Destra di Popolo.net

SECONDO IL CANALE “GENERAL SVR”, IERI VLADIMIR PUTIN NON HA VISITATO UN OSPEDALE DI MOSCA COME INVECE SOSTIENE IL CREMLINO

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

PER LA CONTROINFORMAZIONE RUSSA IL PRESIDENTE E’ ANCORA CONVALESCENTE DOPO L’OPERAZIONE E QUELLO DI IERI ERA SOLO “CIBO IN SCATOLA”, PREPARATO GIORNI FA E SOMMINISTRATO AI CITTADINI PER FAR CREDERE LORO CHE IL PRESIDENTE È IN FORMA

Ieri Vladimir Putin ha visitato per la prima volta i soldati russi feriti in Ucraina e ricoverati in un ospedale di Mosca. Il presidente, vestito con un camice bianco e circondato da medici, ha parlato brevemente con due soldati. Si è informato sulla loro storia, e, venuto a sapere che le loro famiglie non avevano ancora potuto incontrarli, ha detto loro che «andrà tutto bene».
O forse no. Secondo il canale Telegram di controinformazione russa “General Svr”, le immagini diffuse ieri fanno parte del famoso “cibo in scatola” preparato giorni fa per coprire l’assenza di Mad Vlad. Riepiloghiamo qui quanto sostiene il canale Telegram, che rivendica informazioni privilegiate sul Cremlino presumibilmente gestito da un ex generale dei servizi segreti esteri russi noto con lo pseudonimo di “Viktor Mikhailovich”: il presidente sarebbe stato operato nella notte tra lunedì e martedì scorso, le sue condizioni sarebbero peggiorato sabato mattina e poi lentamente migliorate.
L’operazione era necessaria da tempo, e andava eseguita. L’assenza dalle funzioni pubbliche di Putin è stata preventivamente organizzata in modo da non risultare registrando video, firmando decreti, rilasciando dichiarazioni da utilizzare in questi giorni, utilizzando la tecnologia deepfake o in alternativa qualcuno dei suoi numerosi sosia. E sarebbe stato proprio il caso dell’ospedale.
(da Open)

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LA MADRE DEL VICE-COMANDANTE DEL BATTAGLIONE AZOV KALYNA: “MIO FIGLIO NON E’ UN NAZISTA. E’ ANDATO A DIFENDERE IL NOSTRO PAESE”

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

“HO IL TERRORE CHE LO TORTURINO”

