Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile SI TRATTA DI UNA DELLE IMBARCAZIONI UTILIZZATE DA PUTIN PER ISPEZIONARE LA FLOTTA, PRONUNCIARE DISCORSI OPPURE PER SFILARE DURANTE LE PARATE
L’Ucraina ha distrutto la speciale “nave da parata” che Putin utilizza per
ispezionare le sue flotte navali. Lo ha comunicato l’esercito ucraino. Secondo quanto riferito, una nave da pattuglia di classe Raptor e di colore bianco è stata abbattuta da una bomba a guida laser sganciata da un drone Bayraktar TB2 vicino a Snake Island, nel Mar Nero.
Il presidente russo ha utilizzato una barca del genere con la designazione 001 per le ispezioni della flotta a Sebastopoli e a San Pietroburgo, oppure per alcuni discorsi o alcune parate militari.
La marina ucraina ha condiviso sul suo canale Facebook le riprese effettuate dai droni in volo
Se confermata, sarebbe la terza motovedetta russa ad essere abbattuta, dopo che in attacchi simili sono stati distrutti altri due Rapton. La Russia, a quanto si dice, avrebbe finora schierato otto navi della classe Raptor, di cui cinque distrutte dagli ucraini.
Le forze armate ucraine hanno distrutto anche un mezzo da sbarco di classe Serna con a bordo un sistema missilistico terra-aria Tor sospettato di prendere di mira Snake Island, a circa 125 chilometri a sud di Odessa.
Il canale Telegram Ukraine Now ha riferito: «Abbiamo ricevuto informazioni che una delle barche distrutte del tipo Raptor nell’area di Snake Island era la barca da parata di Putin».
La nave si distingue «per il colore bianco del suo scafo» (mentre quelle da “guerra” sono dipinte con i colori della mimetica). La nave del leader del Cremlino è una «barca da parata appositamente attrezzata con il numero di coda 001», afferma il rapporto. «A bordo, il dittatore russo Vladimir Putin ha ospitato più volte parate militari a San Pietroburgo e Sebastopoli».
(da agenzie)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile UNA VOLONTARIA A IRPIN: “IL 10 MARZO STIMAMMO CHE IL 30% DELLA POPOLAZIONE COOPERAVA IN MODO ORGANIZZATO E DI QUESTA CIRCA LA METÀ CONTINUA A FARLO A TEMPO PIENO”
Sin dai primi giorni della guerra erano dovunque: aiutavano gli sfollati alle stazioni ferroviarie, portavano cibo e acqua a chi usciva dai villaggi devastati, confezionavano bottiglie molotov, riempivano sacchetti di sabbia per le barricate e i meglio addestrati andavano al fronte assieme all’esercito regolare.
Forse suona retorico, ma era la realtà nell’Ucraina appena invasa dalle colonne corazzate russe il 24 febbraio: un fiume di volontari si unì alle forze della resistenza, anzi, per essere più precisi, larga parte della società civile si mobilitò per fare sponda.
All’estero si lessero gli appelli alla lotta del presidente Zelensky – che rispose all’offerta americana di evacuazione con il suo ormai storico «no grazie, non voglio scappare, datemi armi» – come uno sprone alla sua gente, in effetti lui seppe interpretare il sentimento profondo e corale della nazione: non era il tempo dei compromessi e certo non delle fughe, si doveva rispondere alla guerra con la guerra. Furono e sono tutt’ ora i volontari a fare la differenza: la «guerra patriottica» dell’Ucraina 2022 è ancora in corso.
Quanti i mobilitati? «Tanti, tantissimi. Prima di tutto esplose la solidarietà sociale. Ci si aiutava gli uni con gli altri, il vicino donava cibo agli anziani del piano di sotto, si prestava l’auto all’ospedale per il trasporto dei feriti, tantissimi ristoranti iniziarono spontaneamente a cucinare i pranzi per i soldati e volontari che pattugliavano i quartieri vicini, nei villaggi gli uomini (specie cacciatori abituati a maneggiare il fucile) organizzarono ronde e turni di guardia. In quella prima fase forse ben oltre la metà dei circa 37 milioni di ucraini si dettero da fare. Verso il 10 marzo stimammo che il 30% della popolazione cooperava in modo organizzato e di questa circa la metà continua a farlo a tempo pieno», spiega la 39enne Olga Aliievska, che sin dall’inizio dell’attacco russo contro Kiev si mosse con la sua auto per andare a prendere i feriti e gli infermi nel villaggio di Irpin minacciato dai carri armati.
La sua auto rimase poi intrappolata sotto i bombardamenti e lei dovette scappare a piedi attraversando un ponte distrutto. «Ci furono centinaia di volontari uccisi dai russi. Il loro numero non è ancora stato censito. Una decina di miei amici sono morti sotto le bombe mentre cercavano di evacuare i feriti da Chernihiv», aggiunge. Ai primi di marzo iniziò a verificarsi un fenomeno ancora più diffuso e minaccioso per gli invasori.
La popolazione nelle zone occupate segnalava ai comandi ucraini le posizioni del nemico tramite il punto Gps del cellulare. I messaggi venivano passati via Telegram e WhatsApp su apposite App che andavano direttamente all’intelligence, la quale triangolava con altre fonti e poi dava la luce verde di sparare ai droni e ai commando sul terreno. Si comprende così la reazione russa, che diffuse l’ordine nelle zone occupate di perquisire ogni civile, oltre alle auto e abitazioni, per sequestrare cellulari e computer.
Le comunicazioni andavano paralizzate. Avvenne durante il primo mese di guerra nella regione della capitale e continua nel Donbass, a Mariupol e attorno alla Crimea sino alla zona di Kherson. «I russi ci prendono i telefonini, specie quelli di uomini e ragazzi, se trovano video, foto o messaggi sospetti si viene arrestati. Tanti spariscono nel nulla», confermano gli sfollati. Furono poi i volontari nelle squadre di difesa territoriale e inquadrati nei reggimenti operanti a fianco delle unità dell’esercito regolare a offrire un contributo determinante alle battaglie.
