Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
SOTTO INCHIESTA È FINITO PURE IL VICE AMMIRAGLIO ARKADY ROMANOV CHE PER ORA HA ASSUNTO LA GUIDA DELLA FLOTTA NELL’AREA
È caccia ai responsabili della disfatta dell’incrociatore russo Moskva, la nave ammiraglia affondata da missili ucraini Neptun qualche giorno fa a 25 chilometri davanti a Odessa. Il colpo per Putin è stato durissimo: l’imbarcazione, infatti, era molto strategica per Mosca per quanto riguarda le operazioni militari volte al controllo dell territorio. Per questo, l’ammiraglio Igor Osipov, comandante della flotta del Cremlino nel Mar Nero, è stato rimosso dall’incarico e arrestato.
A riferirlo è il media polacco Onet citando il portale “Defence Express”. I russi – sempre secondo la stessa fonte – stanno conducendo sopralluoghi nel punto dell’affondamento della nave e sarebbe sotto inchiesta anche il vice ammiraglio Arkady Romanov (attuale vice comandante della flotta del Mar Nero) che per ora ha assunto la guida della flotta nell’area.
L’aereo spia Usa
Un aereo spia Usa P-8 Poseidon stava pattugliando il Mar Nero nelle ore precedenti all’attacco contro l’incrociatore. Lo rivela il Times, secondo cui il velivolo per il pattugliamento marittimo – che costa circa 400 milioni di euro – si trovava a circa 160 chilometri dall’incrociatore. Il P-8 è in grado di tracciare navi e sottomarini a grande distanza.
Secondo il Times, il P-8 è decollato dalla base americana di Sigonella il 13 aprile, alcune ore prima dell’attacco, e – dopo aver spento i suoi localizzatori – si è posizionato sulla costa rumena del Mar Nero per tentare di localizzare la posizione della flotta russa. Il velivolo è rimasto ‘nascostò per quasi tre ore ai radar. La Marina degli Stati Uniti non ha confermato di aver assistito l’Ucraina nell’attacco fornendo dati di intelligence.
(da Il Messaggero)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
DAL 2015 MOSCA HA INVESTITO MOLTISSIMO SUL “CONTINENTE NERO”: OPERA CON 6-7MILA IRREGOLARI IN GUINEA, RUANDA, ANGOLA, BOTSWANA, ZIMBABWE, MADAGASCAR E SUDAN. TRAMITE LA WAGNER HA GUERREGGIATO IN LIBIA, MOZAMBICO E CENTRAFRICA
L’influenza del Cremlino in molti Paesi del Continente e i legami con l’attività bellica in corso
Soldati irregolari che si sono spesso macchiati di crimini, vengono portati nel nuovo teatro di conflitto. Un inquietante intreccio tra interessi militari, petroliferi e di controllo politico Impantanata nel conflitto ucraino, Mosca sta attingendo a tutte le risorse disponibili per dipanare una matassa dai bandoli finora inestricabili.
Da settimane sta rafforzando gli effettivi già in teatro con mercenari e suppletivi, molto bellicosi. Secondo l’intelligence militare britannica, almeno un migliaio di contractor del gruppo privato Wagner sarebbe stato richiamato dall’Africa e dalla Siria per essere proiettato nell’est ucraino. Molti di questi uomini sarebbero stati già ingaggiati a Mariupol e Kharkiv, due snodi cruciali di questa guerra barbara. Fra loro ci sono criminali di guerra, noti per i loro metodi sbrigativi nel Vicino Oriente, in Libia, in Centrafrica e in Mali.
Una fonte anonima libica, citata dal quotidiano Al-Araby Al Jadeed, afferma che i russi avrebbero sguarnito la città di Sukna e altri centri mediani e orientali della Cirenaica, radunando i mercenari nella base aerea di Al-Jufrah e imbarcandoli su un cargo militare. Destinazione: Ucraina.
Già all’inizio della guerra, alcuni scherani della Wagner sarebbero stati impegnati nella cattura fallimentare del presidente ucraino Zelensky. Se ne sa poco. Alcune fonti stigmatizzano gli irregolari russi anche per il massacro di Bucha. Non sarebbe una novità, visti i crimini da loro commessi altrove.
Il via vai di mercenari dall’Africa al nuovo teatro di guerra è confermato anche da un responsabile militare egiziano e dalla giornalista Alexandra Jousseto, autrice del documentario ‘Wagner, l’esercito dell’ombra di Putin’. Secondo lei, molti quadri della società militare privata hanno lasciato nei giorni scorsi anche il Centrafrica.
Dal 2015 Mosca ha investito moltissimo sul ‘continente nero’. Vanta, nel soft power africano, il successo della campagna siriana, presentata come prova di quanto possa giovare il sostegno di Mosca nel garantire sovranità e indipendenza, a dispetto delle sanzioni occidentali. La manovra le ha già permesso di ottenere contratti per i suoi mercenari in una dozzina di paesi africani.
