmetrica e determinata da fonti luminose presenti nella stanza, e i riflessi seguono i profili della cornice.
Ma tant’è, questo è bastato a scatenare l’ultima vergognosa teoria, l’ultimo attacco al “drogato” Zelensky.
Ovviamente, il video è stato rilanciato in primis da account che diffondono propaganda del Cremlino e a favore della Russia di Vladimir Putin.
(da Libero)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
L’ECONOMISTA GIORGIO ARFARAS: “PUTIN ASSUME IMPLICITAMENTE CHE LA RUSSIA POSSA ANDARE AVANTI ANCORA PER DECENNI GRAZIE ALLE MATERIE PRIME. NABIULLINA SI RENDE CONTO CHE LA RUSSIA HA BISOGNO DI UN’ECONOMIA DIVERSIFICATA E COMPETITIVA, CHE PERÒ NECESSITÀ DI UN ASSETTO POLITICO PIÙ DEMOCRATICO”
Le sanzioni occidentali, sia statali sia private, hanno messo con le spalle al muro l’economia della Russia. Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale russa, lo ammette con un linguaggio criptato, quando dice che «l’economia non può vivere di riserve all’infinito», e che già nel secondo trimestre del 2022 – cioè, adesso – l’economia russa entrerà in un periodo di «trasformazioni strutturali».
In una relazione alla Duma, ha parlato di «sanzioni che colpiscono soprattutto il mercato finanziario, che però cominciano a farsi sentire su tutta l’economia»: sia quelle decise dagli Stati, come l’uscita dal sistema delle informazioni del sistema finanziario, lo Swift, come il congelamento delle riserve in valuta della Banca Centrale russa, come il blocco delle ricchezze dei pretoriani del regime, sia quelle decise da società private, come il blocco delle esportazioni dì tecnologia, e come la chiusura delle attività delle grandi aziende dal mercato russo.
Sono da qualche tempo disponibili le previsioni della caduta dell’economia russa, stimata intorno al dieci per cento nell’anno in corso, e della ripresa successiva, che sarà, sempre secondo queste stime, molto modesta ancora per molti anni. Le previsioni qualitative, quelle non misurate dal Pil, sono forse peggiori, perché centrate sulla mancanza dei beni di consumo e delle componenti occidentali, e dei viaggi all’estero resi quasi impossibili, che riportano la Russia al passato sovietico.
Mosca ha una reazione duplice: quella politica, direttamente dal presidente Vladimir Putin, che sostiene come l’economia si stia stabilizzando, e che il «blitzkrieg» delle sanzioni occidentali non abbia messo con le spalle al muro la Russia, e quella tecnica, espressa dalla governatrice della Banca Centrale, che conia il nuovo eufemismo di «trasformazioni strutturali» per dire che la Russia non ha più le risorse per andare avanti.
L’economia russa è infatti centrata sulle materie prime, soprattutto quelle dell’energia non rinnovabile. Queste sono una parte cospicua delle entrate dello Stato, che così può tassare poco i cittadini, e una parte ancora più cospicua delle esportazioni, grazie alle quali la Russia può importare ciò che le serve senza essere competitiva con dei prodotti sofisticati.
È la «maledizione delle materie prime», che disincentivano, grazie alla ricchezza che procurano, la formazione dì un’economia diversificata e competitiva. Un obiettivo invocato negli anni ripetutamente da Putin, che però non è raggiungibile per un decreto dall’alto. Chi intraprende un’attività economica che può avere una qualche possibilità dì successo deve avere certezza della proprietà, deve potersi rivolgersi a dei tribunali che abbiano dei giudici indipendenti dal potere politico, deve poter essere rappresentato da una parte politica. Tutte condizioni che si sono formate nei secoli in Europa per poi estendersi a poche altre parti del mondo.
