Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile SISTEMI DI DIFESA AEREA VECCHI DI 50 ANNI, INADATTI A COLPIRE I MISSILI ANTI-NAVE LANCIATI DAGLI UCRAINI
Attualmente è stata creata una commissione speciale del ministero
della Difesa per quanto riguarda la catastrofe dell’incrociatore Moskva. A quanto pare, è già iniziata la ricerca di capri espiatori e una resa dei conti con gli ufficiali dell’incrociatore, ma con tutta probabilità saranno gli ultimi a essere incolpati del disastro. La domanda da porsi è: quali strumenti di difesa aerea dell’ammiraglia della flotta sono stati forniti dal ministero della Difesa?
Partiamo dai fatti: l’incrociatore è stato colpito da due missili anti-nave a bassa quota (missili anti-nave MV) «Neptune». La difesa aerea di una nave, per questo genere di missili, è tanto meno efficace quanto più i missili volano bassi. La difesa aerea del Moskva era molto obsoleta.
Nella parte superiore della sovrastruttura, dove si trova la plancia di comando, si trovava il radar di sorveglianza Fregat (RLS), un’antenna che ruota in un cerchio e fornisce il rilevamento di bersagli a lungo raggio. Una torre aggiuntiva si trovava dietro la sovrastruttura, su cui era installato un radar di guida missilistica di difesa aerea S-300 Fort a lungo raggio.
L’altezza di questa torre era inferiore all’altezza della sovrastruttura. Pertanto, la sovrastruttura oscurava l’intero settore a prua della nave al radar S-300, con la conseguenza che il sistema di difesa aerea non sarebbe stato in grado di sparare. Un altro inconveniente dell’S-300 è che ha una sola antenna, che deve essere ruotata meccanicamente nella direzione da cui proviene l’attacco.
Il vettore di antenne a fasi di questo radar fornisce una vista di settore di circa 100°, questo significa che il sistema di difesa aerea non era in grado di respingere un attacco simultaneo da diversi settori.
La nave possedeva anche un sistema di difesa aerea a corto raggio Osa, che detiene probabilmente il record di obsolescenza: 50 anni. Aspettarsi che riuscisse a intercettare i missili anti-nave MV era di fatto escluso.
Negli Anni 80, i missili anti-nave MV volavano a 10 metri sul livello del mare e l’S-300, sebbene con grande difficoltà, poteva colpirli. Ora, il nostro MV RCC X-35 (il prototipo del «Neptune») vola a quota 3-5 metri.
Le caratteristiche del «Neptune» stesso ci sono sconosciute, ma è stato sviluppato abbastanza di recente, quindi possiamo aspettarci che il sistema di controllo su di esso sia migliore rispetto al X-35 e abbia raggiunto un’altitudine di volo inferiore a 3 metri.
Il Kharkov Institute of Radio Electronics (centro di eccellenza ai tempi dell’Urss, ora in Ucraina, ndr) si è occupato della lotta contro i missili anti-nave MV, quindi sanno meglio di altri perché è importante ridurre le altitudini di volo. Il problema è che la superficie del mare rispecchia quella parte del raggio radar che colpisce il mare e il raggio radar finale viene sospinto verso l’alto. Di conseguenza, i missili anti-nave MV possono essere rilevati solo per alcuni chilometri, quando volano verso la nave e in quel momento il tempo per colpirli potrebbe non essere sufficiente.
Per intercettare solo missili anti-nave e ridurre l’interferenza del mare, il radar deve avere un raggio molto stretto, non superiore a 0,5°.
Così il raggio di rilevamento dei missili anti-nave aumenterà a 10-20 km. Nel 2015, avevo inviato delle proposte per la progettazione di una stazione radar, che, a basso costo, forniva una difesa a tutto tondo, ma il ministero della Difesa non era interessato. Il sistema missilistico di difesa aerea Osa ha un raggio più ampio, quindi è sostanzialmente inadatto a colpire missili antinave.-
Lo svantaggio dell’incrociatore Moskva è che la tecnologia Stealth non viene utilizzata nel suo design. Sul ponte delle navi ci sono molte installazioni, antenne, barche, ecc., che riflettono le onde radio.
