Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
UN AGENTE DEI SERVIZI RUSSI, CUI ERA STATO ORDINATO DI PROCURARE 3 SIM TELEFONICHE DA PIAZZARE TRA LE ARMI DEGLI “ATTENTATORI UCRAINI”, HA PORTATO TRE VIDEOGIOCHI CHE SI CHIAMANO THE SIMS… RIDE TUTTO IL MONDO
Da giorni in Russia era iniziata a circolare una strana narrazione attorno alle sorti di Vladimir Solovyev, noto giornalista e presentatore russo molto vicino al Vladimir Putin. .
Alcuni media (con vasta cassa di risonanza sui social) avevano parlato di omicidio avvenuto, altri avevano solamente sollevato l’ipotesi di un attentato omicida nei suoi confronti in procinto di essere compiuto.
E secondo quando riportato ufficialmente dai servizi segreti russi, la seconda ipotesi era reale.
Per questo, in gran segreto, avrebbero compiuto un’operazione per individuare la banda criminale (ovviamente ucraina, secondo questa narrazione) che avrebbe voluto uccidere il giornalista su indicazione di Kyiv.
Poi, il 24 aprile, ecco trapelare la notizia dell’arresto di tutti i componenti di quella banda. Con tanto di pubblicazione degli oggetti trovati all’interno dell’appartamento in cui si stava pianificando il presunto attentato.
E lì, come mostrano le immagini, sono stati trovati: un’immagine di Adolf Hitler, otto bottiglie molotov, sei pistole Makarov, un fucile a canna mozza, una granata, della droga, una copia del Mein Kampf, una bandiera nazista, alcune parrucche e una serie di falsi passaporti ucraini. Poi, a sorpresa, tre copie del famoso videogioco per pc “The Sims“.
Ed è proprio la presenza di quel videogioco ad aver insospettito e ad aver alimentato la versione della messinscena organizzata dai russi per parlare di questo presunto attentato mai avvenuta nei confronti del giornalista Vladimir Solovyev.
Non tanto per la presenza dei tre videogiochi, ma sulla necessita di mostrali al mondo come oggetti fondamentali e incriminatori. In queste occasioni, infatti, quando si trova un rifugio-covo di criminali o gruppi sovversivi, le fotografie vengono scattate solamente a elementi che saranno fondamentali anche in caso di indagini. Insomma, elementi probatori ai fini dell’accusa.
Cosa c’entrano, dunque, le tre copie di The Sims?
Eliot Higgins di Bellingcat,risponde a tutti questi dubbi: «Credo sinceramente che questo sia uno tonto ufficiale dell’FSB a cui è stato detto di prendere 3 SIM».
In pratica, dunque, l’accusa è quella della messinscena per realizzare una “scena criminis” (non compiuto) mettendo in quella stanza una serie di elementi per accusare quel presunto gruppo ucraino che avrebbe voluto uccidere (forse) Vladimir Solovyev di essere nazisti.
E lì sarebbe arrivato l’errore: 3 copie di The Sims al posto di 3 SIM telefoniche.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
HANNO FATTO IRRUZIONE NELLA CASA DI PIANELLO DEL LARIO E HANNO COLORATO LA PISCINA DI ROSSO, SPORCATO I MURI E SCRITTO “KILLER”
Lui, Vladimir Solovyov, 58enne amico intimo di Putin il quale in queste ore ha raccontato di un molto presunto tentativo sventato di uccidere il presentatore televisivo, non s’è più visto: a Solovyov hanno ritirato il visto, non può entrare in Italia e a maggior ragione accedere alla zona del lago di Como dove ha (aveva) tre ville, sequestrate nell’ambito delle sanzioni economiche contro la Russia.
Ma non c’è al momento traccia nemmeno delle due persone che a inizio aprile hanno pianificato ed eseguito gli attacchi contro altrettante dimore dell’oligarca, a Menaggio e Pianello del Lario, dimore divenute peraltro mete, nell’ambito della degenerazione social che tutto tramuta in selfie, di visite appunto per scattarsi foto dinanzi agli immobili nei weekend. A quale pro, al solito, non si sa.
Ma proseguiamo sulle cose serie: le indagini dei carabinieri sono concentrate non tanto sui filmati delle telecamere pubbliche e private, che hanno fornito scarsi contributi, quanto sul traffico telefonico. Dunque le celle agganciate da eventuali apparecchi e le eventuali comunicazioni intercorse dagli aggressori, i quali a Menaggio cercarono di appiccare il fuoco al tetto e a Pianello del Lario imbrattarono i muri di scritte «No war» e «Killer» con vernice rossa, la stessa utilizzata per colorare la piscina di Solovyov (per acquistare le ville ha speso in tutto sei milioni e mezzo di euro).
Come già raccontato dal Corriere, l’analisi grafologica di quelle scritte aveva spinto gli investigatori, coordinati dalla Procura di Como, a propendere per una mano abituata al cirillico.
