Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
E’ IL FIGLIO ADOTTIVO DI ALESSANDRA SGARELLA, RAPITA DALLA ‘NDRANGHETA NEL 1997
Ivan Luca Vavassori, l’ex calciatore che combatte accanto all’esercito ucraino, sarebbe ancora vivo. Lo fa sperare l’aggiornamento sul profilo social dello stesso foreign fighter italiano su cui questa mattina era stato scritto che non si avevano più sue notizie.
«Ciao a tutti, il team di Ivan è ancora vivo – è il messaggio, anche questo in inglese -. Stanno cercando di tornare indietro. Il problema è che sono circondati da forze russe, così non sanno quando e quanto tempo ci vorrà per tornare indietro. Ci sono 5 persone morte e 4 feriti, ma non conosciamo i loro nomi», conclude il messaggio.
Il messaggio fa dunque bene sperare per la sorte del soldato italiano il cui destino sembrava aver preso colori bui nel pomeriggio alla notizia di cinque morti e quattro feriti nel gruppo armato di cui fa parte.
Ivan Luca Vavassori è il figlio adottivo di Alessandra Sgarella, la donna rapita dalla ‘ndrangheta nel ’97. E’ da quasi due mesi in Ucraina a combattere contro i russi nel contingente che raggruppa volontari che sono arrivati dall’estero.
Ivan Luca Vavassori è da quasi due mesi in Ucraina a combattere contro i russi nel contingente che raggruppa volontari che sono arrivati dall’estero.
Un post in inglese pubblicato sulla sua pagina Instagram annunciava che «questa notte, durante la ritirata di alcuni feriti dall’attacco a Mariupol, due convogli sono stati distrutti dall’esercito russo. In uno di questi, presumibilmente c’era Ivan con il 4° reggimento. Stiamo cercando di fare del nostro meglio per capire se ci sono persone vive. Ve lo comunicheremo tramite il profilo Instagram di Ivan e Facebook, i due che ci ha lasciato».
Ivan Luca, 30 anni compiuti il 20 aprile, è il figlio adottivo di Piero Vavassori (amministratore delegato della Italsempione, ditta spedizioniera fondata negli Anni 60 a Domodossola) e di Alessandra Sgarella, donna che era stata rapida nel 1997 dalla ‘ndrangheta e morta nel 2011 a causa di una malattia. Era stato portiere di calcio, anche in serie C, poi da alcuni mesi era andato in Bolivia dove cercava spazio per giocare nel campionato di serie A.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina Ivan Luca, nato in un paese a non molta distanza da Mosca e adottato dalla famiglia Vavassori quando aveva 5 anni, ha deciso di prendere le armi per combattere. Nelle prime settimane aveva pubblicato molti video sui social (anche su Tik Tok) raccontavano la «sua» guerra, con il nome di battaglia aquila nera e Rome e inizialmente scontento di incarichi da lui ritenuti «poco operativi» che gli venivano dati.
Poi l’annuncio del silenzio social per una missione che lui stesso aveva definito suicida. Era andato dietro le linee dei russi, ma era tornato. Sempre sui social aveva anche detto di aver subito un attentato mentre era a Kiev, avevano provato ad accoltellarlo ma lui era scampato.
Poi ancora qualche video che ritraevano armi e città devastate dal conflitto. Venerdì in una storia su Instagram aveva anche pubblicato il segno di un proiettile sulla pelle. «Primo fottuto proiettile – aveva scritto – febbre a 39,5. Però non posso fermarmi. Domani medicine e si torna in prima linea».
E infine il messaggio di oggi: lui stesso, annunciando il silenzio social aveva scritto che qualora gli fosse successo qualcosa c’erano persone che avevano i suoi accessi e avrebbero dato notizie.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
ROMAN BYKOVSKY ORA RIDERA’ DI MENO
«Vai e stupra le ucraine, ma non dirmi nulla e usa i condom». In una telefonata intercettata dal servizio di sicurezza ucraino una donna giorni fa invitava il marito al fronte con l’esercito russo a stuprare le donne ucraine. Oggi quel soldato è stato catturato vicino a Izyum, come comunica l’ex deputato del consiglio comunale Ilia Ponomarev.