Opera con 6-7mila irregolari in Guinea Conakry, in Guinea Bissau, in Ruanda, in Angola, in Botswana, in Zimbabwe, nel Madagascar, in Sudan e nel Regno dello Eswatini (l’ex-Zwaziland). Tramite i buoni uffici della società militare privata Wagner, ha guerreggiato in Libia, in Mozambico e in Centrafrica. Sta facendo altrettanto in Mali e ha prospettive pure in Burkina Faso. Il Cremlino interviene surrettiziamente.
Ovunque intervengano, i mercenari di Mosca sono accompagnati da geologi dei colossi energetici. Il motivo è presto detto. Per pagare i servizi dei contractor, molti paesi africani, dalle casse vuote, offrono in cambio diritti minerari.
Avverrà così anche in Mali, visto che Wagner è cara: si parla di un contratto da 11 milioni di dollari al mese con Bamako.
Lo schema è mutuato dal vicino Centrafrica e copiato dal modus operandi della famigerata Executive Outcomes. A Bangui girano non meno di 2.500 mercenari russi. La geografia fisica delle loro zone di combattimento combacia come una goccia d’acqua con le aree di massima concentrazione di risorse minerarie.
La società Lobaye Invest Ltd, controllata dal gruppo di San Pietroburgo M-Invest, ha ottenuto la licenza di sfruttamento di una miniera d’oro presso Ndassima, in una regione presidiata dai ribelli musulmani della Séléka. M-Invest non è un gruppo qualsiasi.
Fa capo a Eugenyi Prighozin, fedele di Putin e finanziatore di Wagner. Prighozin, da ex criminale comune, ha fatto fortuna con le sue catene di catering di lusso a Mosca e San Pietroburgo. Ha diversificato le attività. Ha una holding mediatica, Media Patriot, possiede compagnie di genio civile, ha attivi nell’industria del petrolio e in quella mineraria.
Il suo modello di sviluppo in Africa affianca le ambizioni geopolitiche di Mosca. Si offre come un fornitore di servizi, specie in materia di consulenza politica e di campagne d’influenza, ottenendo in cambio partecipazioni azionarie in compagnie minerarie. Inutile dire che l’uomo e le sue società sono sotto sanzioni americane ed europee.
Ma altre due sono le figure chiave di Lobaye in Centrafrica: Eugenii Khodotov, un ex ufficiale russo di polizia, ora direttore generale della compagnia, e Dimitri Alexandrov, che cura la strategia mediatica russa in Centrafrica. Mosca punta però ancora più in alto. Più che le risorse minerarie, di cui è già ricchissima e di cui il Centrafrica non abbonderebbe troppo, al Cremlino interessano la geopolitica regionale e la stabilità del paese, che verrebbero sfruttate come un trampolino di lancio verso zone più attraenti economicamente.
Un alto responsabile dell’Onu, che si occupa di questioni di sicu- rezza, non esclude che «i russi si siano stabiliti in Centrafrica per creare un duplice asse d’influenza, attraverso il Sudan a nord e verso l’Angola a sud». Per molti esperti conservatori russi, fra cuiVyacheslavTetekina, membro del comitato di difesa della Duma, citato dall’Ifri, «Mosca ha ormai escluso Parigi dal gioco centrafricano» e punta ad estrometterla anche dal Burkina Faso, dopo averla defenestrata dal Mali.§
A fine gennaio, Alexandre Ivanov, uno dei capi degli ‘istruttori’ russi in Centrafrica, ha elogiato su Twitter i golpisti burkinabé, offrendo loro «l’esperienza dei suoi uomini in Centrafrica per la formazione dell’esercito del Burkina». Il problema è che i mercenari russi sono accusati di crimini di guerra. In Centrafrica avrebbero commesso esecuzioni arbitrarie, stupri e saccheggi. C’è il rischio che il modello sia esportato anche in Burkina, in Mali e ora in Ucraina.
E il tutto potrebbe avvenire nel silenzio delle Nazioni Unite. Sembra di essere tornati agli anni 70, quando Mosca sosteneva governi filosovietici in Madagascar, in Benin, in Burkina Faso, in Angola, in Mozambico, in Guinea-Bissau, a CapoVerde, in Algeria, in Libia, in Mali e in Kenya. All’epoca, l’influenza russa in Africa era all’apogeo del suo splendore, con quasi 40mila consiglieri militari all’opera, cui si sommavano le truppe socialiste cubane.
Erano legami preziosi, che permettevano di piazzare in tutto il continente le armi fabbricate dal Patto di Varsavia. Ancora oggi mercenari e armi viaggiano a braccetto, tant’ è che l’export di armi russe verso il Continente nero è cresciuto del 23% nell’ultimo quadriennio. Mosca sta correndo. Ambisce a galvanizzare ulteriormente la sua impronta africana. Per ora, fatica a competere con Pechino. Ma sta ripartendo da un lungo letargo e sta scommettendo sui settori in cui primeggia: le armi e gli irregolari, dando battaglia su tutti i fronti. Un affare imbarazzante. Ma se il Cremlino uscirà con le ossa rotte dal pantano ucraino, come prevedibile economicamente e sul piano di immagine, le sue ambizioni africane saranno compromesse per i decenni a venire. Un effetto collaterale della sua ingordigia.