Se pare esclusa un’azione di gente locale, venne comunque da subito non contemplata una pista italiana. Al contempo, gli accertamenti congiunti del Nucleo informativo dei carabinieri di Como e del Ros di Milano hanno prospettato una duplice offensiva sì, ma dimostrativa. Nel senso che, considerata l’ora (l’alba se non il cuore della notte) e considerata la geografia degli obiettivi (specie a Menaggio, la magione è in un’area appartata, priva di traffico, composta da proprietà private intervallate da boschi), abbondava un certo margine per qualsiasi gesto.
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
INTORNO A 6.000 ARMI NUCLEARI PER ENTRAMBI
Il Trattato di Non-proliferazione nucleare dell’Onu, entrato in vigore nel 1970, prevede il disarmo per i Paesi nucleari e la rinuncia a sviluppare armi atomiche per gli altri. Lo firmano subito Usa, Urss e Gran Bretagna. Nel 1985 la Corea del Nord (che nel 2003 si ritira) e, nel 1992, Francia e Cina.
Gli unici Paesi al mondo che non hanno mai aderito sono Israele, India e Pakistan. L’8 aprile del 2010 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e quello della Federazione Russa, Dmitrij Medvedev, firmano il New Start, ancora in vigore, che prevede da ambedue le parti un massimo di 1.550 tra bombe e testate nucleari. Ma qual è oggi la situazione reale degli arsenali atomici?
La spesa per il nucleare
La Russia, con 6.370 armi nucleari (fra missili e bombe), detiene il pericoloso primato mondiale. Mosca nel 2019 ha speso 8,5 miliardi di dollari, mezzo miliardo in più rispetto al 2018. Le stime sono dell’Ican, l’istituto con sede a Ginevra che gestisce la campagna internazionale contro le armi atomiche e che nel 2017 ha ricevuto il Nobel per la Pace. Gli Usa ne possiedono meno: 5.800 secondo il censimento dell’Ican, e 3.750 secondo la Nnsa, National Nuclear Security Administration.
Di queste circa un centinaio sono dislocate in cinque Paesi europei della Nato: principalmente in Germania, ma anche in Italia nelle due basi aeree di Aviano e di Ghedi (la stima è di 40 B61). Anche nel caso degli Stati Uniti la cifra prevista per curare gli armamenti atomici è cresciuta nel 2019 rispetto al 2018 di ben 5,8 miliardi di dollari, per una spesa totale di 35,4 miliardi.
Hanno incrementato la spesa anche l’India per 200 milioni di dollari (totale 2,3 miliardi), la Francia per 400 (arrivando così a 4,8 miliardi) e la Cina per 400 milioni (totale 10,4 miliardi). Ma è probabile che Pechino stia pensando di aumentare in modo significativo il proprio impegno nel nucleare militare: una serie di foto satellitari in questi giorni ha mostrato il completamento di 119 silos nella zona di Yumen (a nord di Pechino), che hanno tutte le caratteristiche per essere usati come siti per il lancio di missili nucleari.
Nel 2019 non hanno invece aumentato la spesa Gran Bretagna (ferma a 8,9 miliardi), Israele (1 miliardo), Corea del Nord (0,6), mentre il Pakistan è sceso da 1,2 miliardi a 1 miliardo.
Sette miliardi in più all’anno
Nel corso del 2019, dunque ben prima dell’invasione da parte della Russia in Ucraina, il club degli Stati con armamenti atomici ha stanziato 7,1 miliardi in più rispetto al 2018, portando la spesa totale a 72,9 miliardi.
E di dollari per mantenere un equilibrio basato sulla deterrenza durante la Guerra Fredda ne sono stati spesi tanti: la stima complessiva è di un costo di 5.800 miliardi dalla fine della Seconda Guerra mondiale al disfacimento dell’Unione sovietica.
Circa 145 miliardi l’anno, cioè il doppio di quanto si spende oggi. La Guerra Fredda però è finita 30 anni fa, e il Trattato Onu ha effettivamente portato a smantellare la maggior parte degli armamenti atomici (solo gli Usa nel 1967 possedevano 31.255 tra bombe e missili). Allora perché la spesa è ancora così alta? E soprattutto come mai, a una quasi parità di numero di armi, corrisponde questa enorme differenza di spesa tra Russia e Stati Uniti?
Perché gli Usa spendono di più
Va prima di tutto sottolineato come il budget e la spesa ufficiale degli Usa sia maggiormente riscontrabile nei documenti ufficiali, laddove la Russia considera l’argomento top secret. Ma la vera differenza è che la gran parte degli investimenti americani serve per bonificare i siti radioattivi e smantellare gli arsenali, e non solo in casa propria.
In un documento presentato al Congresso nel mese di marzo 2022 si legge, per esempio, che «la richiesta per l’esercizio 2023 include 7,6 miliardi di dollari per ripulire milioni di tonnellate di combustibile nucleare esaurito e materiali nucleari, smaltimento di rifiuti transuranici e misti/di bassa attività, enormi quantità di rifiuti contaminati tra suolo e acqua, e la disattivazione di migliaia di strutture in eccesso. Questo programma di bonifica ambientale coinvolge alcuni dei materiali più pericolosi conosciuti dall’umanità. Ad oggi, il Dipartimento dell’Energia tramite la Nnsa ha completato le attività in 92 siti in 30 Stati e nel Commonwealth di Porto Rico, ed è responsabile della pulizia dei restanti 15 siti in 11 Stati». In particolare, si aggiunge, 612 milioni verranno usati «per le attività di bonifica presso il sito di Oak Ridge». Un nome che conta: è il luogo dove durante il conflitto mondiale il Premio Nobel Enrico Fermi costruì la prima centrifuga atomica.