Due giornalisti del team investigativo del servizio russo di Radio Free Europe/Radio Liberty circa una settimana fa si erano messi a indagare su alcuni dispacci d’agenzia che riportavano la conversazione di una coppia di russi, moglie e marito, in cui lei rassicurava lui e anzi lo incitava a usare violenza sulle donne che avrebbe incontrato in Ucraina purchè non le raccontasse poi i particolari delle sue imprese e si accertasse di indossare le adeguate protezioni.
«Vai, stupra le donne ucraine, te lo permetto, ma non dirmi niente: però non ti dimenticare delle protezioni». Era una certa Olga a parlare, in un audio al marito, Roman Bykovsky, arruolato nella cosiddetta «operazione speciale» di Putin in Ucraina.
La surreale conversazione durava circa 30 secondi e sarebbe stata registrata nella regione di Kherson dai servizi segreti ucraini. Poi, in un secondo momento, poi sarebbe finita nella mani dei due giornalisti dell’emittente finanziata dal governo americano.
Lo scorso 12 aprile, lo Sluzhba bezpeky Ukrayiny (Sbu) ha reso noto il contenuto dell’audio e i giornalisti sarebbero entrati in possesso dei numeri di telefono della coppia. Poi grazie ai loro profili sui social russi era stato possibile ricostruire la storia di chi fossero i due al telefono.
Lui era Roman Bykovsky, 27 anni, originario di Orel, cittadina a 350 chilometri da Mosca. E sarebbe proprio l’uomo catturato oggi vicino a Izyum.
Si era arruolato nella divisione di Dzerzhinsky della Guardia nazionale, prima di finire nel 108esimo reggimento aereo d’assalto basato a Novorossiysk, che ha partecipato all’annessione della Crimea nel 2014.
A Feodosia si sarebbe trasferito insieme alla moglie Olga, anche lei originaria di Orel, e qui avrebbero avuto il loro bimbo, che oggi ha quattro anni.
Nell’audio in cui lei lo autorizza a stuprare le ucraine, si sente anche lui rispondere: «Ah, quindi dovrei stuprarle e non dirti niente: posso davvero?». La moglie rimarca: «Sì, hai il mio permesso, ma usa le protezioni». I due poi ridono, come fosse un argomento di cui scherzare.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
MODELLO ISIS: PRENDONO UN RAGAZZINO PER TAGLIEGGIARE LA FAMIGLIA… SOLDATI? NO, FOGNA DEL MONDO CIVILE
“Vostro figlio è con noi, ci servono 5mila euro, altrimenti le invieremo il video della sua esecuzione”. Una mamma di Mariupol si è vista arrivare questo messaggio vocale, insieme a un video di suo figlio Alexey, volontario impegnato nella difesa territoriale della loro città, che oggi sarebbe prigioniero dell’esercito russo.
“Mi hanno contattato su Facebook attraverso l’account di mio figlio. Mi hanno mandato prima un vocale, poi mi hanno chiamato attraverso Messenger chiedendo i soldi, infine mi hanno inviato il video di Alexey, prigioniero”, ha raccontato a Meduza Olga Novykova, direttrice del festival cinematografico internazionale di Mariupol “Cinema and You”. La donna ha descritto a Meduza la telefonata che ha avuto con l’interlocutore che le ha chiesto il riscatto per il figlio: “Mi hanno contattato il 24 aprile intorno alle 14. Mi hanno detto ‘ci servono soldi’, ho risposto ‘quanti?’, ‘5mila euro’. Ho detto: ‘ma come faccio, sono una profuga’, ‘non è un nostro problema, se entro domani, 25 aprile, non abbiamo i soldi, il prossimo video che vedrà è l’uccisione di suo figlio’”.