Kiev si era trasformata in una gigantesca fortezza con postazioni di combattimento ad ogni incrocio. Lo stesso a Kharkiv. Accanto alle organizzazioni volontarie che davano assistenza alle famiglie con animali domestici e portavano il cibo per i neonati, c’erano quelle come «Palanitza» (dal nome del pane tradizionale), «Army Sos», «Vidbudova» (ricostruire), «Povernize Jevim» (torna vivo), che procuravano visori notturni sofisticati, elmetti, giubbotti antiproiettile, maschere antigas e tute per la guerra batteriologica e raccoglievano fondi per comprare droni.
Già a fine marzo la cifra ufficiosa dei volontari inquadrati militarmente (circa l’8% donne) superava quota 100.000. «Non tutti furono subito mandati a combattere. L’addestramento medio dura almeno due settimane. Ma il meccanismo è ben oliato, venne organizzato al tempo della guerra per il Donbass e la Crimea nel 2014-15», ci racconta il 37enne Andreij Rebakov, un medico di Kiev dispiegato col suo battaglione a Kharkiv. Le sue parole però sono caute: «Finora abbiamo tenuto. Ma i russi non sono ancora battuti e sarebbe un grave errore cantare vittoria troppo presto».
(da Il Corriere della Sera)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile “IN ITALIA OPERANO MOLTE SPIE RUSSE. IL RECLUTAMENTO AVVIENE TRAMITE SPIONAGGIO, MESSA A LIBRO PAGA DI DIRIGENTI, FAKE NEWS, CAMPAGNE SOCIA, ATTACCHI CIBERNETICI”
Adolfo Urso, presidente meloniano del Copasir. oggi ha lo sguardo
puntato verso l’immaginario sestante della propaganda russa che – pure in Italia – sta diventando parte dell’arsenale di guerra del Cremlino.
Presidente, il Copasir in queste ore di “disinformatia” – come chiamano i russi il lento insinuarsi delle fake news nel tessuto sociale- ha parecchio lavoro. È brutto dire che “l’avevamo detto”, eppure “l’avevate detto”, no?
«Sì. Avevamo avvertito che la Russia utilizzava l’energia come fattore di potenza e che era assolutamente necessario affrancarci dalla dipendenza sia diversificando le fonti sia aumentando la produzione nazionale, avevano anche scritto che con “l’escalation militare in Ucraina il problema sarebbe esploso”.
Avevamo allertato sulla postura aggressiva di Putin, le cui avvisaglie erano, tra gli altri, i sei golpe nel Sahel di cui cinque riusciti. Nel Mali e nella Repubblica Centrafricana sono stati allontanati i militari europei per far posto ai mercenari putiniani della Wagner. E avevano anche indicato nel referendum in Bielorussia il punto di svolta perché avrebbe abolito la neutralità del Paese consentendo di dispiegare nel suo territorio, ai confini della Ue, il dispositivo nucleare russo».
Non ci siamo svegliati un po’ tardi – nell’eccesso italico di filoputismo- nel capire che la maskirovka, l’arte dell’inganno russa sarebbe stata un’arma tattica formidabile per una guerra ibrida?
«Guardi, il punto di svolta è avvenuto proprio con la annessione della Crimea, è la guerra nel Donbass, la prima risoluzione del Parlamento europeo del 2016. Nelle nostre relazioni il Copasir ha denunciato come la macchina della propaganda agisca anche nel nostro Paese, lo abbiamo fatto con nettezza durante la pandemia: abbiano denunciato una azione sistemica di disinformazione, nel mondo del web ma anche con attori strutturati nel modo della cultura e nelle università, così come nel sistema della comunicazione. Abbiamo denunciato che l’attività infodemica rilevata si inquadrava in un contesto geopolitico in cui regimi autocratici tendono a condizionare le democrazie occidentali».
Un conto è denunciare, un conto è prendere i provvedimenti necessari…
«Lo stiamo facendo, anche in seguito a quanto denunciato nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo del 22 marzo- ribadito nella sentenza del Tribunale Ue in cui si afferma che le sanzioni nei confronti di media collegati al Cremlino sono assoluta mente necessarie perché propaganda e disinformazione fanno parte dell’arsenale di guerra del Cremlino. Da presidente del Copasir le dico che la macchina dell’informazione russa – come la cinese – è continuamente attiva. Da giornalista mi stupisco che ve ne accorgiate solo oggi».
In questo contesto, lei come ha letto il discorso del 9 maggio – commemorazione della liberazione dal nazifascismo, giorno top della propaganda – di Putin alla nazione?
«La Russia manipola la realtà dei fatti. Prenda il discorso di Putin oggi; secondo lui la Nato li stava “per attaccare”. Peccato che Biden, attraverso le informazioni dell’intelligence americana abbia pubblicato anticipatamente non solo la metodologia ma anche le date e le ore dell’attacco di Mosca all’Ucraina.Ci hanno fatto credere persino che il vaccino Sputnik fosse efficace e che quello cinese fosse il migliore del mondo quando la realtà era ben diversa».
In Italia operano molte spie russe?
«Certo che sì e con modalità che abbiamo peraltro descritto nell’ultima relazione al Parlamento quando abbiamo affrontato il caso Biot».
E come le reclutano, le spie?
«Il reclutamento dei russi avviene tramite spionaggio, arruolamento e propaganda, messa a libro paga di dirigenti, fake news, campagne social, attacchi cibernetici. Ripeto: in relazione alla guerra d’Ucraina avevamo riferito in Parlamento già il 9 febbraio scorso nella nostra relazione annuale, e prima ancora l’avevamo fatto il 13 gennaio per quanto riguarda nello specifico la sicurezza energetica, ben 40 giorni prima dell’invasione!».