A causa della maggiore visibilità della nave, la testa di ricerca del missile anti-nave lo rileva a una distanza di 20-40 km e non è possibile schermare la nave anche con l’aiuto di eventuali interferenze. Si può presumere che gli ucraini, con l’aiuto di Bayraktar (il drone di fabbricazione turca, ndr), abbiano individuato il Moskva e che i missili anti-nave si siano avvicinati all’incrociatore da prua.
In quel punto l’S-300 non li vede e il sistema funziona malissimo. Circa 3 km prima della nave, i missili antinave hanno effettuato una manovra laterale e hanno colpito la fiancata. Se ci fosse stato un solo missile antinave, allora le possibilità di salvezza sarebbero state maggiori: 150 kg di testata missilistica antinave non sono in grado di affondare una nave che pesa più di 10mila tonnellate, ma con due colpi le probabilità di resistere diminuiscono nettamente.
I tentativi di attribuire la colpa al fatto che il sistema antincendio sia responsabile del disastro non hanno senso. Se i sistemi di difesa aerea sono obsoleti, gli estintori non possono fare nulla. Ci sono stati anche tentativi abbastanza ridicoli di giustificare la catastrofe: il volo missilistico anti-nave era coperto da jammer (un disturbatore di segnale, ndr) operanti dalla Romania?
Ma uno jammer situato a una distanza di circa 200 km non ha nessuna possibilità di «coprire» un missile che ha volato meno di 10 km. Nella nostra intera flotta, solo 2 nuove fregate (del tipo dell’«Ammiraglio Gorshkov») sono in grado di offrire una qualche difesa aerea. E poiché non ci sono navi del genere sul Mar Nero, la flotta russa farebbe bene a non affacciarsi fuori dal porto di Sebastopoli.
Andrey Gorbachevsky
(da “La Stampa”)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile “STIAMO COMBATTENDO PER UNA NAZIONE ISTRUITA”
Elmetto, mimetica e fucile in spalla come i soldati in trincea. Ma anche taccuino, penna e telefono per non far mancare le lezioni, a distanza, ai propri studenti. È il kit del professore-soldato Fedor Shandor, docente dell’Università di Uzhhorod e che dal primo giorno della guerra russa contro l’Ucraina ha deciso di arruolarsi nell’esercito di Kiev per difendere il proprio Paese.
Malgrado ciò, due volte alla settimana si allontana dai combattimenti nella regione orientale del Paese per tenere lezioni ai suoi studenti. La sua storia è diventata virale dopo che è stato fotografato da un suo commilitone, mentre conversava con i suoi alunni in un momento di “tregua” in trincea.
«Mi sono arruolato nell’esercito da 70 giorni – ha spiegato il professor Shandor all’UzhNU Media Center -. Sono andato all’ufficio di registrazione e arruolamento militare subito dopo il 24 febbraio, ma non ho rinunciato alle lezioni con i miei studenti: non ne abbiamo saltata neppure una».
Il professore dell’Università di Uzhhorod presta servizio di difesa di notte, in modo da poter tenere le proprie lezioni ogni lunedì e martedì alle 8.00 del mattino. E in caso di attacco durante le lezioni? «Se ci sono esplosioni da qualche parte in sottofondo, non influiscono sulle lezioni – ha spiegato il professore -. Il suono è come quello di un trattore che guida nelle vicinanze. Svolgo sempre le lezioni vicino alla trincea, ma se necessario mi sposto su una panchina poco distante».
Concludendo l’intervista, il professore ha sottolineato il perché della sua scelta di arruolarsi per la difesa del Paese: «Stiamo lottando per una nazione istruita e sarebbe un peccato se non facessi lezione. Altrimenti perché mi sarei arruolato?».
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile TRENTA CHILOMETRI CON LE GINOCCHIA FERITE PER SALVARE I QUATTRO ADULTI A BORDO
Una ragazza di 15 anni di Popasna, nella regione ucraina di
Lugansk, ha guidato su una strada minata – nonostante fosse stata colpita da soldati russi – per salvare diverse persone.
