Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile OLTRE 500 SONO DETENUTI NELLE ORRIBILI CARCERI RUSSE
La tecnica è quella di arrestarti con un pretesto qualsiasi per poi trovare
un’accusa abbastanza pesante da tenerti in galera il più a lungo possibile. E l’accusa ideale la fornisce il nuovo articolo del codice penale che prevede condanne fino a 15 anni per chi parla della guerra in Ucraina e della politica dello Stato in modo difforme dalla versione ufficiale del Cremlino.
Il sistema funziona: il regime sta rapidamente togliendo di mezzo gli oppositori che erano ancora liberi, o almeno quei pochi che non hanno lasciato la Russia dopo l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”.
L’ultimo a subire il trattamento, ormai diventato standard, è Ilya Yashin, 39 anni, quasi 20 di attività politica, tra i fondatori del movimento Solidarnost insieme a Boris Nemtsov — il leader anti-Putin assassinato nel 2015. Yashin fu protagonista delle grandi proteste di piazza del 2011-2012 ed è un deputato del distretto moscovita di Krasnoselsky, che conta 50.000 abitanti. Dal 24 febbraio in poi, ha criticato senza mezzi termini l’invasione. Chiarendo di non avere alcuna intenzione di rifugiarsi all’estero nonostante la quasi certezza di un’imminente persecuzione giudiziaria.
I poliziotti lo hanno aspettato in un parco vicino a casa. Passeggiava con la fidanzata. Le manette sono scattate per “resistenza a pubblico ufficiale”. Ma è lecito pensare che si sia trattato di un agguato tout court. “Mica sono scemo a mettermi a discutere con la polizia in un Paese come questo”, ha detto poi in tribunale. Condannato a 15 giorni di arresti “amministrativi” — così si dice in Russia quando il delitto non è considerato un crimine — poche ore prima della scadenza dei termini è stato raggiunto in carcere dall’accusa, stavolta penale, di aver “denigrato” le forze armate. Motivo: ha parlato in uno stream su YouTube dell’eccidio di Bucha citando la ricostruzione che ne ha fatto il New York Times. “Questo caso è politicamente motivato dall’inizio alla fine”, ha affermato Yashin davanti al giudice che ha deciso la sua custodia cautelare in carcere fino almeno al 12 settembre. Magistrati e investigatori hanno tutto il tempo per preparare il processo. Il detenuto ha fato sapere tramite i suoi avvocati che durante gli interrogatori gli è stato chiesto perché non se ne fosse andato dalla Russia, visto che gli erano stati informalmente concessi ben quattro mesi di tempo per farlo. Evidentemente, la decisione di perseguirlo se non l’avesse fatto era stata presa a priori.
Gorinov, una condanna “esemplare”
“Quella lanciata dallo Stato è una vera e propria offensiva contro l’opposizione rimasta”, dice a Fanpage.it Sergei Davidis, sociologo, avvocato e responsabile del progetto indipendente “Sostegno ai prigionieri politici”, che faceva parte di Memorial, la maggiore organizzazione per i diritti umani russa, chiusa e liquidata dal governo nell’aprile scorso. “L’arma principale, non l’unica, di questa offensiva è diventato l’articolo 207.3 del codice penale, quello sulle cosiddette fake news riguardanti le forze armate”. Per Davidis, che abbiamo raggiunto al telefono in una località fuori dalla Russia dove si è trasferito per ragioni di sicurezza, “con la guerra il livello di severità del regime è diventato molto più alto e il livello di tolleranza verso il dissenso molto più basso”. Con Yashin sono 69 le persone indagate ex articolo 207.3, secondo dati di Ovd-Info, una Ong che monitora la repressione. Il primo ad aver ricevuto una condanna “esemplare” è un collega dello stesso Yashin nel consiglio distrettuale di Krasnoselsky, Alexei Gorinov: sette anni di prigione per aver detto in aula, mentre si discuteva di un concorso di disegno per bambini, che tale dibatto gli pareva insensato dato che ogni giorno bambini stavano morendo o diventando orfani sotto le bombe in Ucraina. Dopo la sentenza, l’articolo 207.3 è noto come “gorinovskaya”.
“Il verdetto contro Gorinov è illegittimo perché l’articolo 207.3 del codice penale è incompatibile con la Costituzione”, sostiene l’avvocato difensore del condannato, Katerina Tertukhina. La carta fondamentale russa, infatti, più o meno come quella italiana, garantisce la libertà di pensiero e di parola, riconosce la diversità ideologica e politica e vieta la censura. E in Russia, al contrario che in Ucraina, nonostante la guerra in corso non è stata introdotta la legge marziale a limitare i diritti costituzionali.
“In teoria nel nostro Paese ognuno può raccogliere informazioni da qualsiasi fonte, esprimere liberamente la propria opinione e diffondere qualsiasi informazione senza timore di persecuzioni da parte di nessuno, in primis da parte dello Stato”, spiega Tertukhina a Fanpage.it che l’ha raggiunta al telefono a Mosca.
