Aprile 20th, 2022 Riccardo Fucile
LA RICERCA DELL’OXFORD INTERNET INSTITUTE
I diplomatici del Cremlino fanno disinformazione ed è parte del loro
lavoro. L’avevamo già visto con la questione dell’attacco all’ospedale di Mariupol e della disinformazione diplomatici russi su virus e laboratori ucraini – in particolar modo ad opera dell’ambasciata russa nel Regno Unito -. Ambasciate e consolati russi nel mondo, di fatti, sono occupate ad utilizzare i social media per far ricadere la colpa delle atrocità che accadono in Ucraina sull’Ucraina stessa per minare la coalizione internazionale a suo sostengo. L’azione delle varie aziende tech è stata quella di rimuovere determinati contenuti, applicare label agli account dei diplomatici russi o – ancora – rimuoverli dai risultati di ricerca. A prescindere da tutto, però, questi account rimangono attivi e continuano a fare disinformazione e propaganda in ogni lingua, tarate per gli specifici paesi in cui twittano.
Tra le ambasciate più attive nel fare disinformazione troviamo quelle del Regno Unito e del Messico, che sfornano propaganda filorussa a sostegno dell’invasione con regolarità. «Ogni settimana dall’inizio della guerra questi diplomatici hanno postato migliaia di volte, ottenendo più di un milione di impegni su Twitter a settimana» afferma Marcel Schliebs, ricercatore presso l’Oxford Internet Institute che ha studiato oltre 300 account di ambasciate, consolati e gruppi diplomatici russi.
Il copione dell’ambasciata russa nel regno Unito per l’attacco alla stazione in cui sono morti oltre 50 civili è stato lo stesso adottato per l’attacco all’ospedale di Mariupol.
Si tratta di contenuti che – secondo il monitoraggio – arrivano a raccogliere anche migliaia di retweet, commenti e like (compresi quelli di chi lo bolla come propaganda). Nicholas Cull, docente della University of Southern California che si occupa di diplomazia e propaganda, sostiene che «questo è ciò che significa vivere e lavorare per un regime totalitario: esso richiede una bolla mediatica, la censura a casa, la propria messaggistica sia per un pubblico interno che estero».
Non è certo una novità per la Russia se si considera che già nel 2014 i diplomatici utilizzavano i social per fare disinformazione sull’invasione della Crimea e sull’avvelenamento dei dissidenti russi. Dall’altro lato, il fatto di essere rappresentati di governi stranieri ha fornito loro la libertà di parlare – riporta AP, che ha condiviso i risultati dello studio .
Secondo lo studio c’è stato un aumento notevole della propaganda diplomatica pro Russia già nelle settimane che hanno preceduti l’invasione di febbraio.
Gli account – stando alla ricerca di Schliebs – sono arrivati a twittare un totale di 2 mila contenuti a settimana immediatamente dopo l’invasione. La battuta d’arresto c’è stata dopo che Twitter ha annunciato, a inizio aprile, che avrebbe limitato oltre 300 account russi nei risultati di ricerca così da limitarne la portata. Nonostante questa azione, gli account in questione continuano a raccogliere circa mezzo milione tre like, retweet e commenti ogni settimana.
Dei trecento account Twitter e Facebook esaminato sono solo un terzo ad avere l’etichetta “organizzazione governativa russa” che le piattaforme hanno deciso di utilizzare per fornire un maggiore contesto all’utente rispetto a chi ha pubblicato quel contenuto.
Schliebs non esita a paragonare la risposta delle big tech all’invasione della Russia paragonabile a quella all’attacco del 6 gennaio in Campidoglio, sottolineando come Trump sia stato bloccato su Twitter mentre i diplomatici russi no: «In nessun modo sto difendendo Trump ma non riesco a vedere coerenza in questa politica», ha affermato il ricercatore.
Schliebs chiarisce anche il probabile perché, considerato che se la Russia e i suoi sostenitori si spostano su piattaforme molto meno trasparenti e difficilmente tracciabili come Telegram, c’è il rischio che i ricercatori non abbiano modo di vedere che cosa fanno (non a caso l’ambasciata russa nel Regno Unito già la scorsa settimana invitava i suoi follower a unirsi al gruppo Telegram così come ha fatto il ministero degli Affari Esteri della Russia).
