Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
L’EX AGENTE DEL KGB HA UNA VILLA IN SVIZZERA, CONTI BANCARI IN ITALIA, AUSTRIA E SPAGNA E UNA REGGIA SUL MAR NERO VICINO ALLA VILLA DI PUTIN: IL SUO PATRIMONIO PERSONALE VIENE STIMATO TRA I 4 E GLI 8 MILIARDI DI DOLLARI FRUTTO DEL TRAFFICO DI TABACCO
No, Kirill non è Francesco. Non nel senso del romano Pontefice, papa Bergoglio. Ma nel senso del Santo poverello di Assisi.
Il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, colui che nel 2012 ha definito Vladimir Putin “il miracolo di Dio”, che ha benedetto nella cattedrale di Cristo Salvatore i missili nucleari, e che ha dichiarato la guerra santa in Ucraina, è tutt’altro che un asceta, è anche lui un oligarca. Con un patrimonio stimato da oppositori in 4 miliardi di dollari.
Per questo i ministri degli Esteri della Ue stanno studiando sanzioni anche nei suoi confronti, come per gli altri oligarchi. Il 24 aprile il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis ha pubblicamente chiesto restrizioni.
Pericolo tanto concreto che, su Interfax, la Chiesa ortodossa russa ha definito “un non senso” la proposta di Vilnius di chiedere sanzioni contro Kirill. “Un non senso imporre sanzioni su leader religiosi, è contrario al senso comune”. Con ciò stesso confermando, però, l’esistenza di un patrimonio personale di Kirill aggredibile all’estero. Il Patriarca ha sempre negato alla radice di essere ricco, parlando di “non sense”.
Certo sarebbe un non senso sanzionare il Santo poverello di Assisi, ma certamente non è questo il caso, visto che chi ha benedetto la guerra in Ucraina avrebbe, secondo un report del 2006 pubblicato da Forbes nel 2020 un patrimonio di 4 miliardi di dollari, mentre un articolo di Novaya Gazeta (la rivista su cui scriveva la giornalista uccisa Anna Politkovskaja e diretta dal premio Nobel Dmitri Muratov, chiusa il 5 aprile scorso) stimava nel 2019 una ricchezza tra 4 e 8 miliardi di dollari.
Il consistente patrimonio personale sarebbe frutto dalle esenzioni fiscali statali russe su una porzione consistente della manifattura di tabacco e di birra, almeno in passato.
Quando Forbes France gli ha posto domande sulla sua ricchezza il Patriarca Kirill ha risposto: “L’ascesi è soprattutto diretta alla lotta con le passioni. La passione è un problema in quanto può inghiottirci e renderci suoi schiavi. La sete inestinguibile di potere, di certe cose materiali o di denaro sono esempi distruttivi delle passioni di cui molte persone soffrono oggi”.
Il capo religioso è quindi sospettato di possedere ricchezze personali, parte delle quali all’estero, anche in Svizzera e in paradisi offshore. Alcuni sospettano addirittura che il Patriarca sia perfino l’intestatario fittizio di beni di Putin, Lavrov e altri.
Secondo alcune fonti pubbliche (peraltro difficili da verificare, data la natura altamente confidenziale della clientela bancaria) Kirill avrebbe conti bancari anche in Italia, Austria e Spagna. A chiedere le sanzioni a suo carico è oggi su Repubblica l’esperta di diritti umani Hanna Hopko che ha definito il patriarca Kirill “in realtà uno dei politici di più alto rango della Russia di Putin”. §
Indagini sono in corso in tutt’ Europa. A tutto ciò si aggiungono i beni in Russia: una villa vicina quella di Putin a Gelendzhik sul Mar nero e un superyatch su cui è stato fotografato in costume da bagno. La passione di Kirill per gli orologi di lusso ha dato luogo in passato a curiosi photoshop delle immagini del Patriarca, che hanno eliminato l’orologio al suo polso, ma non il suo riflesso. In ogni caso è molto interessante il sistema di finanziamento della Chiesa ortodossa russa grazie alle esenzioni fiscali sulla produzione di tabacco e di birra, che sarebbe alla base di tanta ricchezza.