Si hanno così due strategie, quella «conservatrice» di Putin, che sostiene che nulla di grave è accaduto con le sanzioni, e quindi si può andare avanti lasciando le cose come sono, e quella che possiamo definire «riformista» di Nabiullina, che fa capire come l’economia russa debba cambiare per rimediare alla sua vulnerabilità. Putin vuole rassicurare la cittadinanza e alimentare l’orgoglio patriottico, ma assume implicitamente che la Russia possa dare avanti ancora per decenni grazie alle materie prime non rinnovabili, in un mondo sempre più “verde”. Nabiullina si rende conto che la Russia ha bisogno di un’economia diversificata e competitiva, che però necessità di un assetto politico più democratico.
Insomma, due strategie politiche, quella della presidenza e quella della Banca Centrale, che non potranno, per ragioni diverse, avere successo. E quindi le «trasformazioni strutturali» di cui parla Nabiullina potrebbero essere non tanto le necessarie riforme, quanto il ridimensionamento di un’economia sempre più sotto schiaffo alle esigenze della guerra che il Cremlino considera necessaria alla sua sopravvivenza politica.
(da la Stampa)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
IL PATRIARCA ALESSIO II HA CONSACRATO UNA CHIESA A MOSCA COME PARROCCHIA DEI SERVIZI SEGRETI E SONO SEMPRE PIÙ OSTENTATE LE CONVERSIONI PUBBLICHE DI MOLTI CAPI DELL’INTELLIGENCE RUSSA
I tempi cambiano. All’inizio degli Anni 80 Iuri Andropov dichiarava con fierezza che il Kgb svolgeva come sempre il suo compito «nel cammino inarrestabile della rivoluzione mondiale». Mancavano dieci anni appena alla fine dell’Unione Sovietica. Ma non del Kgb. Dal debutto del millennio, e dell’era Putin, il concetto di sicurezza nazionale ha fatto una svolta, consistente, in Russia.
Leggiamo i manuali: «Garantire la sicurezza della Federazione russa include la salvaguardia dell’eredità culturale, spirituale morale di tutti i popoli russi (stuzzicante dilatazione…). Difendere la cultura di quei popoli, elaborare una politica di Stato che inglobi la sfera della educazione spirituale e morale del popolo».
Dai tempi della Ceka e dei suoi efficienti liquidatori in cappotto di pelle e nagant nella fondina i Servizi sovietici hanno sempre praticato fervidamente l’ateismo militante.
E invece ora…
Marzo 2002, Mosca: il Ventennio sbocciava appena con i suoi fervori mistici e già l’erede del Kgb traslocato nell’acronimo Fsb incontrava dio. Nessuna immagine potrebbe esser più esplicita. C’è il patriarca Alessio II che consacra una chiesa restaurata nel centro come parrocchia dei servizi segreti, affinché ci fosse un luogo adatto ai bisogni spirituali così trascurati in passato degli agenti.
Osservate bene Nikolai Patrucev, potente direttore dell’Fsb: agita il turibolo e scambia doni con il patriarca a simboleggiare l’unione, ovviamente mistica, tra la Chiesa ortodossa e l’apparato di sicurezza di Stato. Patrucev offre la chiave simbolica della chiesa, in oro massiccio, e una icona di Alessio, santo patrono di Mosca.
Il patriarca ricambia con una icona di san Nicola, patrono personale del super-spione di Stato, e soprattutto una icona della madonna umilenie. Umilenie in russo è vocabolo molto ricco: richiama immediatamente l’idea della compassione. Ma il patriarca, e il fine Patrucev ne ha colto l’allusione, alludeva a un altro significato: il cambiamento morale di una persona brutale e rozza folgorato da uno spettacolo toccante, ad esempio quello di una madre che allatta il suo bimbo. Una splendida metafora dei tempi nuovi. Smascherare e sopprimere, come nel buon tempo antico, ma lo si faccia con spiritualità.
Pensate all’epoca degli svaghi sanguinari di Iagoda e di Beria, che avevano previsto perfino i gulag dei bambini, o a quella più mite della «schizofrenia a lungo decorso». Il cekista devoto alle icone sarebbe stato inghiottito sveltamente in qualche tundra gelata a tener compagnia a Shalamov e alle «mani bianche», i prigionieri politici del mondo a parte, il gulag.
