Maggio 8th, 2022 Riccardo Fucile
PUTIN VUOLE RECUPERARE QUANTO POSSIBILE DELLO SPAZIO SOVIETICO, A COMINCIARE DALL’INTERA BIELORUSSIA E DA GRAN PARTE DELL’UCRAINA
«Se non io ora, chi, quando?». Vladimir Vladimirovi Putin lo ripeteva da tempo ai rari intimi, con quel mezzo sorriso tirato che per l’età pare smorfia. Sapendolo allenato a governare un carattere emotivo e violento, i pochissimi che si scontravano con quell’anacoluto preferivano leggervi acida battuta anziché minaccia in cifra. Fino all’alba del 24 febbraio. Quando Putin ha annunciato alla Russia e al mondo che i suoi carri armati stavano invadendo l’Ucraina. Per riportare i «fratelli» a casa. Prima che il loro appartamento diventi americano. E che al Cremlino sieda un successore, di certo meno capace.
L’ultimo Putin è solo. Sa che il suo potere in apparenza totale è totalmente dipendente dall’opinione pubblica. Peggio, ne è prigioniero.
Perché non può perdere. E perché oggi la maggioranza dei russi, persino della borghesia relativamente agiata, vuole andare fino in fondo. Quale sia questo fondo nessuno sa. Salvo che deve apparire trionfo. Nella tavolozza del totalitarismo alla russa scarseggiano le tonalità di grigio.
La verticale del potere è concetto caro a Putin. Significa che tutto afferisce al capo e dal capo si dirama alle membra del gigante eurasiatico ritagliate in 85 soggetti federali assai poco soggettivi e sempre più eterodiretti. Non per questo affidabili. Quando l’autocrazia entra in guerra, suona l’allarme. Ora come mai il rischio è che il flusso dei comandi lungo la verticale s’ inverta. Dal corpo alla testa. Si chiama rivoluzione.
Putin lo teme. Perciò ha deciso di giocare il tutto per tutto. Nella sorpresa di quasi tutti, consiglieri stretti compresi. Disinformato dai suoi e dalla paranoia che attanaglia chi troppo a lungo siede al Cremlino, ha mancato l’obiettivo principale. L’ingresso trionfale a Kiev, con epinicio canonico a Santa Sofia e sfilata militare per i viali della città madre di tutte le Russie.
Ne era talmente certo da ordinare ai soldati in marcia verso la gloria di portare nello zaino le uniformi da parata. Fallito o almeno rinviato l’obiettivo principale, Mosca discute di che cosa potrà essere spacciato per vittoria. E bevuto per tale dal popolo. Il popolo deciderà, prima o poi. Paradossi dell’autocrazia.
Guerra di Putin o guerra della Russia? La domanda dilania la comunicazione occidentale. I fatti rispondono: guerra di Putin e guerra della Russia. Per ora.
È raro che un popolo identifichi la sua guerra con il suo provvisorio capo. La Russia è diversa. Non perché tutti i russi siano putiniani. Niente affatto. Ma quando romba il cannone e univoca tuona la propaganda, scattano durissime sanzioni nemiche e il presidente americano bolla come «macellaio» l’omologo (si fa per dire) russo, il riflesso immediato è di stringersi al tricolore bianco-blu-rosso.
Pensando forse all’imperiale nero-giallo-bianco. Un russo che Putin non lo voterebbe mai oggi potrebbe morire per lui. Per la patria. Il danno reputazionale inflitto alla Russia dal solipsismo del capo, accentuato dalla sua modestissima opinione di collaboratori, consiglieri ed esecutori, non s’ elimina con un colpo di smacchiatore.
Di qui l’utilità di studiare come il carattere di Putin e quello del sistema di cui è prodotto s’ incrocino e rivelino reciprocamente. La parola al suo ex consigliere Vladislav Surkov, quand’era libero: «La società non ha davvero fiducia che nel capo. Sarà forse la fierezza di un popolo mai vinto, il desiderio più agevole di rendere il cammino verso la verità, o altro? Difficile dire, ma è un fatto e non è nuovo. La novità è che lo Stato non l’ignora, lo prende in considerazione e vi si riferisce nell’esercizio di tutte le sue funzioni. () Il modello contemporaneo dello Stato russo comincia dalla fiducia e tiene grazie alla fiducia.
