Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile CI RIVEDIAMO VENERDI 20 MAGGIO
Come avevamo da tempo programmato, ci prendiamo una breve pausa, dopo
una lunga “tirata” ininterrotta: il blog riprenderà le pubblicazioni venerdi 20 maggio.
Un grazie alle centinaia di amici, comunque la pensino, che ogni giorno visitano il nostro sito, anche dall’estero, gratificandoci del loro interesse.
Essere da 15 anni tra i primi blog di area in Italia, basando la nostra attività solo sul volontariato, con un impegno di aggiornamento costante delle notizie (20 articoli al giorno dal mattino a tarda sera, festivi compresi) è una sfida unica nel panorama nazionale che testimonia che non siete in pochi a pensarla come noi.
Orgogliosi di rappresentare una destra diversa, popolare, sociale, nazionale, antirazzista, solidale, legalitaria, attenta ai diritti civili.
Un abbraccio a tutti e a presto.
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile GLI EROI DI ACCIAIO DI AZOVSTAL CHE CONTRIBUISCONO AL LATO EPICO DELLA RESISTENZA E IL TENEBROSO CONSIGLIERE DELLA PRESIDENZA OLEKSIY ARESTOVICH CHE INCANTA GLI INTELLETTUALI CON I SUOI RAGIONAMENTI STRATEGICI COLTI… E POI CI SONO I MEME CHE PRENDONO PER IL CULO I SOLDATI RUSSI
L’incontro tra i due maschi più popolari dell’Ucraina è stato molto cordiale: il primo ha applaudito, il secondo ha scodinzolato.
Il cane Patron è stato decorato da Volodymyr Zelensky con una medaglia per il «servizio fedele», e i fotografi si sono accovacciati sul parquet intarsiato del palazzo presidenziale di Kyiv, ignorando un altro ospite famoso che di solito attira tutti gli obiettivi, Justin Trudeau.
Forse un po’ geloso, il premier canadese non si è aggiunto alla coda di Vip internazionali ansiosi di farsi un selfie con in braccio il cagnetto sminatore – la ministra dell’Interno lettone Marija Golubeva ha addirittura scritto su Twitter che era il sogno della sua vita – ma la fama del Jack Russel di Chernihiv gli ha comunque portato un record di cuoricini sui social.
Patron è l’arma irresistibile dell’offensiva mediatica ucraina. Ha due anni, e il suo padrone Mykahilo Iliev, sminatore della protezione civile, ha fatto leva sul suo amore per il formaggio per insegnargli a fiutare mine: ha già scovato più di 200 ordigni russi.
Con la sua pettorina con le insegne dell’esercito e il suo nome (che vuol dire «cartuccia»), il cane-soldato è diventato un simbolo della resistenza, l’incarnazione del mito di Davide contro Golia, piccolo, coraggioso, bravo e «impossibly cute», «irresistibilmente carino», come lo ha definito il New York Times.
Patrocina raccolte fondi che si chiudono in poche ore, visita bambini negli ospedali e gira video in cui spiega di stare alla larga dai boschi pieni di mine. In pochi giorni si è fatto 260 mila follower su Instagram, spunta da cuscini e tazze, murales e fumetti, sticker e magliette, i bambini di mezzo mondo gli mandano disegni commuoventi, e ora punta a finire sul prossimo francobollo delle poste ucraine, dopo quello andato a ruba della ormai leggendaria nave russa mandata «a quel paese» dai marinai dell’isola dei Serpenti.
Il Paese che ha eletto presidente un comico sta vincendo la guerra anche nell’immaginario, scrivendo una nuova pagina di storytelling, trasformato in un’arma strategica quanto i cannoni. Ogni episodio, ogni personaggio, ogni frase diventano virali, dalla ormai mitica «buonasera, veniamo dall’Ucraina» del governatore di Mykolaiv Vitaliy Kim, che alterna sul suo canale Telegram annunci di allarmi aerei e meme caustici sui soldati russi, al rap sui droni turchi Bayraktar, scritto dal militare Taras Borovok nei primissimi giorni della guerra.
Ci sono eroi e icone per ogni categoria di pubblico: Patron commuove grandi e piccini, gli eroi di acciaio di Azovstal contribuiscono al lato epico della resistenza, il tenebroso consigliere della presidenza Oleksiy Arestovich incanta gli intellettuali con i suoi ragionamenti strategici colti. Le intercettazioni delle telefonate dei soldati russi, rilasciate dallo spionaggio di Kyiv per ridicolizzarli come sorta di Sturmtruppen avidi e feroci, sono ormai un genere a parte, e la loro autenticità non ha più nessuna importanza.
Dietro, c’è un ottimo lavoro di professionisti dell’immagine – che mandano all’Eurovisione una canzone pensata apposta per venire cantata in coro dagli spalti – ma anche una creatività diffusa e una comicità naturale, che spinge i kyiviani a tenere spettacoli di cabaret nei rifugi antibomba, come racconta Nika Melkozerova su The Atlantic.
Non c’è una centrale che produce propaganda, come in Russia, ciascuno può ottenere i suoi 15 minuti di gloria con uno slogan azzeccato, una vignetta divertente o un video al vetriolo, come quelli dei soldati russi che legano ai carri armati lavatrici e frullatori rubati.