Olga Novykova, inoltre, ha raccontato al quotidiano che in cambio della cifra non le hanno garantito la liberazione del figlio, ma le hanno promesso di lasciarlo in vita, per spedirlo poi “con altri prigionieri a servizio della grandezza Sovietica”.
“Hanno usato proprio queste parole”, ha assicurato al quotidiano la cinematografista, che ha lasciato Mariupol lo scorso 18 marzo. Era dal 14 aprile che non riusciva a mettersi in contatto con il figlio, che prima della guerra era uno studente universitario, iscritto al primo anno di Scienze Politiche all’Università di Mariupol.
“La rete a Mariupol è saltata quasi subito, già nei primi giorni di invasione russa. Quando ce ne siamo andati dalla città, lui è voluto rimanere come volontario della difesa territoriale, da allora metterci in contatto è sempre stato molto difficile”, ha spiegato la donna.
Nel video dalla prigionia, Alexey spiega di essere caduto prigioniero il 23 aprile. Dice di stare bene, di essere stato picchiato “solo una volta”. “Questo è quello che ha detto alla videocamera, non so come stanno davvero le cose, ho paura per lui, vorrei solo strapparlo dalle mani di questi ricattatori russi che potrebbero ucciderlo da un momento all’altro”, ha detto Olga Novykova.
Il filmato è stato pubblicato sui social anche da Mikhail Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che ha scritto: “I soldati russi sono sempre più simili ai miliziani dell’Isis”. Lo stesso paragone è stato rilanciato dalla giornalista Anne Applebaum, editorialista di The Atlantic, che ha scritto su Twitter “L’Isis dell’Europa”.
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
FIAMME ALTISSIME VISIBILI DA CHILOMETRI DI DISTANZA: SI PENSA AD ATTACCO MISSILISTICO O SABOTAGGIO
Due grandi incendi sono scoppiati nella notte in Russia, a Bryansk (a circa 150 chilometri dal confine ucraino) all’interno di altrettanti depositi di carburante: mentre i video delle alte colonne di fumo che si sono alzate sopra la città sono stati condivisi da migliaia di utenti sui social, le autorità russe hanno dichiarato di essere al lavoro per l’avvio delle indagini sulle cause dei roghi, che potrebbero essere il risultato di atti di sabotaggio da parte delle forze di Kyiv, forse anche attraverso degli attacchi missilistici.
“Sembra che qualcosa stesse volando in aria prima dell’esplosione” ha dichiarato per esempio l’analista militare Rob Lee commentando uno dei video sugli incendi condiviso sui social.
Secondo Lee è possibile che i roghi siano stati causati da un missile balistico Tochka-U, che sarebbe stato in grado di colpire entrambi i depositi se dispiegato nelle vicinanze del confine tra Ucraina e Russia
A bruciare questa notte a Bryansk sarebbero stati due depositi di carburante, uno civile da circa 10mila tonnellate ed uno militare da circa 5mila tonnellate.
La prima struttura in particolare fa parte dell’”Oleodotto dell’Amicizia”, che trasporta il petrolio russo verso l’Europa.
Nelle ultime settimane sono stati diversi gli “incidenti” verificatesi in Russia. Agli inizi d’aprile per esempio, scrive il Guardian, il governatore della regione di Belgorod (poco lontano dal confine con l’Ucraina) ha detto che due elicotteri ucraini hanno fatto fuoco contro dei depositi di carburante nella zona, anche se le autorità ucraine non hanno mai confermato l’attacco. La settimana scorsa Mosca ha ancora accusato alcuni elicotteri ucraini di aver colpito degli edifici residenziali a Bryansk.
Solo pochi giorni fa (venerdì scorso) 17 persone sono morte dopo un altro devastante incendio in un istituto di ricerca sulla Difesa a Tver, a nord-ovest di Mosca. Nello stesso giorno un’impianto chimico poco lontano dalla capitale russa è stato avvolto dalle fiamme.