È ciò che lo distingue dal modello occidentale, che coltiva la sfiducia e la critica. È di qui che trae la sua forza. Il nostro nuovo Stato, in questo nuovo secolo, avrà una storia lunga e gloriosa. Non sarà distrutto. Agirà alla sua maniera, otterrà e conserverà i posti migliori nella Champions League della competizione geopolitica.
Presto o tardi, tutti coloro che chiedono alla Russia di «cambiare comportamento» dovranno rassegnarsi ad accettarla come è. Dopo tutto, che possano scegliere è un’illusione. Putin ha un’ossessione: evitare alla Russia la fine dell’Urss. Precondizione del suo attuale progetto di rivoluzione mondiale.
Movimento doppio. Territoriale, recuperando quanto possibile dello spazio sovietico, a cominciare dall’intera Bielorussia e da gran parte dell’Ucraina. Ma soprattutto identitario. Per Putin la Federazione Russa è provisorium. La Russia, quella vera, spiritualmente quindi spazialmente integrale, non esiste senza ristabilire la continuità della propria millenaria missione storica. Persa con il crollo dello zarismo, quindi dell’Idea Russa originaria. In questa ricerca della gloria passata, Putin rischia di distruggere la Federazione Russa in nome di una missione imperiale che non è più realizzabile.
(da La Stampa)
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Maggio 8th, 2022 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DEL NEW YORK TIMES
Le autorità ucraine hanno individuato 38 casi di tradimento da parte di alcuni politici minori. Ma i tentativi di corruzione, anche dei più filorussi, non sarebbero andati a buon fine
Era passato appena un giorno dall’inizio della guerra quando Oleksandr Vilkul, capo dell’amministrazione militare di Kryvyi Rih nell’Ucraina centrale, ricevette una chiamata da un vecchio collega.
La telefonata lo informò dello stato d’avanzamento delle truppe: «la situazione è già decisa» disse la voce di Vitaliy Zakharchenko, ex ministro dell’interno in esilio in Russia per sfuggire alle accuse di omicidio mossegli in seguito alla violenta repressione delle proteste di Euromaidan.
«Firma un accordo di amistanza, cooperazione e difesa con la Russia e le vostre relazioni saranno buone», continuò Zakharchenko. «Sarai un individuo di spicco nella nuova Ucraina», concluse.
Vilkul è il rampollo di una famiglia molto influente nella politica dell’Ucraina sud-orientale, è stato vice primo ministro dal 2012 al 2014 durante la presidenza di Viktor Yanukovich, e la sua visione è sempre stata considerata più vicina alla Russia rispetto a quella di altri politici ucraini. L’uomo, ha rivelato al New York Times di aver subito un tentativo di corruzione da parte della Russia, per convincerlo ad agevolare l’invasione.
Secondo quanto riporta il quotidiano americano, la Russia avrebbe mal interpretato la reazione alla guerra dei politici ucraini considerati filo-Mosca. Il Cremlino sarebbe entrato in guerra con l’aspettativa che gli ufficiali governativi delle zone russofone dell’Ucraina avrebbero rapidamente cambiato fazione, causando netta frattura nell’amministrazione Zelensky, ma ciò non è accaduto.
Solo in un ridotto numero di cittadini e politici avrebbero sposato la causa russa, tentativi però intercettati da Kiev: dall’inizio della guerra, le autorità ucraine hanno già aperto 38 casi di tradimento contro ufficiali di basso grado.
Le regioni minerarie dell’Ucraina dell’est attraevano, ai tempi dell’Urss, operai da tutta l’Unione, il che rese un territorio dove il russo fungeva da lingua franca – condizione che permane tutt’ora, in quanto le aree sono russofone – e il sentimento filorusso era più presente rispetto al resto del Paese. Il Cremlino avrebbe anzi ottenuto l’effetto opposto a quello desiderato. Molti politici che una volta simpatizzavano per la Russia sono diventati stoici difensori dell’identità ucraina.
«Non hanno nemmeno cercato di convincerci», ha spiegato Vilkul riferendosi al Cremlino, «hanno semplicemente presupposto che saremmo stati dalla loro parte a priori». Il politico ha aggiunto che l’amministrazione Putin ha semplicemente confuso il rispetto dei diritti della popolazione russofona con un potenziale supporto a un novello impero russo: «classici megalomani», ha concluso.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2022 Riccardo Fucile
L’INDOTTRINAMENTO DELLA “GIOVENTU’ PUTINIANA” DEGNA DEI REGIMI CRIMINALI…. INSEGNATEGLI A NON SCAPPARE DAL FRONTE, PIUTTOSTO
È diventato virale tra i media ucraini il video che mostra i preparativi in un’asilo di Astrakhan, nell’omonimo oblast della Russia meridionale, per il 9 maggio, Giorno della Vittoria che si celebrerà in Russia.