Conversioni pubbliche ostentate ed eccellenti sono seguite in questi anni. Per esempio Nikolai Leonov, che per primo nel Kgb intuì più di mezzo secolo fa il potenziale rivoluzionario di un certo Fidel Castro e regalò agli Usa 50 anni di guai. È lo stesso Fsb a segnalare con soddisfazione questo sbocciare della fede.
Un ex direttore delle relazioni pubbliche del Servizio di spionaggio più micidiale della storia, Vassili Staviski, ha pubblicato volumi di poesie mistiche come la raccolta Segreto dell’anima e un libro, lo dice lui, «spirituale e patriottico» rivolto ai bambini russi: titolo incantevole, Accendi una candela, mamma. Alcuni suoi poemi sono stati incisi su cd.
Il nuovo Kgb dunque si è allineato alla dottrina del suo capo Putin, questo imperialismo misticheggiante che dovrebbe affrontare la prova di cambiare gli equilibri del modo pagano, nuovo nome del capitalismo.
Putin ha conservato i riflessi e la mentalità di quello che si definiva «lo spirito cekista» e il suo fondo criminaloide. Nel suo ripostiglio ideologico ci sono sempre «la spada e la scudo», simboli del Kgb: la prima per colpire all’estero, con spionaggio disinformazione e «operazioni speciali», appunto. Lo scudo per ripulire gli angolini all’interno, controllare a ogni costo della popolazione con il formulario ossessivo con cui marchiare chiunque resista: amico-nemico, fedele-traditore.
Nella sua biografia peraltro piena di omissis e sparizioni si racconta come fosse appassionato da ragazzo dei film di spionaggio. Che non erano però quelli di 007 al servizio di sua maestà, ma con i James Bond russi che trionfavano sui rivali occidentali. Erano i film di propaganda girati su suggerimento di Andropov, il primo capo della polizia segreta a conquistare completamente il potere. Era la Lubianca a dirigere finalmente lo Stato. Questo Beria realizzato è stato il suo modello.
La sicurezza spirituale non ha fatto cambiare i vecchi, cari metodi: che si chiamasse Ceka, Ghepeu, Nkvd, Kgb è sempre stato il cuore del potere, con il regime di terrore per stroncare ogni opposizione e la gestione diretta del sistema concentrazionario. Le radici sovietiche sono solide, l’oblio di Dzerzinsky dopo il fallito golpe dell’agosto 1991 è stato breve. Ogni anno viene commemorato con enfasi il 20 dicembre, data di fondazione della Ceka, sei settimane appena dopo il colpo di Stato bolscevico.
C’era già bisogno della spada per liquidare eretici e dissidenti. Anche il ramo che si occupa dell’estero, detto Svr, celebra l’anniversario del sua fondazione il 20 dicembre 1920. Qualche anno fa era in corso la stesura di una monumentale opera in più volumi che doveva riepilogare la storia dello spionaggio estero che «ha adempiuto il suo dovere patriottico verso la patria e il suo popolo in maniera onorevole e disinteressata».
E proprio la guerra in Ucraina sembra aver aperto gravi dubbi sulla sua efficienza. Come generali e ammiragli, lo spionaggio ha commesso errori: per esempio illudendo il Cremlino sulla possibilità che il governo ucraino si sfaldasse nelle prime ore dell’invasione o sulla consistenza dell’esercito di Kiev che neppur troppo segretamente americani e inglesi in questi otto anni hanno armato e addestrato. Cadranno teste.
È la regola dell’Egoarca che non perdona. Nella Sede si può immaginare una allegria da obitorio. Ma attenzione: la specialità di vecchi e nuovo Kgb è sopravvivere, è una pedonaglia che vive sempre trapassi da signori. Fu Andropov, sempre lui, a lanciare l’operazione «sopravvivere» quando si accorse, sdraiato su una speciale sedia di dentista adattata perché potesse muovere il corpo cercando di resistere ai dolori che lo stava uccidendo, che il declino dell’Urss era irrimediabile.