“In pratica questa aggiunta recente al codice viene utilizzata direttamente per reprimere la critica e la libera concorrenza delle opinioni. È la reincarnazione delle peggiori creazioni dell’apparato repressivo sovietico: si è istituita una norma penale contro le attività considerate come antigovernative. Un tempo si sarebbe detto ‘antisovietiche’.
A nulla è valso mostrare alla corte i documenti dell’Onu sulle vittime della guerra. “Ogni informazione diversa da quelle propinate dal ministro della Difesa russo è considerata fake news, sottolinea Davidis. “Ma nel caso di Gorinov si è semplicemente punita un’opinione. La sentenza è stata decisa a tavolino, prima del processo. E la pena è sproporzionata. Neanche per uno stupro si danno sette anni, in Russia“.
Kara-Murza come Navalny, dopo il veleno il carcere
Il fatto è che i giudici — o, precisa Davidis, “chi dà loro gli ordini” — hanno un ampio margine di discrezionalità. Per reati simili a quello contestato a Gorinov in un caso si sono limitati a una multa di un milione di rubli (circa 17mila euro) e in un altro hanno comminato una pena detentiva con la condizionale. È il vecchio sistema staliniano di mantenere una pressoché totale incertezza del diritto, in modo di alimentare il terrore. Ma per gli oppositori più vocali e in vista si preparano pene pesanti. “Da un lato si mantiene una dose di imprevedibilità, dall’altro si vogliono lanciare segnali precisi alla società”, nota Davidis. Sarà probabilmente il caso di Vladimir Kara-Murza, 40 anni, ex braccio destro di Nemtsov, sostenitore delle sanzioni personali contro chi viola i diritti umani in Russia, sopravvissuto per due volte ad attentati al veleno perpetrati — ha concluso un’inchiesta giornalistica di Bellingcat e altri — dall’Fsb, il servizio di sicurezza erede del Kgb sovietico. Come Ilya Yashin, Kara-Murza è stato atteso sotto casa e arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Poi, trattenuto dietro le sbarre a colpi di “gorinovskaya”. È in attesa di processo.
“Non mi aspetto certo che lo assolvano o che abbia una pena lieve”, dice a Fanapage.it la moglie Evgenia dagli Stati Uniti dove risiede con i figli per motivi di sicurezza. “Vladimir è stato all’opposizione fin da quando Putin è al potere, e quindi per le autorità è un criminale incallito”.
La sentenza Gorinov, continua Evgenia Kara-Murza “è l’applicazione di una tecnica intimidatoria ideata per impaurire e indurre al silenzio la società civile russa. Le condanne a una lunga detenzione come rappresaglia contro chi dice la verità sulla guerra sono la nuova realtà della Russia di Putin, e dimostrano una volta di più che il regime sopravvive sull’intimidazione. E che la propaganda ha paura della verità”.
Il giovane Dima Ivanov, attivista universitario
Una lunga pena potrebbe essere inflitta anche al più giovane degli oppositori “incalliti” di Putin alle prese con la “gorinovskaya”, Dmitriy Ivanov, 22 anni, attivista della prestigiosa Università statale di Mosca, dove studia scienze informatiche.
Una vicenda fotocopia di quelle di Yashin e Kara-Murza: l’agguato della polizia, 25 giorni di carcere “amministrativo” e poi l’accusa penale ex articolo 207.3. Per aver postato sul suo canale Telegram tweet di altre persone riguardanti la guerra.
La sua amica Olga Misik, la “ragazza della costituzione” divenuta un’icona dell’opposizione russa quando a nemmeno 17 anni si mise a leggere la carta fondamentale davanti ai poliziotti anti-sommossa di Putin, ha pochi dubbi sull’esito del processo: “Per Dima (diminutivo di Dmitry, ndr), mi aspetto una sentenza come quella di Gorinov, o peggio. Potrebbero dargli otto o dieci anni. La decisione è già stata presa”, ci dice al telefono da Mosca trattenendo le lacrime.
Prigionieri politici e condizioni carcerarie
Secondo Sergei Davidis, “Il livello di pressione sulla società russa sta aumentando e il numero dei prigionieri politici non potrà che crescere”. Al momento sono circa 500, secondo i calcoli di Memorial, considerati attendibili anche dall’assemblea del Consiglio d’Europa che ha appena approvato una risoluzione per il rilascio di questi detenuti.
“Ma stiamo continuando gli accertamenti — continua Davidis — e possiamo presumere che arriveremo presto a definire la cifra totale in un migliaio. Per ora”. I prigionieri politici in Russia vivono nelle stesse condizioni degli altri detenuti, a parte casi singoli come quello di Alexei Navalny, sottoposto a un regime particolarmente pesante. Le condizioni “normali” sono però stigmatizzate da Davidis come “pessime”.
La Russia ha la quarta maggior popolazione carceraria del mondo: circa 520mila persone. Il 10% dei tenuti è positivo all’Hiv, almeno 14mila sono afflitti da tubercolosi conclamata. Non sono note le cifre dei contagi da coronavirus.
