Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
“LA SITUAZIONE NON E’ CERTO AGGRAVATA DA QUESTE ARMI, MA DAL PERDURARE DEGLI INVASORI RUSSI NEL TERRITORIO UCRAINO”
Il generale Claudio Graziano, già capo di Stato maggiore della Difesa, e
fino a pochi giorni fa presidente del comitato militare dell’Ue, ha commentato l’invio di armi a lunga gittata occidentali al governo di Kiev.
“La fornitura da parte occidentale di armi all’Ucraina, non sono il capriccio di un leader. Le armi a lunga gittata, così come tutte le armi fornite alle forze armate ucraine, servono all’Ucraina per difendere il proprio paese e non soggiacere dinanzi al disegno di Putin»”.
Sulla possibilità che l’invio di armi possa aggravare la situazione del conflitto, Graziano ha risposto: “la situazione non è aggravata dalle armi a lunga gittata ma dal perdurare delle forze russe sul territorio ucraino”
Sulla richiesta di nuovi armamenti da parte dell’Occidente, l’alto ufficiale ha osservato che “è dovere sacro di un popolo difendere la terra dei padri quando è ingiustamente aggredita. Se le forze Ucraine non riusciranno a respingere l’invasore – ha sottolineato – allora il rischio reale è quello di un calo, anche fisiologico, se vogliamo, dell’intensità delle operazioni che però potrebbero prolungarsi per anni, scavando una profonda trincea nelle relazioni fra le grandi potenze, generando definitivamente un conflitto d’attrito”.
“La fornitura di armi – ha concluso Graziano – ha lo scopo di mettere l’Ucraina nelle condizioni di resistere all’invasione russa, e di evitare una capitolazione, una resa incondizionata, ma si possa andare ad un tavolo negoziale partendo da una posizione equa”.
(da Globalist)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
IL WASHINGTON POST CITA FONTI RISERVATE CINESI E STATUNITENSI
Nelle ultime settimane, durante i colloqui con Pechino, i funzionari russi hanno avanzato richieste sempre più frustrate per un maggiore sostegno, chiedendo alla Cina di essere all’altezza della sua affermazione di una partnership “senza limiti” fatta settimane prima dell’inizio della guerra in Ucraina.
Ma la leadership cinese vuole espandere l’assistenza alla Russia senza incorrere nelle sanzioni occidentali e, secondo i funzionari cinesi e statunitensi, ha posto dei limiti a ciò che farà.
E’ quanto sostiene il Washington Post in un articolo in cui cita sotto anonimato funzionari cinesi e statunitensi.
In almeno due occasioni, secondo il quotidiano Usa, Mosca ha fatto pressione su Pechino affinché offrisse nuove forme di sostegno economico – scambi che un funzionario cinese ha descritto come “tesi”. Secondo le fonti, le richieste includevano il mantenimento di “impegni commerciali” precedenti all’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio e il sostegno finanziario e tecnologico ora sanzionato dagli Stati Uniti e da altri Paesi.
“La Cina ha chiarito la sua posizione sulla situazione in Ucraina e sulle sanzioni illegali contro la Russia”, ha dichiarato una persona a Pechino a conoscenza diretta delle discussioni. “Comprendiamo la situazione di Mosca. Ma non possiamo ignorare la nostra situazione in questo dialogo. La Cina agirà sempre nell’interesse del popolo cinese”, sarebbe la tesi di Pechino.
Il presidente Xi Jinping ha incaricato i suoi più stretti consiglieri di trovare il modo di aiutare la Russia finanziariamente, ma senza violare le sanzioni.
“È stato difficile”, ha dichiarato un alto funzionario statunitense. “Ed è insufficiente dal punto di vista russo”.