«Mio figlio è buono. Non beve e non fuma». Comincia così il racconto di Lydia Vasylivna, 66 anni, madre del vicecomandante del battaglione Azov, Svyatoslav Palamar, detto Kalyna, ultimo a lasciare l’acciaieria di Mariupol.
«Voleva continuare a studiare ma poi nel 2014 è andato in Donbass a difendere il nostro Paese», spiega al Corriere. Nella sua casa di Mykolaiv, a 30 chilometri da Leopoli, Vasylivna ricorda gli ultimi momenti in cui è riuscita a sentire Palamar.
«Era il 20 maggio, erano le undici di mattina. Non lo sentivamo da tantissimo. Ci ha detto: “Ciao mamma, ciao papà, sto per uscire da Azovstal, da questo momento in poi non so quando riuscirò a sentirvi ancora, potrebbe passare tanto tempo”. E poi più niente».
In quel momento i genitori del vicecomandante non sono riusciti a dire molto: «Solo: “Ti prego, stai attento”», ricorda la madre. «Stava aspettando di essere evacuato, prima di lui sono usciti gli altri. I soldati feriti e i sottoposti. Ora abbiamo molta paura che gli facciano del male». Lydia Vasylivna si riferisce alle forze russe. «Sono terrorizzata dall’idea che lo torturino», dice. «Abbiamo molta fiducia nel nostro presidente. Speriamo che negozi la liberazione dei prigionieri di Azovstal che hanno combattuto per la gloria di tutta l’Ucraina. Speriamo nessuno si dimentichi di loro».
L’ultima volta che l’immagine di Kalyna è apparsa davanti gli occhi dei suoi genitori è stato in televisione. «Lo abbiamo visto qualche sera fa in televisione. Ringraziava Zelensky e tutti quelli che hanno aiutato l’evacuazione delle acciaierie. Noi non abbiamo molte informazioni e questa cosa ci distrugge. Non dormiamo, seguiamo le notizie tutto il giorno. Mi manca mio figlio, non lo abbraccio da gennaio».
Fino a gennaio Kalyna viveva a Mariupol con sua moglie e suo figlio di cinque anni. «Andavo spesso da loro per aiutarli con il bambino», continua la madre. «Mio figlio immaginava che le cose sarebbero esplose, tanto che due giorni prima del 24 febbraio ha mandato la sua famiglia fuori dall’Ucraina».
Poi il periodo più buio della resistenza in acciaieria. «Spesso ci mandava messaggi con solo un “+”. Il “+” era il suo modo per dire tutto ok, sono vivo. E noi aspettavamo quel segno per giorni».
«Non sono nazisti»
La testimonianza di Lydia Vasylivna si sposta poi sul battaglione Azov e sulla matrice nazista attribuita ai suoi combattenti. «Mio figlio non è nazista. C’è un’idea sbagliata del battaglione Azov, frutto della propaganda russa: non sono nazisti, sono nazionalisti», spiega la donna. «Tra di loro non ci sono solo ucraini. Fanno parte degli Azov tutte quelle persone che vogliono difendere il nostro Paese che è da anni in pericolo d’invasione. Mi ferisce molto quando dicono che mio figlio è nazista». Vasylivna racconta della decisione di Kalyna di entrare a far parte del battaglione come frutto di «un forte spirito patriottico» cresciuto negli anni. «Non è mai stato interessato alla politica. A scuola adorava la storia. Dopo Maidan e dopo che Andriy Biletsky ha fondato Azov, si è unito al battaglione. In molti ragazzi è cresciuto un forte senso patriottico. Noi, per esempio, siamo con Zelensky».
(da agenzie)

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“ABRAMOVICH FORNISCE L’ACCIAIO PER LA MACCHINA DA GUERRA DI PUTIN”: LE PESANTI ACCUSE DI RULA JEBREAL ALL’EX PATRON DEL CHELSEA

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

“ABRAMOVICH STA FINANZIANDO L’APPARATO, HA UN’AZIENDA DI ACCIAIO E IN QUESTO MOMENTO LO STA VENDENDO ALLA RUSSIA PER IL MATERIALE BELLICO” … “I MILLE MILIARDI SPARITI DALLA RUSSIA IN CHE TASCHE SONO FINITI?”

Rula Jebreal dice la sua sulla guerra. La giornalista palestinese, ospite di Atlantide su La7, si sofferma sulle sanzioni imposte dall’Occidente agli oligarchi russi vicini a Vladimir Putin. Tra questi c’è anche Roman Abramovich, ex patron del Chelsea.
Su di lui la Jebreal lancia pesanti accuse: “Putin e Abramovich sono amici, ma dire che si fida dell’oligarca è troppo. Abramovich ha un’azienda di acciaio e in questo momento lo sta vendendo alla Russia per i carri armati e tutto il materiale bellico. Noi pensiamo che Abramovich pensi solo a caviale, champagne, calcio, moglie e amanti, ma in realtà è l’uomo che sta finanziando l’apparato e sta dando l’acciaio per la macchina di guerra di Putin”.
Insomma, a detta della scrittrice il magnate russo finanzia il conflitto in Ucraina. Ma Abramovich non è l’unico, tutti “gli uomini del presidente” sono così: “Abbiamo una visione distorta di questi uomini, crediamo che siano ricchi e non causano niente, la verità invece è che sono uno strumento di Putin, i suoi soldi.
Ha bisogno di rinnovare casa? Ha bisogno di finanziare le Olimpiadi? O di destabilizzare l’Europa o l’America? O comprare la pubblicit
Da qui il sospetto: “I mille miliardi famosi spariti dalla Russia negli ultimi 30 anni dove sono finiti? Cosa stanno finanziando?”.
Pochi giorni fa la Jebreal sulla guerra era stata schietta, mandando un chiaro messaggio a quei paesi che tentano di essere neutrali per interesse: “Quando gli ucraini hanno scelto di combattere, ci hanno chiesto in primis la no-fly zone, ma il mondo ha risposto che non poteva farla. Allora ci hanno chiesto almeno di sanzionare la Russia in maniera paralizzante, così da fare pressione al fine di fermare la macchina da guerra che ha costi elevatissimi. Purtroppo abbiamo potuto attuare solo sanzioni marginali, perché tanti paesi sono co-dipendenti dalla risorse della Russia”.
(da Libero)