La scarsa ventilazione di celle e ambienti comuni agevola il diffondersi delle malattie. Così come lo stesso rivestimento delle pareti del carcer: un cemento poroso abrasivo, a spuntoni irregolari, chiamato in gergo “shuba”, che vuol dire pelliccia. Un ricettacolo di insetti, sporcizia e agenti patogeni. “Impossibile da sanificare”, secondo Olga Romanova, responsabile di “Russia imprigionata”, una Ong che aiuta i reclusi e le loro famiglie. Oltre al pericolo sanitario, ci sono frequenti casi di abusi e tortura. Quattro anni fa fu diffuso sui social un video shock che li documentava. Che tu sia un “politico” o meno, la galera non è una passeggiata, nel Paese di Vladimir Putin.
(da Fanpage)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile GIUSEPPE VERDE, ORDINARIO DI DIRITTO COSTITUZIONALE ALL’UNIVERSITA’ DI PALERMO: “PUO’ PROVVEDERE SOLO ALL’ORDINARIA AMMINISTRAZIONE, HA POTERI LIMITATI”
Mario Draghi andrà in Parlamento a confermare le dimissioni mercoledì 20 luglio, oppure potrebbe ripensarci?
“Dal punto di vista istituzionale, se ha accettato l’invito del presidente Mattarella significa che lo spazio per andare avanti c’è“.
Se invece si dimettesse, che poteri conserverebbe il governo?
“Solo l’ordinaria amministrazione, che in questo momento dovrebbe comprendere il lavoro per gli obiettivi del Pnrr. Sulla gestione delle emergenze, come la crisi energetica o il carovita, la vedo più complicata”.
Secondo Giuseppe Verde, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Palermo, o la crisi avrà una soluzione politica o il governo dimissionario sarà per natura “azzoppato” fino a nuove elezioni. L’ipotesi di un premier nella pienezza dei suoi poteri anche a Camere sciolte – se, per ipotesi, Mattarella respingesse ancora le dimissioni – non è in campo: “Non vedo la possibilità di sciogliere le Camere in assenza di un governo dimissionario”, dice al fattoquotidiano.it.
Professore, il presidente della Repubblica ha invitato il premier a rendere comunicazioni alle Camere e, di fatto, a verificare l’appoggio parlamentare di cui gode il governo. Tecnicamente come funziona?
Dal punto di vista formale, una conferma della fiducia a Draghi dovrebbe passare per il voto di un atto di indirizzo, un ordine del giorno o una risoluzione di maggioranza, che contenga un impegno chiaro al governo a proseguire nel suo mandato. Il nodo però è politico e si può sciogliere solo al di fuori dell’Aula: bisogna capire se si riesce in qualche modo a sciogliere l’impasse. Nella richiesta di Mattarella di “parlamentarizzare la crisi” c’è una grande attenzione al profilo istituzionale, perché finora, come sappiamo, il governo non è mai stato sfiduciato: anzi, con il voto sul decreto Aiuti paradossalmente la fiducia è stata rinnovata.
Anche mercoledì ci sarà un voto di fiducia?
No, almeno non formale. Però avrà un valore sostanziale equivalente: è chiaro che se un partito della maggioranza si sfilasse, com’è successo giovedì in Senato, sarebbe un problema.
Secondo la maggior parte delle previsioni, però, Draghi andrà in Aula semplicemente a confermare le dimissioni. In quel caso seguirebbe un voto?
No, la seduta si interromperebbe e il presidente del Consiglio salirebbe al Quirinale, dopodiché la palla passerebbe al capo dello Stato. Ma il fatto che Draghi abbia accettato l’invito a tornare in Parlamento indica che c’è uno spazio per ricostruire. In questo senso la scelta di Mattarella, oltre che la più corretta dal punto di vista costituzionale, è stata anche la più utile: tiene conto della natura politica della crisi e lascia cinque giorni di tempo prezioso, che potranno servire a sciogliere il nodo. Non a caso, anche nell’ipotesi di presentazione di una mozione di sfiducia al governo la Costituzione impone di discuterla non prima di tre giorni. Serve a incoraggiare la riflessione.
Se invece le dimissioni diventassero irrevocabili, che poteri conserverebbe il governo?
I poteri del governo dimissionario si considerano limitati alla cosiddetta “ordinaria amministrazione”. È una di quelle formule magiche i cui contorni sono sempre sfuggenti: in termini generici, possiamo dire che la realizzazione del programma politico si blocca. Ma la situazione attuale è un po’ particolare: c’è il Pnrr, con cui ci siamo assunti fino al 2026 una serie di obblighi nei confronti dell’Unione europea. Sono impegni che non possono essere messi da parte e condizioneranno anche la politica dei futuri governi che usciranno dalle elezioni. È un tema di cui si discute tra costituzionalisti, ma io penso che l’ordinaria amministrazione dovrebbe abbracciare anche il perseguimento degli obiettivi del Piano.