La prima attività di import di sigarette e tabacco è valsa a Kirilli, il “Papa di Putin”, il nomignolo di “Tobacco Metropolitan”. Kirill sostiene di aver preso le distanze da questi affari. Ma secondo gli oppositori di Putin sono queste attivita economiche milionarie che hanno permesso a tutta la Chiesa ortodossa russa di prosperare, già a partire dai primi anni Novanta.
(da Huffiongtonpost)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
NON POTREBBE PIU’ PAGARE I PROPRI DIPENDENTI, TRA I QUALI I SOLDATI IMPEGNATI NELL’OPERAZIONE MILITARE SPECIALE
Anche la voce del padrone può nascondere qualche debolezza. Soprattutto quando urla più forte.
Vladimir Putin ha agito per primo, facendo ricorso al taglio del gas nei confronti di Polonia e Bulgaria, due Stati confinanti e sempre più schierati con l’Occidente. La chiusura dei rubinetti, dovuta al rifiuto del pagamento in rubli come richiesto dal Cremlino, potrebbe estendersi ben presto al resto dell’Europa, così dipendente dall’energia fornita da Mosca.
E per questo è stata accolta con il consueto giubilo in Russia, giudicata come una prova di forza del presidente russo, fedele alla sua immagine ormai consolidata di nuovo zar in missione contro l’intero Occidente, considerato una causa persa, una entità con la quale al momento non vale la pena conservare alcuna forma di rapporto.
Tanto vale infliggersi da solo questa prima e parziale mutilazione, senza aspettare che l’Unione europea si decida per la mossa uguale e contraria, ovvero la rinuncia alle forniture russe, che sarebbero l’arma totale. Perché senza i soldi incamerati con gas e petrolio e le riserve aurifere e monetarie all’estero bloccate dalle sanzioni, l’autonomia dello Stato russo per pagare i propri dipendenti, tra i quali i soldati impegnati nell’Operazione militare speciale, viene stimata intorno ai 2-3 mesi.
Ma è proprio questo dettaglio che rivela la debolezza nascosta dietro la decisione annunciata ieri da Gazprom. La scelta di richiedere il pagamento in rubli ai Paesi europei non è una impuntatura, ma una necessità. La Russia ha bisogno di moneta corrente. Le sanzioni stanno avendo l’effetto della goccia cinese, scavano ogni giorno di più.
Mentre il resto del mondo è impegnato in analisi militari per cercare di capire quale sarà il futuro prossimo, il messaggio che viene veicolato in modo quasi ossessivo dal Cremlino e dei suoi organi di informazione riguarda invece l’economia. Tranquilli, sta andando tutto bene, stiamo vincendo anche la battaglia del grano. Non è così. Persino il ministero delle Finanze è stato costretto ad ammettere che le cose vanno male. Prima della guerra, stimava una crescita annuale del 3 per cento. Adesso, è invece attesa una contrazione del Pil fino al 12,4 per cento.
Peggio della crisi subprime del 2008 (-7,8%) e quasi al livello della grande crisi del 1992, (-14,5%), un trauma che ancora perseguita il popolo russo. Putin ha imposto alla Banca di Russia di aiutare l’economia contenendo il rialzo dei prezzi. Ma anche lui sa di non poter stampare moneta oltre un certo limite, pena l’ulteriore impennata dell’inflazione. Il pagamento in rubli dall’estero sarebbe l’unico modo di immettere denaro sul mercato senza alterare il fragilissimo equilibrio sul quale si regge oggi l’economia del Paese. Nonostante le apparenze, nel braccio di ferro in corso con l’Europa, la leva più forte non è in mano al Cremlino.