I depositi russi costruiti dagli Usa
Dunque se costruire armi atomiche è costato migliaia di miliardi, ripulire il mondo dai loro rifiuti non è gratis. Dopo il disfacimento dell’Urss nel 1991, gli Usa si sono fatti carico dello smantellamento dei depositi ubicati nei Paesi satelliti dell’ex Unione. E non per generosità. Si temeva che materiali fissili, testate e bombe potessero finire in un «bazar atomico» (definizione dell’esperto William Langewiesche). Per evitare la vendita sul mercato nero la stessa Nnsa ha speso miliardi all’anno. L’Ucraina era la terza potenza mondiale per numero di armi atomiche. Ci rinunciò totalmente a partire dalla metà degli anni Novanta in cambio di una piena sovranità territoriale. Se non fosse avvenuto oggi saremmo di fronte a una guerra tra due superpotenze nucleari. L’America ha aiutato direttamente anche la Russia a mantenere in condizioni di sicurezza la propria Santa Barbara atomica.
Secondo Langewiesche in alcuni anni ha speso 1,7 miliardi. Nella sola città di Ozërsk, una delle tante città segrete sovietiche dove si costruivano e mantenevano armamentari nucleari, gli Stati Uniti hanno investito 350 milioni per costruire il Plutonium Palace, un deposito sicuro per conservare il 40 per cento del plutonio russo. Si ipotizza che sia rimasto vuoto. Putin ha preferito lasciarlo nelle testate atomiche piuttosto che in un magazzino isolato.
Il riarmo è partito nel 2011
Gli aiuti si interrompono nel 2014 con l’annessione della Crimea da parte della Russia. Ma la corsa al riarmo nucleare in realtà era già partita. La stessa amministrazione Obama nel 2012 aveva chiesto 10 miliardi di dollari l’anno per 10 anni per accrescere il «sistema difensivo atomico». Sempre l’amministrazione Obama aveva aggiunto altri 14 missili per intercettare testate nucleari a Fort Greely. I nemici allora si chiamavano Iran e Corea del Nord, ma è chiaro, come ha riconosciuto in questi giorni anche l’ex presidente Bill Clinton, che gli Usa avevano iniziato a diffidare anche della Russia. A sua volta l’amministrazione Trump ha avviato il processo di aggiunta di altri 20 missili con tecnologia aggiornata e il primo dovrebbe essere schierato entro il 2028.
La Russia da parte sua, già nel programma 2011-2020, aveva avviato una «considerevole modernizzazione del proprio armamentario nucleare» come scriveva in un report il Sipri (Stockholm International Peace Report Institute). Inoltre nel 2018 è stato avviato un nuovo programma di armamenti che sarà completato per il 2027. Dunque, i segnali di un nuovo consolidamento dei due poli nucleari non sono nuovi, ma ce ne stiamo accorgendo adesso. Forse il lockdown mondiale, con due anni concentrati solo sulla pandemia, ha steso quella cortina di silenzio utile a creare le condizioni per una escalation. Sembrava impossibile. Ma i numeri purtroppo parlano chiaro.
(da Il Corriere della Sera)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
HA FATTO BENE, E’ LEGITTIMA DIFESA IN ASSENZA DELLO STATO
Per mesi è stato aggredito dai bulli, preso in giro, malmenato davanti agli amici che, spaventati, hanno iniziato a non uscire più insieme a lui. Nonostante i genitori avessero sporto denuncia, insulti e scherzi di cattivo gusto sono proseguiti. Dopo l’ennesimo episodio di violenza, un ragazzino di 16 anni ha deciso di farsi giustizia da solo: ha reagito e ha accoltellato tre dei suoi aggressori, adolescenti come lui.
È successo in provincia di Firenze nel luglio del 2020. Ora, il sedicenne rischia di finire a processo davanti al Tribunale dei minori insieme ai ragazzini che lo avevano preso di mira. Sono accusati di rissa e l’udienza preliminare a loro carico sarà in settembre davanti al gup del capoluogo toscano.
Nel capo di imputazione si legge che i ragazzini hanno preso parte a una «contesa violenta con offese incrociate all’altrui incolumità». I tre bulli, secondo il pm, sono stati accoltellati dal sedicenne che ha dichiarato di avere reagito alle provocazioni. Lui si è giustificato dicendo di non avere utilizzato un’arma – che non è stata trovata -, ma di essersi difeso dall’aggressione con una chiave affilata. Circostanza che, ora, dovrà essere chiarita in aula. Il giudice, comunque, ha dato agli imputati la possibilità di risolvere la questione con un accordo conciliativo tra le parti.