In questi giorni la Rai fibrilla per il caso di possibili infiltrazioni putiniane. Avete notizia o sentore che la disinformazione russa possa insinuarsi (anche con inconsapevole appoggio dei conduttori) nei nostri programmi televisivi, Rai compresa, appunto?
«Noi abbiano aperto un’istruttoria anche sulla base di quel che ci ha recentemente detto l’Ue. E comunichiamo solo con le relazioni al Parlamento. Indiscrezioni, allusioni o maldicenze non appartengono al nostro operare, semmai proprio alla disinformazione che dobbiamo contrastare».
Vi risulta che alcuni ospiti tv come il professore Orsini e vari giornalisti moscoviti siano in odore di essere a libro paga? Come reagirebbe il Copasir di fronte a notizie del genere?
«Con la serietà che compete all’organo Parlamentare cui è delegato il compito di verifica e controllo nell’ambito della Sicurezza nazionale. La legge ci impone assoluta riservatezza e quindi lei mi pone una domanda per me irricevibile (la voce di Urso, qui, è lievemente incrinata. Per ogni affermazione che possa disvelare segreti di Stato ogni membro del Copasir può rischiare fino a 15 anni di galera, ndr)».
Che timori avete in merito a possibili infiltrazioni della propaganda russa nei nostri media?
«Le stesse che hanno i nostri partner europei. Basta leggere le risoluzioni del Parlamento europeo, specifiche e dettagliate, e i data base recentemente pubblicati da parte della task force della commissione che parlano di oltre tredicimila casi di disinformazioni accertate, o ancora la recentissima sentenza del Tribunale europeo che ha respinto il ricorso di un media sanzionato, per renderci conto di quale sia la minaccia che incombe e contro la quale abbiano il dovere di agire per tutelare la nostra informazione, che deve essere libera da ogni condizionamento e quindi anche dalle ingerenze straniere».
E sta bene, presidente, il quadro è fosco e la democrazia va difesa ad ogni coso. Sottoscriviamo tutto. Però, concretamente, il Copasir che linea di difesa sta adottando?
«Ora la strutturiamo attraverso le audizioni, con i direttori dell’intelligence, ma anche con altri soggetti che pensiamo utile informare proprio per realizzare quella “resilienza” che il Parlamento europeo sollecita nei suoi documenti. C’è già stata l’audizione del capo del Aise, ci saranno quelle dell’Aisi e del Dis, dell’ad della Rai e del presidente di Agcom. La disinformazione russa opera in tutta Europa. Dobbiamo difenderci dal tentativo di penetrazione e di condizionamento dei sistemi autocratici che vorrebbero imporre anche da noi la neolingua del Grande Fratello…».
(da Libero)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile LA RUSSIA HA SPERIMENTATO TUTTI GLI INGANNI POSSIBILI: LO ZARISMO, L’ANARCHIA, SI È CONCESSA MARX ED ENGEL ED È ARRIVATA LA DITTATURA STALINIANA. E POI LA PERESTROJKA CON LA PROMESSA VELLEITARIA DI UNA DEMOCRAZIA SU MISURA; E FU INVECE IL GHIGNO DI ELTSIN E DEI SUOI QUARANTA LADRONI. E OGGI PUTIN
Cerco una cartolina della piazza rossa il nove maggio, della gran sfilata militare, del suo splendore visibile e dei suoi cauti silenzi, delle parole di Putin, dei cadetti e delle cadette dai lucidi stivali, degli eroi vivi e defunti, della bandiera che fu issata sul Reichstag nazista e di quelle nuove di zecca che si vuol piantare sul più modesto municipio di Mariupol. E la trovo nella parola memoria. Perché la giornata di ieri a Mosca non è stata all’insegna del presente o del futuro. È stata, verrebbe da dire, solo memoria
E la memoria può essere eversiva o reazionaria, perché lo Stato la fabbrica e la coltiva ad arte. L’intero passato è assorbito dal compito di divulgare le ingiustizie commesse ai nostri danni: la Russia è buona, la causa è giusta e la guerra è nobile. È il messaggio inculcato in questa memoria fittizia che può portare un Paese intero in uno stato di trance. E in alcuni casi questa trance può durare per intere generazioni perché è diventata la Storia.
E questo è il nodo dell’uomo russo che è sempre stato trattato come qualcosa di sostituibile e di rinnovabile secondo la necessità, è sempre stato ingannato. E questa è la sua memoria, l’esser stato perennemente ingannato. Tutto quello che ha creduto si è rivelato falso, è stata una soltanto una chimera. La Russia ha sperimentato tutti gli inganni possibili: lo zarismo, l’anarchia ci fu anche quello, poi si è concessa con entusiasmo Marx ed Engel ed è arrivata invece la dittatura staliniana e la stagnazione ma che non riguardava il ben oliato meccanismo repressivo.
E poi la perestrojka con la promessa superficiale e velleitaria di una democrazia cucita su misura; e fu invece il ghigno di Eltsin e dei suoi quaranta ladroni. E oggi Putin: la potenza militare, il mondo che ha di nuovo paura dei russi… Si attende fatalisticamente che anche questo inganno si sveli, come sempre. Lasciando vuota la memoria. Le hanno viste proprio tutte i russi.
Il callo che si è formato nella coscienza è quello di dover attendere sempre qualcosa dallo Zar, vecchio e nuovo, o dal politburo o dal burocrate che ora dispone anche del computer. E poi c’è la paura, quella permanente e antica che è orfana appunto di una memoria che sia evolutiva, e spieghi il passato e il presente, non abbia salti, vuoti paurosi, pause incolmabili.
Per questo la vittoria sui tedeschi nel 1945 e i ventisette milioni di morti della guerra patriottica sono fondamentali. Sono l’unica cosa intoccabile, al di sopra di ogni delusione, consola, conferma. Ma è una memoria che risale a ottanta anni fa. È immobile. E dopo? È vecchia come i veterani che ogni anno si accomodano in tribuna accanto allo Zar del momento. Storia mito leggenda memoria tutto insieme: loro sono gli unici vincitori veri, intoccabili di questa Storia dove l’individuo è sempre stato schiacciato, zittito senza che nemmeno potesse farsi avanti e la libertà di parola è sempre vista come una insolenza.
