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IRLANDA DEL NORD, SINN FEIN PRIMO PARTITO, VITTORIA STORICA

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

L’EX BRACCIO POLITICO DELL’IRA E’ FAVOREVOLE A UNA RIUNIFICAZIONE DELL’IRLANDA

Risultato storico in Irlanda del Nord, dove il partito nazionalista di sinistra Sinn Fein ha vinto le elezioni Politiche dello scorso giovedì. Il partito nazionalista, già organo politico del movimento armato Ira, ha ottenuto la maggioranza relativa nel Parlamento di Belfast, spingendo la sua leader, Michelle O’Neill, a diventare con buone probabilità il primo capo di governo nazionalista dell’Irlanda del Nord.
Per il Paese si apre una «nuova era – ha detto la stessa O’Neill -. È un momento cruciale per la nostra vita politica e il nostro popolo», spiegando che l’ipotesi di una possibile riunificazione dell’Irlanda: «è già oggetto di un sano dibattito. Porterò una leadership inclusiva – ha aggiunto – che celebra la diversità, che che garantisce diritti ed eguaglianza per coloro che sono stati esclusi, discriminati o ignorati nel passato».
Nel Parlamento dell’Irlanda del Nord si tratta un sorpasso epocale alla fine dello spoglio delle elezioni svoltesi giovedì scorso.
I repubblicani cattolici dello Sinn Fein hanno ottenuto il 29 per cento dei voti (27 seggi), ottenendo il maggior numero di seggi che aprono quindi la strada a imporre la leadership del governo locale.
Il Dup, principale partito unionista protestante, si è fermato al 21,3 per cento (24 seggi).
Lo Sinn Fein, che sul piano economico-sociale ha posizioni di sinistra radicali, in qualità di prima forza, può dunque ambire alla guida di un nuovo governo unitario a Belfast, invertendo per la prima volta i rapporti di forza rispetto al Dup sin dal dopo la pace del Good Friday del 1998, e procedere con il proprio obiettivo di riunificazione dell’Irlanda con l’Irlanda del Nord, consci che comunque questo processo non potrà avvenire rapidamente.
(da agenzie)

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A KIEV SPUNTA UNA STATUA CHE INVITA PUTIN A SUICIDARSI: “I CRIMINALI DI GUERRA HANNO DUE MODI: IL TRIBUNALE O…”

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

LA STATUA E’ INTITOLATA “SHOT 2022”

Continua anche sul fronte artistico e scultoreo la guerra tra Russia e Ucraina. A Kiev è spuntata un’installazione scultorea contro il presidente Vladimir Putin.
Si tratta di «Shot 2022» firmata dall’artista Dmitry Iv e ritrae un volto che si punta una pistola alla bocca. La statua porta una targa che recita: «La storia sa che i criminali di guerra hanno due modi: il tribunale o… PUTLER HAI CAPITO IL SUGGERIMENTO?».
Lasciando così intendere un invito a uccidersi rivolto all’attuale presidente russo affinché segua l’esempio di altri criminali di guerra, come Adolf Hitler che morì suicidandosi con un colpo di pistola alla testa il 30 aprile 1945.
Nella capitale la battaglia sul fronte artistico è in corso da diverso tempo. In particolare le forze operative di Kiev avevano annunciato verso fine aprile che è prevista la demolizione di 60 memoriali legati alla Russia e al patrimonio coloniale.
La demolizione è stata avviata con la decapitazione di una statua di bronzo posta all’Arco dell’amicizia dei popoli che venne eretta nel 1982 per il 60mo anniversario dell’Unione sovietica e i 1500 anni della capitale ucraina.
(da agenzie)

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I SOSPETTI DI FRATELLI D’ITALIA SUL “BOIA CHI MOLLA” DEL SINDACO FORZISTA DI RIETI: “FUOCO AMICO?”