Ogni giorno porta un eroe nuovo, dal gallo Tosha scappato dai russi insieme alla sua padrona, alla anziana signora che ha abbattuto un drone nemico lanciando un barattolo di conserve di pomodori, al professore universitario che tiene lezioni in Dad dalla trincea, e gli anonimi soldati che lasciano nelle case occupate biglietti come «scusate il disordine, abbiamo dato da mangiare ai gatti».
I felini sono un tormentone a parte – anche Patron convive con il serafico persiano Tom – e le foto dei soldati che coccolano gattini salvati dalle macerie fanno concorrenza ai post del micio Stepan, star di Instagram ora rifugiato in Francia.
Tra i vari registri, dal toccante al drammatico, è l’umorismo a prevalere: combatte l’angoscia, e sdrammatizza la serietà pomposa e intimidatoria della retorica russa. Gli ucraini, dice Melkozerova, «hanno un senso dell’umorismo speciale», e a postare battute, spesso azzeccate, sono perfino generali e ministri (con la visibile eccezione di Zelensky).
«Oggi, l’Ucraina è il posto migliore dove scherzare», dice a The Atlantic il comico Anton Tymoshenko: «Se sei bravo, in America al massimo fai uno spettacolo in seconda serata, in Ucraina puoi fare una carriera fantastica: distruggere la Russia».
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile RIPRESA KHARKIV, I FIUMI DIVENTANO OSTACOLI INSUPERABILI PER I RUSSI … IL TEMPO GIOCA A FAVORE DEGLI UCRAINI
In questo momento sono in corso due grandi offensive nell’est dell’Ucraina: la
prima è quella russa verso Slovyansk, Kramatorsk, Severodonetsk e Lysichank. La seconda invece è quella dell’esercito ucraino nella regione di Kharkiv.
Entrambe potrebbero avere un ruolo decisivo nella vittoria finale della battaglia del Donbass: dipenderà tutto da chi tra i due contendenti sarà in grado di risolvere i due problemi principali che si trovano di fronte: l’attraversamento del fiume Seversky Donetsk e la micidiale artiglieria nemica in attesa dall’altra parte del fiume.
Ogni qualvolta una delle due armate ha cercato, infatti, di passare all’offensiva nell’area del Seversky Donets, la storia è sempre stata la stessa: le truppe in avanzata hanno cercato senza successo di attraversare il fiume, solo per essere accolti da pesanti bombardamenti di artiglieria nemica, che hanno impedito con diversi gradi di successo tali tentativi di attacco.
Ogni chilometro conquistato dalle due parti ha avuto un prezzo durissimo in termini di persone e mezzi militari persi. Ora la questione è una sola: se l’esercito russo sarà in grado di sfruttare a pieno il proprio vantaggio prima che le Forze Armate ucraine inizieranno ad utilizzare in maniera massiccia le armi offensive e di precisione occidentale che hanno ottenuto.
a forse su questo punto è già troppo tardi: secondo le stime del Pentagono, infatti, l’avanzata russa sta procedendo con due settimane di ritardo rispetto al previsto. Nel frattempo, l’esercito ucraino ha iniziato ad usare sul fronte anche i micidiali obici americani M777 (ne sono stati consegnati con successo 89 su 90 promessi).
Gli ucraini hanno vinto a tutti gli effetti la battaglia di Kharkiv, la seconda città ucraina, dopo aver vinto in precedenza quelle combattute nella regione di Kiyv, Sumy e Chernihiv. È quanto afferma il think tank americano Institute for the Study of War nella sua valutazione del 13 maggio.
Le truppe ucraine stanno infatti avanzando con successo nella zona a nord e nord-ovest di Kharkiv ed hanno ricacciato le truppe russe a decine di km di distanza, verso il confine russo: questo significa tra le altre cose che la città di Kharkiv non è quasi più a tiro di artiglieria da parte russa.
In parte, questa offensiva è stata causata anche alle decisioni del comando russo che nella seconda metà di aprile ha deciso di ritirare buona parte delle truppe più pronte al combattimento da questa area per riposizionarle in altre zone del Donbass.
In loro sostituzione sono arrivate in buona parte truppe composte da soldati di leva mobilitati di fretta in furia sul territorio delle due Repubbliche separatiste autoproclamate del Donbass, e che non sono state in grado di reggere di fronte all’onda d’urto delle forze ucraine, ben più preparate alla guerra.
Il risultato è stata una vera e propria rotta di queste forze separatiste, molte delle quali ora si trovano bloccate al confine tra Ucraina e Federazione Russa, senza avere autorizzazione di ingresso nel territorio russo ed ad alto rischio di cattura o bombardamento da parte delle forze ucraine in avanzamento.
Ed in effetti, almeno nella zona di Ternovaya (30 km da Kharkiv), le truppe ucraine hanno già raggiunto il confine con la regione russa di Belgorod lo scorso 10 maggio. Ciò nonostante, nessuno ora si attende un attacco ucraino oltre il confine, sia per paura della possibile reazione russa, che per la mancanza di senso strategico di un tale attacco su territorio ostile.
Piuttosto bisogna far attenzione all’avanzata ucraina verso est da Stary Saltov e Chuhuiv, verso Kupiansk: infatti, almeno in linea teorica, tale saliente potrebbe puntare direttamente a tagliare le linee di rifornimento del principale centro logistico del gruppo di battaglioni russi nel nord del Donbass.