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FESTIVAL DI CANNES, SUL RED CARPET LO STRISCIONE UCRAINO CONTRO IL GENOCIDIO RUSSO

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

LA PROTESTA DEL CAST DI “BUTTERFLY VISION” CON SOTTOFONDO LE SIRENE AEREE

Il cast del film Butterfly vision ha protestato sul red carpet del Festival di Cannes contro la guerra in corso in Ucraina.
«I russi uccidono gli ucraini. Pensate davvero che sia offensivo e disturbante parlare in questo caso di genocidio?», recita lo striscione che tengono in mano sulle scale del Palazzo, di fronte alla Sala Debussy.
A condurre la protesta c’erano il regista Maksym Nakonechnyi, i produttori Darya Bassel e Yelizaveta Smit e l’attrice protagonista Rita Burkovska, affiancati da oltre venti membri della produzione.
Di sottofondo hanno mandato le sirene aeree che si sentono quotidianamente in Ucraina. Molti tenevano in mano dei fogli con il simbolo dell’occhio sbarrato, che di solito viene inserito nelle foto e nei video a contenuto sensibile diffusi sui social.
«Non si tratta di venire a Cannes per divertirsi o fare affari. Per noi, si tratta solo di trasmettere il messaggio al mondo», ha dichiarato il produttore Bassel alla testata Variety. Il film Butterfly vision racconta la storia di Lilia – soprannominata appunto “Butterfly” perché pilota di droni aerei – che ritorna a casa dalla famiglia dopo aver trascorso diversi mesi come prigioniera nel Donbass. Il 20 maggio anche un’altra protesta ha colpito il Festival di Cannes: una donna femminista ha manifestato nuda con la bandiera dell’Ucraina dipinta sul corpo.
(da Open)

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“INTERISTI VAFFAN…”: IL CORO DA GRANDE STATISTA DI MATTEO SALVINI

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

UN TEMPO A PONTIDA INSULTAVA I NAPOLETANI, ORA RIPROPONE GLI INSULTI A META’ MILANESI (CHE SE NE RICORDERANNO ALLE REGIONALI)

Matteo Salvini non è solamente il segretario di un partito nazionale, ma anche un Senatore della Repubblica italiana.
Una persona che dovrebbe avere comportamenti corretti, in quanto rappresentante di una istituzione e che non dovrebbe partecipare a cori di disprezzo nei confronti di un gruppo di persone da cui è diviso dal tifo calcistico nella stessa città.
E invece, come già accaduto in passato (ma quella volta era a Pontida e i suoi “pensieri” erano rivolti ai napoletani), Matteo Salvini partecipa al coro di alcuni tifosi milanisti per insultare quelli interisti.
Conosciamo già, probabilmente, quale sarà l’auto-difesa che il senatore della Lega adotterà: erano sfottò calcistici. Quella frase ripetuta più volte, con tanto di saltelli e braccia alzate al cielo per rafforzare il concetto, è l’esatto emblema di ciò che un politico – soprattutto se membro di una delle due Camere – non dovrebbe fare (e che nelle scorse settimane ha visto un altro suo “illustre” collega, Ignazio La Russa, che nelle vesti di tifoso nerazzurro era andato in televisione a straparlare del Milan che avrebbe vinto lo scudetto “grazie al Coronavirus”).
O, almeno, potrebbe sottrarsi dal farsi riprendere. Perché quei video finiranno – come puntualmente accaduto – online scatenando le polemiche. Come successo con il filmato di Salvini coro contro gli interisti.
Una dinamica che il segretario del Carroccio dovrebbe conoscere molto bene, visto che si tratta di una recidiva. Era la Festa della Lega del 2014, a Pontida. Lui ricopriva già da un anno il ruolo di leader del Carroccio e, brandendo un bicchiere di birra, lanciò (quindi non seguì, ma prese l’iniziativa) un coro contro i napoletani “colerosi”
(da NextQuotidiano)