Come si vede nelle immagini diffuse da Nexta e Unian, le maestre sorridenti accompagnano i piccoli alunni travestiti da militari e anche mezzi militari russi, alcuni anche segnati dall’ormai caratteristica “Z” sul fianco.
La sfilata nell’asilo è accolta dai genitori con un’ovazione, mentre sono impegnati a immortalare il momento con i loro smartphone.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2022 Riccardo Fucile
“ANCOR OGGI OPINIONISTI PAGATI DAL CREMLINO PER MENTIRE”… CE NE SONO ANCHE IN ITALIA?
L’ex manager di origini ucraine ha lavorato per sei anni per Gazprombank, dopo 16 al servizio di Gazprom. «Conosco la cucina dall’interno…» ha detto a Repubblica svelando i meccanismi della propaganda russa
C’è una regole base che non va mai dimenticata quando fonti ufficiali russe diffondono una qualsiasi informazione, spiega l’ex vicepresidente di Gazprombank Igor Volobuev intervistato da Repubblica: «È di default una bugia fino a quando non sia stata provata».
L’ex manager è scappato dalla Russia in Ucraina agli inizi di marzo con l’idea di combattere accanto agli ucraini. Lui originario della regione di Sumy, dove ha vissuto anche suo padre, come spiega a Fabio Tonacci, e dove ci sono ancora tutti i suoi amici di infanzia che dal 24 febbraio gli hanno inviato messaggi e video su quel che stava accadendo: «Ero terrorizzato: non erano presi da YouTube ma girati personalmente da loro che erano nei rifugi. Okhtyrka – sua città natale – è stata una delle prime a sperimentare gli orrori». A quel punto ha deciso che doveva andare via dalla Russia e arruolarsi con ucraini, ma non gli è stato possibile, perché non ha una preparazione militare.
I meccanismi della propaganda russa
Non potendo combattere, Volobuev con un passato da giornalista ha deciso di «contrastare la propaganda russa. Dentro Gazprom – racconta – mi occupavi di insegnare la “politica dell’informazione”. Conosco la cucina dall’interno…».
In sei anni a Gazprombank, dopo 16 anni in Gazprom, Volobuev ha potuto assistere da vicino a quali sono le pietanze avvelenate della propaganda del Cremlino, soprattutto contro l’Ucraina: «Non solo contro le azienda, ma contro l’interra Ucraina, il Paese più importante per il transito del gas russo. Il centro controllo è ed è sempre stato nell’ufficio del presidente. Uno degli uomini che muoveva i fili era Aleksej Gromov – vice capo dello staff di Vladimir Putin e responsabile della propaganda».
Le campagne russe di fake news contro l’Ucraina
Una delle campagne più intense contro Kiev è stata quella durante «la guerra del gas del 2008-2009», quando Mosca diffondeva informazioni che puntavano a screditare i gasdotti ucraini, accusando Kiev di non fare manutenzione e spingendo per nuove infrastrutture che permettessero di aggirare l’Ucraina per le forniture all’Europa. Più che vere e proprie fake news, la strategia era: «fare molto rumore per niente. Per avvalorare l’alto tasso di guasti, prendevamo piccoli casi e li spacciavamo per sistematici, sostenendo che le tubature erano marce e arrugginite. La verità? – spiega Volobuev – I dati sugli impianti russi non sono migliori di quelli ucraini».