Per esempio aprendo false banche e aziende in Paesi dalla legislazione favorevole. Il Kgb vi trasferì miliardi di dollari con il metodo di acquisti in Urss di petrolio, metalli o legname fatturati a un prezzo più basso del valore. I beni venivano poi venduti al prezzo di mercato e il guadagno occultato. In tempi di sanzioni che nella pentola dei conti pubblici fanno bollire lo spettro della bancarotta il nuovo Kgb mistico potrebbe riscattarsi con i suoi vecchi talenti finanziari.
Domenico Quirico
(da “la Stampa”)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
A BORDO C’ERANO ALMENO 500 PERSONE… I GENITORI DEI MARINAI CHIEDONO SPIEGAZIONI SUI SOCIAL, PRIMA DI ESSERE PUNTUALMENTE OSCURATI
«Non ci sono vittime»: il telegiornale del Primo canale della tv di Stato russa è lapidario nel smentire le perdite umane nell’affondamento dell’incrociatore Moskva, la nave ammiraglia della flotta russa del Mar Nero.
È evasivo invece sulle cause del disastro: «I motivi dell’emergenza devono ancora venire stabiliti», dice la conduttrice, raccontando che un incendio di natura imprecisata avrebbe fatto detonare l’arsenale e la nave «ha perso stabilità senza riuscire a recuperarla».
Insomma, la nave «è affondata», come rispose con un sorriso Vladimir Putin nel 2000 alla domanda di Larry King su cosa era accaduto al sottomarino Kursk.
Una risposta entrata nella storia, e oggi molti paragonano quella tragedia nel mare di Barents, che aveva segnato l’esordio del regno di Putin: oggi, come 22 anni fa, una nave diventa il simbolo della fragilità e dell’inefficienza della vantata potenza militare russa, e della segretezza ossessiva per nascondere il prezzo umano pagato.
Per il momento, non si sa nemmeno quanti marinai ci fossero a bordo dell’incrociatore, quando è stato colpito con i missili ucraini Neptun.
L’agenzia russa Ria Novosti parla di 500 persone, il consigliere della presidenza ucraina Oleksiy Arstovich di 510, ma il sito del ministero della Difesa russo menzionava un equipaggio di 680 membri, in una pagina web eliminata dopo il disastro.
Ufficialmente, tutto l’equipaggio sarebbe stato messo in salvo durante i soccorsi, e la televisione russa ha mostrato il comandante della marina militare russa Nikolay Evmenov che incontrava a Sebastopoli i marinai: l’audio del rapporto (che tradizionalmente include i dati sui presenti e gli assenti) è stato silenziato, e la telecamera inquadra al massimo un centinaio di ufficiali.
I media ucraini hanno notato che nel video brilla per la sua assenza il comandante della flotta del Mar Nero Igor Osipov: secondo alcune indiscrezioni, sarebbe stato arrestato per ordine del Cremlino, e questa è un’altra indicazione della gravità della situazione.
Un altro segnale che non tutto è andato liscio è stato trasmesso da una cerimonia commemorativa del Moskva, che si è tenuta a Sebastopoli: si vede un prete ortodosso, e una corona di fiori listata a lutto con la dedica «Alla nave e ai suoi marinai».
Ufficialmente i caduti non esistono, ma i giornalisti andati a caccia sui social hanno trovato i familiari dei marinai morti o dispersi. Dmitry Shkrebez, di Yalta, ha denunciato sul social russo VKontakte suo figlio Egor, cuoco di bordo, è stato dichiarato dal comando come «disperso»: «Disperso in mare aperto? Che bugia palese e cinica!», ha scritto il padre, chiedendo di diffondere la notizia prima che il suo post venisse censurato (come è puntualmente accaduto).
La madre di Egor, Irina, ha raccontato a The Insider di aver cercato il figlio nell’ospedale militare, «tra duecento ragazzi ustionati». I «dispersi» sono diverse decine, dice alla Bbc Yulia Zyvova, andata a Sebastopoli a cercare il suo 19enne figlio Andrey.