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

LA SPARATA DEL SINDACO DI RIETI ALIMENTA I SOSPETTI DELLA MELONI SU UN TENTATIVO DI AFFOSSARE FDI IN ASCESA

Più delle indignazioni inevitabili degli esponenti dem locali e nazionali sull’uscita del sindaco di Rieti con il suo grido di battaglia «Boia chi molla», a fare rumore sono i sospetti di una “polpetta avvelenata” che serpeggiano tra le fila di Fratelli d’Italia, tanto a Rieti, dove si voterà a giugno per il rinnovo del Consiglio comunale, quanto a Roma.
Anzi è proprio nella capitale che i dubbi corrono più rapidi, con i dirigenti più vicini a Giorgia Meloni che si domandano: ma non sarà una mossa contro di noi? Proprio ora, nel momento di massimo sforzo di accreditamento di Fratelli d’Italia come forza presentabile di governo? Alla convention di Milano, la leader di FdI ha provato anche a scherzarci su a proposito dei continui accostamenti tra i suoi militanti e le «camice nere».
Antonio Cicchetti ha iniziato la sua lunga carriera politica nel Fronte della Gioventù, per passare poi al Movimento sociale. Che sia di destra è chiaro, ma che sia di Forza Italia non è dettaglio secondario per i dirigenti di FdI.
Soprattutto in questa fase storica, quando nel centrodestra i veleni stanno intossicando ogni mossa dei rispettivi leader. E il fatto che Cicchetti abbia voluto fare quell’uscita con il «Boia chi molla» proprio a un appuntamento elettorale del candidato sindaco di Fratelli d’Italia, Daniele Sinibaldi, in teoria appoggiato da tutta la coalizione di centrodestra, alimenta come benzina sul fuoco i sospetti di chi vede un tentativo di «fuoco amico».
Un cenno tra le righe lo fa il capogruppo meloniano alla Camera, Francesco Lollobrigida, il primo a commentare la vicenda del suo partito: «Stupisce che partiti che governano a livello nazionale con Forza Italia, partito del quale Antonio Cicchetti è esponente, tentino di coinvolgere in una astrusa polemica il giovane candidato sindaco Daniele Sinibaldi di Fratelli d’Italia – dice Lollobrigida parlando al Pd, perché Forza Italia intenda – Antonio Cicchetti non ha mai aderito al nostro partito e la sua esternazione non è rappresentativa della manifestazione di oggi, ma probabilmente frutto di reminiscenze storiche della sua gioventù che nei Moti di Reggio Calabria ebbe un momento di coinvolgimento emotivo. Nella coalizione che sostiene Daniele Sinibaldi le forze democratiche anche civiche sono tutte ben distanti da nostalgismi ed estremismi come ho io stesso avuto modo di sottolineare nel mio intervento».
(da agenzie)

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“INSETTI, GENDER E MIGRANTI”: L’INCOMMENTABILE TITOLO DE IL GIORNALE

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

IL QUOTIDIANO METTE SULLA STESSA RIGA INSETTI ED ESSERI UMANI, DECONTESTUALIZZANDO QUALSIASI COSA… PER LA SERIE “EUROPA BRUTTA E CATTIVA”

Ecco che ritorna, puntuale come i pollini in primavera, l’eterno claim molto in voga nella dialettica della destra italiana e dai suoi media di riferimento: l’Europa brutta e cattiva che da priorità ad aspetti secondari. E a proposito di priorità, oggi – nel bel mezzo di una guerra a pochi chilometri da noi e con una situazione pandemia in via di lentissima risoluzione, ma ancora strettamente attuale – la prima pagina de Il Giornale è dedicata a un argomento sintetizzato da un titolo che ha il classico sapore della provocazione tipica di quel quotidiano: «Insetti, gender e migranti. Ecco il futuro dell’Europa».
Un’apertura in prima pagina tipica di chi vuole solleticare le pance della facile indignazione degli elettori di destra. Una prima pagina che nel suo titolo mette sulla stessa riga “insetti” ed esseri umani.
Il titolo si commenta da solo e anche la contestualizzazione lascia molto a desiderare visto che neanche il sottotitolo prova a dare una chiave di lettura del tema al centro dell’articolo pubblicato sull’edizione cartacea e anche su quella online del quotidiano diretto da Augusto Minzolini. Un esempio?
E se il titolo de Il Giornale è imbarazzante – sia per formato che per ordine degli addendi per suscitare mal di pancia ai lettori sovranisti – anche il contenuto dell’articolo – scritto da Francesco Giubilei, “membro del comitato scientifico sul Futuro dell’Europa del governo italiano” – che accompagna quel “grido” in prima pagina non è da meno.
Detto che la parte sugli “insetti” non è quella che vogliono far passare – trattandosi della protezione della specie per evitare disastri ambientali (con riverberi anche sul commercio e quindi sull’economia) per quel che riguarda, per esempio, l’impollinazione -, anche nella restante “analisi” dei temi contenuti all’interno della “Conferenza sul futuro dell’Europa” è molto fuorviante. In più occasioni, infatti, il cronista sottolinea alcuni aspetti con una narrazione paradossale. Partiamo dal tema che si racchiude nella sintesi “non si parla di famiglia, ma solo di genere”.
Come sottolinea Simone Alliva de L’Espresso, infatti, in quel paragrafo c’è grande confusione. Si è parlato, infatti, abbondantemente di famiglia. Ovviamente, però, i conservatori della destra italiana – di cui Il Giornale è una delle massime rappresentazioni – non accettano che anche le coppie omosessuali siano finalmente entrate a far parte del dibattito pubblico, in quel percorso di normalizzazione della normalità che l’Europa ha avviato da anni. E la famiglia, le famiglie, sono costituite da persone che si amano, non in base al loro genere.
Poteva mancare il capitolo migranti? Ovviamente no. Il Giornale si stupisce che non ci sia il tema della difesa dei confini, ma si parli esclusivamente dei diritti (perché sì, l’Europa difende i diritti, mentre i doveri sono quelli dei nostri rappresentanti) di chi attraversa il Mediterraneo in fuga da una guerra e una carestia. Guerre e carestie che esistono anche se non sono coperte dai media. Perché è sempre troppo facile (eticamente e moralmente giusto, per fortuna) compiere gesti umanitari accogliendo profughi in fuga da territori mainstream. Ma il quotidiano di Minzolini (forse in vista della ripresa della campagna elettorale per il 2023?) ha deciso di raccontare storie che non esistono, utilizzando quei tre termini in grado di provocare un brivido nell’elettorato di destra.
(da agenzie)