Anche in questa zona, comunque, c’è il grande ostacolo naturale: il fiume Seversky Donets, con una fitta boscaglia foresta lungo le sue sponde a rendere più difficili i movimenti delle truppe avanzanti. Vicino Stary Saltov, in particolare, l’attraversamento del fiume è praticamente impossibile per via della presenza di un bacino idrico.
Tutti i ponti presenti in zona, inoltre, sono stati fatti saltare in aria e questo rende ulteriormente problematica l’avanzata ucraina – ed allo stesso tempo anche il rifornimento delle truppe russe in zona.
Gli ucraini hanno anche cercato di attraversare il Seversky Donets più a ovest, ovvero verso la dalla città di Izyum, dove si trova il quartier generale russo nella regione. Ma l’offensiva ucraina da quelle parti sembra fallita . Ciò nonostante, la situazione per le forze russe a est di Kharkiv resta minacciosa: il fronte complessivo qui è lungo 160 km e sebbene sia “protetto” dal fiume Seversky Donets, il suo passaggio non può essere certo definito un ostacolo insormontabile a lungo andare, pur con tutte le difficoltà incontrate dall’offensiva nella guerra in corso.
I russi, da parte loro, sono riusciti già una volta ad attraversare il Seversky Donetsk a fine marzo a sud di Izyum, dove ora si trova l’unica testa di ponte russa sulla riva destra, che da allora è stata notevolmente ampliata e rafforzata, visto che il comando russo sperava di usarla come base per un accerchiamento su larga scala delle truppe ucraine nel Donbass.
Tuttavia, nelle ultime settimane il comando ucraino ha spostato ingenti riserve contro questa testa di ponte, e di fatto l’offensiva russa si è bloccata.
Dalla metà di aprile sono in corso combattimenti alla periferia del villaggio di Dolghenkoye, che però continua ad essere tenuto tenacemente dalle forze ucraine.
Solo l’11 maggio, a duro prezzo, i russi sono riusciti ad occupare il villaggio di Velyka Komyshevakha, ma sono ancora lontani dal loro obiettivo principale e sotto la costante minaccia dell’artiglieria nemica, che ha dimostrato di essere in grado di colpire fino ad Izyum.
Per questo motivo nella sua valutazione della situazione sul campo al 12 maggio, Institute for the Study of War ha ipotizzato che i russi abbiano di fatto deciso di cambiare tattica in favore di un obiettivo più limitato.
Le ultime mosse del comando russo sembrano infatti indicare l’aver deciso di abbandonare l’idea di accerchiare l’intero raggruppamento delle forze ucraine del Donbass a favore della strategia della cosiddetta frammentazione del fronte.
Per questo motivo, il fronte principale negli ultimi giorni si è spostato da Izyum all’altra parte del fiume vicino a Yampol (conquistata dai russi ad aprile) e Lyman, dove gli ucraini continuano a resistere ma sono ad alto rischio di accerchiamento e tagliati dalle linee di rifornimento a causa del fiume.
Contemporaneamente, le truppe russe hanno raggiunto il Seversky Donets anche a est di Yampol per puntare direttamente verso l’agglomerato urbano di Lysychansk – Severodonetsk, dopo aver conquistato buona parte di Rubizhne.
Questa è indubbiamente la zona dove l’esercito ucraino è più in difficoltà. Ma i russi hanno già dimostrato in precedenza di avere seri problemi nelle battaglie urbane ed è difficile pensare che sia diverso questa volta, una volta che penetreranno in profondità verso Severodonetsk.
Inoltre, è possibile che a completare il tentativo di accerchiamento del gruppo di soldati ucraini in zona, dia man forte anche il raggruppamento di battaglioni russi che è stato in grado di occupare, dopo settimane di duri combattimenti, la città di Popasna il 9 maggio.
Tuttavia, non è ancora chiaro quale sia lo stato delle forze russe (soldati regolari e mercenari del PMC Wagner) dopo i pesanti combattimenti urbani, così come neppure quello delle truppe ucraine che si sono ritirate dalla città, ufficialmente su posizioni fortificate nelle vicinanze e che potrebbero ancora impedirne l’avanzata.
In altre parti del Donbass, invece, l’esercito russo sembra aver avuto meno successo: l’esempio più lampante è quello del fallito attraversamento del Seversky Donets vicino al villaggio di Belohorivka. Qui un battaglione motorizzato (probabilmente della 90ª Divisione carri) è riuscito a passare sulla riva destra.
Ma appena sbarcati, si è abbattuta su di loro una catastrofe: i veicoli accalcati, che non hanno avuto il tempo di schierarsi in formazione da combattimento, sono stati colpiti dal micidiale fuoco dell’artiglieria ucraina. Secondo i calcoli di Blue Saron su Twitter i russi avrebbero perso così in totale 73 veicoli tra carri armati, veicoli da combattimento di fanteria, veicoli del genio, sezioni di ponti di barche.
La débâcle di Belohorivka, che ha avuto una forte eco nella propaganda ucraina, mostra chiaramente le difficoltà che stanno incontrando i russi anche in questa seconda fase della guerra, che, almeno in linea teorica, avrebbe dovuto essere combattuta su un terreno per loro molto più favorevole.