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
“MIO MARITO FERITO MI HA DETTO CHE MEGLIO MORIRE CON LE ARMI IN PUGNO E CHE IN UN OSPEDALE”
«Sto bene, sono ancora vivo. Chiama mia madre e dille che sto bene, se lo faccio io si mette a piangere». Dall’acciaieria Azovstal, Pavlo riesce a sentire la sua Olya una volta a settimana. «Lui mi dice che va tutto bene, ma io lo so che non è vero: stanno finendo il cibo e le munizioni. Non c’è più tempo da perdere», lei all’ANSA.
Appena 20 anni come suo marito, sposato da uno, la moglie del soldato del battaglione Azov circondato dai russi a Mariupol, è venuta apposta a Kiev da Ternopil, nell’ovest dell’Ucraina, per manifestare nella celebre Maidan insieme ad altre dieci di mogli, madri, sorelle.
Chiedono di far evacuare i civili ei feriti, di salvare i loro uomini intrappolati o di fargli arrivare più armi perché possono resistere ancora. Il viso dipinto di rosso sangue o dei colori della bandiera nazionale, in braccio dei peluche, anche questi insanguinati, per ricordare che nei cunicoli dell’acciaieria ci sono anche dei bambini.
Intonano l’inno nazionale, scandiscono slogan, innalzano cartelli rivolti al governo ucraino, all’Onu, alla Croce Rossa, ma anche a Joe Biden, a Emmanuel Macron, a chiunque sia disposto ad aiutarle. «Salvate Mariupol», «Salvate i nostri soldati», «Salvate Azovstal», «Salvate Azov» recita un altro poster con la foto di un uomo che piange un bambino, mentre nella piazza altri bimbi, ignari e fortunati, giocano a rincorrersi tra file di tulipani rossi e alberi in fiore.
La bandiera gialla e blu sulle spalle, Valentina, 26 anni, nasconde le lacrime dietro a grandi occhiali da sole. Il suo Valery, come lei originaria di Mykolaiv, «due settimane fa è stato ferito alle gambe e al volto. Ha detto che non vedeva più niente. Però mi ripete che “è meglio morire con le armi in pugno che morire in un ospedale”».
«Devono mandargli altre armi, garantire corridoi umanitari o scambi di prigionieri”, dice ancora Valentina, che con Valery progetta «una grande famiglia, con tanti figli, quando tutto questo sarà finito». «Mio marito deve tornare sano e salvo», si commuove e abbraccia l’ amica.
Le compagne di sventura cantano sempre più forte. Tra loro riescono a sorridere ma davanti alle telecamere dei giornalisti sanno accomodarsi in posa, i volti tesi, gli sguardi corrucciati o assenti.
Due anziani si godono il sole di una primavera incombente seduti su una panchina nel centro di Maidan ancora svuotata dalla guerra e circondati da sacchi di sabbia e cavalli di Frisia. Dall’altro lato Khreshchatyk, lo stradone a sei corsie che taglia in due la piazza e dove emergono quelle due stele che riportano il numero delle vittime: 4.436 ucraini uccisi.
(da La Stampa)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
PALAMAR, 39 ANNI RIVELA: “I RUSSI HANNO TENTATO UN ATTACCO CON UNA COLONNA A TERRA, MA LI ABBIAMO DISTRUTTI”
Reuters intervista il capitano Sviatoslav Palamar, 39 anni, vice comandante del battaglione Azov, che in questi giorni, come mostrano alcuni video, ha portato cibo ai civili, soprattutto donne e bambini, nascosti nei bunker dell’acciaieria Azovstal. E che oggi sono allo stremo. Palamar parla di Azovstal, enorme complesso industriale che contiene camere sotterranee e tunnel ma soprattutto l’ultimo baluardo della resistenza ucraina a Mariupol.
I militari su indicazione del presidente Putin hanno ridotto in rovina gran parte di Mariupol (strategica per i russi).
