Destra di Popolo.net

SONDAGGIO SWG RIVELA LA SCHIZOFRENIA DEGLI ELETTORI DI LEGA E FDI CHE NON SONO D’ACCORDO CON SALVINI E MELONI

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

IL 46% DEGLI ELETTORI DELLA LEGA E IL 39% DI QUELLI DI FDI VOGLIONO CHE L’ATTUALE GOVERNO DRAGHI RESTI IN CARICA… VOGLIONO IL VOTO SUBITO SOLO IL 44% DEI VOTANTI FDI E IL 42% DEI LEGHISTI

Swg ha interpellato il suo campione di cittadini su due domande sulla crisi di governo.
Alla prima “Rispetto all’attuale situazione sarebbe preferibile che…” il 50% degli intervistati ha risposto che “il governo Draghi rimanga in carica“.
Rispondono così l’86% sono elettori Pd, il 48% del M5s, il 46% della Lega, il 44% dei Forza Italia e il 39% di Fratelli d’Italia.
Solo il 26% risponde che “si vada il prima possibile alle elezioni“. Sono il 44% degli elettori di Fratelli d’Italia, il 42% di quelli della Lega, il 39% di Forza Italia, il 35% degli elettori del Movimento 5 stelle e solo il 5% di quelli del Pd.
Infine l’8% del campione intervista sarebbe favorevole alla “formazione di un nuovo governo” mentre il 16% risponde “non saprei”.
(da agenzie)

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QUANDO MELONI DICEVA DELLA SINDACA DI TERRACINA ARRESTATA: “BRAVA PERSONA, ONESTA, CAPACE E CONCRETA”

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

LA MELONI A TERRACINA DICEVA: “VI PROMETTO CHE PRENDEREMO QUESTO ESEMPIO E LO PORTEREMO AL GOVERNO DELLA NAZIONE”… ECCO, ORA SAPPIAMO COSA CI ASPETTA

La sindaca di Terracina, Roberta Tintari, è stata arrestata oggi e posta ai domiciliari con le accuse di falso, turbata libertà negli appalti per la gestione di spiagge e servizi connessi alla balneazione, frodi, indebite percezioni di erogazioni pubbliche e rivelazioni del segreto d’ufficio. Con lei altre cinque persone, oltre ad altre sette raggiunte da interdittiva e divieto di dimora, nell’ambito dell’inchiesta scaturita dai controlli del 2019 su aree demaniali e, in seguito, sull’Arena del Molo di Terracina.
Nel lanciare la sua candidatura nel settembre 2020 Giorgia Meloni aveva detto di lei: “Con una classe dirigente all’altezza del popolo che rappresenta e all’altezza della storia che rivendica non dobbiamo temere niente. Ci serve solo una politica che sia alla nostra altezza. All’altezza dei cittadini italiani, della nostra storia e della nostra identità. Qui a Terracina voi l’avete, non ce l’hanno tutti, voi ce l’avete e avete visto la differenza. Basta che vi guardiate indietro, e pensate a Terracina com’era anni fa. Date la possibilità a queste brave persone, oneste, capaci, concrete, di continuare ad amare questa terra come hanno saputo fare. Noi vi promettiamo che prenderemo questo esempio, che voi ci avete consentito di fare qui con il vostro consenso e libertà, e lo porteremo anche al governo della nazione, perché vi prometto una cosa, la democrazia tornerà anche in Italia. E quando tornerà dimostreremo che si può fare politica anche in un altro modo, e dimostreremo che l’Italia chiede democrazia libertà e orgoglio. Esattamente l’Italia fiera, coraggiosa e libera che costruiremo anche grazie a voi”.
Le amministrazioni precedenti alle quali fa riferimento Meloni sono di Nicola Procaccini, attualmente eurodeputato, portavoce di Giorgia Meloni ai tempi del ministero della Gioventù, accusato dei reati di induzione indebita a dare o promettere utilità e turbata libertà degli incanti.
(da NextQuotidiano)

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PUTIN PUNTA AL TESORO DEL DONBASS: I RUSSI STANNO BOMBARDANDO LE FABBRICHE PER METTERE IN GINOCCHIO L’ECONOMIA DELLE REGIONE MA NON TOCCANO I PREZIOSISSIMI GIACIMENTI MINERARI