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PERCHE’ LA RUSSIA HA GIA’ PERSO LA GUERRA, COMUNQUE VADA A FINIRE

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

L’INVASIONE DOVEVA RESTITUIRE ALLA RUSSIA LO STATUS DI SUPER POTENZA MONDIALE, L’HA RESA UNA GIGANTESCA COREA DEL NORD, DIPENDENTE DALLA CINA E ISOLATA DAL RESTO DEL MONDO

Abbiamo da poco superato il settantesimo giorno di guerra e per la Russia la situazione si fa sempre più complessa e molto lontana da quelle che erano le aspettative di Mosca prima dell’invasione.
Sul campo di battaglia in Ucraina, la situazione è sostanzialmente in stallo da settimane. Nel Donbass l’avanzata dei russi è stata praticamente fermata, mentre gli ucraini — che hanno iniziato da poco ad usare le armi fornite dall’Occidente, in particolare gli obici con munizioni da 155mm forniti dagli americani — hanno annunciato una controffensiva.
Nella regione di Kharkiv, in particolare, è già in corso ed ha consentito in pochi giorni alle truppe ucraine di ricacciare i russi fino a 40km ad est dal capoluogo regionale, ovvero quasi al confine con la Federazione Russa. Ciò ha permesso, tra le altre cose, di ridurre sostanzialmente i bombardamenti di artiglieria contro la martoriata città ucraina, la seconda per popolazione dell’intero Paese.
A Mariupol, nonostante gli attacchi, i bombardamenti e le distruzioni su larga scala, gli ucraini continuano a mantenere con tenacia il controllo dell’acciaieria Azovstal. L’eventuale conquista totale da parte delle forze russe e separatiste della città che si affaccia sul Mar d’Azov — che ormai è ridotta ad un cumulo di macerie e poco altro — sarà completata solo a durissimo prezzo.
Anche a sud, nella regione di Kherson le cose non stanno andando benissimo per i russi, che non riescono più passare all’offensiva ed anzi nelle scorse settimane hanno perso il controllo di diversi insediamenti.
Sia chiaro, tutte queste difficoltà non significano in alcun modo che la guerra stia per finire a breve con la vittoria dell’Ucraina. Le forze russe rappresentano ancora una forte minaccia per la sopravvivenza ucraina ed inoltre continuano ad occupare una parte sostanziale dell’est e del sud dell’Ucraina.
Eppure, se paragoniamo quali siano oggi le pretese realistiche dei russi rispetto a quelle delle settimane precedenti la guerra, sembra di vivere già in un altro pianeta.
Prima dell’invasione le aspettative di Mosca — chiaramente delineate negli ultimatum consegnati a NATO e Stati Uniti alla fine dello scorso anno— erano quelle di una revisione radicale dell’intero sistema di sicurezza in Europa post-Guerra Fredda, con la Russia tornata in un preponderante ruolo di forza e di superpotenza.
Di fatto Mosca voleva vedersi riconosciuta una sfera di influenza che rimarcasse il più possibile quella dell’ex Unione Sovietica in Europa, limitando drasticamente le attività della NATO nell’est Europa e chiedendo alla stessa Alleanza Atlantica di porre fine alla sua politica delle “porte aperte” ed alla sua espansione, in particolare verso i Paesi ex sovietici.
Per imporre la sua volontà, Mosca aveva bisogno però di una vittoria veloce sul campo che non è mai arrivata. Lungi dall’aver conquistato Kyiv in pochi giorni — come si sperava a Mosca e come temevano anche le cancelliere occidentali fino a fine febbraio — la realtà sul campo è che Mosca si è impantanata in Ucraina e non sa come uscirne.
Un segnale delle difficoltà russe lo si è visto anche nei negoziati che con estrema difficoltà vanno avanti: sebbene non abbiano portato ancora a nessun risultato concreto, Mosca sembra già aver indebolito sostanzialmente le sue pretese su due pilastri delle sue richieste iniziali, ovvero la “denazificazione” (inizialmente intesa come il “regime change” a Kyiv) e la “demilitarizzazione” ucraina.
Anche la neutralità di cui si sta trattando al momento su richiesta di Kyiv è ben diversa da quelle che Mosca intendeva prima della guerra: l’insistenza ucraina sulla necessità di “garanzie internazionali” per la propria sovranità e sicurezza, in cambio della neutralità, significa infatti che, in ogni caso, l’Ucraina non tornerà più sotto la sfera di influenza russa, almeno per il futuro prevedibile.
Anzi, osservando la distruzione su larga scala causata dall’attacco russo e la forte reazione contro l’invasione anche nelle zone più russofone del Paese, è molto probabile che i legami tra Kyiv e Mosca si siano completamente danneggiati per generazioni a venire e sarà molto difficile ripristinarli.
L’utilizzo sempre maggiore da parte di Kyiv di armi occidentali e non più di fabbricazione ex sovietica, nei fatti rappresenta un ulteriore sostanziale allontanamento di Kyiv dalla dottrina militare ex sovietica.
Se uniamo tutto questo alle garanzie di sicurezza richieste da Kyiv, il risultato finale per l’Ucraina è de facto molto simile a quello che avrebbe ottenuto entrando a tutti gli effetti nella NATO: abbandonare per sempre la sfera di influenza russa.