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FAR WEST BALNEARI: REDDITO MEDIO DICHIARATO 22.600 EURO, BEN 860 DICHIARANO 2.000 EURO L’ANNO, 3.663 SOLO 14.200 EURO L’ANNO

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

PER IL FISCO 6 SU 10 SONO FUORI PARAMETRO

Quanto vale, quanto fattura e quanto rende uno stabilimento balneare che ha in concessione un pezzo di spiaggia del demanio marittimo?
Mentre in Senato non hanno ancora definito in dettaglio la questione degli indennizzi per chi perderà le concessioni, i numeri parlano chiaro: in media, stando alle dichiarazioni fiscali del 2019, quindi prima che si verificasse il crollo dovuto al Covid, i 5.709 contribuenti che gestiscono stabilimenti balneari, hanno dichiarato un fatturato annuo medio di 190.700 euro, 85.800 di valore aggiunto (cioè i ricavi tolte le spese di esercizio) ed un reddito d’impresa o di lavoro autonomo, in pratica il guadagno finale, pari a 22.600 euro.
Il problema è che stando ai nuovi Isa, gli Indici sintetici con cui il Fisco misura l’affidabilità dei contribuenti, più di 6 balneari su 10 non ottiene la sufficienza. Sono da considerare evasori? Ovviamente no, è chiaro però che qualcosa nei loro conti non quadra. Il caso limite riguarda 860 società di capitali che arrivano a dichiarare un reddito medio annuo di appena 2 mila euro.
Promossi e bocciati
In base ai parametri che da qualche anno a questa parte hanno sostituito i vecchi studi di settore solo 2.304 contribuenti che svolgono questo tipo di attività hanno un punteggio superiore ad 8, valore che fa scattare una serie di benefici (come l’esclusione da alcuni tipi di controlli ed altri «premi»); i restanti 3.505 hanno un punteggio inferiore ad 8 segno che le loro dichiarazioni si discostano in maniera significativa dai parametri previsti per questo tipo di attività.
Le 3.663 attività che presentano un fatturato superiore a 30 mila euro e che non arrivano alla sufficienza, dichiarano un fatturato annuo di 174.400 euro, un valore aggiunto medio pari a 71.900 ed un reddito di 14.200 euro. Ovvero meno della metà dei 37.800 euro dichiarati invece dalle 2.132 società che hanno un punteggio superiore ad 8 e presentano un fatturato ed un valore aggiunto significativamente più alti, pari rispettivamente a 115.500 e 37.800 euro.
Guardando in dettaglio la tipologia di impresa l’indice di affidabilità con cambia di molto: rispetto ad una media del 61,3% di imprese « non affidabili» le persone fisiche si attestano al 58,15%, le società di persone (società semplici, snc o in accomandita semplice) al 62,2%, le società di capitali (srl , spa e società in accomandita per azioni) al 63,32%. Il reddito medio dichiarato dai contribuenti non affidabili è mediamente la metà di quello dei colleghi «affidabili».
Con una eccezione che riguarda le società di capitali, che per definizione sono quelle che di norma gestiscono gli stabilimenti più grandi, sommando tra loro più concessioni contigue su cui insistono più attività complementari, dai ristoranti alle discoteche, ai campi sportivi.
In questo caso, infatti, le 1.358 imprese sottoposte agli Isa dichiarano in media un totale di ricavi pari a 318.400 euro, 130.400 euro di valore aggiunto ma appena 15.300 di reddito.
Questo perché le 860 attività classificate come «non affidabili» a fronte di un fatturato medio di 279.500 euro dichiarano un reddito di appena 2 mila euro, ovvero ben 19 volte inferiore a quello dichiarato dalle 498 imprese che hanno un punteggio Isa superiore ad 8.
Innanzitutto il loro fatturato medio è 100 mila superiore e raggiunge quota 385.600 euro, il valore aggiunto arriva a 180.500 euro ed il reddito medio a quota 38.300. Più di loro guadagnano le 1.072 società di persone «promosse» dagli Isa che dichiarano 43.500 di reddito medio (a fronte di un fatturato medio di 211.800 euro).
In coda alla classifica ci sono invece i soggetti che dichiarano meno di 30 mila euro di fatturato: i 72 contribuenti «affidabili» si fermano a 19.600 euro di giro d’affari e presentano un reddito medio di 7.700, mentre i 142 «non affidabili» hanno dichiarato 16.400 euro di ricavi ed appena 300 euro di reddito. Che diviso per i 4 mesi di stagione balneare fa 75 euro al mese.
Incasseranno anche poco ma anche questo è un dato credibile?
(da agenzie)