“Quello che la Cina sta cercando di fare è stare con la Russia, segnalare pubblicamente la neutralità e non essere compromessa finanziariamente”, ha detto il funzionario statunitense. “Molti di questi obiettivi sono contraddittori. È difficile realizzarli allo stesso tempo”
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
AVVERTE SUI RISCHI DI UNA SPACCATURA DELLA MAGGIORANZA IN VISTA DELLE COMUNICAZIONI DI DRAGHI AL SENATO, IL 21 GIUGNO: “COSA FARANNO LEGA E MOVIMENTO 5 STELLE BISOGNA CHIEDERLO A SALVINI E CONTE. CREDO CHE SIA UN PASSAGGIO RISCHIOSO”
Fra una settimana si vota per le amministrative e per i referendum,
appuntamenti importanti, soprattutto per i destini della Lega. Ma sulle agende dei partiti c’è segnata anche un’altra data: 21 giugno. È il giorno il cui sono previste le comunicazioni di Mario Draghi alle Camere in vista del Consiglio europeo, con un voto finale che potrebbe far emergere le spaccature nella maggioranza sulla guerra in Ucraina finora rimaste un fatto poco più che retorico.
Nella Lega cresce la voglia di mandare un messaggio al premier e lo stesso Matteo Salvini, potrebbe nel suo discorso al Senato smarcarsi nettamente dalla linea del governo.
A temere quell’appuntamento è anche Giancarlo Giorgetti, che ancora una volta difende la linea del presidente del Consiglio dalle critiche del suo segretario: «Cosa faranno Lega e Movimento 5 Stelle bisogna chiederlo a Salvini e Conte.Credo che sia un passaggio rischioso, ma non credo che il presidente Draghi non persegua l’obiettivo della pace».
Per il ministro dello Sviluppo economico in ogni caso il governo rischia: «Non so cosa proporrà il premier ma il parlamento è sovrano e quindi se non la pensa come Draghi, bisognerà trarre le conseguenze».
Giorgetti è pessimista, e non è la prima volta: «Le divisioni in politica estera conseguenti al conflitto in Ucraina avranno un effetto sulla politica italiana- – ha detto intervenendo al Festival dell’Economia, a Trento – soprattutto perché l’impatto, che già oggi è serio, lo sarà ancora di più se continua nei prossimi mesi».
Il ministro poi prova a immaginare anche i prossimi scogli che l’ultimo scampolo di legislatura dovrà affrontare: «In questo momento a tanti partiti in Parlamento converrebbe una legge proporzionale mentre ad altri no. Io vedo due temi all’ordine del giorno: una sessione di bilancio complicata, e la legge elettorale proporzionale», ha aggiunto. Ma «vedo in salita le probabilità di una legge proporzionale» Poi ci sono le riforme già approvare come quella sulla concorrenza, avversata fino all’uiltmo da Salvini, ma che per Giorgetti «è la migliore che potessimo fare vista la situazione»
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
L’INSOFFERENZA VERSO IL SEGRETARIO CRESCE TRA I VECCHI “COLONNELLI”, CHE STUDIANO LA SOGLIA PER FARLO FUORI: SE LA LEGA ALLE POLITICHE VA SOTTO IL 15%, SALVINI SAREBBE SILURATO, E SOSTITUITO DAL GOVERNATORE DEL FRIULI FEDRIGA
L’uomo che riempiva le piazze adesso le svuota o le raffredda. Da trascinatore a zavorra, da “capitano” ad “aggiunto”. Un leader depotenziato fino a gettare un’ombra di sostenibile imbarazzo tra gli elettori che, prima, sapeva incantare e portare dove voleva lui.
«Ecco Matteo, facciamo un applauso! », dice un rigidissimo Luca Zaia sotto il dehor del “Deon”, pasticceria dal 1870. Ad accogliere Salvini, in piazza dei Martiri a Belluno, pochi applausi e non proprio da mani spellate.
Più cronisti e cameraman che elettori: si fa fatica a contarne cinquanta. Davvero non sembra sia arrivato il leader, l’ex ministro, l’ex uomo forte. Il capo del “chi si ferma è perduto” che ormai è metafora al contrario.