Il caso è stato reso pubblico dalla stampa ucraina in un’intervista nella quale la bambina ha raccontato i momenti drammatici che ha vissuto. Lisa era in macchina con quattro adulti, tre uomini e una donna, quando l’auto è stata bersagliata dai militari di Mosca. Due degli uomini sono rimasti feriti e la bambina ha deciso di mettersi al volante per proseguire il pericoloso viaggio, cercando di portare tutti in salvo.
“Avevo urgente bisogno di aiuto, stavo perdendo molto sangue. Le mine sulla strada erano come una scacchiera. Sulla strada c’era anche il corpo di una donna”, dichiara la giovane, ferita con colpi di arma da fuoco a entrambe le ginocchia.
“Hanno sparato contro di noi – aggiunge – mi hanno colpito alle gambe. Eravamo appena partiti, ho guidato il più lontano possibile, non è stato facile, è stato molto doloroso guidare con un colpo nelle gambe ma comunque in qualche modo l’ho fatto. Non li avrei lasciati sotto tiro”.
È comunque riuscita a raggiungere Bakhmut, a ovest di Lugansk. L’intervista – realizzata in ospedale – è stata postata anche dal capo dell’amministrazione militare regionale di Lugansk, Sergei Haidai, che ne ha elogiato l’eroismo: “Colpita da un proiettile russo alle gambe, si è messa alla guida di un’auto per 30 chilometri sulla strada minata e sotto attacco per mettere in salvo quattro adulti”. Lei e altri 14 ucraini feriti sono stati trasportati in salvo da un treno di evacuazione medica che li ha portati da Bakhmut a Leopoli.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile “DI MAIO? UNA DELUSIONE”
Filippo Roma, classe 1970, conosciuto come il “Moralizzatore” è uno degli inviati più noti e apprezzati del programma di Italia Uno Le Iene. Sposato e con due figli ha cominciato la sua carriera nel mondo dello spettacolo inviando una sceneggiatura al grande Mario Monicelli che ne realizzerà il cortometraggio “Sempre i soliti” presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1997.
D. Filippo Roma, Iena si nasce o si diventa? Quanto conta la componente caratteriale e quanto il “mestiere” in un ruolo come il tuo?
R. Iena si nasce. Io lo ero già a 17 anni, nel 1987, quando, ben 10 anni prima che iniziasse il programma, passavo i sabati pomeriggio con il microfono in mano e un improvvisato cameraman (un mio compagno di classe) a fare interviste folli per strada. La cosa che ancora oggi mi stupisce, rivedendo ogni tanto quei filmati, è quanto già fossero in pieno “stile iene”. Detto questo, la componente “mestiere” è essenziale. Si acquisisce con il tempo ed è l’elemento che ti garantisce la continuità
D. L’appellativo con cui sei noto è il “Moralizzatore”. Alfiere del politically correct, semplice rompiscatole, o cosa?
R. Il Moralizzatore era una maschera che aveva lo scopo di dissacrare le stesse Iene. Era una sorta di “anti iena” che cercava di prendere un po’ in giro l’anima moralistica del programma. Infatti, andava a rompere le scatole ai personaggi famosi per motivi assolutamente irrilevanti. Era un surreale “super eroe di destra” animato dai classici principi Dio, Patria, Famiglia. Il meccanismo era finalizzato a portare lo spettatore dalla parte del vip malcapitato, tanto il Moralizzatore era molesto e, come dici giustamente tu, rompiscatole. L’intento di quel tipo di servizio era comico. Poi se ci sono riuscito oppure no, ad oggi ancora non lo so.
D. I politici ti temono per paura che tu faccia emergere la criticità del loro operato, o ti cercano perché anche una “battuta” con una Iena è un grande bagno di popolarità?
R. I politici non mi hanno mai cercato. Al contrario cercano sempre di evitarmi perché quando mi presento al loro cospetto sanno che sono lì per fargli domande scomode per qualche magagna che li riguarda. Una cosa però è certa: se un giorno ti si presenta una Iena, vuol dire che sei diventato uno importante e in un certo senso anche un nostro servizio, per quanto sgradevole possa essere, contribuisce ad accrescere la popolarità dei nostri politici. D’altronde, agli occhi dei telespettatori, iene o politici, non siamo altro che attori che calcano la scena dello stesso palcoscenico mediatico.