Chi vincerà la battaglia del Donbass?
Molto probabilmente quindi la battaglia del Donbass è arrivata ad una situazione di stallo. Ma questo non significa che durerà in eterno. A vincere, alla fine, sarà chi tra i due combattenti potrà ottenere un vantaggio decisivo nella quantità e qualità dell’artiglieria nelle prossime settimane.
Fino ad ora l’esercito russo è stato favorito a causa del vantaggio quantitativo nel numero di sistemi di artiglieria a sua disposizione – oltre che per il controllo dello spazio aereo che permette loro di bombardare costantemente dall’alto le postazioni ucraine.
È proprio la combinazione di queste due cose che, nonostante tutte le difficoltà sinora incontrate, ha permesso ai russi di continuare la propria lenta, ma costante, offensiva nel Donbass.
Tuttavia, è anche evidente che i russi non siano in grado di usare efficacemente ovunque la propria artiglieria contro le postazioni nemiche, sia per mancanza di droni di ricognizione che di munizioni a guida di precisione.
È inoltre probabile che le forze ucraine facciano un salto di qualità nel prossimo futuro nell’efficienza dell’artiglieria, grazie alle forniture occidentali di obici e, soprattutto, (per l’appunto) di munizioni guidate ad alta precisione.
Tuttavia, sinora, l’Ucraina sembra aver ricevuto solo una piccola parte della fornitura di queste preziose munizioni.
Inoltre, un altro problema per l’esercito ucraino sarà la composizione troppo eterogenea dei cannoni forniti (obici trainati M777 da Stati Uniti e Canada, semoventi Caesar dalla Francia e PzH 2000 dai Paesi Bassi, ecc).
Oltre a dover addestrare i propri soldati all’uso di svariati sistemi di artiglieria (cosa che ha bisogno inevitabilmente del suo tempo), probabilmente per gli ucraini sarà anche difficile riparare efficacemente sul proprio territorio questa variegata serie di attrezzature di artiglieria.
Ciò nonostante, a lungo andare gli ucraini sono favoriti in un altro aspetto che potrebbe essere fondamentale per superare l’impasse: la gestione dell’artiglieria.
A quanto pare, infatti, l’esercito ucraino sembra aver sviluppato un software che gli consente di sparare colpi di artiglieria contro obiettivi individuati da unità avanzate e droni entro poche decine di secondi.
La cosa interessante è che non è necessario che questi attacchi siano effettuati da batterie di cannoni ammassati in un’unica area, ma possono anche essere effettuati da singole unità di artiglieria sparse su un ampio territorio.
Ciò, ovviamente, aumenta la possibilità per queste batterie di sopravvivere sotto il fuoco sia dell’artiglieria che dell’aviazione russa: un singolo cannone di artiglieria è infatti più difficile da trovare e distruggere da parte del nemico.
Ad aiutare in questo senso è stata sicuramente anche la fornitura dei kit di Internet satellitare Starlink da parte di Elon Musk che ha permesso alle unità e battaglioni di artiglieria ucraina di dotarsi di comunicazioni affidabili e sicure – e non per nulla, proprio per questo motivo, lo stesso Musk è stato di recente oggetto di minacce da parte di alti esponenti russi.
Tuttavia, non è ben chiaro quanto questo sistema computerizzato di controllo del fuoco di artiglieria sia davvero utilizzato dalle truppe ucraine sul fronte. Ciò significa che è difficile valutarne l’effettivo impatto e quanto possa essere fondamentale per il futuro della battaglia.Ad ogni modo tutto quanto detto in precedenza lascia pensare che per i russi la situazione tenderà a farsi sempre più complicata con il passare del tempo, se non saranno in grado di ottenere vittorie decisive in questi giorni. Il destino del Donbass (ed in generale della guerra in Ucraina) si sta, dunque, decidendo proprio in queste ore.
(da Fanpage)
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile IN VENETO IN QUATTRO MESI SI SONO LICENZIATE 66 MILA PERSONE, +50% RISPETTO ALL’ANNO PRIMA… CHI SE NE VA DI SOLITO TROVA POSTO IN AZIENDE CON UN WELFARE MIGLIORE
In America lo chiamano «The great resignation», che pare il titolo di un film di Hollywood. In realtà si tratta di un fenomeno partito proprio negli Stati Uniti ma che, con declinazioni diverse, sta emergendo anche in Veneto: le grandi dimissioni, la «fuga» di migliaia di persone dal loro posto di lavoro in cerca di un futuro diverso e migliore.
Perché l’obiettivo non è più il downshifting (ridurre il salario per lavorare di meno) né quello di tirare avanti con sussidi e reddito di cittadinanza, ma di trovare un giusto equilibrio tra ambizioni professionali e vita privata.
I numeri non lasciano dubbi. Tra gennaio e aprile di quest’anno in Veneto si sono dimesse 66.300 persone, il 50 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Ma se negli Usa la «great resignation» sembra accompagnarsi a una sorta di rassegnazione alla disoccupazione, da noi (fortunatamente) segue un’evoluzione diversa.
«La crescita del numero delle dimissioni risulta fortemente guidata dalle possibilità di ricollocazione offerte dal mercato» spiega Tiziano Barone, il direttore Veneto Lavoro. «Notiamo che, mediamente, entro pochi giorni il dimissionario ha già una nuova occupazione che evidentemente soddisfa le sue aspettative».