(da Avvenire)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“I MILITARI DI MOSCA HANNO BOMBARDATO ANCHE I DEPOSITI DI GENERI ALIMENTARI E STANNO ASSEDIANDO KHARKIV, PORTANDOLA A UNA CATASTROFE UMANITARIA”
Affamare la popolazione. Anche questo è un tassello della strategia militare dell’esercito russo per conquistare il Donbass, l’est dell’Ucraina. «Ci aspettiamo che le prossime settimane saranno le peggiori – racconta Maksym Dontsenko, direttore generale della Croce rossa ucraina – Lasciare i civili senza cibo e senza acqua è una scelta che i militari russi hanno fatto fin dall’inizio.
L’obiettivo è chiaro e purtroppo lo abbiamo visto anche con le atrocità di Bucha: mantengono gli ucraini in una situazione di paura costante, perché sperano che in questo modo si arrendano, che spingano anche l’esercito ucraino alla resa».
Dontsenko è originario di Okhtyrka, una piccola città della regione di Sumy, non lontana da Kharkiv. «Lì non c’erano militari, eppure fin dall’inizio i russi hanno bombardato anche i depositi di generi alimentari. Da quando è cominciata l’invasione hanno attuato questo metodo. Non vogliono solo affamare l’esercito nemico, vogliono affamare i civili».
RICATTO
L’analisi coincide con quella di Oleg Synegubov, leader della Regione di Kharkiv, che in una intervista all’Ukraina Pravda, spiega: «I russi stanno assediando la città, portandola a una catastrofe umanitaria. Non consentono né corridoi umanitari per l’evacuazione né corridoi per inviare gli aiuti umanitari. Quando le persone cominciano a morire di fame, i russi iniziano a fare la parte dei poliziotti buoni e offrono una via d’uscita».
Che non di rado è sì la possibilità di essere evacuati, ma in Russia. Il governatore di Lugansk, Sergey Gaidai, racconta che a Severordonetsk, «con i bombardamenti hanno distrutto tutti i magazzini alimentari», non ci sono più depositi di cibo e i cittadini possono mangiare solo grazie agli aiuti umanitari. §
Non solo: ormai numerose città non hanno luce, gas e acqua. «Ora nella regione di Lugansk è più difficile trovare un’area di una città o di un villaggio dove ci sia gas, luce o acqua – non tutti insieme, ma almeno una di queste forniture – che il contrario».
Ora che la grande avanzata dell’esercito russo sul Donbass è cominciata, la situazione è destinata a peggiorare. Si rischia di replicare in altre città l’orrore di Mariupol, dove, come ricorda Donstenko, «ormai da settimane è impossibile portare aiuti umanitari, le persone faticano a trovare da mangiare e da bere». Ieri l’esercito di Putin ha cominciato a spostare le forze speciali da Mariupol – che considera ormai presa con l’unica eccezione dei resistenti delle acciaierie – verso Nord, nel Donbass.
Dal punto di osservazione della Croce rossa e di chi deve inviare aiuti umanitari l’attenzione e le preoccupazioni ora sono rivolte su città come Lisichansk e Severodonetsk nella regione del Lugansk; come Slovyansk, Kramatorsk nel Donetsk (oltre ovviamente a Mariupol); come Kharkiv, Izium e Barvenkovo nella regione di Kharkiv. Per i civili che hanno deciso di restare però non c’è una vita normale.
Tubature e acquedotti sono stati distrutti dai bombardamenti. Prima si ricavava dalla neve l’acqua da bere, ora ci si affida, in molti casi, all’acqua piovana. Certo, la parte più consistente di profughi proviene dalla zona orientale dell’Ucraina, ma un numero molto alto di persone, nonostante tutto, ha scelto di restare. Sono spinte dall’orgoglio, dall’attaccamento alle proprie radici, dalla volontà di difendere le proprie case. Ma ora all’orizzonte c’è l’incubo della scarsità di cibo.
«Non vi deve sorprendere che i russi attacchino i depositi di generi alimentari – insiste Donstenko – è avvenuto fin dall’inizio». Mosca punta anche a isolare il Donbass: ieri un raid missilistico ha distrutto il sistema ferroviario nella zona di Dnipro, nel centro dell’Ucraina, alle porte della regione orientale.
BATTAGLIA
A cosa punta l’avanzata del Donbass? Dopo il fallimento del blitz su Kiev e dopo l’umiliazione dell’affondamento dell’ammiraglia Moskva sul mar Nero che ha, per ora, fermato gli attacchi a Odessa, per Putin è urgente consegnare un risultato ai russi.