Anche loro hanno probabilmente da raccontare molte ingiustizie, sono figli della ferocia staliniana che ha consentito di vincere la guerra. Ma sono almeno una generazione intera che ha mantenuto la propria dignità, per loro la memoria è sacra e viva. Ma bastano per il presente? Bastano anche per le generazioni successive?
Per i figli e i nipoti la Russia, amara constatazione, è sempre quella fatta a gradini della gerarchia dei quattordici ranghi dell’epoca zarista e in ogni atto del potere e rapporto tra superiori e inferiori c’è l’insolente millanteria di non dover render conto a nessuno e la certezza che l’uomo russo sopporterà tutto, le bastonate, il gulag e perfino la guerra del Donbass.
La interruzione di memoria più brutale è quella dell’ottantanove, conseguenza della autodistruzione dell’Urss. Una esperienza psicologica che pochi popoli hanno dovuto affrontare in modo così brusco e totale. Forse trentanni fa i russi hanno sognato davvero per un attimo un futuro né socialista né comunista o capitalista, un futuro normale.
Quello che li schiacciò non furono tanto la miseria, l’inflazione, le razzie trionfali degli sciacalli che si contendevano i pezzi del tesoro sovietico, o il frantumarsi dell’impero staliniano da Berlino al Pacifico. La tragedia fu la maledizione della memoria singola e collettiva. Tutto il passato era azzerato e maledetto. Si invitava addirittura a copiare il nemico poiché aveva sempre avuto ragione, si chiedeva di autodistruggersi come oggetti inutili e ricominciare da capo. Il futuro c’era già stato.
Il passato, ed è anche peggio, doveva ancora arrivare. In questo vuoto gonfio di rimorsi e di dubbi si dovevano affrontare problemi come la fine della ideologia unica, del potere unico e della proprietà unica, e assorbire novità come la libertà di coscienza, il sistema parlamentare, la fine delle repressione di massa e della guerra fredda con l’Occidente. Le storie di disperazione personale dominavano il presente. Ognuno poteva raccontare storie di disagio, così grottesche e fantastiche da sembrare al di là della umana comprensione. La vita quotidiana, prima dominata dalle barriere infrangibili di un potere assoluto, si trasformava in un carnevale bizzarro che faceva girare la testa; sembrava non far parte di una esperienza possibile.
La riscrittura e la distorsione della Storia per questo diventarono un atto cruciale che l’abisso della memoria cancellata rendeva più semplice. Si trattava in fondo di uomini e donne per cui la stagione sovietica aveva fatto di tutto per sterminare la personalità trasformandola in un attributo dello Stato, storpiata sotto il peso del terrore delle polizie segrete.
La massa critica di un ritorno all’indietro si stava formando su questa pericolosa impossibilità di ricordare qualcosa di encomiabile, e il burocrate modello Kgb era in agguato pronto a sfruttare l’occasione. Putin aveva nell’armadio l’imperialismo zarista e quello, così simile ma molto più efficace, di marca staliniana. Pensare sempre al nemico e scorgere ovunque tradimento e subdola aggressione, la psicologia della fortezza assediata: deve bastare a chi da sempre vive sul chi va là, perché il terremoto può capitare in qualsiasi momento.
(da la Stampa)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile ECCO LE FRASI SU “MUSUMECI FASCISTA” SULLA STAMPA: “MUSUMECI HA ROTTO I COGLIONI A TUTTI”
Alcuni stralci della trascrizione della registrazione dell’intervista al
presidente dell’Assemblea siciliana Miccichè.
Il patto violato
«Per la prima volta nella storia del centrodestra in Sicilia abbiamo un problema: Musumeci. Come lui ben sa, non possiamo ricandidarlo. Cinque anni fa ci costrinse alla candidatura. Quando cominciammo a ragionare, disse: “Io comunque sono candidato, con o senza di voi. O state con me o perdete”. Non è il sistema migliore per farsi volere bene dalla gente. Non so se chiamarlo ricatto, ma questa è la frase che disse. Un’imposizione, non una scelta».
Campagna acquisti
«Appena diventato presidente, la prima cosa che ha fatto è chiamarsi i nostri deputati per farli passare con lui: “Ti faccio assessore, ti faccio di qua, ti faccio di là”. Ha creato rotture in tutti i partiti. Ma sei scemo? Ha rotto i coglioni a tutti i partiti della coalizione. A tutti.
Dopo di che, quando succedono queste cose fatte dai suoi uomini, lui dice sempre che non ne sapeva niente. Ma una volta l’ha fatto lui direttamente con una nostra deputata di Siracusa che stava venendo a Palermo e me l’ha raccontato: “Mi ha telefonato il presidente dicendomi di passare da Catania perché mi doveva parlare. E ha tentato di convincermi a passare con lui”. Sono stati cinque anni così».
Il fascismo
«Ha tentato di distruggere i partiti facendo diventare i capi dei nostri partiti suoi assessori. Altra scorrettezza assoluta. Odia il parlamento, lo odia! D’altro canto è fascista vero. Nella storia della Sicilia lui è il fascista che esiste nella zona di Catania. Nella Sicilia orientale c’è sempre stato il fascismo. A Palermo no: è troppo nobile e intellettuale.Musumeci odia i partiti, il parlamento, la stampa. I tre pilastri della democrazia: se li togli, non esiste più».