Chi gestisce le operazioni di propaganda russa
La catena di comando delle operazioni di propaganda russa anti-Kiev passava dal ceo di Gazprom, Aleksej Miller: «Lui riceveva ordini direttamente dal Cremlino. Davamo alle operazioni la veste del confronti economico, in realtà la guerra del gas era una conseguenza dei problemi che la leadership russa aveva con Kiev». Mosca non accettava quel che stava avvenendo con la Rivoluzione arancione e con l’ascesa di Viktor Yushenko, oltre che l’intenzione ucraina di aderire alla Nato. Per attaccare Kiev, la macchina della propaganda russa ha provato ad accusare l’Ucraina di rubare il gas russo: «Manipolando la realtà». Un sistema che si sarebbe sempre appoggiato anche su opinionisti pagati direttamente dal Cremlino: «attraverso un’agenzia non russa di pubbliche relazioni. Non posso dire il nome – spiega l’ex n.2 di Gazprombank – Quando lavoravo là, sapevo che milioni di dollari erano stati investiti per corrompere “agenti di intelligence”
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2022 Riccardo Fucile
NELLE ZONE DOVE L’ESERCITO DI KIEV RICONQUISTA TERRENO
Tatjana è tornata a casa sua una settimana fa. Un edificio a un piano, di mattoni, ora manca un pezzo del tetto, il cancello e le pareti esterne segnate dalle schegge. Era andata via senza portare niente quando il paesino in cui vive, Mala Rohan, venticinque chilometri a est di Kharkiv, è stato liberato dall’esercito ucraino. Era la fine di marzo, nelle quattro settimane precedenti, Tajiana ha vissuto sotto l’occupazione russa con suo marito, sua nuora e i nipoti.
Il figlio è un soldato, combatte sul fronte del Donbass, da più di una settimana non riesce a contattarlo e non vuole pensare al peggio, così si accuccia, prende da terra i vetri delle finestre fatte a pezzi durante le settimane di guerra, li raccoglie uno per uno e li sistema in un piccolo secchio, quando è pieno cammina lungo la via, lo svuota in un recipiente, si ferma a salutare i pochi passanti tornati a casa, poi attraversa di nuovo il cancello, guarda i fori lasciati dall’artiglieria, si accuccia di nuovo e ricomincia a raccogliere vetri. Sono centinaia.
A casa sua non è rimasta una sola finestra intatta. La parola paura non la pronuncia mai, e non insiste sui dettagli della vita nel seminterrato. Quel che è stato è stato. Il problema è quello che sarà, dice mentre osserva i carri armati ucraini muoversi verso nord. Deve prima distinguere di chi sono i mezzi, poi allontanare il sospetto che l’artiglieria ricominci a sparare.
Prima dell’invasione, a Mala Rohan, vivevano tremila persone, oggi ne restano quattrocento, qualcuno è scappato via in tempo, altri dopo la liberazione e non hanno intenzione di tornare. Villaggio agricolo, affacciato su vasti campi da cui in lontananza si vede Kharkiv, Mala Rohan è uno delle dozzine di villaggi e piccoli centri urbani occupati dai russi il 25 febbraio. Erano duecento, secondo le autorità ucraine, i soldati russi a fare base qui. Le tracce del loro passaggio restano ovunque: lattine di razioni di cibo, proiettili, casse di munizioni, mezzi militari carbonizzati. Li hanno visti tutti, qui, vagare per le strade cercando le posizioni migliori per stabilire basi militari. Anche la casa di fronte a quella di Tatjiana è stata usata come base. Nel giardino ci sono ancora i resti delle uniformi, sopra i nomi dei soldati a cui sono appartenute, il numero di matricola e le spille con i colori del nastro di San Giorgio, arancione e nero, simbolo di gloria militare e onore.
I russi avevano fatto di questo paese una delle postazioni per la loro artiglieria e i sistemi di lancio multiplo che hanno colpito e danneggiato i quartieri orientali di Kharkiv.
Oggi a Mala Rohan gli operai cercano di ripristinare le linee elettriche e quelle del gas. Le unità di sminatori ispezionano case e giardini, raccolgono granate, rendono inoffensive le mine lasciate dai russi prima della ritirata.
Il villaggio è presidiato dalle truppe ucraine, ogni area da cui i russi si sono ritirati è diventata la prima linea di questa seconda fase di intensa controffensiva. E’ qui, nelle campagne che circondano Kharkiv, che si sta combattendo una delle fasi più delicate della guerra d’Ucraina. Paese dopo paese, strada dopo strada.
Negli ultimi dieci giorni l’esercito di Kiev ha ripreso il controllo di una serie di villaggi chiave nella zona nordorientale, riguadagnando terreno strategico. Hanno preso Ruska Lozova, Kutuzivka, e hanno raggiunto Staryi Saltiv. Colpire i russi qui, nei paesi lungo la rotta che da Kharkiv conduce a Iziym, significa minacciare le loro linee di rifornimento e provare a impedire la conquista della regione del Donbass.
Una guerra di posizione e di artiglieria che va avanti da due mesi, combattuta con sistemi a razzo che hanno gittate anche di trenta chilometri e mortai pesanti. In mezzo i civili, e i villaggi che – una volta liberati – restano marchiati dall’artiglieria pesante.