Si cita sempre il 9 maggio come data da rispettare: quel giorno ha una valenza particolare per la Russia, visto che tradizionalmente si celebra la vittoria contro i nazisti nella seconda guerra mondiale. Mosca vuole organizzare la parata militare a Mariupol.
Un’analisi del Kyiv Indipendet osserva: «Con la drastica intensificazione delle ostilità nel Donbass e nelle aree limitrofe, il 18 aprile il presidente Zelensky ha confermato l’inizio dell’offensiva su larga scala della Russia negli oblast di Donetsk e Lugansk. L’Ucraina e la Russia sono ora impegnate in quella che è probabilmente la più grande battaglia in Europa dalla seconda guerra mondiale».
L’obiettivo dell’esercito russo è avanzare da Nord, Est e Sud, intrappolando il grosso dell’esercito ucraino.
Si calcola che Mosca abbia concentrato nel Donbass quasi 60.000 soldati, gli ucraini ne hanno 44.000. In questa grande battaglia si decide tutto. E chi ha deciso di restare, tra i civili (almeno 3 milioni di persone), ora rischia di essere condannato anche alla fame e alla sete.
(da Il Messaggero)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
UN TACITO ACCORDO CON LE AUTORITÀ BRITANNICHE: IN CAMBIO DELLE SUE DIMISSIONI, I CONTI DEL SECONDO PRODUTTORE RUSSO DI PETROLIO NON VERRANNO TOCCATI E SARANNO SBLOCCATI
Si è dimesso Vagit Alekperov, fondatore, comproprietario, direttore generale e membro del cda di Lukoil, il secondo produttore russo di petrolio dopo Rosneft e il più grande non statale. L’ex viceministro sovietico del petrolio e del gas aveva preso le redini di Lukoil sin dalla sua privatizzazione nel 1993. La sua lunga carriera si è conclusa ieri, una settimana dopo che il miliardario era finito nel mirino delle sanzioni di Regno Unito e Australia, con una breve dichiarazione diffusa dalla società.
Stando a fonti russe del settore interpellate da Repubblica , Alekperov si sarebbe fatto da parte per salvare l’azienda che aveva fondato 29 anni fa stringendo un tacito accordo con le autorità britanniche: in cambio delle sue dimissioni, i sostanziosi conti di Lukoil nel Regno Unito – dov’ è quotata in Borsa – sarebbero stati sbloccati e non verranno toccati in futuro.
Lukoil per altro è tra le 27 aziende le cui azioni sono state sospese dalla Borsa di Londra a inizio marzo per evitare fluttuazioni di mercato, mentre il quartier generale moscovita non è soggetto a sanzioni. E ha diversi contratti nel Regno Unito come la fornitura della raffineria di Ellesmere Port che rifornisce il 16 per cento del carburante del Paese.
Lukoil è anche investitore di rilievo nel giacimento di Shah-Deniz (Azerbaijan), da cui sgorga il gas che alimenta il Tap, tubo che attraverso l’Albania approda in Italia, nei pressi di Lecce, con una quota del 19,9% raddoppiata a febbraio comprando il 9,9% dai malesi di Petronas per 1,45 miliardi di dollari.
Con un patrimonio che a inizio aprile ammontava a circa 16,5 miliardi di euro, Alekperov resta secondo Forbes tra i 100 uomini più ricchi del mondo. Ma c’è anche chi ricorda che, il 3 marzo, a una settimana dal lancio della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina, Lukoil aveva diffuso una dichiarazione «a favore della rapida cessazione del conflitto armato» e «della sua risoluzione attraverso un processo negoziale, attraverso i canali diplomatici», distinguendosi come una delle poche società russe a esprimersi per la pace.
Non è bastato però a salvarlo. Come tutti gli imprenditori convocati da Vladimir Putin al Cremlino il 24 febbraio, giorno del lancio dell’offensiva in Ucraina, è finito nelle liste nere dell’Occidente.
(da La Repubblica)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
A RIVELARE QUESTI NUMERI AGGHIACCIANTI SONO ALCUNE IMMAGINI SATELLITARI… LE VITTIME TOTALI NELLA CITTÀ PORTUALE SAREBBERO ALMENO 22.000
Orrore senza fine in Ucraina . L’amministrazione locale di Mariupol sostiene che fino a 9mila residenti della città portuale potrebbero essere sepolti in una fossa comune di Manhush, cittadina che si trova a 20 chilometri a ovest del centro sul Mar Nero. A rivelare l’entità dell’ecatombe ucraina sarebbero le immagini satellitari della fossa comune pubblicate da Maxar.
Le foto sono state confrontate tra metà marzo a metà aprile: mostrerebbero come l’espansione della fossa è iniziata tra il 23 e il 26 marzo. L’analisi delle proporzioni, in termini di metri, suggerisce come in quella fossa comune potrebbero trovarsi dai 3 ai 9mila corpi. E sarebbero tutti cittadini di Mariupol.