(da agenzie)
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Aprile 20th, 2022 Riccardo Fucile
IN RITARDO ANCHE SULLA RISPOSTA IN CASO DI ATTACCO
Il generale del Regno Unito Richard Barrons, capo del Comando delle forze Nato dal 2013 al 2016, ha detto durante un’audizione davanti alla Commissione Difesa del Parlamento di Londra che la Nato non è pronta a una guerra con la Russia.
E ha aggiunto che l’Alleanza Atlantica non è preparata nemmeno a reagire con rapidità in caso di allargamento del conflitto in Ucraina. «Il motivo principale per cui desideriamo evitare una guerra tra la Russia e la Nato è che la Nato non è pronta. E dovremmo vergognarcene», ha detto Barrons secondo quanto riporta l’Independent.
Secondo il generale i paesi dell’Alleanza hanno sostenuto l’Ucraina con armi e aiuti finanziari dall’inizio dell’invasione russa, ma sono stati attenti ad evitare qualsiasi azione che potesse trascinarli in guerra proprio perché conoscono questa impreparazione.
A chi gli chiedeva a che punto la Nato sarebbe costretta a entrare in guerra con la Russia, Barrons ha risposto che l’Alleanza «avrebbe una decisione da prendere» se le forze russe fossero in grado di invertire le loro sorti e minacciare parti dell’Ucraina più ampie di quelle che stanno prendendo di mira nella nuova offensiva orientale: «E quella decisione sarebbe più facile se avessimo fatto dei preparativi per agire in quelle circostanze con la rapidità richiesta, ma non l’abbiamo fatto».
Se invece il presidente Putin decidesse di attaccare un Paese membro della Nato «per i suoi scopi», allora «la domanda sarebbe molto più semplice perché ci troveremmo davanti a una violazione dell’articolo 5 (il Patto di mutua difesa della Nato, ndr)», ha concluso.
(da agenzie)
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Aprile 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL MISTERO DEI 100 MILITARI RUSSI IN PIÙ NELL’ELENCO CONSEGNATO ALL’ITALIA: ERANO TUTTI SOLDATI E SOLO ALCUNI UFFICIALI MEDICI… QUALI SEGRETI SONO STATI CARPITI DAGLI 007 DI MOSCA?
Sono 230 i militari guidati dal generale Sergey Kikot indicati nella lista
di chi doveva «prestare assistenza nella lotta contro l’infezione da coronavirus» nel marzo del 2020. L’elenco fu allegato dall’ambasciata di Mosca al testo dell’accordo tra il presidente Vladimir Putin e il capo del governo italiano Giuseppe Conte poi trasmesso alla Farnesina.
Ufficialmente si trattava di una missione umanitaria, ma la composizione del contingente dimostra che in realtà erano tutti soldati e soltanto alcuni erano ufficiali medici. Nelle relazioni parlamentari risulta che in Italia sono stati registrati 130 nominativi. È possibile che ci siano stati cambi non comunicati?
Le mail e i documenti depositati al Copasir, il comitato di controllo sull’attività dei servizi segreti, dimostrano che i militari entrarono nell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, in decine di Rsa, le residenze per anziani, e poi si spostarono all’ospedale Covid allestito presso la fiera di Bergamo.
Come furono identificati? È l’ultimo inquietante mistero di un’operazione segnata da troppi punti ancora oscuri. Dubbi e sospetti alimentati dalle minacce rivolte contro il nostro Paese da un alto funzionario di Mosca che ha accusato l’Italia di «ingratitudine». E potrebbe aver lanciato un avvertimento proprio sui segreti che in quell’occasione potrebbero essere stati carpiti dall’intelligence di Mosca.
I generali
Proprio su questo nei prossimi giorni il Copasir ascolterà l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli e il generale Luciano Portolano — all’epoca comandante del Coi, il Comando operativo interforze — che partecipò alla prima riunione operativa con i russi a Roma insieme ai vertici del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano. Furono proprio loro a impedire che i russi entrassero negli edifici pubblici come avevano deciso di fare.