Ma ecco i fatti. I genitori del ragazzino hanno ripercorso l’escalation di prese in giro e insulti nelle denunce. Hanno raccontato che l’8 luglio 2020, vicino a una pizzeria, il ragazzino era stato accerchiato dai bulli. Erano in 7 e non era la prima volta che lo prendevano di mira. In quell’occasione era stato sfidato a fare a botte, ma lui aveva risposto di non volere problemi. «Se ti tiro un pugno ti stendo e ti lascio qui per terra», gli avrebbe detto il capobanda. Il 14 luglio, pochi giorni prima, il sedicenne era stato aggredito mentre era con un amico.
Era stato accerchiato e, intorno al gruppo, si era anche formato un capannello di coetanei. Uno dei bulli gli aveva tirato degli schiaffi in faccia per provocarlo e, visto che non reagiva, lo aveva spinto a terra facendolo cadere dalla bicicletta. Il ragazzino era stato minacciato, gli era stato detto che non poteva frequentare quel quartiere e che, se lo avessero trovato ancora lì, gli avrebbero «spaccato la faccia». Una situazione che, hanno sottolineato i genitori nell’ultima denuncia, aveva provocato al ragazzino un forte stato di ansia: il sedicenne, intimorito, aveva smesso di frequentare determinati luoghi per timore di incontrare i bulli.
Aveva anche paura ad uscire di casa la sera e diversi amici avevano smesso di frequentarlo per timore di venire coinvolti nelle aggressioni. Il 16 luglio i genitori, dopo varie segnalazioni, erano andati dai Carabinieri. Era stato detto loro che erano stati segnalati altri casi di bullismo simili. Il giorno successivo, erano tornati dai militari depositando una serie di messaggi inviati al ragazzino tramite WhatsApp.
Ecco poi il racconto della sera della rissa. Era il 18 luglio 2020. Dall’ultima denuncia dei genitori emerge che il ragazzino è stato nuovamente circondato mentre era insieme a un amico. Uno dei bulli ha danneggiato la bici del sedicenne, rompendo una lucina e sgonfiando la ruota posteriore per impedirgli di andarsene. È poi stato colpito con un pugno e con un calcio. Vedendolo scappare, uno degli imputati lo ha inseguito, gli si è gettato addosso e lo ha fatto cadere. A questo punto il sedicenne – a suo dire – si sarebbe difeso colpendo gli altri componenti del gruppo.
Ad assistere il ragazzino è l’avvocato Eugenio Pini, legale del Centro Nazionale Contro il Bullismo – Bulli Stop, presieduto dalla professoressa Giovanna Pini. «È una vicenda triste, dei ragazzi così giovani potrebbero improntare la loro esistenza sull’amicizia e sul rispetto reciproco, anziché sulla sopraffazione. Ho molto apprezzato l’acutezza del giudice, che ha indirizzato le parti, a prescindere dall’esito processuale, verso un tentativo di conciliazione».
(da il Messaggero)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
E NON C’ENTRA (SOLO) LA PANDEMIA: DAL 2012 L’OCCUPAZIONE È CRESCIUTA SEMPRE MOLTO PIÙ LENTAMENTE RISPETTO ALLA MEDIA. L’AUMENTO È STATO DI 2,1 PUNTI, CONTRO LA MEDIA UE DI 6,1
Nel 2021 il tasso di occupazione medio in Ue ha recuperato sul 2019 arrivando al 68,4% (rispetto al 68,1%) ma lo stesso andamento non si registra in Italia che rispetto al periodo pre pandemia resta indietro di 0,8 punti (dal 59% al 58,2%). Lo rileva Eurostat. Il recupero nel 2021 in Italia è stato di 0,7 punti sul 2020 (dal 57,5% al 58,2%) a fronte di 1,4 punti nella media Ue. (dal 67% al 68,4%).
L’Italia ha il tasso di occupazione più basso in Europa dopo la Grecia che però nel 2021 ha recuperato 1,1 punti sul 2019. Le difficoltà occupazionali nel nostro Paese non sono legate solo alla pandemia. L’occupazione dal 2012 in Italia è cresciuta ma molto più lentamente rispetto alla media europea. Se in Italia si è passati da un tasso di occupazione del 56,1% nel 2012 al 58,2% nel 2021 con un aumento di 2,1 punti nello stesso periodo nella media Ue il tasso di occupazione è cresciuto di 6,2 punti.
In Francia si è passati da un tasso del 64,4% a uno del 67,2% con una crescita di 2,8 punti ma in Germania la crescita è stata di 3,8 punti (dal 72% al 75,8%) e in Grecia, unico Paese nel 2021 con un tasso di occupazione inferiore a quello italiano si è registrata una crescita di 6,8 punti dal 2012 (dal 50,4% al 57,2%).
In Spagna il tasso di occupazione è passato dal 55,8% del 2012 al 62,7% con una crescita di 6,9 punti. E’ aumentato sostanzialmente in linea con l’Europa il tasso di occupazione tra i 55 e i 64 anni. grazie soprattutto alla riforma delle pensioni e all’aumento dell’occupazione femminile.