Il sito si trova adiacente a un cimitero già esistente nel villaggio. I russi avrebbero trasportati i morti in loco con dei camion, scavando la fossa per cercare di nascondere l’eccidio.
Quando ancora i numeri non avevano assunto la proporzione riferita nelle ultime ore, un consigliere del sindaco di Mariupol, Petro Andryushchenko, ha parlato di Manhush come di una “prova diretta dei crimini di guerra e dei loro tentativi di nasconderli”, riferito ovviamente alle truppe di Putin.
“Nella zona della tangenziale, i russi hanno creato diverse fosse comuni, lunghe fino a 30 metri ciascuna, e stanno trasportando i corpi dei morti su camion. Li hanno semplicemente gettati su un terrapieno”, ha aggiunto. E il sindaco sesso ha raccontato come i i russi starebbero rastrellando i funzionari comunali e gli operai rimasti.
“Sono stati trasferiti in qualche posto, crediamo dietro le sbarre; e lì vengono interrogati, torturati”. A parlare di 9mila cadaveri nelle fosse comuni è invece il Kyiv Independent: secondo le stime preliminari il bilancio attuale delle vittime nella città portuale potrebbe ammontare a 22mila persone uccise dall’inizio dell’offensiva russa.
Dopo i massacri di Bucha, con le foto dei corpi straziati e abbandonati per strada o sepolti alla bene e meglio. Dopo le notizie che giungono da Borodyanka, dove ancora oggi sono stati ritrovati nove corpi di civili con “segni di torture”, ha denunciato la polizia ucraina. Ebbene, ancora una volta la storia di questa guerra rischia di aprire una nuova pagina di sangue e morte. Con numeri che mai si erano sentiti prima. Solo oggi la vicepremier ucraina Olga Stefanichyna ha riferito che, nell’intera regione che circonda Kiev, gli obitori accolgono attualmente i corpi di oltre mille civili. La fossa comune di Manhush potrebbe rivelare un orrore ancor più difficile da immaginare.
(da Quotidiano.net)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
È APPARSO PIUTTOSTO AGITATO. CON LE MANI AFFERRAVA I LATI DEL TAVOLINO E PRONUNCIAVA MECCANICAMENTE LE PAROLE, SENZA ENFASI, COME SE LA RECITA DOVESSE ESSERE BREVE PERCHÉ NON ERA IN GRADO DI PROLUNGARLA OLTRE
Si ricomincia. Ogni volta che Vladimir Putin appare vicino a un altro essere umano, tornano i dubbi sul suo stato di salute, sia fisico che mentale. E ieri mattina, il presidente non poteva esimersi.
L’incontro con il suo ministro della Difesa Sergey Shoigu che gli annunciava la presa di Mariupol faceva parte del copione che prevede la celebrazione di una vittoria, una purchessia, per il prossimo 9 maggio, quando appunto in tutta la Russia si terrà l’annuale Festa della vittoria. Era una occasione solenne.
Ma il Putin visto ieri aveva caratteristiche ben diverse da quelle che si attribuiscono al Comandante in capo di un esercito trionfante. «Rattrappito», ha scritto di lui Ian Bremmer, politologo americano non certo simpatizzante ma autorevole.
Nei dieci minuti del video postato sul sito del Cremlino, si vede il presidente che ascolta in silenzio la relazione di Shoigu sulla caduta della città martire di questa guerra. Gli sta porgendo la preda tanto ambita, quella nelle speranze presidenziali dovrebbe giustificare un numero così elevato di vittime russe, per tacere dei civili ucraini, che a Mosca non vengono prese in considerazione.
Ma Putin appare tutt’altro che solenne. Obbligato a un colloquio diretto e ravvicinato, per essere protagonista del lieto evento, sembra invece avere voglia di sottrarsi a qualunque contatto.
Putin non siede appoggiato al tavolino, ma sembra schiacciarsi sulla poltrona, quasi a cercare di aumentare la distanza tra lui e l’interlocutore. Le mani non sono posate in modo normale sulla superficie del tavolo, ma afferrano entrambi i lati.
Anche qui, sembra che voglia spingerlo via da sé, come hanno sottolineato molti osservatori. Anche le sue parole sono asciutte, essenziali. Senza enfasi, che richiederebbe tempo.
Boccia in modo perentorio l’idea di Shoigu di dare l’assalto all’acciaieria Azovstal, dove si è rifugiato da giorni il Battaglione Azov, fa i complimenti all’esercito, poco altro. Come se la recita dovesse a ogni costo essere breve.
Anche la sua prima apparizione in pubblico dall’inizio della guerra aveva dato adito a qualche illazione. La visita del 12 aprile al cosmodromo era stata preparata con cura per evitare qualunque contatto con altre persone. La conferenza stampa con Aleksander Lukashenko si era tenuta con due leggii a distanza inusuale l’uno dall’altro. E alla fine non c’era stato neppure il tradizionale abbraccio, o la stretta di mano, con il fedele alleato bielorusso.