Per il momento il mistero rimane anche se, come scrive Daniele Raineri su Repubblica, nel caso in cui gli incendi in Russia fossero effettivamente stati il risultato di operazioni portate avanti dalle forze ucraine, “si tratterebbe in pratica della stessa strategia ritorta contro i russi”.
Le forze armate del Cremlino hanno infatti deciso di colpire fin dall’inizio dell’invasione le infrastrutture strategiche in Ucraina per complicare il più possibile la resistenza delle forze di Kyiv.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
STORIE CHE PRESENTANO BUCHI, COSE CHE NON TORNANO, SEGNI DI VIOLENTA ESTERNA
Chi tocca i fili della corrente, anzi i tubi del gas, muore. L’elenco dei top manager russi legati a Gazprom o altre grandi aziende del gas o ai servizi russi che stanno morendo, in vario modo suicidi o “suicidati” dall’inizio della guerra di Putin in Ucraina fa letteralmente paura. E sono storie ognuna delle quali presenta buchi, cose che non tornano, segni di violenta esterna.
Lunedì 18 aprile Vladislav Avayev, 51 anni, ex consigliere del Cremlino ed ex vicepresidente di Gazprombank, è stato trovato morto per una ferita da arma da fuoco nel suo appartamento di Mosca. Gli investigatori hanno dichiarato che l’ipotesi è che Avayev avrebbe sparato a sua moglie, 47 anni, incinta, e sua figlia, 13 anni, e poi a se stesso.
A duemila miglia di distanza, sulla Costa Brava in Spagna, Sergei Protosenya, ex vicepresidente e capo contabile di Novatek, un’importante compagnia del gas con stretti legami con Gazprombank, è stato trovato impiccato, con la moglie e la figlia accoltellate a morte.
È stato trovato con un coltello macchiato di sangue e un’ascia al fianco, ha riferito Telecinco. Il fatto è che invece sugli abiti di Protosenya non c’era una goccia di sangue, secondo quanto hanno riferito diversi media locali, abbondante invece su quelli delle due donne.
Non si tratta, contrariamente a quanto è stato scritto, di veri e propri oligarchi, ma di alti manager di stato sì, persone che certamente conoscevano schemi fiscali, processi di produzione, conti aziendali, flussi finanziari.
Erano insomma seduti su una notevole mole di informazioni collegate alla rivendita del gas russo in Europa, che da sempre è lo snodo cruciale dei processi di influenza, e interferenza del Cremlino nelle democrazie e nelle economie occidentali. E’ così che Vladimir Putin ha comprato influenze (e interferenze) nelle democrazie europee. Usando questa leva.
Non sono le uniche morti violente che lasciano temere che qualcosa stia succedendo, dentro il comprato energetico russo che molti in Europa vorrebbero colpire con l’embargo totale sul gas russo, ma altri – specialmente nella Germania del cancelliere Scholz e di Frank Steinmeier – vogliono invece risparmiare.
La mattina del 25 febbraio 2022 il corpo di un altro alto dirigente di Gazprom, Alexander Tyulyakov, 61 anni, era stato ritrovato nella regione di San Pietroburgo, ma la polizia locale venne estromessa dalle scena del crimine da parte del servizio di sicurezza di Gazprom. Tyulyakov era il vicedirettore generale dell’Unified Settlement Center di Gazprom, la cassa dell’azienda, e fu trovato impiccato in un garage annesso alla casa. Più o meno come Protasenya.