La pessima performance dell’esercito russo in Ucraina ha inoltre causato anche un altro effetto contrario a quello desiderato da Mosca: lungi dall’essere sentite intimidite, Finlandia e Svezia si stanno infatti ora preparando a chiedere (e molto probabilmente ad ottenere) un veloce ingresso nell’Alleanza Atlantica.
Le capacità russe di impedire questo ulteriore sviluppo sono francamente limitate: a parte la consueta minaccia di schierare armi nucleari sul Baltico — ma missili Iskander dotati di armi nucleari erano già stati schierati nel 2018 a Kaliningrad, quindi strategicamente cambia poco — dal punto di vista convenzionale, l’esercito russo non è evidentemente in grado di poter impegnarsi in una guerra su un secondo fronte a nord ovest.
Insomma, qualsiasi risultato Mosca possa ormai realisticamente ottenere dalla sua invasione, è già sicuramente agli antipodi da ciò che avrebbe potuto sperare prima dell’invasione. E tutto questo, a quale costo?
A parte le enormi perdite umane (fonti occidentali parlano ormai di oltre 15 mila morti, dato in aumento ogni giorno che passa) e di mezzi militari in Ucraina, la Federazione Russa oggi è diventata un Paese fortemente isolato dal resto del mondo.
Di fatto la Russia si è trasformata in una sorta di enorme Corea del Nord, sempre più isolata dal resto del mondo, abbandonata da buona parte delle aziende internazionali e con prospettive economiche disastrose per gli anni a venire a causa delle durissime sanzioni internazionali imposte contro il Paese.
Alle Nazioni Unite la stragrande maggioranza dei Paesi ha condannato più volte l’aggressione russa in Ucraina, e la scoperta delle fosse comuni e delle atrocità compiute nelle zone precedentemente occupate dall’esercito russo in Ucraina, non ha certamente aiutato la Russia ad uscire dall’angolo nel quale è stata costretta dalla sua strategia.
Anche quei Paesi che sono rimasti neutrali nei confronti di Mosca — anzitutto India e Cina — hanno dovuto ridurre gli acquisti di gas e petrolio da Mosca per paura delle sanzioni secondarie o richiedere, in cambio, fortissimi sconti alle società energetiche russe.
Di recente un tentativo di vendita spot di 6,5 milioni di tonnellate di greggio russo da parte di Rosneft è finito senza alcun acquirente, quando la società petrolifera russa ha preteso il pagamento in rubli ed in anticipo dell’intero importo.
A parità di sanzioni, ovvero senza ipotizzarne altre — come quelle in discussione al momento all’interno dell’Unione Europea — sul settore energetico russo, le proiezioni sull’andamento dell’economia russa nel 2022 partono già da ora da un crollo minimo di quasi -9% ad uno massimo di -12%, a seconda delle fonti utilizzate.
La Banca Mondiale, ad esempio, stima un crollo del PIL russo del -11% nel 2022, con una inflazione che potrebbe superare il 20% ed un ulteriore diminuzione del PIL russo nel corso del 2023, seguita da una crescita anemica negli anni successivi.
Ciò significherebbe che per tornare agli stessi livelli del 2021 la Russia potrebbe aver bisogno di almeno una decina di anni, nel frattempo bruciando buona parte della capacità di acquisto dei salari a causa dell’altissima inflazione.
Come ha chiaramente specificato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la possibilità di una revisione o eliminazione delle sanzioni imposte alla Russia è legata interamente alla capacità di raggiungere un accordo soddisfacente per entrambe le parti con l’Ucraina per porre fine alla guerra.
Ma visto che l’Ucraina non sembra in alcun modo voler accettare l’intenzione russa di annettersi territori precedentemente ucraini — o se è per questo anche solo l’indipendenza delle due regioni separatiste del Donbass — e la contestuale mancanza di interesse di Mosca a trattare su questo, è molto difficile al momento poter immaginare un accordo tra le due parti che possa portare ad una veloce eliminazione delle sanzioni.
La scelta cui si troverà di fronte la Russia nel prossimo futuro è un quindi quella di decidere se voler continuare a tutti i costi questa invasione militare (sempre che la situazione sul campo non peggiori ulteriormente per Mosca) accettando i duri sacrifici economici connessi, oppure di cercare un accordo con Kyiv in grado di salvarle la faccia, ma rinunciando nei fatti a qualsiasi ulteriore concreta pretesa territoriale.
In qualsiasi caso, il risultato di questa guerra non può che essere uno: quello di una Federazione Russa pesantemente indebolita, sia economicamente che politicamente, e sempre più dipendente dal supporto di Pechino e di pochi altri Paesi al mondo.
Una triste fine per quella che è stata per decenni una superpotenza mondiale e che avrebbe voluto tornare ai fasti di un tempo proprio grazie a questa operazione militare.
(da Fanpage)