E allora si torna all’eterno quesito, che gli americani propongono con una formula semplice. «Putin the rational» o «Vlad the Mad»? Razionale o pazzo? Il confine tra la preoccupazione per il proprio (segretissimo) stato di salute e l’ossessione è molto labile.
Le voci sulle patologie delle quali soffrirebbe il presidente russo sono ormai diffuse , così come quelle sul suo stato di salute mentale.
Le prime si concentravano sui possibili problemi alla colonna vertebrale («per pregressi traumi sportivi o addirittura una neoplasia al midollo spinale, la cui sintomatologia sarebbe compatibile con alcune difficoltà deambulatorie e certe irrequietezze posturali», scriveva Modeo) e sul morbo di Parkinson («che spiegherebbe a sua volta certe alterazioni cinetiche, la “rigidità” di cui parlano Macron e altri, il rallentamento della risposta cognitiva e la ridotta ampiezza di oscillazione della mano destra rispetto alla sinistra»).
L’ultima apparizione, che doveva essere il maggior momento di trionfo per l’uomo che ha deciso di invadere l’Ucraina, non sembra destinata a spegnerle. Il mistero continua. E tale resterà, fino all’ultimo.
(da Il Corriere della Sera)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“ABBIAMO DECISO IN OTTO”: LA RIVENDICAZIONE DEL NO VAX FRANZONI… LE CARTE DELL’INCHIESTA
No, l’assalto alla Cgil il pomeriggio del 9 ottobre scorso non è stato momento di follia di una manifestazione no vax inaspettatamente numerosa i cui promotori si sarebbero fatti prendere la mano. Che l’obiettivo dovesse essere il sindacato, gli organizzatori della manifestazione, tra i quali i leader del movimento neofascista Forza Nuova, l’avevano deciso da tempo perché individuavano proprio nel sindacato uno dei maggiori responsabili dell’approvazione del decreto che ha istituito il Green pass durante la pandemia da Covid.
Mentre il processo ai capi di Forza nuova, Giuliano Castellino e Roberto Fiore, è ancora in corso, la procura di Roma ha chiesto e ottenuto cinque nuove “misure” per l’assalto alla sede nazionale della Cgil avvenuto il 9 ottobre scorso, durante una delle manifestazioni del movimento No vax e no green pass.
La decisione riguarda in particolare Nicola Franzoni, l’unico per il quale è stato chiesto ed ottenuto il carcere, e altre quattro persone tra i quali l’ultrà juventino Claudio Toia, tutti accusati di devastazione e saccheggio aggravato e resistenza a pubblico ufficiale aggravata.
Franzoni, però, risponde anche di istigazione a disobbedire alle leggi e violazione del divieto di tornare nel comune di Roma. Sua del resto era stata l’incitazione alla piazza del Popolo particolarmente gremita, quel pomeriggio 9 ottobre: «Siamo a Roma e l’abbiamo presa, la piazza deve seguire Giuliano Castellino, l’obiettivo lo capirete».
Il progetto di assaltare la Cgil
Proprio sul fatto che l’assalto alla Cgil non sia stato l’azione estemporanea dei manifestanti – che senza molto pensarci si erano diretti in corteo per liberare piazza del Popolo (come sostengono le difese di Fiore e Castellino) – punta molto l’ordinanza del gip Annalisa Marzano.
Come scrive la giudice:
Coloro che avevano organizzato l’evento del 9.10.2021 in realtà avevano anche concordato di recarsi verso la sede del sindacato. Sicché, la scelta di dirigersi verso la sede della CGIL non maturava sull’onda emotiva della sorprendente e inaspettata adesione all’iniziativa, quanto piuttosto discendeva dal progetto pianificato da un numero ristretto di persone che Franzoni Nicola sui social indicava in numero di otto persone. Non solo. Dagli accertamenti si apprendeva che due degli otto ideatori, promotori e organizzatori della manifestazione, Castellino Giuliano e Testa Pamela, erano coloro che avevano proposto di dirottare le forze dell’ordine verso la sede della CGIL al fine di favorire la marcia verso i palazzi delle Istituzioni.
In realtà, spiega ancora il gip, a dare i dettagli della strategia, specificando chi e quando ha deciso che la manifestazione del 9 ottobre dovesse finire con l’aggressione alla Cgil è lo stesso Franzoni e non in intercettazioni telefoniche ma in una diretta Facebook che l’esponente no vax tiene subito dopo i fatti del 9 ottobre. Nella diretta, dialogando coi suoi sostenitori, Franzoni è esplicito. E racconta nel dettaglio che la decisione era stata presa giorni prima e che la scelta di chiedere solo piazza del Popolo era stata fatta con l’idea che sarebbe stato più semplice ottenere l’ok della questura: «La strategia per andare a occupare la CGIL, la stabiliamo in otto, si va ad occupare la CGIL, chi non è di squadra non può far parte del gruppo cazzo, io ho ubbidito a degli ordini», dice, includendosi nel gruppo di chi ha deciso.