Per questo riprendere i piccoli centri abitati intorno Kharkiv significa proteggere la parte settentrionale della città, la più colpita nei due mesi di guerra, dalla pressione dei bombardamenti. E così è stato, il numero degli attacchi missilistici russi su Kharkiv nell’ultima settimana è sceso da cinquanta-ottanta al giorno, a cinque o dieci al massimo.
Città di lingua russa, Kharkiv, a quaranta chilometri dal confine, avrebbe dovuto essere, nei calcoli del Cremlino, una città facile da prendere. A maggior ragione avrebbero dovuto esserlo i villaggi circostanti, eredità rurale di un pezzo di storia dell’Unione Sovietica.
Non è stato che uno – forse il più grossolano – degli errori strategici dell’invasione in Ucraina, essere sicuri di trovare cittadini benevoli ad accoglierli, soprattutto nelle aree russofone.
Terra di confine, terra di identità contrapposte e insieme di tradizioni coincidenti, oggi Mala Rohan si divide nel racconto dell’invasione.
Gli anziani, innervositi dalle domande, dicono: questa non è Bucha. Come a intendere che l’esercito russo, qui, non si sia macchiato di crimini efferati come quelli lasciati indietro nei sobborghi intorno Kiev, prima di ritirarsi. A seguire le tracce della nuova quotidianità di Mala Rohan, si trovano però le altre voci, quelle dei segni delle atrocità, voci che non urlano, al contrario mormorano.
I negozi sono ancora tutti chiusi, a mezzogiorno, di fronte alla Casa della Cultura del paese, due volontari distribuiscono gli aiuti alimentari. Un uomo si lamenta del sindaco e del vicesindaco scappati via il primo giorno dell’invasione, prende un pacco di pasta, la carne in scatola, il pane e corre via.
Due donne sussurrano il segreto di Mala Rohan: la ragazzina sedicenne che sarebbe stata stuprata da un soldato russo. L’avrebbe presa la sera e riportata a casa il mattino dopo, dicendo – raccontano le donne – che somigliava alla sua fidanzata.
La ragazzina è sopravvissuta, tutti sanno chi sia, tutti ne parlano, nessuno dice dov’è. E’ il fantasma della violenza della guerra.
Tatjiana dice che a lei, i soldati russi, hanno portato il pane, una tanica d’acqua e le hanno detto di nascondersi e non uscire per nessun motivo per proteggere suo nipote di dodici anni e sé stessa.
Lei ha preso il pane e l’acqua, non ha detto che il padre del ragazzino è un soldato dell’esercito ucraino che combatte in Donbass. Ma ha detto loro che è russa. Nata e cresciuta nella regione di Belgorod, dall’altra parte del confine che un tempo univa due popoli e oggi li divide.
Tatjiana dice che non riesce a capire, e forse non vuole. Al soldato che le ha portato da mangiare ha detto «io sono russa, tu sei russo, entrambi discendiamo dagli slavi, parlo la lingua di tua madre. Tu, dimmi, perché sei venuto a uccidere i nostri bambini?».
A questa domanda il soldato non ha risposto ma ha detto che capiva il timore perché anche lui aveva figli. Due, un bambino e una bambina. Tatjiana gli ha detto: «Sono gli stessi bambini che abbiamo noi. In più abbiamo in comune il sangue russo».
Sangue russo era anche quello del gruppo di soldati con l’uniforme della Repubblica Separatista di Donetsk accatastati nelle campagne fuori città, sulla strada che da Mala Rohan raggiunge la collina dove i russi avevano stabilito le posizioni e schierato l’artiglieria.
Sono lì, sotto un salice, ormai in putrefazione.
Poco distante i resti della vita di trincea. Cunicoli scavati nella terra. Armi e munizioni. Due corpi riversi in una buca, i testi delle preghiere nell’antica tradizione russa.
Da quando Mala Rohan è stata liberata i contadini hanno ricominciato a percorrere le strade di campagna e portare un po’ di cibo casa per casa.
Il nipote di Tatjiana, nonna russa e padre al fronte con l’uniforme ucraina, ha paura di tutto e non riesce a stare solo. Tatjiana ha interrotto i contatti con i suoi parenti a Belgorod. Un tempo andava sempre a trovarle, oggi della prossimità con la Russia dice che il confine è un’invenzione degli uomini finché non serve a giustificare le guerre.
(da La Stampa)
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