L’insofferenza nella Lega nei confronti di Salvini è altissima. A tal punto che ci sarebbe – secondo fonti interne al partito – anche una “dead line”: una soglia, alle prossime politiche, che sancirebbe il siluramento del leader. Se la Lega andasse sotto il 15% per il leader della Lega sarebbe la fine. Al suo posto l’ala governista spinge Massimiliano Fedriga, che da settimane è sparito. È lui il convitato di pietra a Belluno.
Oltre alle gaffe di Matteo c’è anche un tema di stile. Gli stessi governisti di rito giorgettiano ricordano, a proposito, i consigli del vecchio Bossi, che ai suoi parlamentari chiedeva di non lasciarsi “contagiare” da Roma. La Roma dal ventre molle, della mondanità. Per dire: se i ministri Giorgetti e Garavaglia vivono in appartamenti “sobri” e conducono vite da understatement , nel Carroccio anche le serate vivaci di Salvini sarebbero ritenute un corto circuito rispetto alla Lega delle origini. Il detonatore delle tensioni è, ovviamente, il caso Capuano. Ultima spina nel fianco. Qui si torna.
A un certo punto, infastidito dal brusio di alcuni militanti, Zaia chiosa: «Scusate, stiamo facendo una cosa seria qui».
Prima del brindisi con le bollicine, Zaia picchia sull’autonomia del Veneto, Salvini dice che bisogna «restituire ai giovani l’opportunità di fare un anno di servizio militare». Un minuto prima aveva detto che è contro le armi e che adesso «dobbiamo lavorare tutti per la pace».
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
SILURATO ANCHE DVORNIKOK, IL “MACELLAIO SIRIANO”, ARRIVA L’ESPERTO IN PROPAGANDA E RECLUTAMENTO
Gennady Zhidko assumerà il comando delle operazioni militari russe in
Ucraina. Ieri, 3 giugno, Mosca ha rimosso il generale Alexander Dvornikov, nominato poco meno di due mesi fa.
Al suo posto il 56enne attuale viceministro della Difesa per gli affari politici, già insignito della prestigiosa Stella d’oro di Eroe della Russia. Noto per essere uomo di fiducia del presidente russo Vladimir Putin, Zhidko è stato comandante del distretto militare orientale e ha guidato il contingente di Mosca in Siria nel 2016.
Dopo la missione in Medio Oriente, Zhidko è tornato a Mosca per occuparsi delle attività di propaganda e mobilitazione delle forze militari, con l’obiettivo di rafforzare il reclutamento e addestramento delle nuove leve di 17 e 18 anni.
Il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov ha definito Zhidko come uno dei «capi militari con un pensiero creativo» e capace di iniziative «non convenzionali».
Damasco ha operato in passato anche Dvornikov, soprannominato «il macellaio siriano» per i suoi metodi brutali. Secondo quanto sottolineato dal New York Times, l’ormai ex comandante delle operazioni militari russe in Ucraina già da un paio di settimane non appariva in pubblico.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
IL RISCHIO E’ CHE MOSCA SIA IN POSSESSO DI NOTIZIE RISERVATE
Il timore è quello di un ricatto. Nella delicata questione della missione anti Covid che nel 2020 motivò l’arrivo di una delegazione russa in Italia molte cose continuano a non tornare.
Il Copasir ha avviato un’indagine ascoltando, tra gli altri, il sottosegretario Franco Gabrielli e i vertici dei servizi segreti. Le minacce e gli avvertimenti che le autorità russe continuano a rivolgere all’Italia Paese vengono ritenute la conferma che in realtà quella missione servisse a captare informazioni riservate. Troppo esiguo l’aiuto arrivato da Mosca: le mail trasmesse in quei giorni rivelano che i russi consegnarono «521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali».