E ripete: «Lo abbiamo stabilito all’una, invece c’erano due scemi “Montecitorio Montecitorio”, se noi facevamo un diversivo e andavamo prima alla CGIL e tornavamo, lo prendevamo Montecitorio, ma ci sono i due scemi che vogliono comandare che rovinano tutto. Dovevamo dire e fare quello che ha detto Giuliano».
Insomma, anche la sera del 9 Franzoni non sembra per nulla pentito: «Occupare la Cgil l’abbiamo occupata, abbiamo sfondato tutto».
Ribadisce il concetto anche giorni dopo, mettendo sempre sui social una foto che lo ritrae in mezzo ai manifestanti, insieme a Fiore e Castellino: «Per quei poveri dementi che dicono che non ho diretto il corteo verso la Cgil». E giorni dopo, un altro profilo di suoi sostenitori lo immortala mentre spiega la strategia, a un gruppo di manifestanti che gli avevano chiesto indicazioni sul da farsi: «Dobbiamo occupare un palazzo simbolo della lotta dei lavoratori e bloccare il green pass. Occupiamo la Cgil è una mossa politica». Poi in realtà prende le distanze: «Ragazzi io avrei fatto un altra cosa, non posso decidere per tutti».
La mobilitazione della piazza
Se la strategia prima della manifestazione del 9 ottobre non era chiara – tanto che le difese di Fiore e Castellino sostengono un’altra versione – più difficile da smentire sarà il ruolo di agitatore della piazza che Franzoni ha quel giorno dal palco. Come spiegano le informative della Digos, riassunte nell’ordinanza di custodia cautelare, dice almeno due volte che una volta finiti i comizi, i manifestanti dovranno seguire il leader di Forza nuova Roma, Giuliano Castellino. «La piazza segua Castellino – ripete Franzoni – l’obiettivo lo capirete. Siamo a Roma e l’abbiamo presa».
Anche se non è chiaro se Franzoni sia effettivamente entrato nella sede della Cgil, il giudice scrive che gli elementi nei suoi confronti non potrebbero essere più chiari. Per gli altri quattro, che non potranno lasciare la città di residenza, sono state soprattutto le telecamere interne alla Cgil a fornire le prove necessarie e immortalarli mentre si introducono negli uffici e li devastano.
Il giudice scrive anche che, sebbene oggi il green pass sia prossimo alla quasi totale abolizione, il rischio che gli indagati compiano ancora violenze è ancora attuale. Non solo per i limiti legati alla pandemia, ma per i nuovi pericoli di tensioni sociali legati all’attuale crisi economica.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL DISCORSO DEL PRESIDENTE AL QUIRINALE
“L’attacco violento della Federazione Russa al popolo ucraino non ha giustificazione alcuna. La pretesa di dominare un altro popolo, di invadere uno Stato indipendente, ci riporta alle pagine più buie dell’imperialismo e del colonialismo. L’incendio appiccato alle regole della comunità internazionale appare devastante; e destinato a propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermarlo subito, scongiurando il pericolo del moltiplicarsi, dalla stessa parte, di avventure belliche di cui sarebbe difficile contenere i confini”: sono le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che oggi ha incontrato al Quirinale una rappresentanza delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, nella ricorrenza del 77/mo anniversario della Liberazione.
“Il 25 aprile -ha ricordato il Capo dello Stato- rappresenta la data fondativa della nostra democrazia, oltre che di ricomposizione dell’unità nazionale. Una data in cui il popolo e le Forze Alleate liberarono la nostra Patria dal giogo imposto dal nazifascismo. Un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista. A pagare furono, come non mai, le popolazioni civili, contro le quali, in un tragico e impressionante numero di episodi sanguinosi, si scagliò la brutalità delle rappresaglie. Fu, quella, una crudele violenza contro l’umanità, con crimini incancellabili dal registro della storia, culminati nella Shoah”.
Poi Mattarella ha aggiunto: “Un’esperienza terribile; che sembra dimenticata, in queste settimane, da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la convivenza pacifica tra i popoli”.
Inoltre il presidente della Repubblica ha espresso apprezzamento per l’impegno quotidiano delle Associazioni combattentistiche. Impegno, ha spiegato “che contribuisce, in maniera decisiva a non dimenticare quanti hanno lottato per la difesa degli ideali di indipendenza e di libertà. Si tiene così viva la memoria di uno dei periodi più drammatici della nostra storia, e si trasmettono i valori della Resistenza che consentirono la liberazione del Paese dall’oppressione nazifascista”.