Ufficialmente doveva trattarsi di una semplice sanificazione, ma già nel testo dell’accordo inviato per via diplomatica appare ben chiaro come l’interesse fosse «la disinfestazione di strutture e centri abitati nelle località infette». Obiettivo al quale era stato evidentemente concesso il via libera. Ecco perché da Italia viva con Matteo Renzi a +Europa di Riccardo Magi, da Gregorio Fontana di Forza Italia ad Andrea Marcucci del Pd chiedono che Conte torni al Copasir per essere ascoltato insieme al direttore dell’epoca del Dis Gennaro Vecchione.
I voli quotidiani
Nel testo dell’accordo è specificato che ci saranno «voli quotidiani dal 22 marzo al 15 aprile 2020» e che «gli aerei trasportano il personale medico, i dispositivi di protezione, l’attrezzatura medica e i mezzi per la lotta contro il coronavirus».
In realtà — ma si è scoperto soltanto adesso — furono consegnate soltanto «521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali» e il governo autorizzò una spesa di oltre tre milioni di euro per il carburante degli aerei, oltre al vitto e all’alloggio assicurato ai partecipanti della missione.
I team operativi
Nei report consegnati dalla protezione civile agli inizi di aprile 2020 si dà conto dell’ingresso nelle strutture sanitarie di «un medico, due infermieri e un interprete che faranno turni di otto ore coprendo le 24 ore». E viene confermato che «l’attività di sanificazione è stata svolta in 30 delle 64 residenze distribuite nella provincia di Bergamo». Si trattava della zona più colpita dal Covid 19 e all’epoca il supporto fu accolto con entusiasmo. Rimane da chiarire perché, per un intervento comunque limitato, sia stato autorizzato dal governo italiano un simile spiegamento di uomini e mezzi. E fino a dove siano riusciti ad arrivare i russi.
(da agenzie)
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Aprile 20th, 2022 Riccardo Fucile
L’ANALISTA AMERICANO MALCOM NANCE HA DECISO DI ANDARE A COMBATTERE IN UCRAINA
Da anni il pubblico americano conosce Malcolm Nance, 60 anni e con una lunga carriera militare, come un analista molto presente in tv, spesso ospitato dall’emittente Msnbc per le sue competenze in terrorismo, intelligence e sicurezza nazionale.
Le sue analisi si sono concentrate anche sull’invasione russa in Ucraina, che ha commentato in tv fino a circa un mese fa. Finché oggi su Twitter ha scritto: «Ho FINITO di parlare». L’analista, veterano della Marina americana, ha annunciato infatti di essersi unito come volontario all’esercito ucraino. Una scelta fatta circa un mese fa.
«Mi sono unito alla legione internazionale e sono qui per aiutare l’Ucraina a combattere quella che è essenzialmente una guerra di sterminio. La Russia ha portato la guerra a questa gente e stanno uccidendo in massa civili, ma ci sono persone qui come me che sono qui per fare qualcosa al riguardo» ha dichiarato Nance, secondo quanto riporta il Los Angeles Times.
Ieri sera, nel corso della trasmissione The ReidOut di Joy Reid, ha aggiunto: «(I Russi, ndr) stanno distruggendo le infrastrutture, e poi scopri che vanno nelle città e massacrano uomini, donne e bambini. E questo è il motivo fondamentale per cui tutti sono qui».
Secondo quanto riportato nel corso della trasmissione, ci sarebbero circa 20.000 persone provenienti da 52 paesi attualmente in servizio in Ucraina dopo l’invasione russa. «Dobbiamo davvero aiutare [gli ucraini] in qualsiasi modo per fermare tutto ciò», ha concluso Nance.
(da agenzie)
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Aprile 20th, 2022 Riccardo Fucile
SE VUOLE ARRIVARE SOTTO IL 10% E’ UN’OTTIMA MOSSA
Il Movimento 5 Stelle pensa a una candidatura di Alessandro Orsini
per le prossime elezioni politiche.