Tra il 2012 e il 2021 il tasso di occupazione della fascia di lavoratori più anziana è passato dal 39,9% al 53,4% con un aumento di 13,5 punti. Nello stesso periodo nella media Ue il tasso è passato dal 46,6% al 60,5% con un aumento di 13,9 punti. La crescita per le donne è stata dal 30,6% al 44% (+13,4 punti) a fronte del passaggio dal 39,7% al 54.3% per la media Ue (+14,6 punti).
Peggiora il divario con la media dell’Unione europea per l’occupazione delle donne in Italia: nel 2021 – rileva l’Eurostat – erano occupate il 49,4% delle donne tra i 15 e i 64 anni a fronte del 63,4% della media Ue con un divario di 14 punti. Nel 2019 il divario era di 12,7 punti (62,9 la media europea. 50,2 quella italiana) mentre nel 2020 era di 13,6 punti (62% in Ue, 48,4% in Italia). Il tasso di occupazione in Italia nel 2021 era il peggiore in Ue dopo la Grecia (48,2% in recupero sia sul 2019 che sul 2020). In Germania nel 2021 erano occupate il 72,2% delle donne tra i 15 e i 64 anni.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
IL METODO PER L’ANNESSIONE È SEMPRE LO STESSO (COME ACCADUTO CON LA CRIMEA NEL 2014): CONQUISTA MILITARE, SOSTITUZIONE DELLE AUTORITÀ UCRAINE CON UN’AMMINISTRAZIONE RUSSA IMPOSTA DALL’ALTO, POI UN REFERENDUM FARSA
Da Mariupol a Vladivostok, sola andata, inganno compreso nel biglietto. Dalla città martire sul mar d’Azov al remotissimo porto russo affacciato sul mar del Giappone, sette fusi orari più a Est.
Se n’è già parlato sul Giornale in questi giorni di questa incredibile deportazione di oltre 300 civili ucraini, ma è arrivato il momento di superare l’aspetto emotivo e l’incredulità: perché qui non si sta parlando di «strani» episodi in cui le persone vengono trasferite in Russia contro la loro volontà, ma di una strategia precisa di Vladimir Putin per trasformare intere province dell’Ucraina conquistata in parti integranti dell’impero russo.
Una strategia che somiglia maledettamente a quella adottata negli anni Novanta in Jugoslavia dall’allora leader serbo Slobodan Milosevic, e che aveva il nome di pulizia etnica. Quella definizione asettica nascondeva un livello di violenza estremo, che fu applicato in molte località della Bosnia-Erzegovina e che raggiunse il suo tragico apice nella strage di Srebrenica del luglio 1995 in cui morirono oltre ottomila civili inermi che avevano il torto di appartenere all’etnia sbagliata. Il disegno finale di Milosevic era quello di sradicare – sterminandoli o trasferendoli a forza i cosiddetti bosgnacchi (musulmani per lo più di origini turche) dalle regioni in cui vivevano per far diventare quelle aree etnicamente omogenee, ovvero solo serbe.
Era in fondo la stessa visione razzista di Adolf Hitler in versione balcanica: eliminare le «razze inferiori» e ripopolare i territori in cui vivevano con lo Herrenvolk, il popolo padrone. Questa visione piace molto anche a Putin, che ha già stabilito – lo ha messo per iscritto in un suo inquietante saggio storico dell’estate scorsa – che gli ucraini non hanno nemmeno il diritto di considerarsi un popolo: a suo indiscutibile avviso, essi sono soltanto dei «piccoli russi», sorta di cugini minori del grande popolo russo, e il loro Paese nient’ altro che una creazione arbitraria dei nemici di questo grande popolo, che ha tutto il diritto di riprendersi con la forza ciò che è suo.
Gli ucraini non sono affatto d’accordo, com’ è noto, tanto che presto, simbolicamente, a Kiev verrà smantellato un monumento di epoca sovietica che celebra «la cosiddetta amicizia russo-ucraina», come ha detto il sindaco Vitali Klitschko. Non è tempo di compromessi, nemmeno la strategia di Putin la prevede. Il suo obiettivo è semmai la conquista della più ampia porzione possibile di territorio ucraino (meglio se tutto, ma al momento pare impossibile) per annetterlo alla Grande Russia: come già fatto, del resto, nel 2014 con la Crimea.
Il meccanismo è molto simile: conquista militare, sostituzione delle autorità ucraine regolarmente elette con un’amministrazione russa imposta dall’alto, successivo referendum farsa in cui la popolazione non può decidere tra Russia e Ucraina, ma solo tra diverse modalità di assorbimento nella Federazione russa. È il destino che attende i territori già conquistati dopo lo scorso 24 febbraio: parte delle province di Donetsk e Lugansk (Mariupol inclusa), costa del mar d’Azov, province di Melitopol e Kherson. Un destino che nella visione di Putin è definitivo e irreversibile.
E alla popolazione locale cosa succederà? Tutto previsto.