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L’INTESA FARSA SUI BALNEARI: SUGLI SCANDALOSI “INDENNIZZI” TUTTO RINVIATO AI DECRETI ATTUATIVI

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

DOPO AVER LUCRATO PER DECENNI SU BENI DEMANIALI CON CANONI RIDICOLI, VOGLIONO PURE L’INDENNIZZO MA NON SU QUANTO DICHIARANO AL FISCO

L’intesa di maggioranza sulle concessioni balneari c’è, ma non fa che rimandare il problema. Come spiegato da vari partecipanti alla riunione con il governo, il testo finale rinvia ai decreti attuativi la definizione degli indennizzi, senza riferimenti all’avviamento dell’attività, al valore dei beni, a perizie e scritture contabili.
Ora l’emendamento passerà alla commissione Bilancio del Senato per il parere e in mattinata lo approverà la commissione Industria che completerà l’esame del ddl concorrenza. Lunedì il provvedimento deve andare in Aula per l’approvazione, per evitare che il governo come ventilato dal premier Mario Draghi blindi il testo base ponendo la fiducia.
Di fatto dunque resta senza soluzione la ricerca di un compromesso su come indennizzare i gestori che non otterranno il rinnovo quando dal 2023 scatteranno le gare.
Il governo aveva inserito nella sua proposta il concetto di “valore residuo” per chiarire che si tratta di una valutazione al netto degli ammortamenti, una soluzione che non sta bene a Lega e Forza Italia.
Si disponeva che il valore residuo fosse “calcolato sulla base delle scritture contabili” – un bel problema per chi finora ha fatto molto grigio e nero – “ovvero di perizia giurata redatta da un professionista abilitato, che ne attesta la consistenza”.
Per i balneari guai a parlare di indennizzo sulla base di quanto dichiarano al fisco.
La farsa continua.
(da agenzie)

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RUSSIA-UCRAINA, TRE MESI E NESSUN VINCITORE: “KIEV E MOSCA STANNO ESAURENDO LE RISORSE”