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L’OFFENSIVA IN DONBASS NON STA ANDANDO COME IMMAGINAVANO I RUSSI

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

“GUADAGNI TERRITORIALI MINIMI E COSTI SIGNIFICATIVI”

Nonostante il cambio di strategia per vincere la guerra in Ucraina, le forse russe sembrano arrancare anche in Donbass, dove stavano concentrando tutti i loro sforzi. L’ennesima conferma è arrivata con l’ultimo rapporto del Ministero della Difesa inglese sull’evoluzione del conflitto tra Mosca e Kiev: le forze ucraine hanno distrutto nelle ultime ore almeno uno dei più sofisticati carri armati russi, il T-90M.
Si tratta di una nuova pesante perdita ad alcune delle unità più capaci dell’esercito russo e Mosca, ha sottolineato l’Intelligence britannica, impiegherà molto tempo per ricostituire le sue forze armate dopo il conflitto. Il T-90M è stato introdotto nel 2016 e circa 100 unità sono attualmente in servizio. Sarà particolarmente difficile per la Russia rimpiazzare equipaggiamenti così sofisticati a causa delle sanzioni occidentali che limitano l’accesso a importanti componenti microelettronici.
Anche secondo l’Ucraina la battaglia del Donbass non sta andando come voleva la Russia. “Dopo quasi 20 giorni, la tanto attesa e temuta grande offensiva non è all’altezza delle aspettative”, si legge sul The Kiyv Independent, secondo il quale l’esercito russo sta ottenendo “guadagni territoriali limitati a costi significativi. L’assalto sembra destinato a non essere all’altezza del successo simbolico che la Russia probabilmente desiderava ottenere prima del Giorno della Vittoria il 9 maggio, il giorno in cui commemora il suo ruolo nella sconfitta della Germania nazista nella seconda guerra mondiale”.
Solo nelle ultime 24 ore, le forze armate dell’Ucraina hanno fatto sapere di aver respinto otto attacchi dell’esercito russo nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Secondo quanto riferito dallo Stato maggiore delle forze armate ucraine sul suo profilo Facebook, le forze russe non hanno tuttavia interrotto l’offensiva volta ad assumere il pieno controllo delle due regioni del Donbass e a garantire il corridoio terrestre fra quest’area e la penisola di Crimea. “Nelle regioni di Donetsk e Luhansk, i militari dell’Ucraina hanno respinto otto attacchi nemici, distrutto tre carri armati, otto sistemi di artiglieria, sette unità di veicoli corazzati da combattimento, un’auto e tre unità di equipaggiamento di ingegneria speciale del nemico”, ha riferito lo Stato maggiore.
Ma la resistenza ucraina si sta dando da fare non solo in Donbass. Progressi si registrano anche nella controffensiva lanciata nella regione di Kharkiv. Secondo quanto scrive l’Institute for the Study of War. “La controffensiva ucraina a Nord e ad Est della città di Kharkiv si è assicurata ulteriori guadagni nelle ultime 24 ore” e questo – aggiungono gli analisti – potrebbe spingere “nei prossimi giorni” le forze russe oltre quel raggio di azione dell’artiglieria che ha consentito loro di lanciare attacchi su quella che è la seconda città più grande del Paese. “Questa operazione ucraina si sta trasformando in una controffensiva di successo e più ampia, a differenza dei contrattacchi più localizzati che le forze ucraine hanno condotto durante la guerra per proteggere quel terreno chiave e interrompere le operazioni offensive russe”.
(da Fanpage)

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IL DELIRANTE TWEET DELLA SENATRICE GRANATO, PUTINIANA E NO VAX, SU MASSIMO RANIERI

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

“CADUTO NEL VUOTO MENTRE ELOGIAVA IL VACCINO”… CARTABELLOTTA: “VERGOGNA DI STATO”