L’ente, che fa capo alla Regione, ieri ha diffuso i nuovi dati sull’andamento occupazionale. Ne viene fuori che nel mese di aprile si registra qualche segnale di rallentamento rispetto ai primi mesi dell’anno.
Fino a marzo, infatti, il saldo era simile ai valori registrati nel 2019, mentre nell’ultimo mese si sono registrati 13.700 posti di lavoro in più a fronte degli oltre 19 mila guadagnati nello stesso periodo pre-pandemia. Ma complessivamente le assunzioni, 208.600 da inizio anno, segnano nell’ultimo mese un aumento del 68% rispetto al 2021 e sono quasi quattro volte quelle registrate nel 2020, con una crescita più sostenuta per le donne e i giovani. Non si tratta di scarsa propensione al sacrificio
Luci e ombre, insomma. Eppure il fenomeno in evoluzione è proprio quello di chi sente che il lavoro attuale gli sta stretto e quindi decide di dare un taglio netto. Perché dietro alla scelta di dimettersi, spesso, c’è la volontà di sentirsi finalmente realizzati.
«La pandemia, così come altri fattori esterni al mercato del lavoro, hanno comportato una maggiore attenzione alla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, soprattutto nei giovani», conferma Barone.
«Anche nei Centri per l’impiego stiamo registrando una sempre minore attrattività verso l’aspetto economico, se questo va a discapito della qualità della propria esistenza. Oggi alcuni impieghi non trovano candidati, anche a fronte di stipendi elevati, perché hanno un impatto più gravoso sulla quotidianità in termini di orari, flessibilità, tutele, e più in generale in termini di welfare, ovvero sul livello di benessere del lavoratore e della sua famiglia, che va al di là della sola retribuzione». Sia chiaro: non si tratta di scarsa propensione al sacrificio, ma della ricerca di più spazi per se stessi.
La riscoperta della sfera personale
«Un sentimento diffuso è che si venga pagati troppo poco e con scarse garanzie, rispetto all’impegno richiesto», spiega Ferruccio Gambino, sociologo del lavoro dell’Università di Padova. «L’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown ha fatto riscoprire la sfera personale, e ora il ritorno alla “normalità” spinge a desiderare una maggiore realizzazione personale. Si cercano posti di qualità, sia dal punto di vista delle prospettive di carriera che della possibilità di poter dedicare del tempo, ad esempio, alla famiglia».
Una tendenza con la quale, avvertono i sindacati, dovranno fare i conti anche gli imprenditori. «Molte aziende faticano a trovare personale – spiega Tiziana Basso, segretaria generale della Cgil Veneto – basta osservare quanto accade nelle case di riposo dove gli operatori scarseggiano perché il lavoro è troppo stressante. Ma se in passato, per aumentare il loro appeal, le imprese aumentavano le retribuzioni, oggi questo sistema rischia di non bastare più.
Sempre più spesso nei contratti collettivi compaiono clausole che incidono positivamente su un corretto equilibrio tra professione e vita privata: dallo smart working al diritto alla disconnessione, dalla flessibilità alla totale autonomia nella gestione dell’orario di servizio». Ed è questo che, nel Veneto del «lavora e tasi», può rivelarsi una rivoluzione epocale.
(da il Corriere della Sera)
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile NELLE INTERCETTAZIONI FRA ALCUNI MILITARI RUSSI SI PARLA DI UFFICIALI “PROCESSATI, SPOGLIATI, LEGATI CON LE MANI DIETRO LA SCHIENA E PORTATI VIA” – “MAD VLAD”, DEFINITO IN QUELLE TELEFONATE “UN VECCHIO PAZZO”
Dalle intercettazioni raccolte dagli ucraini emerge ancora una volta una realtà scioccante che riguarda i comandanti dell’esercito russo che si ribellano a Putin. Più volte nelle ultime settimane è infatti emerso come soldati o ufficiali di Mosca, delusi dall’esito della guerra in Ucraina e non convinti degli ordini che ricevono, finiscano per ammutinarsi o addirittura per autosabotarsi: ma le punizioni ai loro danni sono incredibilmente crudeli.
Alcuni comandanti sarebbero infatti stati spogliati, legati e portati via con i camion verso destinazioni sconosciute. E il responsabile di queste punizioni sarebbe il generale Rustam Muradov, vicecomandante del distretto militare meridionale della Russia noto per le sue azioni brutali durante l’intervento russo in Siria.
Secondo quanto raccontato da un soldato russo a un suo amico, avrebbe organizzato «processi esemplari» durante i quali avrebbe umiliato i soldati che si rifiutano di proseguire la guerra in Ucraina.
Le intercettazioni
«Muradov è venuto e ha fatto un processo esemplare – si sente nell’intercettazione di un soldato russo a suo padre -, perché nessuno voleva andare avanti. I comandanti non volevano portare i loro ragazzi alla morte. Per esempio, ha spogliato questi comandanti, ha legato loro le mani. Hanno dovuto tirare fuori tutto dalle tasche. Li ha gettati negli autobus e li ha portati via».
Un’umiliazione. Per Putin c’è poi la carenza di uomini al fronte. Il soldato ha ammesso che anche lui sta aspettando di essere mandato “in licenza”. «La Russia non può ammettere ufficialmente di avere così tanti soldati che si rifiutano di combattere in Ucraina».