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

L’ANALISI DI TRE GENERALI SU CONFLITTO E NEGOZIATO

Per una volta gli esperti non si dividono. Dopo tre mesi e un giorno di guerra la situazione è ancora di “stallo”.
Certo, le forze russe avanzano nel Donbass, dal Mar Nero tornano i raid su Zaporizhzhia, sull’altro fronte le armi arrivano ai depositi ucraini ma non al sud e con molti dubbi su chi possa ancora usarle.
Così, ogni giorno le zone di conflitto e di controllo cambiano ma nulla sembra cambiare, perché il negoziato resta al palo in attesa di un dato certo da cui farlo partire.
Quanto potrà durare questa situazione? Chi ha maggiori possibilità di uscirne vincitore?
Tre generali di specialità diverse la vedono allo stesso modo: escludono una controffensiva in grande stile, quella evocata da Zelensky per ricacciare i russi dai territori occupati, d’altra parte rilevano le enormi difficoltà delle forze russe a consolidare il controllo dei territori che via via espugnano.
Per Fabio Mini, Marco Bertolini e Vincenzo Camporni nessuno ha in mano le carte giuste da calare al tavolo della pace. Per avere colori e contorni definiti serve ancora tempo, forse settimane. Altre settimane di sangue.
Fabio Mini – Ex capo di Stato Maggiore del Comando Nato per il Sud Europa
“Impossibile una grande controffensiva”
Le forze di entrambi i fronti si stanno consumando, ma non ancora al punto da costringerli al negoziato. I russi si sono presi il Donbass va bene, ma un territorio limitato ai soli confini amministrativi non ha molto senso senza una fascia di sicurezza di almeno una cinquantina di chilometri verso l’interno. Senza, gli ucraini staranno inchiodati lì fino alla fine del mondo. E poi più vicini stanno alle città importanti del Donbass, come Donetsk e Severodonesk e più la linea di difesa prevale sull’attacco. Che gli ucraini si riprendano i territori però io non lo credo, non ce la fanno. Possono provare a resistere a fronte di una situazione ancora ibrida, nel senso che ci sono ancora “sacche ucraine” che devono essere aggirate come Kramatorsk. Gli stessi russi non hanno un territorio sotto controllo, ci andrebbero con una linea di contatto che non è rigidamente definita ma può cambiare aspetto da un minuto all’altro. Quanto può durare? Ricordo che per il Vietnam ci vollero ben cinque anni. C’è poi da capire come verrano usate le nuove armi a lunga gittata che l’Occidente sta fornendo. Bastano 3-4 missili di quelli buoni e fanno fuori intere brigate di artiglieria. Ecco perché a mio avviso vanno bene finché c’è il contatto diretto con le unità russe, ma nel momento in cui sono lanciate oltre la linea di fronte c’è poco da fare, sarà un massacro in ogni caso.
Marco Bertolini – Ex comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze
“Le nuove armi per controffensive locali, si vince solo negoziando”
In estrema sintesi, i russi al momento vincono da un punto di vista tattico militare, perdono da un punto di vista politico. Stanno avendo la meglio sia sul campo che in mare, considerato che gli ucraini hanno ammesso che la flotta russa controlla ormai il Mar Nero. Bisogna vedere quanto a lungo questa situazione sarà sostenibile. Avere ragione di un conflitto solo con le armi non basta, devi vincere nel negoziato. Ma se non c’è perché nessuno si siede al tavolo per discutere la vittoria sul campo serve a poco. Le nuove armi non servono certo a una poderosa controffensiva perché non bastano, serve il soldato che le usi, sia il fucile o il missile. Non sappiamo quante perdite abbia subito l’Ucraina e di quante risorse disponga dopo tre mesi di guerra. Immagino al più controffensive locali per tenere acceso il conflitto che altrimenti si spegnerebbe, ma un’ azione che ricacci i russi dal Donbass o dalla Crimea o Mariupol non la vedo. Vincenzo Camporini
Ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e della Difesa
“Nessuno sta vincendo, tra due settimane sarà chiaro a tutti”
Chi sta vincendo, chi perde. Non vince nessuno, e non per questioni ideali tipo “nella guerra perdono tutti” ma per un fatto semplice e crudo: l’esaurimento delle risorse su entrambi i fronti. I russi non sono nelle condizioni di andare aldilà della conquista del Donbass, se ci riescono, e gli ucraini anche se ricevono gli armamenti più sofisticati dall’Occidente cominciano ad avere problemi di organico: stanno finendo i soldati. Anche guardando ai movimenti sul terreno direi che siamo di fronte a uno “stallo dinamico”, dove si combatte sempre e ogni giorno la mappa dei territori presi si modifica, ma nella sostanza succede ben poco. Il punto è che ognuno dino a quando ha la speranza di vincere combatterà, quando si renderanno conto tutti e due che non ne hanno smetteranno di combattere e cesseranno le armi. La situazione è questa. Zelensky dice “perdiamo cento uomini al giorno”… l’aeroplano si fa in qualche mese, il soldato no. Per questo non credo a una controffensiva degli ucraini, anche se riforniti di nuove armi fino ai denti. Ma lo stesso vale per la Russia che ha problemi molto seri. Proprio oggi mi è arrivata da fonti molto informate notizia che stanno tirando fuori dalla naftalina i T64, carri costruiti alla fine degli anni Cinquanta che non hanno capacità di combattimento notturno, non hanno sistemi di puntamento aggiornati. Hanno il cannone sì e se sparano da qualche parte il proiettile arriva. Questo da un’idea delle difficoltà in cui versano. Credo dunque che non riusciranno a vincere, vorranno spingere ancora, e gli ucraini vorranno rispondere ma senza essere in grado di andare avanti. Temo dunque che la guerra si protrarrà nel tempo finché non ci si renderà conto della situazione. Quanto a lungo? Il 9 maggio, durante la diretta della famosa “parata” in Piazza Rossa, ho risposto alla stessa domanda a una sua collega: tiriamo una monetina, sei settimane. Ne sono passate due e tra un mese ancora siete tutti autorizzati a sbeffeggiarmi, ma qui ribadisco che per me non si andrà molto. E’ la classica in cui la virtù della speranza cessa di essere una virtù e diventa un vizio.
(da Il Fatto Quotidiano)