D. Quale l’inchiesta che più ti ha segnato professionalmente e umanamente?
R. La cosiddetta “Rimborsopoli” quando, insieme al mio autore Marco Occhipinti, scoprimmo che una serie di parlamentari del Movimento 5 Stelle fingeva di fare le famose restituzioni mentre invece si teneva in tasca l’intero stipendio. Il tutto avveniva con un giochetto molto ben studiato. Il deputato o senatore di turno ordinava alla banca di effettuare il bonifico con cui ogni mese restituiva una parte della propria indennità, salvo revocarlo subito dopo. Questo gli permetteva di avere la distinta del pagamento da pubblicare sul sito tirendiconto.it e al contempo di trattenersi i soldi. Coinvolse diversi candidati alle elezioni politiche del 2018 e l’inchiesta destò molto scalpore, tanto che lo stesso anno fui insignito del prestigioso premio giornalistico “Il Premiolino”. La considero un’inchiesta importante perché raccontò le prime contraddizioni dei 5 Stelle.
D. Il tuo rapporto con Nadia Toffa. Chi era lei per te se e quali momenti avete condiviso?
R. Nadia era una grande amica. La compagna di classe del liceo che avrei voluto avere. Una ragazza che sprizzava entusiasmo ed energia da tutti i pori. Una persona da cui imparare. L’insegnamento che mi ha dato e che porterò sempre con me come un preziosissimo bagaglio è il coraggio estremo con cui ha guardato negli occhi la malattia. Era una guerriera da iena, lo è stata anche contro quel maledetto tumore. E alla fine, in un certo senso, è come se avesse vinto lei. Di Nadia mi rimangono i bei ricordi: le feste di fine anno a bere, ridere e scherzare, le serate di conduzione delle Iene, le lunghe e stimolanti chiacchierate. E tutto questo, di certo, manca.
D. Sei un papà. Di questi giorni la sentenza storica per la quale non è più meccanico che il cognome del figlio sia unicamente quello del padre. Ti senti “defenestrato”, o ritieni che sia una conquista in termini di parità?
R. Tutt’altro che defenestrato. Trovo giustissima questa sentenza. Così come è bello quando una mamma e un papà si confrontano per scegliere il nome del proprio figlio, lo può essere altrettanto quando d’ora in poi si stabilirà insieme il cognome o i cognomi da dare al nascituro. D’altronde le origini di tutti noi non solo soltanto paterne ma anche materne. E ricordiamo che mater semper certa est, pater numquam. Inoltre, questa novità da la possibilità di potersi smarcare da certi cognomi paterni cacofonici o imbarazzanti. Io alle medie avevo un compagno di classe che di cognome faceva “Troìa”. Se avesse potuto scegliere il cognome materno di certo si sarebbe evitato un bel po’ di prese in giro.§
D. Ti sei confrontato anche con la scrittura. Il tuo secondo e ultimo lavoro è stato un romanzo dal titolo emblematico “Boomerang”. Com’è noto “non c’è due senza tre”. Hai qualcosa in cantiere? Cosa ti piacerebbe raccontare ai tuoi lettori?
R. Ho in cantiere un secondo romanzo che sto finendo di scrivere proprio in questi giorni. Come “Boomerang” parlerà di amore. Mi rendo conto che possa sembrare strano che parli d’amore uno come me che da vent’anni rompe le scatole a politici e truffatori. Ma proprio perché sono immerso tutti i giorni in mondi lividi fatti di ingiustizie, scrivere d’amore per me è un momento di ossigenazione dell’anima.
D. Tra i politici che hai intervistato, nel dietro le quinte, chi ti ha colpito favorevolmente e chi negativamente? Insomma, una tua personale classifica, con qualche aneddoto.
R. In 18 anni di militanza alle Iene penso che di politici ne avrò intervistati a centinaia. Deputati, senatori, ministri, premier. Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini sono quelli che mi hanno colpito di più in quanto a spessore intellettuale e carisma. Tra quelli a cui sono più affezionato c’è invece Luigi Di Maio. L’ho intervistato decine di volte. Tuttavia, mi ha colpito la sua metamorfosi. I primi tempi con il suo volto aperto e pulito, ha rappresentato una bella ventata di novità. Mi piaceva la sua trasparenza e il suo essere un cittadino al servizio della collettività. Nel tempo, però, ho l’impressione che sia divenuto anche lui un uomo di potere e che si sia arroccato nella sua Torre d’Avorio. Lo dimostra il fatto che per anni con me si è sempre fermato a rispondere anche alle domande più scomode. Negli ultimi tempi non si ferma più e mi schiva come fosse un qualsiasi ministro dei partiti tradizionali. Ecco, questo un po’ mi ha deluso.