Dopo i referendum, diventano di fatto cittadini russi. A quel punto, cominciano le pressioni perché si dimostrino patrioti, preferibilmente arruolandosi da «volontari» nelle milizie che combattono contro i «nazisti», cioè l’esercito regolare ucraino. Chi non gradisce, e magari chiede di andarsene, può finire giustiziato o spedito in remote province della Russia per la necessaria rieducazione. Questi irriducibili nazionalisti di un popolo che non deve esistere verranno in seguito rimpiazzati da russi veri, fatti venire per trasformare quelle terre nella Nuova Russia di zarista memoria.
Pulizia etnica. Lo hanno fatto Milosevic in Bosnia, Tito in Istria e Dalmazia, Hitler nel Lebensraum tedesco dell’Europa orientale. Lo farà anche Putin in Ucraina. Lo sta già facendo, mentre noi pensiamo ai condizionatori
(da Il Giornale)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
IN GERMANIA IL SUMMIT DEI MINISTRI DELLA DIFESA DI 40 STATI
Si è aperto nella mattina di oggi, 26 aprile, il vertice straordinario per l’Ucraina nella base statunitense di Ramstein, in Germania.
Su invito degli Stati Uniti si incontrano i ministri della Difesa di 40 Paesi, tra cui l’ucraino Oleksiy Reznikov. «L’urgenza della situazione è nota a tutti. E noi possiamo fare di più», ha detto in apertura di summit il segretario della Difesa statunitense Lloyd Austin. §«Oggi siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la battaglia contro la Russia. La battaglia di Kiev entrerà nei libri di storia. Ma ora la situazione sul campo è cambiata, con l’offensiva nel sud e nel Donbass, e dobbiamo capire di cosa ha bisogno l’Ucraina per combattere».
Sul tavolo del vertice odierno anche la decisione della Germania di inviare carri armati Gepard per la difesa anti-aerea. Si tratta di una svolta nella politica tedesca finora all’insegna della prudenza.
Nel corso del vertice di Ramstein la ministra della Difesa, Christine Lambrecht, ha detto: «Lavoriamo insieme ai nostri amici americani nell’addestramento di truppe ucraine ai sistemi di artiglieria su suolo tedesco. Sappiamo tutti che in questo conflitto l’artiglieria è un fattore essenziale».
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
DA DIVERSE SETTIMANE NON SI SVOLGONO PIÙ RIUNIONI DEL GRUPPO DI VISEGRAD, CHE RIUNISCE POLONIA, UNGHERIA, REPUBBLICA CECA E SLOVACCHIA, A CAUSA DELLE PROFONDE DIFFERENZE SULLA QUESTIONE DELLE CONSEGNE DI ARMI A KIEV
L’ungherese Viktor Orban – leggiamo su Le Monde – sperava che una vittoria di Marine Le Pen gli avrebbe permesso di rifondare una destra europea sovranista.
Andando a inaugurare la Fiera della formazione professionale ungherese a Budapest lunedì 25 aprile, Viktor Orban non ha avuto tempo di commentare i risultati delle elezioni francesi, dove la sua alleata Marine Le Pen ha subito una sconfitta alle urne il giorno prima. “Le forze nazionali hanno vinto le elezioni parlamentari tre settimane fa con un sostegno senza precedenti”, si è vantato il primo ministro nazionalista, ma questo riguardava la sua rielezione schiacciante del 3 aprile. Eppure quasi tutti i capi di stato e di governo europei, compresi i suoi alleati polacchi, si sono congratulati con Macron domenica sera.
Questo silenzio non è una sorpresa. Macron ha usato il sovranista ungherese come uno spaventapasseri durante tutta la campagna e non si è ancora congratulato con Orban per la sua rielezione. Ma, soprattutto, la sconfitta di Marine Le Pen vanifica tutti i piani di rimodellamento della destra e le speranze di sconvolgere l’Unione Europea che il capo del governo ungherese condivideva con i suoi alleati ultraconservatori al potere a Varsavia.
“Il campo sovranista è diventato una forza con cui fare i conti nella politica europea, e anche noi vogliamo vedere un’Europa di stati nazionali”, ha auspicato Orban durante la visita di Le Pen a Budapest in ottobre. Una banca ungherese in parte di proprietà del suo amico d’infanzia, MKB, ha successivamente finanziato la campagna del candidato di estrema destra.
Senza Marine Le Pen all’Eliseo, queste speranze sembrano ora piuttosto vane. Questo fallimento arriva in un contesto diplomatico complicato per il signor Orban, che è sempre più isolato all’interno dell’Europa centrale, dove sogna di essere il leader principale.
Domenica, il suo alleato sloveno, il primo ministro ultraconservatore Janez Jansa, ha anche subito una grave sconfitta nelle elezioni legislative tenutesi in questo piccolo paese balcanico, nonostante abbia fatto una campagna con l’aperto sostegno finanziario dell’Ungheria. “Sia Le Pen che Jansa non erano chiaramente un buon investimento politico”, ha deriso lunedì mattina la testata conservatrice Valasz Online.