La missione concordata da Vladimir Putin e dall’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte prevedeva materiale utile a fronteggiare neanche le esigenze di una giornata di lotta al virus. Con un costo per l’Italia di oltre 3 milioni di euro per garantire vitto, alloggio, rimborso carburante e altre voci. L’ipotesi più temuta emersa dalle indagini è che la spedizione russa a Roma sia servita per raccogliere informazioni. Dati sensibili e altre notizie che ora, con l’Italia schierata al fianco dell’Ucraina, si teme possano essere utilizzate per ritorsione. In maniera particolare preoccupa il riferimento dell’ultima minaccia russa alla «moralità di alcuni rappresentanti delle autorità pubbliche» come a far capire che le notizie riservate possano riguardare anche la sfera privata.
La nuova minaccia di Mosca
Negli ultimi due mesi le minacce di ritorsioni da parte della Russia sono arrivate per ben due volte. Lo scorso 21 marzo, Alexei Vladimorovic Paramonov, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri, aveva parlato di «conseguenze irreversibili» se il nostro Paese avesse aderito al nuovo piano di sanzioni contro Mosca, accusando l’Italia di «ingratitudine» dopo gli aiuti per il Covid. Poche ora fa a ritornare sulla questione è stato lo stesso ministero degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov.
La nota diffusa spiega che «il tentativo dei media italiani di dipingere la missione russa anti-Covid in Italia nel 2020 come un’operazione di spionaggio danneggia le relazioni tra Mosca e Roma». E continua: «Le nostre controparti italiane hanno la memoria corta. Una linea di comportamento così servile e miope non solo danneggia le nostre relazioni bilaterali, ma dimostra anche la moralità di alcuni rappresentanti delle autorità pubbliche e dei media italiani». Il documento non è firmato dal ministro. Un particolare che secondo gli analisti attribuirebbe la nota direttamente al presidente Putin.
«Volevano entrare negli uffici pubblici italiani»
Le carte riguardanti la missione di Mosca in Italia dimostrano che l’intenzione dei russi fosse quella di «sanificare l’intero territorio italiano entrando anche negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio». Un intento dichiarato dal generale Sergey Kikot, il vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo, in un colloquio avvenuto subito dopo l’arrivo in Italia con il generale Luciano Portolano, all’epoca comandante del Coi, il Comando operativo interforze, e i vertici del Comitato tecnico Scientifico, Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano. I militari e i medici russi arrivati in Italia per aiutare durante l’emergenza Coronavirus «sostenevano di avere un mandato preciso, ovvero di bonificare le strutture pubbliche», ha confermato lo stesso Miozzo lo scorso 23 marzo.
«Questo è quello che disse Kikot e posso immaginare a che cosa si riferisse, ma noi abbiamo tenuto il punto». E ancora: «Ci avevano offerto collaborazione per la sanificazione degli ambienti ma noi del Cts non abbiamo mai avuto alcuna lista con i nominativi dei medici e infermieri partecipanti alla missione russa né abbiamo potuto conoscere o valutare i profili professionali e scientifici di questi esperti».
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
I CAPI DEI PARTITI NON SONO PIU’ “GUIDE” MA FOLLOWER, ASSECONDANO LE MASSE ANZICHÉ ISPIRARLE… CERCANO DI PIACERE A TUTTI E NON PRENDONO DECISIONI CHE, SONDAGGI ALLA MANO, POSSONO RISULTARE IMPOPOLARI
Pubblichiamo un estratto dal libro Trasformazioni della politica, di
Alessandro Campi. Docente di Scienza politica all’università di Perugia, Campi è uno dei principali studiosi della destra europea. Il volume è uscito per Rubbettino (18 l’edizione cartacea, 9,99 digitale).
Tradizionalmente, il leader in senso politico – secondo l’etimologia del termine inglese leadership (to lead: condurre, stare avanti, capeggiare, essere al comando) – è colui che guida e indirizza il popolo e riesce a farsi seguire dai cittadini grazie alle sue competenze, al suo programma d’azione, alla sua forza visionaria e alle sue capacità retoriche. Nell’accezione consueta, il follower (seguace o adepto in senso politico) è invece colui che obbedisce al capo partito e che aderisce, emotivamente e attraverso il voto, alle sue indicazioni o formule propagandistiche.