Lo scrive oggi il Foglio in un articolo a firma di Simone Canettieri, che descrive come tra i grillini serpeggia l’idea di prendersi la bandierina del professore della Luiss: « Sarebbe il nostro nuovo capitan De Falco o Paragone. Personaggi che quando vennero candidati erano popolari e in grado di polarizzare. D’altronde, Casalino ha sempre avuto questo pallino: tv, pop, temi divisivi uguale voti».
Lo spunto è la polemica che ha visto contrapposto al professore il segretario del Partito Democratico Enrico Letta. Il quale ha smentito un articolo del Fatto Quotidiano firmato da Orsini in cui si sosteneva che lui, Draghi e Gentiloni ambissero a prendere il posto dell’attuale segretario della Nato Stoltenberg.
Proprio dopo la smentita, spiega il Foglio, al Nazareno hanno cominciato a chiedersi se per caso il futuro politico di Orsini non sia già segnato: «Vuoi vedere che ce lo troviamo candidato con i grillini? E come faremmo, in quel caso, a correre insieme al M5s?».
Dalle parti di Giuseppe Conte invece l’idea sembra piacere. D’altro canto i grillini difesero il professore all’epoca della polemica sul compenso per la partecipazione a Cartabianca. Anche per questo l’ipotesi della sua candidatura comincia a serpeggiare tra Montecitorio e Palazzo Madama.
(da agenzie)
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Aprile 20th, 2022 Riccardo Fucile
“I POST DI PAGLIARULO OSCURANO IL NOSTRO PATRIMONIO”
Albertina Soliani, vicepresidente dell’Anpi e presidente dell’Istituto Cervi oltre che ex senatrice, dice oggi in un’intervista a Repubblica che anche quella degli ucraini è resistenza.
E ha una preoccupazione: che i post del presidente dei partigiani Gianfranco Pagliarulo oscurino «il patrimonio unico che è in Italia la grande eredità della Resistenza e della Liberazione, della fine del nazifascismo, della Repubblica e della Costituzione: così si tradisce il 25 aprile».
Soliani ritiene che l’Anpi debba «riconoscere decisamente la resistenza del popolo ucraino, così come del popolo del Myanmar e come abbiamo fatto in passato ad esempio, con la resistenza vietnamita». All’associazione serve «una riflessione più profonda e una scelta degli obiettivi principali che sono: sostegno alla resistenza dei popoli, difesa dei valori della democrazia, costruzione dei processi globali di pace e di convivenza pacifica. Ci vuole una scelta di responsabilità in questo momento storico, che passa attraverso l’Unione europea e quindi la politica estera comune e la difesa comune. Queste sono le cose che dovrebbe dire l’Anpi oggi, in coerenza con la sua storia e con il patrimonio che rappresenta». Mentre è certo che prima dell’invasione del 24 febbraio «dovevano essere compiute azioni sul piano internazionale di collaborazione. Premesso questo, l’aggressione di Putin all’Ucraina ha sconvolto il mondo e gli assetti post seconda guerra mondiale. Il gesto di Putin è dirompente: non solo gravissimo e atroce perché devasta un Paese, ma anche perché scardina i principi fondamentali di una convivenza basata sul rispetto della sovranità dei popoli e degli Stati. La scelta di Putin di aggredire l’Ucraina ritengo sia anche dettata dalla sua paura di fronte alle democrazie».
(da agenzie)
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Aprile 20th, 2022 Riccardo Fucile
“IL COLLASSO ECONOMICO E’ INEVITABILE”: LA GOVERNATRICE DELLA BANCA CENTRALE RUSSA HA DESCRITTO I PROSSIMI MESI
Avere un fondo cassa da 50 miliardi di dollari sarebbe visto ovunque
come un salvavita. Ma non in Russia.
Perché l’«Operazione Speciale» di Vladimir Putin – e le sanzioni dell’Occidente – stanno davvero portando il paese al collasso.