D. Una canzone e un libro che raccontano chi è Filippo Roma.§
R. Il libro: “La Donna Giusta” di Sandor Marai. La canzone: “Sentimento Nuevo” di Franco Battiato.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile I SOLDATI DEL BATTAGLIONE AZOV RESISTONO, CANTANDO INNI NAZIONALISTI
Cantano di «un ribelle ferito che giace ai piedi della quercia verde
nel folto della foresta» i combattenti della Azov decisi a non arrendersi nei cunicoli delle acciaierie Azovstal di Mariupol. È il loro «Bella ciao» del momento.
Una ragazza in mimetica col mitra appoggiato a una spalla ritma con voce limpida e dolce il coro basso e profondo degli uomini. Il suo volto è illuminato dalla tenue luce di una torcia, attorno gli altri s’ intravedono a tratti nella penombra del cunicolo trasformato in bunker.
L’atmosfera è pervasa di passione partigiana: gente pronta a morire pur di non arrendersi. Sono i nuovi modelli di questo Paese in armi, che sta coltivando miti eroici per motivare la determinazione a continuare a combattere.
Marginali e controversi sino a pochi anni fa, i volontari della Azov per molti sono ormai l’esempio da seguire, l’ispirazione per reclute e volontari.
«L’Ucraina è nostra madre e Stepan Bandera è nostro padre», cantano nella seconda strofa, riferendosi al leader fondatore del loro movimento (assassinato da un agente del Kgb a Berlino nel 1959), accusato dai filorussi di aver collaborato con la Germania nazista per combattere i sovietici durante la Seconda guerra mondiale, e che oggi viene rivalutato dalla resistenza come patriota dell’Ucraina libera, irredenta e democratica.
Il nuovo video è apparso sui siti e i social locali assieme a quelli crudi degli ultimi combattimenti ormai dentro il perimetro dell’acciaieria sconvolta dalle bombe. Un altro diffuso ieri mattina mostrava gli effetti dei tiri delle batterie a bordo dalle navi della flotta russa del Mar Nero.
Le ultime cronache raccontano delle unità scelte russe che avanzano verso gli imbocchi delle gallerie dove sono asserragliati i volontari della Azov assieme alle unità regolari dei Marines e della Guardia Nazionale: circa 2.000 uomini in tutto, stimano i russi, di cui almeno 500 feriti.
«I russi sono dentro l’acciaieria da tre giorni», ha ammesso alla tv ucraina Channel 24 , lo stesso vicecomandante della Azov, Sviatoslav Palamar.
Nonostante Putin soltanto il 21 aprile avesse dichiarato che i suoi soldati non sarebbero mai entrati nell’impianto, la realtà dal campo sembra dunque diversa. .
Putin ha bisogno di ottenere almeno un successo in vista delle celebrazioni del 77esimo anniversario della vittoria contro la Germania nazista il 9 maggio e farà di tutto per ottenerlo.
E gli eroi della Azov faranno di tutto per impedirlo.
(da Il Corriere della Sera)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile “CORPI CHE GIACCIONO ALLINEATI NELLE STRADE, CON MANI LEGATE E CHIARI SEGNI DI TORTURE E MUTILAZIONI. CADAVERI DI DONNE E BAMBINI VIOLENTATI E PARZIALMENTE BRUCIATI SULL’ASFALTO. UNA CAMERA DI TORTURA A BUCHA, PER CIVILI DISARMATI PRIMA SEVIZIATI E POI FUCILATI”
Torture, mutilazioni, stupri, esecuzioni di civili inermi. Migliaia di crimini di guerra, ma anche l’ipotesi di genocidio.