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

DALLA REGIONE PROVIENE IL 90% DEL GAS NEON, BASE DEI CHIP ELETTRONICI. MA ANCHE LITIO, CARBONE E LIGNITE

«Non c’è una logica: i russi vogliono conquistare il Donbass ma stanno distruggendo tutte le industrie». L’ultima volta che Andriy è stato in fabbrica era una settimana fa. Poi il suo stabilimento è stato bombardato. E da quando i raid su Sloviansk si sono intensificati, Andriy vive chiuso nel rifugio della sua casa con la moglie Viktoria e i due figli. «Per ora mi pagano lo stipendio, ma non so ancora per quanto».
Poco più in là, appena fuori Sloviansk, allo stabilimento della Zeus Ceramica, un tricolore logoro e una bandiera ucraina sventolano insieme alle stelle su sfondo blu dell’Unione europea. «C’è una parte di Italia qui», dice Anton, l’uomo della sicurezza, mentre apre il cancello e mostra le macerie.
Fu davanti a questa fabbrica che il 24 maggio del 2014 venne ucciso il fotoreporter Andy Rocchelli. Ed è qui in Donbass che la società modenese Caolino Panciera ha parte della sua produzione. Fino a martedì scorso, quando l’impianto è stato bombardato. «Prima del 2014 il 30 per cento dei clienti era russo», spiega Alexander Bohoslavskyy, general manager della Zeus. «Poi, con la guerra, dati i rapporti politici complicati abbiamo iniziato a diversificare».
Va in ginocchio l’economia del Donbass. «L’impianto era già stato bombardato e occupato otto anni fa dalle forze separatiste. Quando se ne sono andate, abbiamo ripreso possesso della fabbrica, l’abbiamo rinnovata e riavviato la produzione. Forse è per questo che ci hanno colpito ancora: per vendicarsi», ipotizza Bohoslavskyy.
Ma non è solo Sloviansk. Anche a Bakhmut due impianti sono stati messi fuori uso dai raid russi. Uno è quello della Siniat, che lavora il gesso. «Qui davanti alla fermata del bus ogni giorno c’erano centinaia di operai, ma ora non si vede più nessuno», spiega Dmitry, pensionato che vive lungo la strada.
Stessa scena a Soledar, dove gli impianti di estrazione di sale sono tutti fermi mentre la città ha le ore contante. E durante la presa di Severedonetsk è stato distrutto anche l’impianto chimico dell’Azot.
Spiega la docente della Kyiv School of Economics Khrystyna Holynska: «La guerra in Donbass ha causato nei primi due anni una perdita di circa 150 miliardi del Pil di tutto il Paese. Nella regione si passa da 25 miliardi nel 2013 a 5,8 miliardi nel 2015, un calo del 77 per cento».
Un quadro che ha fatto aumentare la disoccupazione portandola al 14,5 per cento nella regione di Donetsk e al 15,2 in quella di Lugansk, rispetto alla media nazionale del 9,2. E che, con il proseguire della guerra, non può fare altro che peggiorare sia a livello economico che sociale.
«Lo stipendio medio di un operaio in Donbass è di 9.000 grivne (300 euro). L’aspettativa di vita è di due anni al di sotto della media nazionale. La densità di inquinamento sei volte superiore. I livelli di criminalità, tossicodipendenza e infezioni da HIV sono tra i più alti del Paese», continua Holynska.
Ma alla domanda di Andriy sul perché i russi stiano distruggendo le fabbriche è difficile dare una risposta. «Putin vuole il tesoro minerario del Donbass. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Dalla regione proviene il 90 per cento del gas neon, base dei chip elettronici. Ma anche litio, carbone e lignite. La sua priorità sono gli impianti estrattivi che, guarda caso, non vengono bombardati».
A Kramatorsk, davanti al palazzo della cultura, Pavel Kulish scuote la testa sconsolato. Tre giorni fa i russi hanno bombardato la piazza centrale danneggiando un teatro e una biblioteca. A costruirli fu, ai tempi dell’Urss, la Nkmz, colosso della regione che produce macchine industriali.
«Qui abbiamo ancora 7.700 tra operai e impiegati. Buona parte della città dipende dalla Nkmz», sospira Kulish, capo delle relazioni commerciali. «Gli impianti sono ancora integri ma sono stati chiusi in via preventiva. Siamo riusciti a mettere in cassa integrazione una parte dei dipendenti: lo Stato ucraino copre solo tre mesi di sussidio. E ora questa gente è senza lavoro e sotto le bombe».
(da Il Corriere della Sera)