In ottobre, il primo ministro populista ceco Andrej Babis ha subito lo stesso destino dopo aver mostrato la sua vicinanza a Orban. E le relazioni con la Polonia sono al minimo dopo il conflitto in Ucraina, sul quale l’Ungheria ha mantenuto una posizione ambigua e distante rispetto a Kiev. Da diverse settimane non si svolgono più riunioni del gruppo di Visegrad, che riunisce Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, a causa delle profonde differenze sulla questione delle consegne di armi a Kiev, rifiutate categoricamente dall’Ungheria. Di conseguenza, dalla sua rielezione, Orban ha fatto finora uno e un solo viaggio all’estero. È stato in Vaticano, dove ha incontrato il Papa, e poi il leader dell’estrema destra italiana Matteo Salvini, lui stesso in piena crisi politica.
Da parte polacca, le congratulazioni formali rivolte a Emmanuel Macron hanno avuto difficoltà a nascondere un certo imbarazzo di fronte a un presidente rieletto che ha regolarmente preso di mira il paese durante il suo mandato quinquennale, e che è molto distante in termini di valori. “Ogni elezione è una celebrazione della democrazia. Anche dopo la più calda delle campagne arriva il tempo del lavoro noioso”, ha commentato il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Questo era un riferimento poco velato al suo violento scontro con il capo di stato francese nella settimana prima del primo turno.
Attaccato sui suoi tentativi di dialogo con Vladimir Putin, il signor Macron aveva accusato il capo del governo polacco di sostenere la signora Le Pen, dopo che era stata ricevuta con gli onori a Varsavia nel dicembre 2021, nell’ambito del vertice dei partiti europei sovranisti e di estrema destra. “La Polonia e la Francia hanno molte sfide e interessi comuni. Il lavoro è davanti a noi. Il futuro dell’Europa è nelle nostre mani. Congratulazioni per [questa] vittoria”, ha concluso freddamente Morawiecki.
“Grazie alla vostra vittoria, ci sarà più Europa in Europa”, ha entusiasmato il leader del principale partito liberale di opposizione, l’ex primo ministro e presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. “E presto arriverà il giorno in cui avremo Parigi a Varsavia”. Un riferimento al vecchio slogan del suo nemico Jaroslaw Kaczynski, l’uomo forte del partito ultraconservatore PiS, che ha sempre sostenuto di voler fare “Budapest a Varsavia”.
( da Le Monde)
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Aprile 26th, 2022 Riccardo Fucile
TRA I CIMELI DI GIORGIO ALMIRANTE
«Ma perché signor Fini ha fatto viaggio a Israele? Perché?». Le prime vittime della storica visita a Gerusalemme dell’allora capo della destra italiana (quella del fascismo male assoluto, frase in realtà mai pronunciata) erano Lal e Tusita, i filippini di casa Almirante.
Il loro compito era filtrare i militanti indignati che chiedevano lumi e aiuto a lei, la vedova di Giorgio. «Donna Assunta, qui sotto casa c’è un altro che vuole restituire la tessera di An». «Mettetela con le altre. Poi le portiamo in cantina». «Donna Assunta , ancora telefono». «Vi ho detto che ci sono soltanto per Alessandra». «Donna Assunta, è Alessandra Mussolini». «Alessa’!». «Donna Assu’!».
Seguì telefonata quasi altrettanto storica: la nipote del Duce e la moglie di Almirante si dissero che An era finita, e bisognava rifondare la destra italiana, magari già con una lista alle Europee. Donna Assunta, che la candidatura l’aveva sempre rifiutata, quella volta ci stava pensando: «Ma secondo lei, un italiano di destra per chi dovrebbe votare? Per Mussolini, o per Gustavo Selva? Per Almirante, o per Publio Fiori?». Non si trattava di fondare un nuovo partito. Bastava riprendersi il vecchio.
«Guardi – spiegava donna Assunta – tutti parlano della svolta di Fiuggi . Ma che è successo a Fiuggi? La Destra Nazionale di mio marito è diventata Alleanza Nazionale. Sai la novità. Stessi dirigenti. Stessa sede. Stesso simbolo. Fini vuole andare oltre? Fare il partito unico del centrodestra? Benissimo! Vada! Però ceda la fiamma. A noi».
Lei ne parlava come di un figlio perduto. «Io non so cosa gli sia successo, in Israele. L’ha visto? Sembrava drogato. Narcotizzato. Un bambino agli esami. Uno studente punito. Tutto tirato, in quel cappottino. Pareva un attore. Io a Gerusalemme ci sono stata, al Muro del Pianto mi sono commossa, però insomma anche ad Assisi, che ci sono pure Giotto e la cripta di San Francesco. Lui invece. Qualunque cosa gli avessero chiesto, purché portassero la kippah in testa, gli avrebbe detto di sì. Avrebbe rinnegato non solo i morti di Salò, non solo Mussolini, avrebbe rinnegato persino…persino…».