Ma cosa accade quando il leader si “orizzontalizza” e diventa a sua volta un follower?
Cosa succede nella vita di una democrazia quando un capo politico – come sempre più spesso si registra – si limita a seguire e ad assecondare le masse e a costruire la sua agenda politica e il suo programma di governo sulla base dei sondaggi che quotidianamente registrano i cambiamenti dell’opinione pubblica? Insomma, cosa accade quando chi comanda prende ordini, in senso lato, da coloro che dovrebbero invece obbedirgli?
Un primo cambiamento riguarda l’origine sociale dei leader e la loro formazione intellettuale e professionale. Sempre più spesso ci imbattiamo in personalità che non hanno alle spalle un classico pedigree politico. Anzi, in molti casi si tratta di personalità che orgogliosamente esibiscono come un titolo il non aver mai fatto politica in precedenza o il fatto di avere conquistato competenze, successo e popolarità in altri settori di attività: dallo sport allo spettacolo, dall’economia (un imprenditore, un banchiere) al giornalismo. Ma anche i leader che si sono formati nei partiti tradizionali tendono ormai a presentarsi come espressione dell’antipolitica, o come i fautori di una “nuova politica”.
GENERICO È MEGLIO
Il libro di Alessandro Campi si richiama al saggio Trasformazioni della democrazia di Vilfredo Pareto del 1921 per analizzare i cambiamenti dei sistemi politici attuali.
La seconda caratteristica è il fatto che oggi il leader si presenta come trasversale e inclusivo, cerca voti a destra e a sinistra, parla a tutti in modo indistinto, non ha una fisionomia culturale immediatamente riconoscibile o definibile in modo rigido. Per fare tutto ciò ha naturalmente bisogno di utilizzare messaggi generici, slogan efficaci ma poco impegnativi, nonché di ricorrere sempre più spesso a formule retoriche e a proposte demagogiche.
Le leadership odierne sono largamente dipendenti dall’uso dei media. In alcuni casi, esse sono il frutto di un sistema dell’informazione che è ormai in grado di rendere popolare un individuo nel giro di poche settimane o mesi. Niente di più facile oggi che convertire il successo nel campo dello spettacolo in un successo politico-elettorale. Le elezioni in Ucraina dell’aprile 2019 – con l’ascesa alla presidenza di un comico che era divenuto celebre per aver recitato in televisione la parte di un cittadino qualunque che quasi per caso diventava Presidente della nazione – sono solo un esempio di un fenomeno che tende a ripetersi con sempre maggiore frequenza. Era già accaduto in Italia con Silvio Berlusconi, in senso lato un uomo di spettacolo. Si è ripetuto con la fondazione del M5S a opera del comico Beppe Grillo.
Ciò significa che senza apparire in televisione ogni giorno, senza una presenza martellante e ossessiva sui media, senza la capacità di saturare o invadere qualunque spazio informativo-comunicativo, si rischiano un immediato oblio e la scomparsa dalla scena.
Ma questa dipendenza quasi esistenziale dai media implica anche una dipendenza dalle logiche discorsive e dalle modalità d’espressione che sono proprie degli strumenti di comunicazione di massa. Quando si parla in televisione, è cosa nota da decenni, bisogna utilizzare concetti semplici e parole che tutti possono capire. Bisogna essere martellanti e persuasivi: il ritmo è fondamentale. Se ci si sposta sui social media, questi caratteri tendono ad accentuarsi. La semplificazione del linguaggio politico, al limite della sua banalizzazione, è oggi un’esigenza vitale per qualunque leader politico.
Si deve essere veloci, brevi, puntuti, polemici, brutali.