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DRAGHI HA PREPARATO DUE DISCORSI PER DOMANI: UNO È RIASSUMIBILE CON UN “VAFFA” ALL’INTERA MAGGIORANZA CHE SORREGGE IL SUO GOVERNO

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

L’ALTRO E’ QUELLO DEL “SÌ” MA CHE PRETENDE GARANZIE: BASTA ROTTURE DI CAZZO E STOP A SALVINI VERSIONE GUASTATORE

Aspettando il D-day, cioè Draghi-day della politica italiana, cosa si agita dietro le quinte? Stamane il premier ha avuto un lungo colloquio al Quirinale con Mattarella. Uno scambio di punti di vista che prevedeva anche un aspetto “tecnico”. Draghi ha ricevuto ulteriori ragguagli su regole, prassi e procedure parlamentari che saranno necessaria cornice nel caso in cui decidesse di dimettersi.
Draghi ha preparato due discorsi per domaniù
Uno è riassumibile con “non ci sto”. Un vaffa all’intera maggioranza che sorregge il suo governo: un atto d’accusa all’inettitudine e all’irresponsabilità dei partiti litigiosi, pretestuosi, incapaci di leggere la realtà complessa in cui si barcamena l’Italia.
E’ un discorso da sfoderare in caso di colpi di scena, di sparate dell’ultimo minuto. Anche perché, finora, Conte – dopo le mattane dei giorni scorsi culminate nel piagnisteo sulla “umiliazione politica” del M5s – non si è pronunciato in modo definitivo sulla fiducia al governo.
Finito nelle grinfie di Paola Taverna e Riccardo Ricciardi, Conte ha dovuto subire il dissenso da parte di quelli che l’avevano più sostenuto durante gli anni al governo: Fraccaro, Bonafede, Buffagni e D’Incà (che è molto vicino a Roberto Fico). A certificare lo spappolamento definitivo del Movimento potrebbe arrivare l’ennesima fuoriuscita di malpancisti, Davide Crippa in testa (circa 30 parlamentari).
A quel punto le spoglie mortali del M5s potrebbero essere a buon diritto ribattezzate “Partito di Conte”, come Di Maio già fa da tempo per marcare una distanza non solo lessicale con il partito che vinse le elezioni nel 2018.
L’altro discorso preparato da Draghi servirà ad annunciare la sua permanenza a Palazzo Chigi e il mini-programma (soprattutto economico) che impegnerà il governo fino alla scadenza della legislatura. Mariopio punterà il dito su 1) attuazione del Pnrr 2) inflazione 3) crisi energetica.
D’altro canto, nel discorso del “sì”, Draghi intende porre delle condizioni al centrodestra: vuole garanzie sulla reale tenuta della maggioranza. Tradotto: pretende che Salvini non rompa le palle un giorno sì e l’altro pure con le sue sparate (come la scriteriata richiesta di un ennesimo scostamento di bilancio da 50 miliardi).
Sergio Mattarella ha le “armi” per convincere Draghi a restare.
Ps: Uno scenario analizzato al Colle è che Conte e i suoi pasdaran, alla fine, decidano di votare la fiducia nel tentativo di mettere in crisi Salvini e Berlusconi che hanno annunciato, con una nota congiunta, “è da escludere la possibilità di governare ulteriormente con i 5 stelle per la loro incompetenza e la loro inaffidabilità”. Della serie: lasciamo che a far saltare il governo siano Lega e Forza Italia.
(da Dagoreport)

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CRISI DI GOVERNO, COSA SUCCEDE DOMANI: DRAGHI PARLA ALLE 9.30 AL SENATO