Che dire invece delle urgenze dovute alla guerra, come la crisi energetica o il caro-vita? Lunedì Draghi e il ministro degli Esteri Di Maio andranno in Algeria a contrattare gli approvvigionamenti di gas. Potrebbero farlo da dimissionari?
La questione qui è più complessa. Da un lato è chiaro che siamo in emergenza, e se non portiamo a casa certi risultati non superiamo l’inverno. Dall’altro, però, la politica estera ha bisogno di una legittimazione e di un indirizzo politico: l’idea che un governo dimissionario tratti con le autorità straniere è un po’ scivolosa. Un governo estero si potrebbe chiedere: “Ma con chi sto parlando, chi rappresenta?”. Quindi mi auguro che, se si presentasse la necessità, i partiti sappiano fare quadrato intorno alle scelte più importanti.
Si potrebbero approvare, invece, provvedimenti a sostegno di famiglie e imprese sulla scia del Aiuti?
È difficile. Se c’è la crisi del governo Draghi, se il governo Draghi si dimette, se la maggioranza si sfalda, come si fa poi a dire che però si fanno l’accordo per il gas, la lotta all’inflazione, la politica estera e altre venti o trenta cose? Sarebbe un governo fintamente dimissionario, sostanzialmente nella pienezza dei suoi poteri. Un governo dimissionario non può fare tutto, deve avere dei limiti. E non si può giustificare tutto con la situazione eccezionale.
Torniamo alle dimissioni. Una delle ipotesi che si fanno è che vengano respinte, ma allo stesso tempo le Camere vengano sciolte. In quel modo il governo conserverebbe pieni poteri fino al voto?
No, è un discorso che non riesco a seguire. Non vedo la possibilità di sciogliere le Camere senza un governo dimissionario. E a quel punto, come abbiamo detto, i poteri del governo si limitano all’ordinaria amministrazione, che comprende i provvedimenti necessari a guidare il Paese a nuove elezioni. Se non c’è più il Parlamento, non c’è più un rapporto di fiducia, fondamentale in una Repubblica parlamentare. Questo almeno è il mio punto di vista.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile INIZIATIVA SPONTANEA DI UN GRUPPO DI CITTADINI E GIA’ PIOVONO ADESIONI… APPUNTAMENTO IN PIAZZA DELLA SCALA ALLE 18,30
La società civile milanese scende in piazza per chiedere che Mario
Draghi resti alla guida del governo fino alla fine della legislatura, nel 2023. L’appuntamento è per lunedì 18 luglio in piazza della Scala alle 18,30: l’appello è partito spontaneo da un gruppo di cittadini milanesi con lo slogan “Con Draghi, per il futuro dell’Italia e dell’Europa” e in poche ore ha ottenuto l’adesione di partiti e movimenti politici, tra cui Azione, +Europa, Italia Viva, Base Italia, Movimento Federalista Europeo, Per l’Italia con l’Europa.
Diversi esponenti del Pd hanno a loro volta aderito all’iniziativa a titolo personale, insieme a professionisti, imprenditori, docenti universitari e scolastici, esponenti del mondo della cultura, attivisti del mondo del terzo settore, del volontariato e del mondo della scuola.
L’idea è di fare una manifestazione senza bandiere. Tanto che gli interventi sul palco saranno di donne e uomini della società civile come, ad esempio, Sergio Scalpelli. Gli organizzatori spiegano che “questa manifestazione si rivolge non tanto a Mario Draghi quanto al senso di responsabilità dell’intera classe politica nazionale, perché in qusto momento che definiamo drammatico, sappia mettere da parte gli interessi particolari per ricostruire le condizioni favorevoli alla prosecuzione del governo di Mario Draghi, fino al 2023, e anche oltre”.
Gli autori dell’appello sono “preoccupati che l’atteggiamento attuale del Movimento Cinque stelle – che ricordiamo non ha votato la fiducia al decreto aiuti al Senato, bloccando circa 23 miliardi di sostegni alle famiglie, le misure contro il rincaro delle bollette e contro l’erosione del potere di acquisto – imponga di fatto un costo elevatissimo soprattutto a danno dei più poveri”. Ecco perché “in questo momento molto difficile la crisi dissennata aperta da Giuseppe Conte rischia di portare ad elezioni anticipate e offrire in regalo a Putin l’ennesimo argomento di propaganda”.
Secondo gli ideatori della manifestazione, “senza Mario Draghi e il suo governo si potrebbe bloccare il percorso delle transizioni essenziali nel campo climatico-ambientale, digilale, della sanità, della scuola e università e della giustizia”. L’Italia “ha bisogno delle riforme strutturali, di cui il governo Draghi sta mettendo le basi dopo decenni, per poter ottenere i fondi del PNRR che servono ad ammodernare il Paese nelle sue infrastrutture e a ridargli spinta per crescere”.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile ALL’ASSEMBLEA DEL M5S OGGI SU 46 ELETTI, 19 HANNO DICHIARATO ESPRESSAMENTE CHE VOTERANNO LA FIDUCIA A DRAGHI
Clima a tratti teso nel corso dell’assemblea congiunta M5S di questa mattina. La maggioranza dei parlamentari intervenuti si è schierata nettamente a favore della linea del leader pentastellato Giuseppe Conte, ma non sono mancati appelli a sostegno della fiducia al governo presieduto da Mario Draghi.