E, hanno riportato i pochi media indipendenti, per esempio Novaya Gazeta Europa, la polizia ha lasciato fare sulla scena del possibile delitto la sicurezza aziendale, che addirittura avrebbe spinto fuori i poliziotti, come se quello che succede dentro Gazprom fosse una vita parallela e a se stante del regime di Putin. Schema che è stato messo in discussione invece in Spagna, dove per la morte di Protosenya sta indagando «a tutto campo» la polizia spagnola, ci dice una fonte. Troppe le incongruenze nella scena del crimine per presunta gelosia o affari familiari.§
Protasenya ha un patrimonio limitato, “solo” 430 milioni di dollari (non certo un patrimonio da oligarca in senso stretto), ma si trovava in un’azienda anch’essa strategicamente vicina a Putin: Novatek di cui è comproprietario (con il 23,5 per cento) uno degli amici di giovinezza del presidente russo fin dai tempi della Cooperativa Ozero, Gennady Timchenko – il sesto miliardario più ricco della Russia con un patrimonio netto di 22 miliardi, secondo Forbes – che stato anche uno dei principali rivenditori del suo gas (IL, rivenditore, forse) in Svizzera e Francia (a Timchenko l’Italia di Mario Draghi ha appena sequestrato un enorme yacht in Liguria, “Lena”).
Nonché proprietario di un pezzo del tesoro immobiliare della famiglia Putin: Timchenko è stato dal la villa a Biarritz, che secondo il registro immobiliare francese è stata intestata dal 2007 al 2012 l’intestatario della villa a Biarritz, poi trasferita a Kirill Shamalov, allora marito (oggi ex) di Katerina Tikhonova, figlia di Putin. Timchenko, a fine marzo si è dimesso proprio dal boad di Novatek, dopo le sanzioni arrivate il 22 febbraio dal Regno Unito e il 28 dall’Unione europea. Già era in una lista di sanzioni statunitensi per l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014. Cosa sta succedendo, nel mondo del gas russo?
Qualcosa, forse molto, non quadra anche nella vicenda Avayev: la pistola che l’ha colpito sarebbe una pistola automatica Stechkin, un’arma che era in dotazione al KGB fin dagli anni settanta e all’intelligence militare sovietica e russa GRU. E che, quand’anche fosse stata posseduta da Avayev, ne esporrebbe contatti piuttosto probabili con i servizi. In tutto questo, il 18 aprile è morto anche Vyacheslav Trubnikov, ex capo del servizio di intelligence estero russo e ambasciatore in India, aveva 77 anni, riporta la TASS, l’agenzia del Cremlino, ma anche qui la causa della morte è sconosciuta.
Vladimir Putin aveva detto, in un celebre discorso tv: «Non giudico quelli con ville a Miami o in Costa Azzurra. O che non possono cavarsela senza ostriche o foie gras o le cosiddette libertà di genere. Il problema è che esistono mentalmente lì, e non qui, con il nostro popolo, con la Russia». E aveva chiesto una «auto-purificazione» della Russia, e in un certo senso queste morti lo sono, auto-inflitte da se stessi o dal regime.
(da La Stampa)
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
“QUELLA PARTITA LA VINSE L’AMERICA. E’ SEMPLICE, SEMPLICISSIMO, E NON C’È NULL’ALTRO DA AGGIUNGERE A MENO DI NON VOLERE USARE PAROLE CHE GONFIANO LE GOTE MA CHE INSOZZANO LA VERITA'”
Stavo ascoltando alla tv le parole dette in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, ossia della fine della guerra civile italiana e della restituzione al nostro popolo delle libertà civili e democratiche. Ascolto, e allibisco. Sembrerebbe da quelle parole e dall’ossessiva retorica “resistenziale” di cui si fa forte l’Anpi – ossia l’associazione di cui fanno parte quelli che non erano ancora nati mentre gli italiani si ammazzavano tra loro –che la Liberazione sia avvenuta per merito della Resistenza, e uso non a caso la maiuscola perché le due parole eccome se lo strameritano.
Sono due parole sacre, solo che tra l’una (la Resistenza) e l’altra (la Liberazione) non c’è alcun nesso causale, il che ovviamente nulla toglie all’immenso valore testimoniale della Resistenza e dei suoi morti.
Per evitare equivoci, ti premetto che lo studio e la conoscenza dei fatti, degli atti e dei protagonisti della Resistenza italiana è stato uno dei nervi centrali della mia formazione morale.
Per quel che è di Roma sono stato un amico al massimo grado di Antonello Trombadori, il vicecapo dei gap romani, quello che era a Regina Coeli la mattina in cui i nazi raccattarono le vittime da destinare al macello del Fosse Ardeatine.