Palermo e Roma
«Musumeci ha sempre odiato i partiti. Ragazzo, ora ci chiedi il voto? Cerchi i partiti? E non ha cercato noi, perché lo sapeva che i siciliani non lo votano. Ha cercato quelli di Roma. La Meloni, La Russa, fascisti come lui di vecchia data. Sapendo bene che noi non lo vogliamo. Non Micciché, tutti i partiti! Anche Fratelli d’Italia. Non hanno nessunissimo piacere di stare con lui. La Meloni ha fatto questa specie di minaccia: senza l’ok su Musumeci loro non danno l’ok su Lagalla sindaco. Sai quanti abbiamo parlato disperati? Nessuno. Il silenzio più totale, fai quel cazzo che vuoi.
Musumeci si è comportato talmente di merda che ha convinto tutti i nostri assessori a passare nel suo partito, per cui noi avevamo finti assessori, in realtà ascari passati totalmente con lui. A me su 4 ne è rimasto uno, che l’ha mandato a fare in culo.
L’altro giorno hanno chiamato Cascio, il nostro candidato, dicendogli che se si ritirava lo faceva assessore al posto di quest’ ultimo che mi è rimasto. Possiamo accettare la candidatura di Musumeci? No. Infatti non l’accetteremo».
Il potere e la rottura
«In Sicilia Forza Italia è sempre stato primo partito. Può essere che ora Fratelli d’Italia e Musumeci ci battano, perché hanno una lista che di fatto porta tutto il peso del governo regionale su Palermo, perché tutti gli assessori sono con loro. Un livello di potere che tu non puoi capire. Noi in assemblea li abbiamo un po’ stoppati, però hanno un potere infinito. Io solo una brioche col gelato posso promettere».
«Questa presa di posizione della Meloni, così rigida e ferma, ha creato indubbiamente una sorta di rottura nel centrodestra. (…) Poi ci siamo detti: “Ragazzi, guardiamoci in faccia, dobbiamo distruggerci perché la signora Meloni ha deciso che dobbiamo morire tutti? Manco per niente”.
A Lagalla abbiamo detto: “Tu vuoi vincere o fare il finto candidato? Perché se vuoi vincere, non si deve parlare di Musumeci”. Lui ovviamente se n’è strafregato di Musumeci. Il rappresentante della lista di Musumeci ha tentato di dire: “Scusate, stiamo facendo un accordo senza considerare la Regione e Musumeci”. È stato aggredito da tutti: “Ma vattene affanculo e non rompere le scatole!”».
Il rebus Meloni
«La verità è che lei rischia moltissimo, perché anche quelli di Fratelli d’Italia se ne fottono, da dove sono non si muovono. (…) Il fatto che abbia tentato questo colpo di mano ha fatto incazzare un po’ tutti. Il centrodestra è vincitore perché siamo riusciti a evitare queste minacce, ricatti. (…) Musumeci non è di Fratelli d’Italia, lo è diventato un mese fa. È sempre stato all’opposizione di tutti: di Fini, di Rauti. Vecchia destra? Forse di più. Troppo. Lui è uno di quelli che non ha immagazzinato dentro di sé il congresso di Fiuggi; Meloni che nasceva da lì ci sta ripensando. La sua convention a Milano era destra-destra-destra-destra.
La mia sensazione è che lei voglia diventare la Le Pen di qualche anno fa, la responsabile della destra europea. Trattare con la destra americana e non so con quale altra. Insomma un ritorno a un periodo Io non credo che se lei volesse restare nel centrodestra rischierebbe un’azione come questa.
A lei di Musumeci non gliene frega un cazzo. La mia sensazione è che vuole rompere. Che le interessa? Oggi è: tutti al governo tranne lei. Lei vuole rimanere in questa condizione. Può essere il primo partito, ma non so con quale facilità potrebbe fare il premier. Mi sembra che non la si veda»
(da agenzie)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile COMMISSIONE ESTERI AZZERATA, IL SENATORE PUTINIANO E’ FUORI…ESPULSO ANCHE DAL M5S
Ogni passaggio, in particolare l’ultimo, è stato vagliato dalla giunta per il Regolamento del Senato. Ma con il voto di oggi pomeriggio, 10 maggio, il caso della rimozione del quasi ex Cinque stelle Vito Petrocelli dalla commissione Esteri del Senato è praticamente risolto: la giunta ha infatti votato a favore del quesito che consente alla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, di azzerare la commissione e dunque togliergli il ruolo di presidente.
Il placet della giunta del Regolamento è stata uno dei tasselli fondamentali della strategia che la presidente del Senato ha concordato coi gruppi, praticamente unanimi nella decisione di destituire il presidente della commissione le cui posizioni sono considerate troppo vicine alla Russia: preso atto della scelta politica, da parte soprattutto della maggioranza, Casellati la scorsa settimana ha dato il via ad una procedura che ha pochi precedenti nella storia del Senato.
Rapidamente si sono dimessi 20 dei 22 membri della commissione, e i partiti ai quali appartengono non hanno designato sostituti. In questo modo, l’organismo di palazzo Madama deputato a seguire gli Affari Esteri è di fatto azzerato e il placet della giunta del Regolamento ha portato in tempi rapidi, come aveva anticipato Open, all’ultimo passaggio. L’azzeramento. Nel corso della discussione del pomeriggio, dalla commissione è filtrato anche il testo del quesito posto ai commissari:
Considerato il parere espresso dalla Giunta per il regolamento del 21 gennaio 2009, preso atto delle dimissioni di più dei 2/3 dei componenti e della contestuale indisponibilità da parte dei gruppi di designare le sostituzioni; atteso l’evidente pregiudizio che la situazione in essere ha determinato sulla funzionalità di una commissione permanente; il presidente è tenuto, al fine di garantire il regolare svolgimento dei lavori parlamentari, a provvedere agli adempimenti necessari al rinnovo e alla ricostituzione dell’organismo in analogia all’articolo 21, comma 7 del regolamento?
Del resto, nel pomeriggio, il vicepresidente del partito Riccardo Ricciardi aveva chiuso ogni spiraglio: “Petrocelli è stato espulso, formalmente credo ci sia ancora un passaggio formale da fare, ma lui è già fuori dal Movimento. Noi siamo a favore della sua decadenza”.