Ancora ieri mattina, mentre i 45 colleghi dei Paesi membri del Consiglio d’Europa si riunivano a Palermo, non era chiaro se e come Iryna Venediktova, procuratrice generale dell’Ucraina, sarebbe riuscita a collegarsi.
Ma quando la sua voce per dodici minuti è risuonata da Kiev nella sala d’Ercole di Palazzo dei Normanni, non si è trattato solo di un «very special intervention», ma di un atto d’accusa contro la Russia in un consesso internazionale.
La massima autorità giudiziaria ucraina ha ricostruito la tattica delle forze armate russe come emerge dalle prime indagini: prima le cose, poi le persone. «Fin dai primi giorni hanno preso di mira 5.137 edifici civili con bombardamenti indiscriminati» che hanno già distrutto 1.584 istituzioni educative e 340 strutture mediche.
«Ma quando è diventato evidente che non potevano prendere il controllo della capitale e decapitare il governo, hanno iniziato a colpire massicciamente i civili come forma di punizione, seminando paura e terrore con atrocità di portata crescente».
Oltre a Kiev, Bucha, Irpin, Borodianka, Hostomel, «abbiamo situazioni simili in altre aree, e solide prove che i civili siano intenzionalmente presi di mira in modo diffuso e sistematico», anche se i russi si stanno attivando «per coprire le tracce e depistare le indagini».
Il catalogo delle brutalità comprende «corpi che giacciono allineati nelle strade, con mani legate e chiari segni di torture e mutilazioni; alcuni ancora con le biciclette o i cani, altri colpiti mentre cucinavano su fuochi di fortuna. Corpi di donne e bambini violentati e parzialmente bruciati sull’asfalto. Una camera di tortura a Bucha, per civili disarmati prima seviziati e poi fucilati. E violenze sessuali documentate con prove crescenti nelle regioni di Donetsk, Zaporizhia, Kiev, Lugansk, Kharkiv e Kherson».
Tra le 25 vittime di stupri, una è un minore. Altre otto indagini riguardano la deportazione in Russia e Bielorussia di 2.420 bambini. Nelle zone prese d’assedio «le forze russe stanno deliberatamente bloccando i corridoi umanitari per la consegna di cibo e medicine, nonché l’evacuazione di donne, bambini e anziani».
Caso limite è Mariupol, «una volta bella» e ora distrutta per il 90%, «con centinaia di civili e 500 soldati feriti ancora intrappolati nell’acciaieria Azovstal». La magistratura ucraina indaga su quasi 10 mila segnalazioni di crimini di guerra «e il numero cresce ogni giorno».
Quindici russi sono formalmente incriminati. Una separata inchiesta ipotizza il reato più grave del diritto umanitario: il genocidio. Ma da soli non ce la facciamo, avverte la procuratrice.
Difficile individuare colpevoli e testimoni (molti fuggiti all’estero), nonché trovare attrezzature di medicina legale e tecnologie informatiche per gestire la massa di denunce.
La cooperazione internazionale è necessaria «per farla finita con l’impunità dei colpevoli a tre livelli: soldati, capi militari, leader politici». Corte penale internazionale ed Eurojust collaborano; Polonia e Lituania hanno avviato indagini congiunte. Altri 16 Stati hanno aperto inchieste autonome.
«Mi appello a voi, non perdete l’attimo, contiamo sul vostro aiuto», conclude Venediktova. «Vi aiuteremo in questo compito difficile», chiosa il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi. Parole e applausi tutt’altro che di circostanza.
(da “La Stampa”)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile IN TEMPI NORMALI NON DOVREBBE ESSERE UNA NOTIZIA… LA TITOLARE: “AI GIOVANI BISOGNA DARE FIDUCIA”
In tempi normali, in mondi normali, questa non sarebbe una
notizia. Ma l’attualità e le storie che spesso arrivano dal nostro Paese rendono eccezionale quella che dovrebbe essere pura normalità.
Perché in Italia la possibilità di unire i concetti “donna incinta” e “contratto a tempo indeterminato” diventa un esercizio per poche, pochissime, fortunate.
Come nel caso di Ester Beda, collaboratrice in un’agenzia di comunicazione in quel di Padova, che non si è vista sbattere la porta in faccia nonostante l’annuncio della sua gravidanza, come invece accaduto a molte altre donne. Anzi, la sua datrice di lavoro le ha offerto un contratto a tempo indeterminato.