Ho conosciuto, profondamente conosciuto, Rosario Bentivegna, il partigiano comunista che accese la miccia della bomba di via Rasella. Ho conosciuto e ammirato Franco Ferri, il cognato di Maurizio e Marcella Ferrara, di cui i libri dicono che ci fosse anche lui a via Rasella, e invece non c’era perché quel pomeriggio era impegnato in un’altra azione.
Ho conosciuto e voluto bene a Luigi Pintor, che venne preso dai nazi, portato a via Tasso e quei bastardi gli ballarono con i piedi sul corpo. Ho bene in mente tutti gli indirizzi dei martiri della Resistenza romana, e sempre mi fermo innanzi a quelle abitazioni su cui c’è una targa con un nome e una data.
Detto questo la Resistenza romana, a cominciare dall’agguato di via Rasella, non ha cambiato di un’ora l’esito della battaglia per la conquista di Roma. Nemmeno di un’ora.
Quella battaglia la vinsero i soldati americani, inglesi, neozelandesi, quelli della Brigata ebraica (più volte bersagliati da insulti durante i cortei antifascisti del terzo millennio, di quando del fascismo non c’è più l’ombra), marocchini (ivi compreso lo stupro della “Ciociara”).
Quelli che erano sbarcati prima in Sicilia e poi ad Anzio e che ci misero dei mesi a conquistare Monte Cassino, dove arrivarono per primi i soldati polacchi e scoppiarono a piangere. Mussolini è andato giù il 25 luglio non per una qualche mossa audace dei gappisti comunisti, ma perché un bombardamento alleato aveva fatto morti a centinaia nel Quartiere San Lorenzo. E’ semplice, ma è così.
La guerra contro il nazifascismo non l’hanno vinta né quelli che andarono sulle montagne né quelli che ammazzavano più o meno a caso un tedesco o un repubblichino di passaggio nelle grandi città.
La guerra l’hanno vinta i milioni di uomini che gli Alleati mobilitarono pur di piantare gli stivali sulle spiagge della Normandia e liberare palmo a palmo l’Europa almeno fin dove erano arrivati i russi, i quali non “liberarono” nulla di nulla ma solo sostituirono un regime dittatoriale con un altro.
Quella partita spaventevole la giocarono i carri armati e i bombardieri degli Alleati, non i gap dell’eroico Giovanni Pesce che agirono prima a Torino e poi a Milano. Quella partita la giocò e la vinse il soldato Ryan, a prendere il titolo del famoso film di Steven Spielberg il cui protagonista è uno che negli Usa faceva il professore. Gli americani di soldati Ryan ne mandarono a milioni contro le mitragliatrici e i cannoni manovrati dal più agguerrito esercito al mondo, quello tedesco.
Quella partita la vinse l’America, per dire del Paese contro il quale il mio amico Massimo Fini scaraventa carrettate di sterco tutte le volte che può. Ossia un giorno sì e un giorno no. E’ semplice, semplicissimo, e non c’è null’altro da aggiungere a meno di non volere usare parole che gonfiano le gote ma che insozzano la verità delle tragedie del Novecento.
Giampiero Mughini
(da Dagospia)
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
ANDATE A COMBATTERE PER PUTIN SE AVETE I COGLIONI
“Il nemico è in casa nostra, sta al governo”, “Letta e Draghi servi della Nato”: sono alcuni degli slogan gridati all’indirizzo del blocco facente capo alla sezione milanese del Partito democratico scesa in piazza dietro un enorme striscione per celebrare il 25 Aprile. Gruppi di militanti Carc (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo) hanno contestato duramente il segretario dem Enrico Letta: “Letta, attento, ancora fischia il vento”, “DePdnizziamo la nazione”, “L’antifascismo è solo popolare, fuori il Pd dal 25 Aprile” gli altri cori intonati.