(da agenzie)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile IL VICEDIRETTORE DELLA NOVAYA GAZETA, KYRILL MARTYNOV: “NON HA DICHIARATO LA MOBILITAZIONE GENERALE PERCHE’ SE CHIAMASSE MASSE DI SOLDATI AL FRONTE, NESSUNO VERREBBE”
«Putin sta rovinando generazioni di giovani russi, assenteisti della
politica e indifferenti alla tragedia della guerra». Non ha la loro sfiducia, «ma se li chiamerà a combattere, non andranno». Kyrill Martynov sta per incontrare una platea di studenti alla Scuola Holden di Torino. Per raccontare, con voce critica, come sta vivendo la società russa questi mesi di conflitto e isolamento internazionale si concentra sul paradosso dei ventenni: prime vittime della propaganda dello Zar. È il vicedirettore della Novaya Gazeta, la testata indipendente, costretta a sospendere le pubblicazioni perché era in pericolo la sicurezza dei suoi giornalisti.
Direttore, ha visto la parata di ieri di Putin?
«Non tutta. Solo alcuni episodi, ma sento che mi è sufficiente. È sempre la solita performance».
«Difendiamo la nostra terra dai nazisti», «l’Occidente vuole invaderci»: il leader del Cremlino ha puntato sulle teorie cospirazioniste, falsificando la Storia. Ma chi crede davvero alla sua propaganda?
«Alcune persone in Russia ci credono o per meglio dire ci vogliono credere perché, sapete, se non credi a questa propaganda, ti trovi in una posizione molto difficile».
Subisci la repressione del regime?
«Qualcosa di ancora più sottile: non solo è pericoloso esprimere un’opinione contraria sulla guerra in Russia. È soprattutto questione di identità. Se il mio presidente, il mio esercito e il mio Paese uccidono davvero la gente in Ucraina, se hanno commesso davvero questi crimini di guerra e così via, allora c’è qualcosa di sbagliato in loro.
Devo metterli in discussione, e metto in discussione il sistema in cui vivo. I russi non vogliono essere filosofi morali tutti i giorni. Milioni di loro fanno solo finta di credere che se Putin sta agendo così, un motivo ci sarà. Poi, lui non fornisce alcuna altra ragione ufficiale per giustificare la guerra, se non questa storia oscena sui nazisti. E allora, passa per buona quella nella società civile. Perché sennò, cosa succederà a tutti noi?».
La guerra in Ucraina potrebbe far deflagrare la stessa Russia?
«Quest’ anno, il prossimo, potrebbero essere cruciali per Mosca. Forse avranno un impatto tragico anche sulla storia europea, perché qualunque cosa accadrà, saranno un test enorme per l’identità russa. Se la Russia mantiene a lungo questo sentimento post-imperialista, ci saranno ancora persone disposte a credere che i vicini vengono uccisi solo perché sono nazisti. Sarebbe un caso molto simile a quello dei tedeschi del XX secolo, una sfida molto difficile fingere di essere un buon popolo con un buon governo, visto quello che succede. Ma a me, al momento, e la parata lo dimostra, Putin sembra che voglia solo trovare buone scuse per giustificare se stesso».
Sta dicendo che Putin è in difficoltà?
«Sì, è assolutamente in difficoltà. La retorica è “siamo stati costretti”, “non avevamo altra scelta, dovete capirmi”. È interessante notare com’ è cambiato in tre mesi. Era molto più coraggioso a febbraio. Non ha nessuna opzione reale per finire questa guerra. E neanche per vincerla sul piano militare».
Perché non ha dichiarato la mobilitazione generale?
«Se chiamasse masse di soldati al fronte, nessuno verrebbe. Lo Stato russo è totalmente corrotto. Anche col coronavirus lo abbiamo visto: ha dovuto costringere ad osservare le restrizioni, nessuno osservava la legge. Se convochi milioni di persone, le chiami ad alzarsi dal divano e ad andare a morire in Ucraina, tutti ti diranno: “Perché io? Prendete lui”. Putin non vuole scatenare proteste e fughe a catena. La Russia ha un’economia al collasso, la società è divisa, milioni di persone non hanno perdonato questo conflitto. In pochi vogliono essere buoni, bravi e coraggiosi soldati contro persone che non hanno fatto loro niente di male. Non capiscono quale sia lo scopo».
Cosa pensano i giovani del conflitto?
«La situazione è abbastanza complicata: alcuni sono sostenitori di questa guerra, anche alcuni giovani politici che vogliono far carriera. Ma se parliamo del pubblico in generale, credo che ci siano due posizioni principali. La maggior parte dei ventenni e trentenni sono probabilmente indifferenti. Dicono: non possiamo cambiare nulla, le decisioni di Putin, dunque facciamo finta di niente e pensiamo alla nostra quotidianità. Facciamo festa, fondamentalmente. Conosco molte di queste persone, da ex insegnante di filosofia».
Questo accade anche ai giovani più istruiti?
«No, questa è la seconda posizione. Molti hanno già lasciato il Paese. Alcuni sono stati arrestati, anche in questi giorni, perché hanno espresso dissenso contro la guerra. Sono molto coraggiosi. Sono centinaia e rischiano tantissimo. Ma se posso dire, da ex educatore, il problema è che Putin ha distrutto il futuro dei giovani».
Dunque lei non crede che ci siano chance per una rivoluzione dall’interno?
«L’opposizione è frammentata. Non sono pronti per una vera lotta politica. Non credo in una sorta di scenario come nel 1968, sarebbe una specie di storia hollywoodiana. La realtà è più complessa. Più di dieci anni fa, ci sono state le primavere arabe, iniziate da un ambulante che si è dato fuoco per strada. Poi è nato un enorme movimento di massa. Anche da noi, una giornalista si è uccisa per protesta, nello stesso modo. E credo che la situazione sia fragile in Russia. Il richiamo ai valori, alla dignità delle persone può essere l’innesco. Ma non possiamo prevederlo. Mi limito a fare una previsione sulla guerra. Due giorni fa ho parlato con uno scrittore russo molto importante che vive negli Stati Uniti. Mi ha detto che Putin non vuole perdere la guerra ed è per questo che non attaccherà mai un Paese Nato».