«Finché siamo qui e manteniamo la difesa… la città non è loro», ha detto Palamar. Stando al suo racconto, la zona intorno all’acciaieria è stata fortemente bombardata, a un certo punto però le forze russe avrebbero inviato una colonna di armi armati, veicoli corazzati e fanteria che, però, il battaglione Azov avrebbe distrutto.
Le tattiche militari cambiano continuamente: «Siamo circondati. Ora stanno conducendo attacchi aerei», ha detto.
Palamar, che è sposato e ha un figlio, si è rifiutato di dare dettagli precisi sulle operazioni perché, sostiene, potrebbero aiutare il nemico, i russi di Putin.
«Ovviamente le nostre risorse non sono infinite e si stanno esaurendo ogni giorno che passa. La situazione è difficile, ma combatteremo e combatteremo per tutto il tempo necessario», ha spiegato.
Il battaglione Azov, considerato uno degli obiettivi più simbolici della guerra russa, avrebbe avuto più di 500 combattenti feriti.
«Non siamo nelle condizioni di curarli, effettuare un intervento chirurgico è davvero difficile.. le medicine stanno finendo così come cibo e acqua».
Palamar ha precisato, poi, che sono centinaia i civili che si stanno riparando dalla guerra nell’acciaieria. «Portiamo loro cibo e controlliamo il loro stato di salute, ma non possiamo stare con i civili per ovvi motivi. Il nemico potrebbe inscenare una provocazione e dire che…ci nascondevamo dietro i civili».
Tra l’altro, un bunker che ospitava civili, bambini compresi, sostiene sempre Palamar, sarebbe stato colpito da un intenso lancio di razzi martedì scorso: una donna e un uomo sarebbero rimasti feriti.
Infine Palamar ha accusato la Russia di aver ingannato i civili: li avrebbe fatti evacuare mentre continuavano a bombardare l’area. Da qui l’invito alle organizzazioni internazionali, come Nazioni Unite o Croce Rossa, a fare subito da garanti per “liberare” finalmente i civili intrappolati a Mariupol, circondati dalle forze militari russe. «Spero che il mondo ora si renda conto del suo errore. Tutto quello che fanno i nostri soldati qui, non solo a Mariupol, ma sul territorio dell’Ucraina in generale, siamo convinti che possa salvare non solo l’Ucraina ma anche Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Moldova e Georgia», ha concluso.
(da agenzie)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
SOLO DUE SERE FA A “CARTABIANCA” SPROLOQUIAVA NADANA FRIDRIKHSON, GIORNALISTA DI “ZVEZDA”, EMITTENTE CONTROLLATA DIRETTAMENTE DAL MINISTERO DELLA DIFESA RUSSO
«Ma sono giornalisti russi o agenti di Mosca?». Se lo chiede la Commissione di Vigilanza Rai, pronta a chiedere – sarebbe la prima volta – un’audizione congiunta con il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. L
‘obiettivo è capire, tramite le informazioni in possesso della nostra Intelligence, se gli ospiti della tv di Stato che ripropongono in loop la propaganda del Cremlino si muovano effettivamente come rappresentanti della stampa estera o piuttosto come funzionari del governo di Putin.
La richiesta di audizione congiunta è stata avanzata martedì sera da Andrea Romano, deputato Pd e membro della Vigilanza. Ma ha il sostegno di altri commissari, tanto che il presidente dell’organismo, il forzista Alberto Barachini, ha deciso di sottoporre il tema al numero uno del Copasir, Adolfo Urso di FdI. Secondo fonti della Vigilanza, se il Copasir desse il via libera, la seduta potrebbe essere calendarizzata già la prossima settimana, forse in coincidenza con l’audizione dell’amministratore delegato Rai Carlo Fuortes, in programma il 4 maggio.
«Vogliamo capire se si tratta di giornalisti russi che operano liberamente o addirittura di funzionari del governo russo che diffondono la propaganda del Cremlino», spiega Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva in Vigilanza. Del resto l’altro ieri a CartaBianca, su Rai 3, è stata ospitata, in collegamento da Mosca, Nadana Fridrikhson, giornalista di “Zvezda”, emittente controllata direttamente dal Ministero della Difesa russo.