In una seconda registrazione, si può sentire un altro soldato russo che esprime le sue frustrazioni per la situazione a un’amica. La sua principale lamentela sembra essere il discorso di Putin nel Giorno della Vittoria il 9 maggio: l’amica dice al soldato che pensava che il discorso di Putin fosse «schifoso», aggiungendo che aveva «tremato tutto il giorno» dopo averlo ascoltato. Il soldato russo risponde: «Beh, cosa vuoi, è un vecchio pazzo».
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile SONO I TIMIDI SEGNALI DI UNA RIPRESA DELLA VITA NELLA CAPITALE DELL’UCRAINA BERSAGLIATA DALLA GUERRA… INTANTO È GIÀ POPOLATA ALL’80 PER CENTO: STANNO TORNANDO TUTTI
Cielo grigio, squarci d’azzurro. Davanti alla vecchia casa del presidente
Zelensky, nel quartiere «Arsenalna», c’è il «Kiev Food Market». Cucine del mondo: ostriche, hamburger, pizza, borsh. Per ottanta giorni di guerra è sempre stato chiuso. I cuochi preparavano pacchi per i soldati e per gli anziani soli.
Adesso, sabato 14 maggio 2022, per la prima volta riapre al pubblico. «Diamo lavoro a più di cento persone e ricominciamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, sono sincero non mi aspettavo così tanta gente», dice il direttore Oleg Lahuta.
Nella capitale le cose stanno cambiando. Si vede a occhio nudo. Il coprifuoco incomincerà alla 23 invece che alle 22, la metropolitana allungherà l’orario serale. Manca la benzina, ma sfrecciano bici e monopattini. I bar stanno mettendo i tavolini fuori. E come si possono spiegare gli spritz e le birre gelate fra i sacchi di sabbia e i cavalli di Frisia a difesa della città? Sono una prova di ostinazione: vita nonostante la guerra.
Il sindaco Vitali Klitschko, ex campione di boxe, ha appena rilasciato dichiarazioni poco rassicuranti: «Lo ripeto a tutti i cittadini che stanno tornando, mi dispiace ma lo fate a vostro rischio, non possiamo darvi garanzie. Altri attacchi russi potrebbero verificarsi da un momento all’altro. La nostra città resta l’obiettivo principale, non ci sono dubbi al riguardo».
Ma mentre lo dice, i treni della notte scaricano sulle banchina della stazione Pasazhyrskyi altre mille persone al giorno. E Kiev, che conta 3,5 milioni di abitanti, oggi è già popolata all’ottanta per cento: stanno tornando tutti.
Quello che trovano i cittadini al ritorno è questo tempo sospeso. Il primo gelato a Maidan, dove nei giardini di erba in salita si aggiornano i lutti.
«Ucraini assassinati da Putin: 7.436». Trovano un tentativo in atto di cercare una nuova definizione di sé. Per il momento la fermata della metro di piazza «Lev Tolstoi» si chiama ancora così, ma presto avrà un altro nome.
Ad aprile il capo dei trasporti pubblici di Kiev, Viktor Brahinsky, ha chiesto al sindaco di rinominare le cinque fermate con nomi che fanno riferimento alla Russia. Alla votazione per scegliere i nomi del futuro hanno partecipato 170.646 persone: «Buchanska», «Varshavska», «Vasyl Stus», «Heroiv Ukrainy» e «Botanichna», sono i cinque nomi che hanno ottenuto il maggior punteggio. Il primo fa riferimento a Bucha: la città del massacro di civili, a 30 chilometri da Kiev. Il luogo per cui doveva passare l’invasione.
Cancellare ogni traccia della Russia sta diventando una priorità. Gli urbanisti si interrogano sui rischi di farlo: cambiare nomi alle fermate della metro potrebbe creare disorientamento nei cittadini più anziani.
Ma intanto il consiglio comunale ha già approvato un elenco di oltre quaranta monumenti che saranno rimossi dalle strade e trasferiti nel «Museo del totalitarismo». Ecco l’altra novità del giorno: «l’Arco dell’amicizia dei popoli» ora si chiama «l’Arco della libertà del popolo ucraino».
Era il monumento alla fratellanza. Ma in questa vita in tempo di guerra nessuna fratellanza è più possibile con il popolo russo: 390 edifici danneggiati dai bombardamenti soltanto a Kiev, 75 scuole, 17 presidi sanitari, 11 istituzioni culturali.
Stanno contando i danni, la ricostruzione incomincerà a settembre. Intanto riaprono i teatri, e all’ingresso di quello di via Nyzhnoiurkivska invitano a donare 200 grivnie per le forze armate. Perché è impossibile essere altrove: non esiste evasione dalla guerra finché c’è la guerra. Eppure a Kiev sta succedendo qualcosa.
È il futuro che arriva? «No, il futuro io non lo vedo. È proprio questo il problema più grande per me». Alex Hryshyn, 22 anni programmatore, fuma una sigaretta dietro l’altra e si guarda intorno a Maidan.