Una crepa, quella tra ‘contiani’ e ‘governisti’ che rischia di allargarsi sempre di più e di produrre una nuova frattura interna al M5S dopo la scissione di Luigi Di Maio.
Durante la riunione in video-conferenza iniziata alle 10.30 (e che si aggiornerà in serata) i toni si sono surriscaldati quando – apprende l’Adnkronos – la senatrice Giulia Lupo ha puntato il dito contro i “tiratori scelti” che a suo dire starebbero destabilizzando il M5S dall’interno: “Rispetto le idee di tutti, ognuno fa le sue scelte. Ma se lo specchio non può sputarvi, allora forse potrebbe iniziare a farlo qualcuno di noi…”, le parole al vetriolo della parlamentare contiana. Secondo quanto viene riferito, più di qualcuno avrebbe apostrofato i governisti con un esplicito “un abbraccio ai traditori”.
Tra i più bersagliati dalle critiche ci sarebbe Maria Soave Alemanno (membro del direttivo grillino alla Camera e delegata d’Aula) che non a caso ieri è stata una delle prime a manifestare la sua intenzione di continuare ad appoggiare il governo Draghi.
Nel mirino di alcuni contiani anche il capogruppo Davide Crippa: “In Consiglio nazionale devi rappresentare il pensiero della maggioranza e non portare la tua opinione personale”, l’accusa indirizzata al presidente dei deputati, contrario all’ipotesi di innescare una crisi di governo. Particolarmente ‘duri’ nei confronti dei filo-governativi sono stati gli interventi di Leonardo Donno, Sebastiano Cubeddu e Gilda Sportiello.
“E’ un clima da caccia alle streghe”, si sfoga con l’Adnkronos un parlamentare, “è impossibile esprimere un’opinione in dissenso senza essere tacciati di essere dei pupazzi di Di Maio”.
Qualcuno in chat arriva a evocare metodi da repressione fascista verso i dissidenti. Ad ogni modo la bilancia del consenso interno pende dalla parte di Conte: “46 parlamentari intervenuti finora sono sulla linea del leader, 19 sono per dare la fiducia a Draghi, 3 gli indecisi”, spiega un eletto contiano ‘armato’ di pallottoliere. Ma la partita è ancora lunga.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile DA TRAVAGLIO ALLA PASIONARIA ALLA VACCINARA PAOLETTA TAVERNA A TA-ROCCO CASALINO: “IO SUGGERITORE? MACCHINA DEL FANGO”
Dietro l’ennesima trasformazione di Conte (prima sovranista con la Lega,
poi europeista col Pd, ora barricadero) c’è un cerchio magico – o tragico – di consiglieri che ne hanno guidato la svolta anti-governativa.
Una veste che poco si addice alla pochette dell’avvocato, ma che alla fine nella testa di Conte ha finito con il prevalere sull’istinto bizantino al compromesso e alla supercazzola. Il martellamento ha avuto successo, anche grazie all’«aiuto» delle elezioni amministrative, da cui la leadership di Conte è uscita a brandelli convincendolo che un ritorno al Vaffa possa resuscitare un po’ dei consensi perduti. Uno dei consiglieri più ascoltati è Marco Travaglio.
Il direttore del Fatto da mesi verga editoriali contro il governo del Migliore (Draghi), spiegando che il M5s ha fatto un grave errore ad entrarci, che si ritrova al governo solo per subire angherìe dall’ex capo della Bce che non apprezza le meravigliose idee del M5s ma che Conte ha una strada spianata per risollevarsi: mollare Draghi. Travaglio lo scrive chiaramente il 28 giugno.
Il M5s può recuperare una parte dei milioni di voti presi (e poi persi) nel 2018, scrive, «se li porta fuori dal governo, recupera Di Battista e la sua area e convince Grillo ad un compromesso sui due mandati», per salvare i poltronari pentastellati.
Per molti non è un caso che la spifferata del sociologo grillino De Masi circa i giudizi impietosi di Draghi su Conte, cosa che ha fatto deflagrare la crisi, siano usciti proprio sul Fatto Quotidiano. Un piano ad hoc, sospettano anche dentro il Movimento, per dare a Conte l’assist per uscire dal governo, con l’appoggio dell’ala dura.
Massima rappresentante di quest’ultima è la statista alla vaccinara Paola Taverna. La senatrice negli ultimi mesi si è riposizionata come contiana di ferro. Non solo, è stata lei la regista del tour elettorale dell’ex premier, verso cui nutre una venerazione personale. Si è schierata anche contro Beppe Grillo, puntando tutto su Conte, che infatti sarebbe disponibile ad una deroga al tetto dei secondo mandato solo per una piccola percentuale di eletti, tra cui appunto la Taverna (senza uno stipendio garantito dal M5s le toccherebbe tornare a lavorare come addetta in un poliambulatorio di analisi cliniche). È lei il più falco dei falchi M5s.