Sul terzo canale, Fridrikhson ha sostenuto concetti così: «L’operazione militare speciale russa ha il compito di terminare la guerra iniziata dal regime di Kiev sostenuto dagli Stati Uniti». Secondo Anzaldi, «alla luce della pericolosa deriva presa dall’informazione del servizio pubblico, sarebbe davvero opportuno che i presidenti delle due commissioni, Barachini e Urso, quanto meno si parlassero e valutassero insieme la situazione ».
Se non si potesse procedere a un’audizione congiunta, per le ragioni di riservatezza che regolano le sedute del Copasir, aggiunge Anzaldi, «serve comunque una forma di lavoro comune tra Vigilanza e il Comitato parlamentare sulla sicurezza della Repubblica, perché siamo nel pieno di una guerra e in guerra l’informazione diventa ancora più a rischio di propaganda militare».
Tesi condivisa dal dem Romano: «Sarebbe estremamente importante che la Vigilanza audisse insieme al Copasir l’ad Fuortes». Per il parlamentare del Pd, la seduta congiunta «avrebbe l’obiettivo di coinvolgere tutto il Parlamento in un passaggio delicatissimo nella vita del servizio pubblico radiotelevisivo, chiamato a esercitare il massimo equilibrio». Senza accendere le telecamere per i propagandisti a libro paga del Cremlino.
La richiesta a Urso sarà formalizzata in queste ore, proprio mentre in Vigilanza si litiga sui gettoni per le ospitate nei talk, dopo il caso di Alessandro Orsini, a cui CartaBianca, dopo le polemiche, ha azzerato il contratto da 2mila euro a puntata. Barachini, con l’appoggio di quasi tutti i partiti, ha proposto un regolamento che chiede alle trasmissioni di evitare l’effetto pollaio, di invitare solo esperti qualificati e soprattutto di privilegiare le ospitate gratuite.
Ma il progetto si è arenato: il voto sulla risoluzione era in programma l’altro ieri, ma è stato rinviato a data da destinarsi. Il motivo? Si è messo di traverso il M5S, passato dall’offensiva contro gli «stipendi stellari» dei conduttori Rai alla difesa strenua dei cachet. «Abolendo i compensi per gli ospiti si fa un favore a Mediaset e alle reti private », è la tesi dei grillini. Quindi nessuno tocchi i gettoni.
(da la Repubblica)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
PERIODACCIO PER IL LEGHISTA: LA SCONFITTA DELL’AMICA LE PEN, GIORGIA MELONI CHE AVANZA NEI SONDAGGI, LA GUERRA SCATENATA DAL SUO (EX) IDOLO PUTIN. COSÌ SUI SOCIAL MEGLIO BUTTARLA IN CACIARA
Dimenticare la sconfitta di Marine Le Pen e ancora di più l’amarezza infusa dalla lettura dei sondaggi che vedono Giorgia Meloni sempre più in salita. Matteo Salvini si tuffa così con qualche amarcord social per provare a dare e a darsi una scossa.
Dal solito attacco a Carola Rackete all’eterna battaglia contro il Reddito di cittadinanza, con una parziale new entry: la critica alla sporcizia di Roma, con il rilancio video – pubblicato dal giornalista Nicola Porro – sulle condizioni di Piazza di Spagna. «Un biglietto da visita mostrato in queste condizioni… Non è normale», osserva, solleticando i malumori contro l’amministrazione capitolina e ostentando la spazzatura che riempie i cestini.
Ma il seguito social è molto meno potente in confronto ai bei tempi andati: le condivisioni, che prima si contavano a migliaia, ora sono ferme nell’ordine delle centinaia. E dire che si tratta di un post scandalistico, di quelli che stuzzicano lo sharing facile e l’indignazione un tanto al chilo. La Bestia, insomma, è sempre più domata, prevedibile, messa al guinzaglio. Quasi scodinzolante.