«Ho dei parenti a Kharkiv. Oggi è un gran giorno perché i soldati russi hanno dovuto ritirarsi anche da lì. Ma la guerra è una cosa che ti entra dentro e ti mangia la testa. Io non sono più capace di pensare a cosa farò fra sei mesi. Tutto quello che riesco a fare è vivere un giorno dopo l’altro, devo salvarmi nel presente». In ogni quartiere di Kiev, ci sono persone come Alina Pohorila che aiutano i bambini a non sentirsi troppo soli.
Hanno organizzato con l’Unicef altri tipi di scuole: scuole per imparare a vivere e crescere in guerra. Eccola adesso alla stazione della metro Osakorki, dove ha dato appuntamento ai suoi studenti: «Il nostro obiettivo è insegnare ai bambini le regole di sicurezza tramite il gioco. Tutti reagiscono in maniera diversa agli allarmi aerei, quando notiamo un eccesso di ansia facciamo intervenire gli psicologi».
I sotterranei della metropolitana non sono più la casa degli sfollati di Kiev, i bambini non scivolano più sui marmi monumentali delle scale. La sirena dell’allarme suona ancora, ma è diventata parte di questa nuova normalità.
Nessuno affretta il passo, nessuno smette di fare quello stava facendo. Ognuno cerca di continuare per la sua strada. A Maidan, la piazza, il centro delle rivolte per la democrazia in Ucraina, adesso sta suonando il batterista Vitaly Bogaskavsky.
Quello che fa è picchiare sulla cassa e sui piatti e sui tom mentre da un amplificatore risuona l’inno – non ufficiale – di questa guerra: «Nel prato un rosso viburno si è chinato in basso. La nostra gloriosa Ucraina è così turbata. Ma prenderemo quel viburno rosso e lo alzeremo. E noi, la nostra gloriosa Ucraina, ci alzeremo, hey hey, e ci rallegreremo!». Qualcuno piange, qualcuno canta. Qualcuno lascia una moneta per il batterista Bogaskavsky.
(da La Stampa)
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile STOLTENBERG: “ACCORDO POSSIBILE”
«La Turchia ha espresso delle preoccupazioni. Ma sono fiducioso che troveremo una soluzione e un accordo». Questa l’opinione di Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, espressa al vertice informale dei ministri degli Esteri dell’Alleanza tenutosi oggi a Berlino.
«La Turchia – ha detto – non sta tentando di bloccarne l’adesione». Anche Mircea Geoana, uno dei vicesegretari della Nato, aveva detto che nel corso della la cena di ieri sera con i rappresentanti Finlandia e Svezia si respirava «un clima costruttivo».
Una percezione confermata dalla ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, che a margine del vertice ha affermato: «Se il parlamento e la popolazione di Svezia e Finlandia decideranno di entrare nella Nato, saremo ancora più forti». Ma la Turchia, contraria all’ingresso di Stoccolma e Helsinki nella Nato, ha dettato le sue condizioni: il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu ha detto che Finlandia e Svezia «la devono smettere di sostenere il Pkk».
Mosca aveva commentato l’eventuale ingresso dei due Paesi scandinavi nell’organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord affermando che «la Russia non ha intenzioni ostili in relazione alla Finlandia e alla Svezia», salvo precisare che questa mossa «non rimarrà senza una reazione politica».
(da agenzie)
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile “QUELLO CHE ALLONTANA LA PACE VA MESSO IN LISTA DI ATTESA”. POI CERCA DI RADDRIZZARE IL COLPO MA LA FRITTATA È FATTA E DAL PD SI SCATENANO: “È UN ASSIST A PUTIN”
«Io sono concentrato sull’oggi. L’oggi non è l’adesione di Finlandia e Svezia alla
Nato». Matteo Salvini si fa concorrenza da solo. Nel giorno della convention che ha organizzato per costruire la nuova Lega, arriva alla Lanterna di Fuksas nel cuore di Roma e si dice contrario all’adesione alla Nato dei due Paesi nordici. O meglio: «Io ragiono solo in termini di pace. Quello che avvicina la pace va fatto subito, quello che allontana la pace va messo in lista di attesa».
La sua domanda è: «Portare i confini della Nato ai confini con la Russia avvicina la pace? Lascio a voi giudicare…». Il tema urgente, osserva Salvini, è «costringere Ucraina e Russia a parlarsi. Poi dell’allargamento dell’Ue e delle adesioni alla Nato avremo modo di parlare nei prossimi mesi». In serata, osserva che «Finlandia e Svezia sono nazioni sovrane, io sono per l’autodeterminazione dei popoli». E certo, se il primo obiettivo è il «cessate il fuoco e l’evitare altri morti», il cessate il fuoco «va chiesto all’aggressore, non all’aggredito».
Ma ormai il caso politico è innescato. Dal Pd, Enrico Borghi, non fa sconti: «Fino a qui, Salvini con un irenico e generico pacifismo, aveva politicamente buttato la palla in corner sull’Ucraina. Se ora si schiera contro l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, fa direttamente un assist a Putin, aiutandolo esplicitamente».
Mentre l’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci osserva che «se una trattativa oggi è più vicina, è perché la guerra all’Ucraina non sta andando come voleva Putin. Tutto questo succede anche grazie al sostegno militare di Ue e Nato. Spero lo capiscano anche Salvini e Conte».
Mentre Carlo Calenda, osserva sferzante: «Conte e Salvini sono fatti per stare insieme, hanno lo stesso grado di irresponsabilità».