Secondo il Corriere prima di entrare in aula al Senato nel giorno della non-fiducia al governo la Taverna ha lanciato un grido di battaglia in puro slang da borgata romana: «Oggi li sfonnamo de brutto». È convinta che il salto all’opposizione sia una furbata per fregare quel «traditore» di Di Maio, e guadagnare un’altra legislatura per lei per gli altri pentastellati insieme all’amato Conte. Di sicuro all’opposizione potrebbe esprimere al meglio le naturali doti dialettiche per cui è nota.
L’altro consigliere di guerra, più defilato nonostante l’amore del personaggio per le telecamere e la ribalta mediatica, è Rocco Casalino. L’ex portavoce di Conte a Palazzo Chigi si è riciclato come capo della comunicazione alla Camera. Ma non si limita certo a scrivere comunicati stampa. Uno che è stato capace di pubblicare un libro autobiografico da cui ricavare poi un film, pensa molto più in grande. Ed elabora strategie per il suo capo, confidando in un seggio sicuro nelle liste M5s alle politiche del 2023. Casalino nega di essere uno degli artefici dello strappo: «Non ho incarichi politici, il mio ruolo è limitato all’ambito comunicativo, contro di me c’è una macchina del fango».
Pochi giorni fa, però, intercettato in monopattino a Roma dal direttore del Foglio Claudio Cerasa, Casalino dava già per certo – quando ancora non lo era affatto – il non voto del M5s alla fiducia. È lui del resto ad aver sempre consigliato Conte di non tornare al suo mestiere, ma di darsi alla politica come leader di partito. Finora, consigli poco fortunati.
(da il Giornale)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile IL VICE RETTORE: “NON POSSIAMO NASCONDERE IL FATTO CHE C’È UNA CRISI DI SALUTE MENTALE DEGLI STUDENTI A CAMBRIDGE”
Il suicidio è la morte più solitaria. Soprattutto se a morire è un giovane. Il suicidio è la morte più scandalosa, se a morire sono cinque studenti in quattro mesi, a Cambridge, una delle università più prestigiose del mondo. Ottocento secoli di storia, edifici di mattoni rossi, cortili in pietra e prati verdi, cappelle e rituali, targhe a commemorare i nomi illustri passati per quelle stanze, sfilze di Nobel: 88, più di ogni altra istituzione scolastica del mondo. Più di tutti.
Il Trinity College da solo, uno dei più prestigiosi dei 31 college dell’Università (insieme al King’ s, al St John’s e all’Emmanuel), fu fondato da Enrico VIII nel 1546 e dalle sue aule sono uscite 31 premi Nobel. Eccellenza allo stato puro, selezione, duro lavoro, l’ambizione di ogni famiglia britannica e non solo, che programma la carriera scolastica del proprio figlio per l’ingresso di una delle due: Oxford o Cambridge, la crema della futura intellighenzia umanistica e i genietti dei numeri. Allora perché? Cosa è successo? Cosa sta succedendo?
Dopo il quarto decesso è stata aperta un’inchiesta, come riferisce il giornale britannico The Guardian. Cinque morti sono troppe, anche se le prime quattro sono ancora definite «sospetti suicidi», una terminologia giudiziaria che non si addice – non dovrebbe almeno – a una materia così delicata. Lo scandalo, si diceva. O meglio, la paura dello scandalo.
Perché il suicidio porta sempre con sé un alone di vergogna, omertà, pregiudizio. Il suicidio è una morte più dolorosa perché si poteva evitare. O almeno si poteva provarci. È una sconfitta per una istituzione scolastica, soprattutto così prestigiosa. Quindi meglio che siano «sospetti suicidi», anche se è difficile che tanti giovani siano morti accidentalmente nei college, per morti di cui non sono state chiarite le ragioni e le modalità. Forse questa è la chiave che fa parlare i giornali di «giallo» e di «mistero».
Anche se presumibilmente non c’è nessuno giallo e nessun mistero, ma solo errori di chi doveva capire che quello sguardo era troppo sfuggente, che quelle assenze alle revisioni dei paper non erano giustificate, che quella camicia a maniche lunghe anche con il caldo copriva i segni evidenti di un disagio. Che c’era qualcosa che non andava, insomma.
Le università inglesi hanno dipartimenti appositamente dedicati alla cura psicologica degli studenti. Secondo la Bbc, nel 2021 c’è stato un enorme aumento di studenti che hanno fatto ricorso al servizio centrale di salute mentale universitario: in tutto 2.123 studenti contro i 1655 del 2017.
Dopo l’apertura dell’inchiesta il vice rettore di Cambridge Graham Virgo ha rilasciato una dichiarazione pubblica: «Voglio rassicurarvi che l’università sta prendendo questa vicenda molto sul serio ed è determinata a lavorare a stretto contatto con i nostri partner per aiutare a prevenire morti future».