La madre del ventenne Nikita Syromyasov, Olga, è riuscita a contattare telefonicamente un ufficio della marina dove le hanno comunicato che suo figlio è disperso, e che «le probabilità di un esito positivo sono pari a zero» in quanto la temperatura dell’acqua del Mar Nero era «incompatibile con la vita umana».
Da allora, Olga non riesce a contattare più nessun rappresentante della marina: una voce nella cornetta le ha intimato di limitarsi a scrivere Sms, perché «non vogliamo stare a sentire le sue lacrime».
Una fonte del comando della flotta del Mar Nero ha rivelato a Meduza che il numero dei caduti sul Moskva è di 37 membri dell’equipaggio, mentre i feriti si aggirano intorno a un centinaio.
Anche un altro marinaio sopravvissuto ha raccontato alla madre – che ha parlato, dietro anonimato a Novaya Gazeta Europa – di una quarantina di vittime ufficiali. Gli altri marinai restano per ora «dispersi», forse anche perché erano quasi tutti reclute di leva, una violazione esplicita della legge russa che impedisce di coinvolgere militari non professionisti nelle operazioni di guerra.
Ma il diversivo dei «dispersi» viene usato anche per evitare di dover pagare alle famiglie il risarcimento per i caduti promesso dal presidente Putin.
(da La Stampa)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
SE LENIN POTESSE SCENDERE LI PRENDEREBBE A RAFFICHE DI MITRA
L’ennesima pagliacciata di Putin che ora usa pure Lenin.
A Henichesk è stata eretta una statua dell’ex leader sovietico Lenin, nella città occupata dai militari russi nella regione di Kherson.
Davanti al palazzo del consiglio regionale un monumento simile era stato rimosso nel 2015, seguendo il progetto di “decomunizzazione” del Paese voluto dall’allora presidente Poroshenko.
La foto della nuova statua è stata pubblicata sui social network. Sul tetto dell’edificio si vede una bandiera russa.
La città si trova sul Mar d’Azov, appena a nord del confine con la Crimea annessa alla Russia.
(da agenzie)
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Aprile 19th, 2022 Riccardo Fucile
SECONDO UN SONDAGGIO DEL QUOTIDIANO “SONNTAGSBLICK”, IL 56% DEI CITTADINI SVIZZERI SONO FAVOREVOLI AL RIARMO DEL PAESE E VORREBBERO UNA COLLABORAZIONE PIÙ STRETTA CON L’ALLEANZA ATLANTICA. IL 33% VUOLE CHE BERNA ADERISCA DIRETTAMENTE ALLA NATO
Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano svizzero SonntagsBlick, la maggior parte dei cittadini svizzeri sono a favore di un riarmo del Paese e una politica estera più vicina all’Occidente e alla Nato.
I dati riferiscono che il 56% degli interpellati è favorevole a “una collaborazione più stretta” con la Nato. Specialmente tra i partiti di sinistra la tendenza è maggiore: il 76% degli elettori del Partito socialista vogliono intensificare i rapporti con l’Alleanza, volontà condivisa anche dal 73% dei sostenitori del partito dei Verdi. Solo il 33% dei partecipanti al sondaggio, tuttavia, si pronuncia a favore di un’adesione all’organizzazione.
Dalle risposte fornite nel sondaggio emerge anche che oltre la metà degli intervistati vorrebbe un aumento delle spese per la difesa della Svizzera.
Il 56% non vuole invece saperne di invii di armi da parte della Confederazione in Ucraina. Berna dovrebbe però spedire caschi e giubbotti antiproiettile.
Oltre a questo, il sondaggio mostra che l’iniziativa del Partito socialista contro l’acquisto dei caccia F-35 non avrebbe attualmente alcuna possibilità di essere approvata. Solo il 30% voterebbe infatti a favore del testo, a fronte del 64% di contrari. L’iniziativa non troverebbe una maggioranza nemmeno fra i socialisti: solo il 47% voterebbe infatti a sostegno della proposta.
(da agenzie)
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