Il leader di Azione risponde a chi gli chiede come faccia Letta a non essere infastidito dai comportamenti di Conte: «Come si fa a non essere infastiditi da uno che, in piena situazione di guerra e tensione economica, di prezzi dell’energia alle stelle, mette a rischio la tenuta del governo?».
(da il Corriere della Sera)
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Maggio 15th, 2022 Riccardo Fucile TUTTO È INIZIATO QUANDO GIORGIA HA DETTO: “SPERIAMO CHE L’OBIETTIVO DI QUESTO CONVEGNO SIA IL SUD E NON IL TRAMPOLINO DI LANCIO DELLA MINISTRA VERSO LA LEADERSHIP DEL CENTRO CHE VERRÀ”… LA REPLICA DI MARA: “SONO UNA DONNA DELLE ISTITUZIONI, DI CUI HO UN RISPETTO SACRO”
Finisce con la pizza al limone impastata e sfornata al momento, con il carretto dei coni gelato, con Mara Carfagna, protagonista e padrona di casa del forum Verso Sud, che si fa i selfie tra i tavoli attovagliati di bianco assieme a marito e staff.
La ministra di Forza Italia è soddisfatta perché l’evento ha avuto grande risalto mediatico e politico, felice e al tempo stesso furiosa.
A farla arrabbiare è stata Giorgia Meloni, non tanto perché non si è materializzata tra gli ulivi, i fiori e gli agrumi di Villa Zagara ma si è collegata da remoto, quanto per quello che ha detto e quel che non ha detto e chiaramente insinuato.
Succede durante il dibattito con i leader dei partiti, Letta, Conte, Meloni, Tajani e Calenda con la regia di Enrico Mentana. La presidente di FdI parla di Sud e infrastrutture del Pnrr, ma tra i dati, le riforme da fare e le punzecchiature al governo lascia cadere una battuta che irriterà (molto) Carfagna: «Grazie per l’invito… Speriamo che l’obiettivo di questo convegno sia il Sud e non quello che raccontano i retroscena dei giornali».
E cioè che Verso Sud, organizzato dallo studio Ambrosetti, non sia solo la «Cernobbio del Mezzogiorno», bensì il trampolino di lancio della ministra verso la leadership del centro che verrà.
Carfagna nell’intervento di chiusura va giù dura: «Non utilizzo i presidenti Mattarella, Draghi e Fico per eventuali mie ambizioni personali. Sono una donna delle istituzioni, di cui ho un rispetto sacro».
E prima di togliere al Mezzogiorno l’abito di Cenerentola, scagiona la stampa e accende i riflettori su Meloni: «Non ho mai superato il limite tra politica e istituzioni e ho il massimo rispetto dei giornalisti, che ringrazio per la passione. A loro e non a noi che conosciamo le regole della politica è consentito immaginare retroscena».
In fondo alla sala l’ascoltatissima consigliera politica di «Mara», Flavia Perina, loda sottovoce la ministra per aver «sistemato» la rivale: «Giorgia rosica?».
La candidatura di Carfagna come pasionaria e leader anti-Meloni è servita, l’attenzione della stampa si sposta sul venticello di distinguo e veleni che si respira tra (e nei) partiti di centrodestra.
Prendiamo Forza Italia. Mentre Carfagna parla dal palco, Antonio Tajani e Mariastella Gelmini se ne stanno appartati vicino al buffet che si va riempiendo di mozzarella di bufala ancora calda. E qui è la ministra per gli Affari regionali a sfogare il suo risentimento verso Licia Ronzulli, la collega più vicina a Berlusconi, che proprio ieri l’ha nominata commissaria del partito in Lombardia.
Le tensioni restano forti anche nell’area progressista, per il continuo smarcarsi di Conte dalla linea del governo. Il leader del M5S schiva il confronto diretto e sceglie di collegarsi in video. Mentana lo incalza sulla tenuta del governo («Draghi durerà almeno fino alla fine della legislatura?») e l’ex premier giura: «Sottoscrivo».
Poi però svicola, portando il dibattito sulla fiscalità di vantaggio. A sera, ecco che i 5 Stelle lanciano un’altra mina verso Chigi facendo sapere che «alla prima occasione possibile, nel calendario parlamentare, il M5S chiederà un voto che possa definire una chiara strategia dell’Italia su invio delle armi all’Ucraina e la posizione da portare nei consessi internazionali».
Come a dire che la linea di Draghi non è chiara. Il leader del Pd La brezza che soffia è questa. Tanto che il segretario del Pd, Enrico Letta, dal palco di Sorrento un po’ sforna ricette sul Sud e un po’ richiama i leader: «Questa esperienza di governo deve durare fino alla data naturale delle elezioni».
I temi dell’ultima giornata del forum rischiano di finire schiacciati dalle risse politiche: trasporti e porti da implementare, emergenza energetica da risolvere. Mariastella Gelmini punta sul Ponte di Messina. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, teme che il Pnrr non basti «se non si imprime una forte accelerazione all’economia del Sud».
E Renato Brunetta, arrivato con la moglie Titti, invoca «un segnale forte di rilancio». Venerdì Draghi ha messo al centro il dramma della fame nel mondo e Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, chiede che la sicurezza alimentare «diventi una priorità nell’agenda politica».
(da il Corriere della Sera)
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