L’ateneo ha costituito un gruppo di risposta rapida agli incidenti, che ha coinvolto i college colpiti, insieme a esperti di salute pubblica delle autorità locali e del Sistema sanitario nazionale. «È sbagliato speculare sulle circostanze che circondano la morte di ogni studente – si legge ancora nella nota -, ma non possiamo nascondere il fatto che c’è una crisi di salute mentale degli studenti a Cambridge».
Uno dei cinque decessi è avvenuto a marzo, tre in maggio e uno a giugno. L’università ha fatto sapere che non ci sono legami tra i decessi. Gli studenti frequentavano infatti college e indirizzi di studi diversi. L’inchiesta è stata aperta solo dopo il quarto decesso. Il problema è perché il campanello d’allarme non è scattato prima. Ci volevano quattro morti per far venire il sospetto? Non vengono forniti dettagli né i nomi, anche se alcuni giornali li pubblicano. Ma i nomi importano poco. Anche le modalità importano poco.
Sempre il professor Virgo ha reso noto che Cambridge usa già 4,5 milioni di sterline all’anno per la salute mentale dei propri studenti e stanzierà altri 5 milioni di sterline nei prossimi cinque anni.
Una risposta che pare tardiva e riparatoria. Il sindacato degli studenti accusa l’Università di aver allentato il piano di prevenzione dei suicidi. Certo la pandemia non ha aiutato. Gli esperti del servizio sanitario mentale dicono che gli ultimi due anni hanno creato una situazione di disagio mai vista prima: cali del rendimento scolastico senza precedenti, mancanza di socialità, studenti che hanno smesso di frequentare le lezioni con regolarità.
Dietro ognuno di quei letti vuoti, c’è una famiglia e una comunità. C’è bisogno di spazio, tempo e privacy per affrontare la perdita, dicono gli psicologi. E soprattutto che venga allontanato ogni sospetto che per salvaguardare il buon nome dell’istituzione non si sia fatto tutto il possibile. E non si sia cercato di insabbiare per evitare lo scandalo. Quella sarebbe la peggiore sconfitta per tutti.
(da la Stampa)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile LA PIU’ FORTE GIOCATRICE DEL MONDO HA DOMINATO IL TORNEO MONDIALE
Paola Egonu si è presa la scena assoluta di questa Nations League in cui
l’Italia ha trionfato per la prima volta nella sua storia, sbloccando un tabù che durava dal 2018 (e pensando al Grand Prix di cui la Nations League ha preso il posto, da sempre).
Lo ha fatto come meglio sa fare, ovvero giocando da campionessa indiscussa, trascinando le proprie compagne all’impresa e prendendosi il titolo di migliore giocatrice in assoluto del torneo.
Con un record ulteriore che conferma la propria grandezza internazionale, per non farsi mancare nulla: quello della schiacciata più potente della storia del volley femminile.
112,7 km/h è stata la velocità con cui ha fermato il cronometro, quando ha deciso di prendersi la responsabilità dalla seconda linea di chiudere l’azione e segnare un altro punto per l’Italia durante il primo set della finale contro il Brasile.
Così, Paola Egonu ha iscritto il suo nome al primo posto assoluto anche per il primato dell’attacco più violento di sempre, superando i 110,3 km/h che erano stati fatti segnare dalla serba Tijana Boskovic, circa un anno fa, durante gli Europei, durante la semifinale contro la Turchia.
Un nuovo record mondiale, dove adesso è proprio l’azzurra a dominare la scena nella graduatoria aggiornata dopo la Nations League, dall’alto dei sui 112,7 km/h.
Davanti alla Boskovic, scesa al secondo posto con 110,30 e alla Van Ryk diventata terza in assoluto con 108,10 km/h.
Non contenta di tanto, Paola Egonu si è presa anche il titolo di MVP della Nations League 2022: è stata la miglior giocatrice dell’intero torneo. Un premio che le è stato ufficialmente conferito nella cerimonia di premiazione subito dopo il successo sul Brasile per 3-0, quando è stato stabilito anche il quintetto ideale della Nations League, fortemente tinto d’Italia: tre azzurre (Orro, Bosetti e De Gennaro), oltre a Paola Enoglu, e due brasiliane (Gabi e Carol)
(da Fanpage)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile PAOLA EGONU DEVASTANTE, TRASCINA LE AZZURRE
Un’Italia travolgente, guidata da Paola Egonu, ha vinto per la prima volta la Nations League di volley.
Nel torneo a cui partecipano le squadre più forti del mondo le azzurre hanno battuto il Brasile 3-0 (25-23, 25-22, 25-22) nella finale di Ankara. Il successo vale un milione di euro di premi, ma anche una conferma dopo l’Europeo vinto la scorsa estate, e una iniezione di fiducia in vista dei prossimi Mondiali (24 settembre-15 ottobre).