E anche se la propaganda dello Zar nel frattempo paventa conseguenze anche per l’Europa da un fallimento, è Mosca che deve avere paura delle conseguenze economiche della guerra che ha scatenato contro l’Ucraina. Lo ha fatto capire, pur con tutte le prudenze del caso, la governatrice della Banca Centrale russa Elvira Nabiullina nell’intervento di domenica. Quando, pur con un linguaggio tecnico, ha descritto un quadro complicato per l’economia russa nei prossimi mesi. Preannunciando un nuovo taglio dei tassi di interesse per sostenere il rublo. A costo di lasciar correre l’inflazione, che a marzo è arrivata al 17,4%.
L’oro di Mosca
Gli analisti internazionali prevedono, a seguito della guerra e delle sanzioni, una caduta del Pil a due cifre: la Banca Mondiale parla di un -11% nel 2022, con un rimbalzo tecnico l’anno successivo.
E questo anche se Putin, dopo le parole della governatrice, si è sentito in dovere di intervenire per garantire che il «blitzkrieg economico» dell’Occidente nei confronti della Russia «è fallito».
Perché il problema oggi non è tanto la crescita. Quanto la possibilità di riuscire a rimanere sui mercati finanziari.
Nei giorni scorsi Standard & Poor’s ha tagliato il rating di Mosca preconizzando un default selettivo sul debito estero. La data chiave è quella del 4 maggio, fine del “periodo di grazia”.
Ma il problema è squisitamente tecnico prima che politico. E poggia tutto sulle riserve di Mosca all’estero. La Russia sta scontando il blocco di circa metà delle sue riserve da 600 miliardi di dollari non costituite da oro e yuan, ha detto la governatrice.
Mentre un investimento alternativo delle riserve in valute di riserva non è stato ancora preso, spiega, perché la lista delle monete liquide «è limitata» e formata proprio dai paesi ostili a Mosca (euro, dollaro, yen etc).
E questo nonostante Putin torni a chiedere di «accelerare» il passaggio dal dollaro «al rublo e ad altre monete nazionali» nelle transazioni internazionali. Una mossa che ha garantito alla valuta di Mosca di non crollare e di tornare ai livelli pre-guerra. Ma che potrebbe non bastare a breve. Perché il paese rischia di esaurire le risorse a breve.
A spiegarlo è stato Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera: per tamponare la mancanza di liquidi causata dalle sanzioni la Banca Centrale russa ha messo sul piatto 38,8 miliardi di riserve valutarie. Che, unite ai ricavi della vendita di gas e petrolio hanno consentito di attutire il colpo.
Le riserve in esaurimento
E questo perché al 30 giugno 2021, ultima data disponibile prima che le informazioni sparissero dal sito dell’istituto, «il 13,8%, cioè ben 81,5 miliardi di dollari, si trova nelle banche cinesi; il 12,2%, cioè 72,1 miliardi, in Francia; il 10%, 59,1 miliardi, in Giappone; il 9,5%, 56,1 miliardi, in Germania; il 6,6%, 39 miliardi, negli Stati Uniti; il 5,5%, 32,5 miliardi, nelle Istituzioni multilaterali, come il Fondo monetario e la Banca dei Regolamenti internazionali, infine il 4,5%, 26,5 miliardi, nel Regno Unito».
La Cina è l’unico paese che consente a Mosca di toccare le sue riserve. Ma avendo impiegato già più di 30 miliardi degli 80 per sostenere il rublo fino ad oggi (come risulta dagli stessi comunicati dell’istituto), Mosca ha soltanto meno di cinquanta miliardi da spendere per fronteggiare una crisi valutaria.
Certo, a quel punto Putin potrebbe vendere le sue riserve in oro, che invece detiene direttamente. Ma mettere sul mercato una massa così imponente prima di tutto provocherebbe un crollo del prezzo.
E poi lascerebbe la Russia senza più alcuna difesa. L’economista e direttore della Lettera Economica del Centro Einaudi Giorgio Arfaras su La Stampa oggi va oltre. E spiega che presto l’economia russa dovrà fronteggiare altri problemi difficili, se non impossibili da risolvere.
Il blocco dell’import andrà a toccare settori che provocheranno il fermo di servizi essenziali. Mentre il taglio degli investimenti esteri provocherà effetti a catena anche su quelli domestici. Il collasso di Mosca è inevitabile. A meno che Putin non fermi la guerra un attimo prima del default.
(da agenzie)
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