Ma che la verve non fosse quella di un tempo, era abbastanza chiaro da un cambiamento: niente più Capitan vorace, che addenta panini, divora pantagruelici piatti di pasta o spalma una abbondante cucchiaiata di Nutella sul pane. Un Salvini grossomodo normalizzato, in formato governo di larghe intese.
Non mancano però le singolarità. il 25 aprile, mentre l’Italia celebrava la Festa della Liberazione, il leader della Lega ha pensato bene di ingaggiare un’altra storica lotta: quella contro la carne sintetica. «Dopo gli insetti e i vermi, ecco la nuova sfida delle multinazionali…Mai sulla mia tavola!», ha tuonato l’ex ministro dell’Interno.
E, in assenza di dirette che raccolgono decine di migliaia di fan, il tentativo è stato quello di attirare l’attenzione degli utenti con la pubblicazione di una salatissima bolletta dell’elettricità giunta a una famiglia.
Un modo per rilanciare l’impegno della Lega, all’interno del governo, contro il caro-bollette. «Come per i recenti interventi contro il caro energia e il taglio alle accise, sono certo che verrà riconosciuto il buonsenso delle nostre proposte», rivendica un Salvini decisamente più sgonfio, nel senso della comunicazione, rispetto a quello rampante che troneggiava sui social nel momento di massimo consenso, quello precedente al Papeete.
Per carità, la dose di populismo è intatta in quasi tutti post che vengono diffusi sulla propria pagina. E di tanto in tanto si intreccia con il qualunquismo. Un esempio? L’immagine postata su un campetto di calcio di provincia, per assistere a una partita di giovani.
Niente presenza nella tribuna del Milan per una sfida-scudetto, niente luci a San Siro. Ma il cielo grigio sopra Brugherio, manco a dirlo nei pressi della parrocchia locale. «Il calcio più bello, quello dei ragazzi sui campi in erba (vera!) in provincia, di fianco alla Chiesa. Qui Brugherio, si vince 2 a 0».
Uno dei must salviniani è invece riapparso sulla scena, anzi su Facebook, nelle ultime ore con il focus orientato sulla sua arcinemica Carola, rea di aver dissentito dalla cessione di Twitter nelle mani di Elon Musk. «Dopo avermi denunciato per diffamazione, annuncia di abbandonare Twitter in polemica con Elon Musk. Il popolo del web è in rivolta, la rete non sarà più la stessa», ironizza il leader della Lega con tanto di faccina che ride a crepapelle.
Tra una bolletta e un assalto al Reddito di cittadinanza, continua però a farsi notare una grande assenza nella strategia della Bestia ammansita: la guerra in Ucraina è praticamente sparita, salvo qualche eccezione che punta sull’aspetto umanitario. Ovunque, insomma, non si parla d’altro pur essendo iniziata da oltre due mesi. Sulla pagina Facebook si discetta della qualunque. Ma di conflitto, no.
(da Tag43)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
“NON RIMPIANGIAMO DI AVERLO FATTO, HO PERSO LA CASA, MA HO SALVATO KIEV”
Gli abitanti della cittadina di Demydiv, a nord di Kiev, hanno allagato il loro villaggio per impedire ai carri armati russi di entrare nella capitale. Lo riporta il New York Times.
Secondo quanto raccontato dal quotidiano americano, i residenti hanno volontariamente aperto una diga per creare il pantano e permettere all’esercito ucraino di avere più tempo per organizzare la difesa.
Ora gli abitanti si trovano a fare i conti con i danni causati dall’alluvione. Una di loro, una pensionata che per usare questa tattica ha perso la sua casa, ha detto: «Tutti capiscono e nessuno se ne pente nemmeno per un attimo. Abbiamo salvato Kiev!».