Contraria al vaccino e al green pass, fan di Vladimir Putin, ex M5s e da poco nel neocostituito gruppo al Senato Cal (Costituzione, ambiente e lavoro) la senatrice Bianca Laura Granato oggi se l’è presa persino col cantante Massimo Ranieri che ieri sera, nel corso di uno spettacolo a Napoli, è caduto dal palco ed è finito all’ospedale, con un bollettino clinico che per fortuna questa mattina lo dava in miglioramento.
«Massimo Ranieri improvvisamente cade nel vuoto mentre recita un elogio al vaccino e finisce al Cardarelli di Napoli», scrive la senatrice sulla sua pagina Facebook, accolta da decine di commenti contro il povero Ranieri, reo di essersi schierato apertamente a favore della campagna vaccinale contro il Covid-19.
A stigmatizzare la posizione di Granato è invece Nino Cartabellotta, il presidente della Fondazione Gimbe, che sottolinea la gravità delle affermazioni, specie se fatte da una rappresentante dello Stato.
(da agenzie)

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ORSINI SARA’ RICORDATO COME QUELLO CHE HA FATTO CHIUDERE “CARTABIANCA”

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

LA RAI: “NULLA CONTRO BIANCA BERLINGUER. SONO I TALK CHE HANNO FATTO IL LORO TEMPO” … DA VIALE MAZZINI NESSUNA CONFERMA SULLE INDISCREZIONI CHE IPOTIZZANO LA CANCELLAZIONE DEL PROGRAMMA DAI PALINSESTI DELLA PROSSIMA STAGIONE

“Nulla da dire su Bianca Berlinguer: è la formula del talk show politico che ha fatto il suo tempo”. Da Viale Mazzini non arriva alcuna conferma delle indiscrezioni che vorrebbero Cartabianca condotto dall’ex direttrice del Tg3 fuori dai palinsesti della prossima stagione. La riflessione in corso – confermano – è lungo la linea indicata da Carlo Fuortes nell’audizione di mercoledì davanti alla commissione di vigilanza.
“Il format televisivo dei talk in un’azienda che fa servizio pubblico credo non sia ideale per un approfondimento giornalistico. Credo siano più adatti all’intrattenimento su temi più leggeri”, ha detto l’amministratore delegato della Rai sottolineando che alle parole seguiranno segnali chiari di discontinuità.
A fare accendere i fari sul destino di Cartabianca erano state nelle scorse settimane le polemiche sulla presenza costante in trasmissione di ospiti più o meno critici sulla politica di sostegno al governo ucraino. Messa sotto tiro da diversi esponenti del Pd ,Bianca Berlinguer ha visto tagliare il compenso per le apparizioni del professor Alessandro Orsini autore di affermazioni shock, anche nella sua trasmissione, come quella “umanitaria” sulla sorte dei bambini: “Preferisco che vivano in una dittatura e non muoiano sotto le bombe in nome della democrazia”. Orsini ha continuato a partecipare al programma rinunciando al compenso, in un crescendo di botta e risposta anche sui social e in altre trasmissioni.
Si sa per certo che Fuortes e il direttore degli approfondimenti Mario Orfeo hanno avviato una riflessione con Berlinguer su una sua diversa collocazione che però sarebbe stata accolta con freddezza dalla conduttrice.
A suo tempo, la fine della sua esperienza alla guida del Tg3 fu oggetto di un duro braccio di ferro, e si concluse con la decisione di affidare a lei lo spazio di prima serata su Rai3 che era stato prima di Giovanni Floris e poi di Massimo Giannini.
Memorabile il suo scontro con il direttore di Rete Franco Di Mare sulla partecipazione fissa al programma dello scrittore montanaro Mauro Corona. Il momento delle decisioni si avvicina in coincidenza con la pausa estiva. “Bianchina” (come la chiama affettuosamente Corona) avrà anche stavolta, se lo vorrà, il tempo per affilare le armi.
(da agenzie)

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CYBER-PARTIGIANI BIELORUSSI: L’OPPOSIZIONE A LUKASHENKO CERCA DI OSTACOLARE GLI AIUTI MILITARI A MOSCA