(da La Stampa)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile DI FRONTE A 150 CASI SEGNALATI, PARLANO DI “MALEDUCAZIONE FISIOLOGICA” IN MANIFESTAZIONI CON TANTE PERSONE… MA SONO CAPACI DI CREARE UN SERVIZIO D’ORDINE ALMENO?
Gli oltre 150 casi di molestie segnalati durante l’adunata degli Alpini a Rimini? Tutta colpa di “infiltrati” con il cappello taroccato.
A dirlo è il surreale comunicato stampa dell’Associazione nazionale alpini (Ana) che, dopo giorni di testimonianze di donne raccolte in rete e sui giornali, è riuscito nella impossibile impresa di non condannare violenze e aggressioni.
Anzi: gira che ti rigira, gli offesi sono loro perché c’è chi “infanga il loro buon nome”. Se l’esordio è una “presa di distanza dai comportamenti incivili”, nel giro di poche righe i palpeggiamenti, le molestie in branco e i commenti inopportuni, diventano “episodi di maleducazione fisiologici“.
Insomma se vi stavate chiedendo chi sono stati “i cattivi” che si sono macchiati dei fatti di Rimini, l’Ana non ha dubbi: giovani under 40, che si aggirano per la festa degli alpini per danneggiare il corpo, e che comprano penne “tarocche” per poter toccare indisturbati donne e minorenni.
Come se una penna in testa fosse il lascia passare per fiondarsi su una donna, prenderla a male parole e toccarla a piacimento. Peccato allora che i presenti non se ne siano proprio mai accorti: se sono così tanti e se il “tarocco” è chiaro, sarebbe stato utile che gli alpini “originali” si allarmassero o prendessero posizione. Che gridassero all’impostore per riportare l’ordine. Invece, a quanto pare, proprio gli alpini non sono riusciti a fare il servizio d’ordine della propria manifestazione e nessuno è riuscito a smascherarli.
Il presidente dell’Ana Sebastiano Favero, intervistato da la Stampa, l’ha detto chiaro e tondo: questa storia degli infiltrati per dare fastidio alla gente, “uomini o donne che siano”, è capitata spesso. Avete capito bene: l’hanno già vista, non è una novità. Ma allora perché non hanno mai fatto niente? Perché loro hanno bisogno di “fatti concreti” e i social, per Favero e l’Ana, sono “poco attendibili”.
Del resto il tono collettivo è stato lo stesso per tutta la quattro giorni organizzata nella città romagnola: 150 donne raccontano, con dettagli ed elementi circostanziati, di aver vissuto gravi episodi nel bel mezzo della festa nazionale? Tutto falso perché “non ci sono denunce”.
Una giustificazione che se non fosse drammatica dovrebbe far ridere: in Italia una donna che parla di cat-calling viene derisa ancora prima di spiegare cosa le è successo, figuriamoci se si presenta in una caserma e se cerca di portare gli aggressori in tribunale.
Senza contare che, come testimoniato dalle decine di donne che hanno fatto sentire la loro voce nelle scorse ore, molti degli episodi sono avvenuti sotto gli occhi delle forze dell’ordine. E, raccontano, “nessuno è intervenuto”. “Dicevano ‘va bè ma sono gli alpini’”, hanno raccontato le vittime. “Presunte”, secondo Favero. Perché se sono stati dei “presunti alpini” a danneggiarle, anche le violenze diventano automaticamente “presunte”.
L’Associazione nazionale alpini aveva subito critiche simili nel 2018, durante l’adunata di Trento. Ma nessuno nel corpo degli alpini deve aver fatto una qualche autocritica se dopo ben 4 anni la situazione si è presentata pressoché identica. E con una replica ancora più surreale.
Sollecitati e interpellati per ore, tranquillizzati dal silenzio assordante della politica nazionale e regionale, gli alpini hanno deciso di parlare solo a tarda sera di lunedì 9 maggio. “L’Associazione Nazionale Alpini prende ovviamente le distanze, stigmatizzandoli, dai comportamenti incivili segnalati, che certo non appartengono a tradizioni e valori che da sempre custodisce e porta avanti”, è stato l’esordio che lasciava aperto qualche spiraglio. Un’illusione: la messa in discussione è finita qui. “Al tempo stesso, però”, continua il comunicato, si “sottolinea che risulta che alle Forze dell’ordine non sia stata presentata alcuna denuncia“. Ecco, le presunte molestie secondo gli alpini. Ma non solo l’Ana “rileva poi che quando si concentrano in una sola località centinaia di migliaia di persone per festeggiare è quasi fisiologico che possano verificarsi episodi di maleducazione, che però non possono certo inficiare il valore dei messaggi di pace, fratellanza, solidarietà e amore per la Patria che sono veicolati da oltre un secolo proprio dall’Adunata”. Se è così “fisiologico”, come scrivono gli alpini, la domanda sorge spontanea: come fanno in tutte le altre manifestazioni con centinaia di migliaia di persone, radunate in una stessa città, a non molestare le donne? Dev’essere un fenomeno sconosciuto per gli alpini: forse potrebbero sentirsi con gli organizzatori dei cortei della scuola, gli ambientalisti, i pacifisti. Forse i segreti potrebbero
Ma non è l’unico dubbio che sorge leggendo il comunicato dell’Ana. Come è possibile che decine di ragazze raccontino, tutte in coro e tutte con le stesse modalità, delle mani sulla pancia, sul sedere e sul seno. Di uomini che cercavano di leccarle o baciarle mentre lavoravano, delle mascherine strappate, degli accerchiamenti in branco, degli insulti insistenti.