Secondo le testimonianze raccolte dai reporter, quella che potrebbe essere «l’ennesima disgrazia» è vista come «una vittoria tattica di cui gli ucraini non potrebbero essere più contenti».
(da agenzie)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
“PENSAVO FOSSE LA MANCIA”
Meno di quattro euro l’ora per un turno da otto ore come lavapiatti: questa la paga offerta a una donna di 51 anni per lavorare nella cucina di un ristorante di Pietrasanta (Lucca).
La signora, pietrasantina di origini marocchine, secondo quanto riporta La Nazione era stata contattata per coprire il ruolo di lavapiatti, ma sin da subito le avrebbero affidato anche altre mansioni.
Già dal turno di prova – dalle 18 alle 23 – sono emerse i problemi: dopo la giornata, durata cinque ore, la donna ha ricevuto un compenso di dieci euro come rimborso spese, che avrebbe dovuto precedere l’eventuale assunzione a tempo determinato per i mesi estivi.
In quel caso, per un turno di otto ore, la paga sarebbe “salita” a 30 euro. Il figlio ventiquattrenne della donna ha divulgato quanto accaduto: «Pensando fosse la mancia, mia madre ha chiesto spiegazioni ma si è sentita dire che quella era la paga per il lavoro in prova. Alla fine li ha presi lo stesso, ma a saperlo non ci sarebbe andata».
I titolari avrebbero anche detto: «Ci siamo passati tutti, non possiamo farci nulla». Il marito della proprietaria, secondo quanto riportato dalla Nazione, gli avrebbe offerto 20 euro «per chiuderla lì». «Non li ho presi – ha detto il giovane -, questo si chiama sfruttamento, è una vergogna ed è bene che si sappia».
(da agenzie)
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Aprile 28th, 2022 Riccardo Fucile
ECCO COME FUNZIONA NEL RESTO D’EUROPA
Con la sentenza di oggi, 27 aprile, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime, oltre che discriminatorie e lesive dell’identità del figlio, le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre ai bambini.
Dopo decenni di sentenze, richiami dalle istituzioni europee e disegni di leggi mai discussi o approvati, la sentenza di oggi stabilisce una volta per tutte che ai figli deve essere attribuito il cognome di entrambi i genitori, salvo che si si stabilisca di comune accordo di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In Italia ci sono voluti 40 anni, ma a che punto sono nel resto d’Europa?
In Portogallo fino a quattro cognomi
L’Italia, finora, ha rappresentato un caso piuttosto isolato. Infatti, in quasi tutti i Paesi europei esistono delle leggi che, seppur diverse tra loro, sono ispirate al principio secondo il quale si è liberi di attribuire ai propri figli il cognome paterno, materno o quello di entrambi i genitori. In Francia e in Belgio, ad esempio, in mancanza di un accordo tra i genitori, si assegnano entrambi i cognomi in ordine alfabetico, mentre in Lussemburgo si sceglie con un sorteggio.
In Portogallo i genitori sono liberi di scegliere quale e quanti cognomi mettere, fino a un massimo di quattro.
In Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Austria il cognome della madre viene attribuito automaticamente dall’anagrafe, a meno che si dia indicazione della propria scelta.
Il caso del Regno Unito
Nei Paesi Bassi si attribuisce di comune accordo uno dei due cognomi.
In Germania, Svizzera, Grecia, Ungheria, Romania e Croazia viene assegnato ai figli il cognome scelto dai genitori per tutta la famiglia. Tuttavia, nel caso in cui i due coniugi abbiano mantenuto i rispettivi cognomi, si può scegliere liberamente quale dei due attribuire.
Nel Regno Unito, invece, i genitori possono attribuire addirittura un cognome diverso dai propri.
La Spagna, come la maggior parte dei Paesi dell’America latina, rappresenta un’eccezione opposta: c’è la regola del «doppio cognome», per cui è obbligatorio che i figli portino i cognomi di entrami i genitori, che possono solo deciderne l’ordine.
(da agenzie)
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