Maggio 7th, 2022 Riccardo Fucile

GLI HACKER MANDANO IN TILT LE LINEE FERROVIARIE

Gli scolari bielorussi di solito leggono nei libri di storia cosa è stata la “guerra ferroviaria”. E scoprono che si trattava di un’azione, parte della lotta partigiana bielorussa, finalizzata alla distruzione massiccia delle ferrovie, al fine di interrompere il trasporto militare tedesco.
Ottant’anni dopo, la “guerra ferroviaria” è tornata in Bielorussia, non solo nelle lezioni di storia, ma anche nei telegiornali della sera.
Notizie dal fronte: almeno 48 detenuti (molti sono stati poi rilasciati, essendo stati arrestati con l’accusa un po’ fragile di “iscrizione al canale Telgram dei ferrovieri”), due feriti gravi, 4 dispositivi di automazione e telemeccanica del sistema di segnalamento disabilitati, 9 cabine di collegamento bruciate sulle linee ferroviarie, 6 trasformatori di segnale smantellati, e 2 attacchi informatici alla rete interna delle Ferrovie Bielorusse. Ma questi sono i numeri ufficiali.
Il numero effettivo di sabotaggi è ancora sconosciuto. In ogni caso, il ministero dell’Interno parla di oltre 80 «attentati terroristici»: è così infatti che le forze di sicurezza bielorusse definiscono la disabilitazione dei dispositivi di segnalazione, pur senza fornire altri dettagli.
L’inizio delle ostilità di questa nuova guerra partigiana è datato 26 febbraio (e nel silenzio generale continua ancora oggi). È stato allora infatti che sulla linea Talka-Vereytsy (piccole cittadine a sud di Minsk, ndr) è stato disabilitato il dispositivo di automazione e di telemeccanica del sistema di segnalazione e sicurezza. E il giorno successivo, la rete interna delle Ferrovie bielorusse è stata oggetto di un grave attacco informatico.
Permettetemi di ricordarvi che quel giorno si è tenuto in Bielorussia un referendum su un emendamento della Costituzione voluto da Alexander Lukashenko (e a suo favore). Ma poiché l’offensiva delle truppe russe in Ucraina era in corso da diversi giorni, nessuno ha prestato attenzione al referendum bielorusso, ad eccezione dei “cyber partigiani”, che hanno rivendicato la paternità dell’attacco.
Lo hanno preparato e messo a segno proprio per “disturbare” il referendum. La coincidenza dei tempi tuttavia – con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ha fatto sì che venisse identificato come un’azione della “guerra ferroviaria”, e non come presa di posizione contro il referendum. I partigiani digitali infatti erano attivi ben prima di allora: il primo attacco informatico alla rete delle ferrovie bielorusse risaliva al 26 gennaio scorso, e nella rivendicazione si accusava Lukashenko di aver lasciato che «le truppe occupanti (russe, ndr) entrassero nella nostra terra». In quel caso si è trattato di un attacco simulato: non aveva intaccato i sistemi di sicurezza e automazione, ma solo crittografato la maggior parte dei server e dei database.
L’attacco di febbraio è stato su scala molto maggiore.
I cyber guerriglieri hanno disabilitato la rete interna delle Ferrovie Bielorusse e neutralizzato il complesso hardware e software Neman, che, di fatto, controlla la circolazione dei treni, e che da quel momento in poi si sarebbe potuta gestire solo manualmente.
Già il 28 febbraio si erano formate enormi code alle biglietterie ferroviarie, poiché i servizi online non funzionavano, e per ripristinare il sistema ci sono volute due settimane. La notte dello stesso giorno, le centraline di controllo nelle stazioni bielorusse di Gomel e Baranovichi sono state bruciate. E si trattava esattamente delle posizioni su cui si stavano muovendo i militari russi. Quando le centraline si guastano, né gli interruttori né i semafori funzionano: le stazioni passano al controllo “manuale” e i treni possono muoversi a una velocità non superiore a 20 chilometri orari. I “partigiani ferroviari” della seconda guerra mondiale non avevano avuto simili opportunità.
Il 1° marzo, Sergei e Yekaterina Glebko, marito e moglie, sono stati arrestati a Stolbtsy. Non erano stati loro ad aver incendiato le centraline, ma avevano messo dei tronchi sui binari della ferrovia e poi gli avevano dato fuoco. In serata, i canali di Telegram controllati dallo stato hanno pubblicato un video in cui Sergey Glebko, duramente picchiato, si pentiva pubblicamente del suo gesto. I coniugi sono stati accusati ai sensi dell’articolo 289 del codice penale bielorusso per “atto di terrorismo”.