Una storia eccezionale, solo perché il mondo che ci circonda non segue la normalità. La 28enne lavora all’interno dell’Agenzia di comunicazione Noima di Padova da tre anni. Ha iniziato, come tanti altri lavoratori, con un contratto di collaborazione. Con il passare del tempo, la sua figura è diventata fondamentale all’interno di quell’ufficio. Merito di una professionalità sempre dimostrata e sempre al passo con i tempi. Poi il matrimonio e quella gravidanza che, in Italia, viene spesso vista come un ostacolo alla carriera. Ma non in questo caso.
Perché Ester Beda, dopo aver annunciato di star aspettando un bimbo, non ha subìto quel trattamento riservato da altre aziende ad altre lavoratrici. La titolare dell’agenzia, Monica Bortolami, per la quale ha lavorato per tre lunghi anni, non ha deciso di interrompere la collaborazione (e i contratti di collaborazione sono i più facili da “sciogliere”) con la 28enne. Anzi, le ha offerto (con la firma arrivata poco dopo) un contratto a tempo indeterminato.
Da qualche giorno, Ester Beda è entrata nel periodo di maternità, come previsto dal contratto. Una svolta per lei e per il marito che ora potranno attendere il lieto evento e tutto quel che accadrà dopo con maggiore tranquillità e serenità.
La titolare dell’agenzia di comunicazione che ha deciso di contrattualizzare a tempo indeterminato la 28enne, ha spiegato così al quotidiano La Repubblica, i motivi di questa decisione che rende eccezionale quella che dovrebbe essere la pura normalità: “Vado controcorrente, non credo che i giovani non abbiano voglia di lavorare. Anzi. Vanno però aiutati. Ci sono giovani bravi e capaci ma a volte non si creano le condizioni”.
Le condizioni giuste che, in questo caso (ma anche in altri) sono rappresentate dalle tutele offerte da un contratto di un certo tipo e dal supporto di un’azienda a una sua dipendente. Perché, come spiegato dalla titolare, per lavorare bene occorre serenità.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile ERA RIMASTA GRAVEMENTE FERITA MENTRE FUGGIVA DAL SUO PAESE
Non sarebbe la prima volta che la musica è d’aiuto per riportare una persona allo stato di coscienza dal coma. Questa volta è un brano dei Måneskin, la band preferita di Anna, 16 anni, giovane profuga ucraina rimasta gravemente ferita in un grave incidente in auto mentre scappava da Kiev il 24 febbraio. Il padre ha perso la vita in quell’incidente.
Anna è arrivata a Torino il 18 aprile, passando per Leopoli, grazie a MirNow, rete di associazioni di solidarietà.
È rimasta in coma per oltre tre mesi. Progressivamente i medici del Cto hanno iniziato a ridurle la sedazione ma lei continuava a non rispondere. Ieri alle 18 ha reagito ascoltando la canzone con cui la band ha aderito alla mobilitazione “Stand Up for Ukraine”. I medici dell’équipe del dottor Maurizio Beatrici, direttore della struttura complessa di neuro-riabilitazione hanno acceso la musica nella sua stanza. Lei ha risposto con un movimento a un comando verbale.
La ragazza ha aperto gli occhi. «È un buon segno, il primo stato di vigilanza post-coma – spiega Beatrici – Gli stimoli musicali sono normalmente utilizzati nelle nostre stanze multisensoriali con cui stimoliamo i pazienti. Parlando con i famigliari, grazie ai mediatori culturali, abbiamo scoperto che i Måneskin erano il suo gruppo preferito insieme alla musica pop coreana. Li abbiamo messi su Spotify ieri nel tardo pomeriggio».
Anna era stata ricoverata fino a qualche giorno fa nel reparto di rianimazione del Cto e poi trasferita alla neuro riabilitazione dell’Unità spinale del Cto.