“Lunedì prossimo – il 25 aprile – dopo l’omaggio ai caduti all’Altare della Patria, mi recherò – ha spiegato Mattarella – ad Acerra che fu profondamente segnata dai combattimenti e dalle rappresaglie delle truppe naziste. Da Acerra, idealmente, abbracceremo tutti gli altri luoghi che videro l’eroismo, la sofferenza e, troppo spesso, la morte di quanti si sacrificarono per consegnarci un Paese libero e democratico. Nelle carceri e nei lager, a Cefalonia come a Montelungo. Ricordiamo la rivolta in armi contro l’oppressore. Rivolta che fu anzitutto morale e poi difesa strenua del nostro popolo dalla violenza che veniva scatenata contro di esso”.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2022 Riccardo Fucile
SONO GLI STESSI UOMINI CHE IL 16 MARZO VLADIMIR PUTIN AVEVA MENZIONATO, SENZA MAI CITARLI, IN UN DISCORSO TV: “NON STO GIUDICANDO CHI HA UNA VILLA A MIAMI O IN COSTA AZZURRA”, MA “IL POPOLO RUSSO LI SPUTERA’ SEMPLICEMENTE FUORI”
Dall’inizio di marzo le morti sospette sono state tre. Le ultime due, quelle di Sergey Protosenya e di Vladislav Avayev, sono avvenute nel giro di un paio di giorni. Suicidi apparentemente inspiegabili, intere famiglie sterminate, morti violente la cui dinamica, però, è difficile da ricostruire, a tratti incomprensibile.
Sono gli stessi uomini che, il 16 marzo, il presidente russo Vladimir Putin aveva menzionato – senza mai citarli – in un discorso tv che sembrava un avvertimento: «Non sto giudicando chi ha una villa a Miami o in Costa Azzurra, chi non può fare a meno del foie gras, delle ostriche o delle cosiddette libertà di genere», ma sono persone «pronte anche a vendersi la madre». E ancora: «Il popolo russo li sputerà semplicemente fuori, come un moscerino che gli è volato accidentalmente in bocca».
Il riferimento era agli oligarchi russi che avevano in mente di abbandonare il Paese dopo l’imposizione di sanzioni da parte del Regno Unito e dell’Ue. E adesso sulla morte di alcuni di quelli che Putin aveva definito «traditori nazionali», sono in corso le indagini. Anche se tutte le piste restano aperte – tracolli economici, tradimenti, morti violente legate alla criminalità organizzata, rapine finite male – si tratta di una circostanza quantomeno singolare.
ORRORE NELLA VILLA
L’ultimo caso risale a martedì: il cadavere di Sergey Protosenya, cinquantacinquenne vicepresidente del colosso del gas Novatek, è stato trovato insieme a quelli della moglie Natalya e della figlia Maria, appena diciottenne. Erano nella villa di famiglia a Lloret de Mar, in Spagna. L’allarme è stato dato dal figlio maggiore, che non riusciva a mettersi in contatto con i genitori.
Natalya e Maria sono state uccise a coltellate, mentre Protosenya è stato trovato impiccato, accanto a un coltello insanguinato e ad un’ascia. La tesi dell’omicidio-suicidio non è per nulla scontata: sul corpo dell’oligarca non è stata trovata nemmeno una traccia di sangue. Sono invece stati trovati dei calzini insanguinati, che potrebbero essere stati utilizzati come guanti per evitare di lasciare impronte.
Il giorno prima, il lunedì di pasquetta, era stato trovato morto anche Vladislav Avayev, 51 anni, ex consigliere del Cremlino ed ex vicepresidente della Gazprombank. Anche in questo caso, al quattordicesimo piano di un lussuosissimo condominio di Mosca, la scenografia era quella di un omicidio-suicidio.
Avayev aveva in mano una pistola e, accanto a lui, c’erano i corpi senza vita della moglie incinta, Yelena, e della figlia Maria, 13 anni. A trovarli era stata l’altra figlia dell’oligarca, Anastasia, 26 anni. Alcuni vicini, parlando con il Daily Mail, hanno detto che il banchiere poco tempo fa aveva perso il lavoro e che, forse, la moglie aveva iniziato una relazione con l’autista.
All’orrore del grattacielo di Mosca, però, c’è un precedente, che risale al 3 marzo. Mikhail Watford, 66 anni, oligarca di origini ucraine, è stato trovato impiccato nel garage della sua villa da 18 milioni di sterline nel Surrey, in Inghilterra. Ha lasciato una moglie e tre figli. Aveva fatto una fortuna nel settore dell’energia nell’Unione sovietica, prima di creare un impero immobiliare in Gran Bretagna. Il Sun ha definito sospetta la sua morte: nel 2000 aveva cambiato il suo cognome originario, Tolstosheya, e aveva fatto affari nel settore della raffinazione del petrolio in Ucraina.
Intanto ieri si è dimesso il presidente e fondatore di Lukoil, Vagit Alekperov, che ha diretto l’azienda per 30 anni. Si tratta di un vero e proprio impero, con oltre 100mila dipendenti e che produce il 2% del petrolio del mondo. La decisione è arrivata senza nessuna spiegazione ufficiale, dopo la posizione critica assunta da Alekperov sulla guerra in Ucraina. Il Consiglio di amministrazione di Lukoil aveva espresso «solidarietà per tutte le vittime colpite da questa tragedia», chiedendo «un cessate il fuoco durevole».
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