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E’ MORTO CIRIACO DE MITA, SIMBOLO DELLA PRIMA REPUBBLICA

Maggio 26th, 2022 Riccardo Fucile

EX PREMIER E SEGRETARIO DELLA DC, AVEVA 94 ANNI

E’ morto Ciriaco De Mita. Se ne vanno per sempre gli anni Ottanta. L’ex presidente del Consiglio e segretario della Dc è deceduto stamattina alle 7 nella casa di cura Villa dei Pini di Avellino. A darne la notizia il vice sindaco di Nusco, Walter Vigilante. A febbraio era stato sottoposto ad un intervento chirurgico per la frattura di un femore a seguito di una caduta in casa. Aveva 94 anni e non aveva mai smesso di fare politica, la sua tirannia: infatti era ancora sindaco di Nusco, il suo paese.
C’è stato un tempo, sul finire degli anni Ottanta, in cui Ciriaco De Mita è stato contemporaneamente segretario della Democrazia cristiana e presidente del Consiglio: praticamente l’uomo più potente d’Italia.
Esponente della corrente di sinistra, veniva dalla provincia profonda. Nusco era la sua Macondo. Figlio di un sarto, dopo il liceo si trasferì a Milano, alla Cattolica (1949-1953), in una stagione in cui l’ascensore sociale funzionava meglio di adesso. Eletto per la prima volta alla Camera nel 1963 vi rimase per trent’anni di fila. Avellino aveva già un leader, Florentino Sullo – un democristiano di raro coraggio che aveva sfidato i palazzinari – De Mita alla fine degli anni Sessanta lo sconfisse e ne prese il posto. Nel 1969 divenne vicesegretario della Dc, quattro anni dopo per la prima volta ministro, all’Industria.
La politica allora era una pazzesca. Si dividevano i buoni e i cattivi in base all’ideologia. C’erano i partiti di massa divisi al loro interno in un groviglio di infinite correnti. Si tenevano congressi con migliaia di delegati che duravano giorni. Milioni di italiani avevano la tessera in tasca. La Dc dominava tutto: dal parastato alla Rai. Il Popolo, il suo quotidiano, nel 1982 costava 4 miliardi e 800 milioni di lire, e ne incassava 702 milioni.
Per quarant’anni la Dc resse le sorti del Paese. Sembrava immutabile, un monolite invincibile. De Mita la sintetizzò così durante una visita in Guatemala: “Un partito di centro con una grande rappresentanza popolare. Sul piano economico siamo per il libero mercato e la libera iniziativa. Ma quando questo tocca gli interessi popolari c’è l’intervento equilibratore del governo”. La definizione è riportata in Piazza del Gesù, il diario compilato dal suo portavoce, Giuseppe Sangiorgi.
Che anni! Che Paese! L’Avellino di Juary giocava in serie A, nel campionato più bello del mondo: dieci campionati di fila, dal 1978 al 1988, che coincideranno, forse non a caso, quasi per intero con il potere demitiano. De Mita fu la rivincita della provincia meridionale.
Quando divenne segretario, il 6 maggio 1982, metà città si riversò a Roma per festeggiarlo, ci si faceva raccomandare persino per poter giocare a tressette con lui. Nacque la corrente detta degli avellinesi: Nicola Mancino (poi presidente del Senato), Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani, a cui si aggiungerà da Benevento, Clemente Mastella, il giovane responsabile dell’informazione. La campagna celebrava la sua storica rivalsa contro la capitale, Napoli.