Come contro le padrone di casa della Turchia il giorno prima, l’Italia del ct Davide Mazzanti non ha rischiato davvero che il match cambiasse la sua storia. Il Brasile, che aveva battuto le campionesse del mondo della Serbia, ha raggiunto solo vantaggi limitati, sopratutto nel terzo set, ma come successo in tutto il torneo nessuno ha saputo veramente arginare l’effetto Egonu, alla fine premiata Mvp e opposto numero 1 della Nations League.
Ventuno punti alla fine per Paola, di cui 18 in attacco e tre a muro: ma ad arricchire la prestazione, oltre a qualche errore, ci sono stati pure una devastante conclusione a 113 kmh, ed interventi difensivi che hanno aiutati le compagne a trovare la strada della vittoria.
Ottime anche Caterina Bosetti (11 punti di cui 1 al servizio, miglior schiacciatrice della Vnl), Cristina Chirichella (9, con 2 muri e un ace), Anna Danesi (9, con un muro), Elena Pietrini (8 compreso un muro), mentre Alessia Orro e Monica De Gennaro hanno vinto il premio di miglior palleggiatrice e libero del torneo. A chiudere il secondo set con un pallonetto decisivo è stata Ofelia Malinov.
Nel primo set l’Italia ha sbaragliato il Brasile nella prima fase, raggiungendo un vantaggio di sette punti. Erodendolo lentamente, fino a ritrovarsi a un 23-22 frutto di tanti errori soprattutto in battuto. Egonu in forma devastante, soprattutto all’inizio, due diagonali che scavano il primo 7-3 e le prime preoccupazioni del ct Ze Roberto che chiamava il time out. Un muro di Chirichella, una palla morbida di Egonu e un tiro fuori del Brasile producevano il 10-3. Un vantaggio importante alimentato fino al 17-10 di Pietrini (+7) e sul 22-17 da un devastante tiro di Paola Egonu che superava i 113 kmh.
Una prodezza che quasi introduceva le azzurre in una fase confusa, in cui agli errori (4 battute sbagliate) si aggiungeva un colpo di fortuna di Gabi che si spegneva oltre la rete per il 23-21. Il muro di Carol su Egonu quasi completava la rimonta (23-22), il challenge non sorrideva al Brasile, Orro sbagliava la battuta, imitata da Carol che chiudeva il set a favore dell’Italia.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2022 Riccardo Fucile SOLO IL 27% E’ CONTRARIO… QUASI META’ DEGLI ELETTORI DI CENTRODESTRA NON CONDIVIDONO LA CHIAMATA ALLE URNE DEI LORO LEADER
Il 65% degli italiani vuole che l’esperienza del governo Draghi continui
fino alla naturale fine della legislatura al 2023. Il 27%, al contrario, chiede il voto anticipato. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio politico di Demopolis.
Una crisi di governo che è stata definita da più parti paradossale, irresponsabile, inspiegabile. E cosa ne pensano gli italiani?
La maggior parte probabilmente non ne condivide le ragioni, perché ritiene che l’esecutivo guidato da Mario Draghi (che ha dato le dimissioni a Mattarella, che a sua volta le ha rifiutate) dovrebbe andare avanti fino alla fine della legislatura, arrivando quindi al 2023.
È quanto emerge dall’ultimo sondaggio politico di Demopolis sulla crisi di governo. Il 65% degli intervistati vuole infatti che l’esperienza del governo Draghi continui. Per il 27%, al contrario, a questo punto si dovrebbero sciogliere le Camere e tornare alle urne alla fine dell’estate. Che è quello che chiede Fratelli d’Italia dall’opposizione, ma su cui ha spinto anche la Lega di Matteo Salvini.
L’8% degli intervistati dal sondaggio di Demopolis, infine, non sa quale sarebbe la soluzione più auspicabile. Tutto si deciderà mercoledì prossimo, quando il presidente del Consiglio si recherà alle Camere per verificare la fiducia.
Se questa venisse accordata, la crisi potrebbe rientrare e si andrebbe quindi avanti fino al 2023 (a meno che non ci siano eventuali nuovi scossoni in autunno).
Non è ancora chiaro, però, con che maggioranza si proseguirebbe: sulla carta Draghi ha i numeri anche senza i voti del Movimento Cinque Stelle, ma lo stesso presidente del Consiglio, ha detto di non essere disposto a guidare un governo con una conformazione diversa da quella attuale. Sergio Mattarella potrebbe chiedergli di restare a Palazzo Chigi con una maggioranza diversa, nonostante lui sia contrario a un rimpasto, ma per ora non sono che speculazioni.
Bisogna poi tenere in considerazione le scelte dei partiti e soprattutto quelle che farà il centrodestra di governo. Sono in corso colloqui e confronti tra i dirigenti di Lega e Forza Italia, ma ancora non sono state prese decisioni. La Lega si è appellata alle parole dello stesso Draghi, che ha sottolineato come la maggioranza non ci sia più, numeri o meno, dopo lo strappo dei Cinque Stelle, per spingere verso il voto anticipato. Forza Italia è più cauta: si è limitata a ribadire che insieme al Movimento ora sia impossibile andare avanti.
(da agenzie)
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