Come è possibile? L’Associazione nazionale alpini ha risolto il mistero: è colpa degli infiltrati. “L’Ana fa notare”, continua la nota, “che ci sono centinaia, se non migliaia, di giovani che pur non essendo alpini, approfittano della situazione: a costoro, per mescolarsi alla grande festa, basta infatti comperare un cappello alpino, per quanto non originale, su qualunque bancarella”.
Ecco che l’indagine si fa più sottile. “Un occhio esperto riconosce subito un cappello “taroccato”, ma la tendenza è nella maggior parte dei casi a generalizzare. La grandissima maggioranza dei soci dell’Ana, poi, a causa della sospensione della leva nel 2004, oggi ha almeno 38 anni: quindi persone molto più giovani difficilmente sono autentici alpini”. Una presa di distanza quindi gli alpini l’hanno fatta, ma dai giovani: gli under 40 sono tutti o quasi infiltrati. E se ci sono state violenze o molestie, bé di sicuro è colpa loro.
Allora l’Ana chiude dicendosi offesa. Perché quelle donne hanno parlato e invece potevano starsene zitte e portare pazienza, come già hanno fatto decine e decine di donne prima di loro.
“L’Associazione Nazionale Alpini, per quello che le penne nere sono e rappresentano, ritiene quindi ingeneroso e ingiustificato veicolare un messaggio che associa la figura dell’alpino a quegli episodi di maleducazione“. La chiusa è per ricordare “gli alpini in congedo” che hanno fatto i volontari “durante l’emergenza Covid”, e “che si impegnano a trasmettere i loro valori ai giovani, così come accade nei Campi scuola”. Fine. Nessuna scusa, nessuna volontà di indagare meglio, nessuna autocritica. Solo un’accusa: per gli infiltrati con le penne tarocche.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 10th, 2022 Riccardo Fucile GLI EX CONIUGI MARCOS SONO ACCUSATI DI AVER DEPREDATO TRA I 5 E I 10 MILIARDI DI DOLLARI DI DENARO PUBBLICO
In pochi, quel 25 febbraio del 1986, si sarebbero immaginati che un
Marcos sarebbe tornato alla guida delle Filippine. Per giunta dopo aver vinto le elezioni presidenziali con una sorta di plebiscito. Eppure, Ferdinand Marcos Jr. ha più che doppiato i voti della principale sfidante, la vicepresidente uscente Leni Robredo, con un vantaggio (a scrutinio non ancora ultimato) intorno ai 30 punti.
Poco più di 36 anni dopo la rivoluzione del Rosario, il figlio del dittatore che governò le Filippine dal 1965 al 1986 si appresta a rientrare al palazzo presidenziale di Manila, lì dove sua madre Imelda conservava tremila paia di scarpe prima dell’esilio forzato alle Hawaii.
Marcos Jr., ribattezzato “Bongbong” dal padre per l’abitudine di salirgli sulle spalle (in tagalog il termine identifica un contenitore di bambù che si porta sulla schiena), si è sempre impegnato nel tentativo di riabilitare la reputazione dei genitori.
Accusati di aver depredato tra i 5 e 10 miliardi di dollari di denaro pubblico, Ferdinand Sr. (morto alle Honolulu nel 1989) e Imelda (oggi 92enne) vengono descritti dal figlio rispettivamente come “genio politico” e “politica suprema”. Un processo di revisionismo che non ha trovato ostacoli in un paese dove l’età media è di 26 anni e dunque in pochi conservano il ricordo dei soprusi paterni.
La maggioranza dei filippini ha scelto il 64enne rampollo di mamma Imelda, nonostante il passato di famiglia caratterizzato da un’infinita serie di accuse di corruzione ed episodi mai chiariti come l’uccisione del leader dell’opposizione Benigno Aquino all’aeroporto di Manila. D’altronde è proprio la madre ad averlo spinto alla carriera politica dopo gli insuccessi internazionali, con una laurea e un master mai portati a termine tra Oxford e Usa. Investitori e mondo finanziario temono Marcos. Non tanto per il timore di un ritorno ai tempi autoritari, quanto per un programma economico vago e confuso.
“Bongbong” eredita un Paese caratterizzato da profonde divisioni e ancora scosso dalla violenta campagna anti droga del presidente uscente Rodrigo Duterte, che lo ha definito «debole» e «bambino viziato» durante la campagna elettorale.
Ma la vicepresidente sarà proprio la figlia di Duterte, la 43enne Sara, che ha scelto di correre in ticket con Marcos Jr. contro il parere del padre che l’avrebbe invece voluta leader al suo posto. L’erede dell’altra dinastia politica filippina ha stravinto l’elezione separata per la vicepresidenza.
Secondo molti, Marcos Jr. userà il suo potere per fermare le indagini sul patrimonio della sua famiglia, dato che presiederà la commissione che ancora conduce l’inchiesta. L’esito del voto non dispiace alla Cina, visto che si ritiene che “Bongbong” possa proseguire con la linea morbida nei confronti di Pechino adottata da Duterte, nonostante Xi Jinping non abbia mai rispettato una sentenza dell’Aja a favore di Manila sulle dispute territoriali del mar Cinese meridionale.
Marcos Jr., tra l’altro, non può mettere piede negli Stati Uniti a causa di una maxi multa mai pagata da 353,6 milioni di dollari comminata a lui e alla madre dopo una class action contro le violazioni dei diritti umani del regime guidato dal padre. Robredo sembrava invece garantire una postura più in linea col tradizionale alleato americano.
Senza contare le sue posizioni a tutela dei diritti della comunità Lgbt e dei giornalisti spesso vessati durante gli ultimi anni. Anche la chiesa cattolica stava con lei. Non è bastato. I filippini hanno scelto di affidarsi di nuovo a due famiglie che conoscono (fin troppo) bene, i Marcos e i Duterte, che viste le proporzioni della vittoria si sentiranno in diritto di governare pressoché incontrastati.
(da agenzie)
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