CONSENSO AD OGNI COSTO
A ciò si aggiunga che la ricerca del consenso – giorno per giorno, a qualunque prezzo, con qualunque mezzo – è divenuta l’ossessione dei leader contemporanei. Un tempo il consenso dei cittadini serviva per governare. Oggi è il contrario: ogni scelta di governo viene fatta in funzione del consenso mediatico-politico che essa può assicurare. Nessuno si sogna più di prendere decisioni che, sondaggi alla mano, possono risultare impopolari, o che rischiano di far perdere al leader qualche punto percentuale nell’indice di gradimento. I leader si trovano così impegnati in una campagna elettorale permanente, dove alla fine nemmeno contano le scelte che si fanno, ma ci si limita solo a promesse e annunci.
Tutti questi cambiamenti hanno come conseguenza negativa quella di rendere le leadership delle democrazie potenzialmente sempre più fragili. Un leader che tende forzatamente a presentarsi come un cittadino qualunque, sin dal modo di parlare, alla fine non viene più percepito come il portatore di una specifica competenza, o come un modello da seguire. Un leader poco autorevole è un leader poco credibile, del quale è giusto e normale diffidare.
Occorre poi segnalare la contrazione temporale delle leadership contemporanee. Un capo di partito o di governo, anche quando gode di un grande consenso popolare, tende oggi ad avere una carriera politica breve e spesso effimera. Cicli politici lunghi come quelli che, nel passato più o meno recente, hanno avuto per protagonisti Tony Blair o Angela Merkel, Felipe González o Silvio Berlusconi, Margareth Thatcher, Helmut Kohl o François Mitterrand, nelle democrazie contemporanee sono sempre più delle eccezioni. Le leadership odierne, proprio perché molto condizionate dagli umori popolari (che sono per definizione instabili, cangianti e imprevedibili), tendono a durare sempre meno. Si sale al potere e si scende dal potere con estrema velocità. Si potrebbe dire che i leader contemporanei sono le prime vittime della loro stessa retorica. A furia di invocare il cambiamento a ogni costo e il bisogno di novità, anch’ essi finiscono per apparire vecchi e obsoleti nel giro di poco tempo.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2022 Riccardo Fucile
IL DONO A UN GOVERNO CRIMINALE RISALE AL 2018
La motovedetta libica che ha sparato verso i due pescherecci italiani due giorni fa è stata donata alla guardia costiera di Tripoli proprio dal nostro Paese, nel 2018. A dirlo è il comandante di una delle due imbarcazioni, la “Salvatore Mercurio”, che spiega come la nave libica fosse “grigia, una di quelle regalate da noi”.
I due pescherecci, di proprietà della famiglia di pescatori Suaria di Aci Catena, in provincia di Catania, sono stati colpiti dalla motovedetta a largo di Bengasi, in acque internazionali, durante una delle solite battute di pesca.
Mario Suaria ha raccontato di aver passato “tre quarti d’ora d’inferno”, in cui, mentre da una nave libica arrivavano colpi d’arma da fuoco, un’altra voleva speronare il peschereccio.
I pescatori, quindi, dicono di essere salvi solo grazie alla nave della marina militare italiana, che è intervenuta a placare la situazione. L’equipaggio a bordo ha infatti immediatamente lanciato l’sos, con richiesta d’intervento arrivata alla fregata Grecale della nostra marina. Per fortuna i colpi non hanno provocato danni.
Quando ha raggiunto i due pescherecci, dalla Grecale è salito a bordo dei pescherecci un team sanitario, per accertare le condizioni dei marinari. A questo si è aggiunto un altro team della Brigata Marina San Marco, arrivata sul posto poco dopo per garantire la sicurezza dei pescatori. La motovedetta libica nel frattempo si era allontanata dall’area.
Un dettaglio, comunque, ha colpito Suaria. L’uomo che dalla prua della motovedetta libica sparava contro di loro “era in pantaloncini e maglietta”. Il pescatore è ancora scosso, ma dice quasi stralunato che “sembrava in vacanza”.
(da Fanpage)
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