Ieri l’équipe medica che la segue ha iniziato a ridurre la sedazione e modificato la terapia farmacologica. «In questo ambito abbiamo anche iniziato a proporre degli stimoli e tra questi quello musicale. Durante la valutazione avevamo in sala un fisioterapista ucraino che è un nostro allievo al primo anno che ha tradotto la sua gestualità in parole e ha chiesto alla ragazza di muovere una mano. Lei lo ha fatto nel modo in cui le era stato chiesto. Questo significa che è in grado di integrare un messaggio verbale ed è un buon segno dopo un trauma come il suo. Vuol dire che c’è materiale su cui lavorare».
Anna si è trovava in un posto che non aveva mai visto prima, in un Paese di cui non conosce la lingua. Per lei deve iniziare un lungo percorso di riabilitazione seguita da psicologi e mediatori culturali. In Italia, ospiti di casa Giglio, ci sono la sorella e la mamma che si chiamano entrambe Oksana e il nipotino Nikita di sei anni.
«Il loro arrivo in città il 18 aprile è stato un miracolo di Pasqua». Così l’avevano raccontata i volontari, venuti a conoscenza della vicenda di Anna e della sua famiglia da un sacerdote che lavora all’ospedale pediatrico di Leopoli. Ora un altro ”miracolo”, questa volta musicale. E chissà che i Måneskin non si commuovano al punto di andare a trovarla in ospedale.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2022 Riccardo Fucile “DIRE CHE PER EVITARE L’ESCALATION GLI UCRAINI AVREBBERO DOVUTO CEDERE DI FRONTE ALL’INVASORE NON E’ ACCETTABILE”
«Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo
Sviatoslav Shevchuk, in un collegamento web raccontava di quando è stato a pregare sulle fosse comuni, a Bucha, e ha visto i corpi lividi di poveri civili innocenti, le mani legate, i segni evidenti dell’ingiustizia, della crudeltà e della violenza. Era lì, piangeva insieme a ortodossi, ebrei, musulmani, e si è detto: potevo esserci anch’ io, non posso fare finta di niente. Devo stare accanto al più debole e rifiutare la logica violentadell’aggressore».
L’arcivescovo Bruno Forte partecipa alla plenaria del pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Sospira: «È questo che spinge l’Ucraina alla resistenza».
Come vede la situazione?
«Siamo di fronte ad una tragedia umanitaria che ha provocato innumerevoli vittime e profughi, provocata dall’invasione della Russia di Putin a un Paese che ha diritto alla sua democrazia e libertà. Certo la reazione dell’Ucraina è stata sorprendente, per lo stesso Putin. Ma il giudizio morale è chiarissimo e si esprime nella condanna ferma di questa aggressione cui si sono unite gran parte delle nazioni del mondo e le chiese cristiane, comprese molte ortodosse. Si pensava non potesse più accadere in Europa. Invece ci troviamo davanti un’aggressione simile a quella di Hitler alla Polonia».
Che si può fare?
«Si pone un grande problema, duplice. Da un punto di vista morale, come dice Papa Francesco, la corsa agli armamenti è follia e la guerra un male assoluto. Dall’altra gli ucraini rivendicano il diritto alla legittima difesa, riconosciuto dalla morale cattolica. Puntare solo sulle armi non può essere la soluzione. Però non si può negare agli ucraini il diritto di difendersi».
Qual è il limite?
«La difesa è legittima se proporzionata e punta a non provocare danni maggiori di quelli che si avrebbero non resistendo»
E il rischio di escalation?
«Non c’è dubbio che ci sia, è un pericolo drammatico. Ma dire che per questo gli ucraini avrebbero dovuto cedere di fronte all’invasore non mi sembra accettabile. Stanno vivendo una situazione analoga a chi ha difeso nella storia il proprio diritto alla libertà e all’indipendenza. Non dimentichiamo la resistenza al nazifascismo, della quale hanno fatto
E quindi?
«Bisogna cercare la pace, la via diplomatica va sempre perseguita. Però sposare un pacifismo ingenuo ha ricadute drammatiche. Francesco ha ragione quando condanna la produzione e il commercio armi. Ma è chiaro nel distinguere aggressore e aggredito, ha baciato la bandiera ucraina come segno di vicinanza a un popolo sofferente. E ha detto a Kirill parole che non saranno piaciute ma sono vere e arrivano dal cuore di un uomo che sta soffrendo e prega».
(da la Stampa)
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