Le detenzioni si sono susseguite: a Osipovichi, Alexey Shishkovets; a Svetlogorsk, Dmitry e Natalya Ravichi, Denis Dikun e Alisa Malanova; a Vitebsk, Sergey Konovalov; a Bobruisk, Evgeny Minkevich, Vladimir Avramtsev e Dmitry Klimov. A proposito di Shishkovets, uno degli arrestati, nel canale Telegram del Ministero degli Affari interni è stato scritto che «si era unito a una formazione estremista, dopo aver effettuato l’accesso a un chatbot di mobilitazione per commettere azioni illegali in Bielorussia» e che il primo marzo aveva ricevuto istruzioni per bloccare le linee ferroviarie e costruire delle molotov. Ma poiché l’intera accusa si basava sul fatto che presumibilmente «lo avrebbe fatto, ma non ha avuto tempo», l’accusa non è stata «terrorismo», ma «partecipazione a una formazione estremista». Cioè, Shishkovets rischia da tre a sette anni di prigione e i coniugi Glebko da otto a venti. I tronchi valgono di più, evidentemente.
Anche Denis Dikun, di Svetlogorsk, è apparso nei canali Telegram delle forze di sicurezza bielorusse in un video di scuse. Come Sergei Glebko, era stato duramente picchiato. L’occhio sinistro era talmente gonfio da essere divenuto quasi invisibile. Ma almeno Dikun era cosciente e parlava. Altri arrestati sono stati mostrati sui canali televisivi bielorussi quando erano privi di sensi, sanguinanti, riversi.
Alla fine di marzo i canali della televisione di Stato hanno mandato in onda le riprese dei feriti in un’operazione che ha fatto molto rumore. Davanti ai giornalisti, le forze di sicurezza hanno illustrato l’operazione senza lesinare particolari: «Questi sono quegli abitanti di Bobruisk che hanno bruciato le centraline vicino a Osipovichi, sono stati arrestati pochi giorni dopo mentre stavano preparando un altro attacco terroristico, e le forze speciali hanno sparato per ucciderli». Secondo il viceministro dell’Interno Gennady Kazakevich, le forze speciali bielorusse sono state tuttavia così professionali che pur avendo ricevuto l’ordine di uccidere, hanno lavorato «con delicatezza»: due dei tre detenuti sono in terapia intensiva, ma sopravviveranno. Sono stati colpiti alle ginocchia, ma grazie alla professionalità dei tiratori scelti, non sono morti dissanguati. Su YouTube, dove i canali statali hanno pubblicato la loro versione sulla sparatoria, il video compare con l’indicazione «il contenuto contiene materiali che potrebbero spaventare o scioccare alcuni utenti». Ma in Bielorussia il contenuto è stato mostrato in TV al mattino, alla sera e al pomeriggio, con i commenti di vari funzionari della sicurezza e propagandisti.
Tra i “terroristi” ci sono tre residenti di Bobruisk: l’autista dell’ambulanza Yevgeny Minkevich, lo sportivo Vladimir Avramtsev e il tassista Dmitry Klimov. Pochi giorni dopo, un altro “terrorista” di Vitebsk è stato aggiunto ai “terroristi” di Bobruisk: Sergey Konovalov, un impiegato del dipartimento di segnalazione e comunicazione delle ferrovie bielorusse. Il canale Telegram della comunità dei ferrovieri bielorussi ha riferito che Konovalov è stato arrestato su denuncia di un ideologo locale, con il quale è entrato in conflitto. E l’ideologo (sì, in Bielorussia esiste il vice capo del Dipartimento di Segnalazione e Comunicazione per l’Ideologia) ha detto al KGB che Konovalov stava presumibilmente preparando un atto terroristico. È bastato a trasformarlo in terrorista a tutti gli effetti.
Tuttavia, il sabotaggio sulla ferrovia è continuato anche dopo i video sanguinosi sugli schermi televisivi. A metà marzo, le centraline di collegamento sono state disabilitate a Domanovo-Lesnaya, nella regione di Brest, e a Fironovo-Zagatya, nella regione di Vitebsk, e sei trasformatori di segnale sono stati rubati alla stazione di Orsha-Central. Il 19 marzo pattuglie delle truppe interne sono arrivate ai binari delle regioni di Gomel e Brest per proteggerli – con tende, localizzatori GPS e armi – e il 23 marzo la chat di Telegram “Comunità dei ferrovieri bielorussi” è stata riconosciuta come formazione estremista.
A metà aprile, decine di persone erano già state arrestate a causa della guerra ferroviaria. In quei giorni i canali statali Telegram hanno lanciato in rete contemporaneamente 38 video di pentiti. Dicevano tutti la stessa cosa: «Ero iscritto al canale Telegram della comunità ferroviaria, ma non sapevo che fosse estremista, il KGB mi ha spiegato tutto, ora mi pento profondamente ed esorto i cittadini della Bielorussia a non iscriversi a canali Telegram estremisti».
Il numero esatto dei «partigiani ferroviari» arrestati è ancora oggi sconosciuto, così come il numero di atti di sabotaggio da loro commessi. Gli stessi funzionari della sicurezza bielorussi producono cifre contraddittorie. La cosa principale per loro è descrivere la nuova guerra ferroviaria come un’operazione dei servizi segreti occidentali. Ogni fermato o detenuto viene definito «agente occidentale», e di lui si dice che «ha ricevuto un ordine», o «ha agito per interesse materiale». Gli agenti occidentali spaventano i bambini bielorussi peggio della strega delle favole. Ma è improbabile che questa volta li spaventino: dopotutto, è scritto anche nei libri di storia che una guerra ferroviaria altro non è che un’eroica resistenza partigiana.
(da Novaya Gazeta Europa)

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