Rimase leader del partito per sette anni, fino al 1989, e per un anno pure capo del governo, mentre scorreva una stagione selvaggia, opulenta e crudele. Il Paese rinasceva dopo il buio del terrorismo e scalò le posizioni al punto da diventare la sesta potenza del mondo.
La parola chiave del suo settennato fu rinnovamento. La Dc del dopo Moro non ritrovava il suo centro, perdeva peso, fiaccata dal malaffare, pesava lo scandalo della P2. Nel 1981 il segretario del Pci Enrico Berlinguer aveva rilasciato a Eugenio Scalfari la sua famosa denuncia sulla questione morale. De Mita reagì. Allevò una nuova classe dirigente, da Sergio Mattarella a Mino Martinazzoli, da Pierluigi Castagnetti a Giovanni Goria (che sarà premier). Grazie a questo sostegno Leoluca Orlando diventò sindaco di Palermo, nell’85, l’alfiere della primavera siciliana. De Mita fu quindi lo scopritore del futuro Presidente della Repubblica, a cui diede le chiavi del partito in Sicilia per emendarlo dai suoi vizi e dalle contiguità con la mafia.
Riuscirà il rinnovamento di De Mita? Fino a un certo punto.
A un certo punto la politica perse slancio, esplose il debito pubblico, fu tutto un duellare con Bettino Craxi, il leader del Partito socialista, a palazzo Chigi dal 1983 al 1987. Craxi e De Mita determinarono la grande narrazione, si tifava o per l’uno o per l’altro. Antonio Ghirelli, il portavoce di Pertini, li descrisse così: “Non potrebbero essere più diversi: cittadino, post-moderno, mondano Craxi; provinciale, tradizionale, familiare De Mita”. De Mita dialogava col Pci sulle riforme istituzionali, da cui la Commissione Bozzi (1983), e insieme ai comunisti scelse Francesco Cossiga presidente della Repubblica, eletto al primo scrutinio il 24 giugno 1985. In questo senso De Mita fu l’ultimo erede di Moro.
Ciriaco De Mita, gli aneddoti
Come tanti politici dell’epoca parlava una lingua spesso incomprensibile ai profani. Era il trionfo del ragionamendo. Gianni Agnelli lo bollò perciò come “un intellettuale della Magna Grecia”. De Mita si prese una rivincita una domenica pomeriggio al Comunale di Torino, quando, seduto in tribuna accanto all’Avvocato, assistette alla clamorosa rimonta dell’Avellino contro la Juve: da 0-3 a 3-3. Era permalosissimo. Indro Montanelli lo criticò ferocemente più volte, fu pure querelato: quando si ritrovarono faccia a faccia per un’intervista il grande giornalista venne accolto con un “Piacere, Cutolo!”.
Ha scritto di lui Marco Follini: “De Mita fu il più concreto e insieme il più astratto tra gli ultimi leader democristiani. Parlava a braccio, a volte senza un riga di appunti, volando alto e seguendo il filo di ragionamenti che potevano apparire fin troppi concettosi e immaginifici. E poi planava sulla realtà prosaica della quotidianità di quel sottosuolo locale e amicale da cui ogni leader politica trae la sua forza”. Follini negli anni Settanta fece il suo primo discorso al consiglio nazionale dc, “di rara pochezza”, ammetterà poi nel suo libro Democrazia cristiana. Sulle scale s’imbatté poi in De Mita: “Prima di sentirti parlare non ti conoscevo. Ma devo dire che anche dopo averti sentito parlare continuo a non conoscerti”.
Con Ciriaco De Mita muore insomma l’ultimo grande protagonista della Prima Repubblica, il simbolo degli anni Ottanta, un’epoca vitale e selvaggia a cui oggi si è tentati di guardare con crescente indulgenza.
(da La Repubblica)

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