Giorgio Almirante era raffigurato nella sua vecchia casa ai Parioli 34 volte tra foto, busti, ritratti. Quasi un sacrario. Lettera di Brasillach dal carcere. Diploma di primo della classe, Torino, anno scolastico 1923. Il telefono intanto suonava senza tregua. Foto in doppiopetto al ricevimento di Juan Carlos. Servizio di piatti dono dello Scià di Persia. Citofono. «Chi chiama? Chiama l’Italia! Ma l’ha visto La Russa l’altra sera da Vespa? Quando ha spezzato la biro? Quanto soffriva, povero Ignazio. Suo padre non ha mai preso la tessera di An, è rimasto missino, e lui pure. Ma quale liberaldemocratico! Creda a me che lo conosco da quand’era ragazzo: Ignazio La Russa è un fervente mis-si-no! Di liberali in giro ce n’è fin troppi. Il nostro dev’essere il partito dei valori di Almirante: nazione e patto sociale».
Duplice bracciale d’oro, triplice anello a ogni anulare, anello nobiliare al mignolo sinistro («sono stata sposata a un De Medici»), ottuplo giro di perle, Donna Assunta fremeva di indignazione ma non perdeva lucidità. «Ammettiamo pure che Salò sia una vergogna. Perché allora Fini è entrato nel Msi? L’avrà obbligato il dottore? Perché ha taciuto finora? Ha scoperto qualcosa che non sapeva?
Era il capo del Fronte della Gioventù, il leader dei giovani, che erano piuttosto accesi, e mio marito si occupava semmai di moderarli. I missini non sono antisemiti, già nel ‘67, guerra del Kippur, Almirante schierò il partito con Israele; avevamo amici ebrei, da Camponeschi due anni fa ho incontrato privatamente Shimon Peres, Barillari ci ha pure fotografati. Mi ha colpito però che Fini non abbia incontrato un solo palestinese. Ma come, quando Arafat veniva a Roma lo baciavano tutti, pure il Papa, e adesso neanche un saluto? Dicono che è malato. Che c’ha, la lebbra?».
Tusita portò il telefono: era di nuovo la Mussolini. «Alessandra! Oggi pomeriggio dovevo andare alla sezione della Balduina a distribuire le tessere, e non ci vado. Anzi, sai che c’è? Ci vado, non dò le nuove tessere, e dico agli iscritti: restituite le vecchie! Anzi, dev’essere Fini a restituirci la fiamma. Si vergogna? Benissimo. Vuole uscire dalla casa del padre? La lasci a noi. Alessa’ : la destra siamo noi».
Dopo essersi sfogata, Donna Assunta abbassò la voce. «Sono sempre rimasta vicina ai Mussolini, in questi anni. Edda, una donna intelligentissima. Sempre silenziosi, sempre dignitosi. Adesso però sono indignati, e hanno ragione. Al povero Duce ne hanno fatte di tutte, l’hanno appeso a testa in giù, gli hanno sputato; che cosa c’era ancora bisogno di fare?
Sa perché Almirante tra cinque o sei candidati ha scelto Fini come erede? Perché era l’unico nato dopo la caduta del fascismo. Me lo ricordo Fini a Fiuggi. Piangevano tutti, lui fece il gesto di togliersi gli occhiali, ma forse fingeva, forse piangeva con la glicerina come gli attori. E’ un bravo ragazzo, voleva e vuole bene a mio marito, è capace, fa bella figura in tv. Ma non fa come faccio io, non va più in giro a stringere mani, firmare autografi, cenare con i militanti.
E’ stimato, ma non credo sia davvero amato. Il nostro popolo amava Giorgio». Dicono che anche suo marito fosse un po’ un attore. “Veniva da una famiglia di artisti, ma soprattutto aveva il polso della folla. Arrivavano da tutta Italia ad ascoltarlo in piazza del Popolo, e lui li faceva ridere e piangere, sapeva provocarli e confortarli. Un giorno, lui lo sapeva, la destra sarebbe andata al governo”.
Altre foto. Viaggio in Spagna, dalla vedova e dalla figlia di Franco. Il matrimonio dei figli, Giuliana e Leopoldo, lo stesso giorno, 12 settembre 1987, Amalfi. «Vennero da tutti i paesi della costiera e pure da Napoli. Parevano le nozze della regina Elisabetta. Portavano limoni, ciambelle, ricotta fresca. Davano a Giorgio i bambini da baciare, si sporgevano per sfiorarlo: “Tuoccalo!”. Povera Giuliana, le hanno strappato il vestito. Lui stava già male. Sei mesi dopo è morto. Al terzo giorno di camera ardente pareva come levitato. Era disteso su un letto di tessere.
Ho riempito tre sacchi con le tessere che i militanti gli avevano restituito in segno di omaggio, come a dire: con te muore il Msi». A chiederle di Berlusconi, rispondeva: «E’ un grosso impresario, ma mi pare troppo sicuro di sé”. Aveva molta simpatia per Francesco Storace. Ma il politico che stimava di più era Bettino Craxi. “Fu il primo a ricevere mio marito. Giorgio gli disse: “Guardi che io sono fuori dall’arco costituzionale…”. Lui rispose: “L’arco costituzionale è roba da De Mita”. Leader come Giorgio e Bettino non ne nascono più”.
(da il Corriere della Sera)
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