Nel mirino la decisione del partito di seguire gli Stati Uniti nel piano di armamento dell’Ucraina di fronte all’invasione russa.
“Questa è casa nostra, la Costituzione è casa nostra, l’antifascismo è casa nostra. E anche la solidarietà al popolo ucraino è casa nostra”, ha detto il segretario dem in risposta alle contestazioni.
E sulla polemica riguardo la Nato: “Credo sia stata superata. Oggi conta, l’unità e il fatto di essere tutti insieme. Questa è la cosa più importante”.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
L’ANZIANA ANTIFASCISTA GLI RISPONDE A TONO: “QUANDO QUALCUNO MI AGGREDISCE DEVO POTERMI DIFENDERE”
Collegato dalla manifestazione di Roma per il 25 Aprile con lo studio di L’Aria che Tira, il vignettista Vauro critica il presidente della Repubblica per le parole sulla resistenza come “coraggio di combattere” e non “vigliaccheria di arrendersi”.
“Per me il presidente Mattarella non è più il garante della Costituzione”, dice, additandolo per non essersi opposto all’invio di armi in Ucraina. Vauro, che ieri con una vignetta aveva fatto notare come dal suo punto di vista in Ucraina non sia più possibile distinguere aggredito ed aggressore, fa riferimento all’articolo 11 della nostra Costituzione il quale afferma che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Parole alle quali si sono opposti in primis la conduttrice Myrta Merlino, che ha allargato le braccia, poi il suo ospite Gennaro Migliore di Italia Viva che ha commentato “Ci mancava solo questa”, e in ultimo una donna, presente anche lei in piazza accanto a Vauro, che ha iniziato a ribattere: “Ma cosa dici”.
La signora, che indossava una maglietta con scritto “ostinatamente antifascista”, ha risposto a Vauro che le ha chiesto: “Lei forse non ha sentito le dichiarazioni di Mattarella, è d’accordo a inviare armi?”. “Sì – ha detto la donna – perché quando qualcuno mi aggredisce devo potermi difendere. Scusa Vauro ma non sono d’accordo. Non è possibile accettare una cosa del genere”.
(da NextQuotidiano)
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Aprile 25th, 2022 Riccardo Fucile
LO SFOTTO’: “DICEVI?”
Quando Piero Fassino si era lanciato in un endorsement di Emmanuel Macron per le presidenziali in Francia, in molti tra i sostenitori di Marine Le Pen ci avevano sperato: l’ex sindaco di Torino è famoso per sbagliare spesso le sue previsioni, così il leghista Claudio Borghi – nel rilanciare il tweet del dem in favore del presidente francese – aveva commentato “ATTENZIONE”.
Alla fine, però, è andata male per i sovranisti: Macron ha vinto con il 58,5% dei voti sulla sfidante del Rassemblement National e siederà all’Eliseo per altri 5 anni. Quale momento migliore quindi per Fassino per andare a stuzzicare l’avversario politico. “Dicevi?”, ha scritto oggi, riprendendo il tweet datato 11 aprile del leghista.
“La prossima volta più impegno”, la replica di Borghi, che oggi viene deriso sui social anche per un altro Tweet, risalente a diversi anni fa, nel quale lui stesso lodava Salvini per alcune previsioni rivelatesi ad oggi tutte disastrose. “Ai fessi che prendono in giro Salvini – scriveva nel novembre del 2016 – ricordo che lui con largo anticipo ha puntato su Putin, Trump e Le Pen”.
Nell’ordine, uno ha riportato la guerra in Europa ed è il principale responsabile di indicibili crimini di guerra in Ucraina, il secondo è scomparso nell’anonimato dopo aver blaterato di brogli elettorali e aver messo in atto il più difficile passaggio di consegne della storia americana, e la terza esce per l’ennesima volta sconfitta alle presidenziali nonostante il cambio di look al partito (da Front National a Rassemblement National). Resta da chiedersi chi porti effettivamente più sfortuna tra Fassino e Salvini.
(da NextQuotidiano)
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