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

ALLE 11 INIZIA IL DIBATTITO, SI VOTA INTORNO ALLE 18

Il timing della giornata di domani è stato fissato, mentre continuano le riunioni formali e informali tra i partiti in vista del discorso del premier Mario Draghi dopo la crisi di governo aperta la scorsa settimana.
L’ex presidente della Bce prenderà la parola alle 9.30 di mattina davanti all’aula del Senato poi, dice il calendario approvato dalla capigruppo di Palazzo Madama, ci saranno cinque ore per la discussione, a partire dalle 11, e il voto.
Quindi, almeno in teoria, ci si sposterà alla Camera il giorno dopo, sempre che la discussione sia ancora aperta come sperano i sostenitori del premier. Nel corso della giornata di domani, il discorso di Draghi verrebbe comunque consegnato a Montecitorio, alle 10.30.
L’esito del voto del Senato è atteso per le 19.30. Alla Camera i tempi per la discussione saranno dalle 9 alle 11.30, poi le repliche di Draghi e quindi il nuovo voto.
Dopo giorni di riunioni, i cinque stelle più critici con la linea scelta dal capo politico Giuseppe Conte avrebbero per ora deciso (posto che di ora in ora ogni valutazione viene aggiornata) di non contarsi né schierarsi preventivamente, almeno in modo pubblico ma di aspettare la giornata di domani. Quindi valuteranno la situazione, e «il contesto» come dice qualcuno tra i più contrariati dalle scelte contiane.
Le parole del premier, gli accenni alla lista di nove punti, i segnali dal resto della maggioranza, tutto contribuirà a prendere la decisione sul da farsi.
(da agenzie)

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L’EX GRILLINO DINO GIARRUSSO: “CONTE È UN CAPO POLITICO INESISTENTE E VIENE MANOVRATO DAL CERCHIO TRAGICO: TAVERNA, CRIMI, CANCELLERI”

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

“NEL M5S COMANDA PAOLA TAVERNA, CHE È DIVENTATA IL VERO CAPO POLITICO. HA CERCATO IN TUTTE LE SALSE DI PIAZZARE L’AMICO ETTORE LICHERI CHE HA PRESO SBERLE DAPPERTUTTO. MOLTI ANCHE NON DIMAIANI SONO PASSATI CON DI MAIO PUR DI NON VOTARLO”

E un classico, lo sfogo dell’ex. Ma stavolta il colpo di lombi di Dino Giarrusso, giornalista, ex Iena televisiva, barba e pensieri levantini, il più votato 5 Stelle di sempre -120mila voti all’Europarlamento- rivela il vero volto del M5s.
Caro Giarrusso, qual è la verità nel Movimento che hai mollato per fondare il tuo partito “Sud chiama Nord” (assieme a Cateno De Luca: ora l’incubo dei partiti in Sicilia, col 46% nel messinese coi 5 Stelle che arrancavano al 4%…)?
«La verità è che Conte, che è stato un ottimo premier, è un capo politico inesistente e vittima di una guerra fra bande, manovrato da altri, da un “cerchio tragico”. Cioè Taverna, Crimi, Cancelleri, Fico che si sono tutti schierati con lui nella speranza di veder derogata la regola del tetto del secondo mandato, perché molti di loro sarebbero tornati a far nulla o a far poco nella vita civile. Tieni conto che la regola è fondativa del Movimento. Quando Cancelleri, in Sicilia dice “faccio un passo indietro sulla mia candidatura”, che cazzo mi significa? La regola dice che non avrebbe mai potuto più candidarsi. Ma Grillo l’ha mantenuta. Tutto il casino dell’indiscrezione De Masi su Draghi /Grillo nasce da lì…».
Hai addirittura parlato di «follia a 5 Stelle»…
«L’Italia è l’unico paese al mondo dove un ministro – D’Incà- chiede la fiducia, il suo partito non gliela vota e lui non esce né dal partito né dal governo. Follia. Ma la realtà è che Conte ha perso il controllo del partito da quando ha ignorato il volere degli iscritti attraverso la piattaforma. Avevamo fatto gli Stati Generali, il primo vero congresso M5S, da dove era uscita chiara l’indicazione: serve un organo collegiale e non un capo politico, poi si sarebbe trovato un ruolo a Conte».
Perché allora Conte è rimasto capo politico, scusa? Se uno deve fare l’uomo forte e solo al comando, non è meglio scegliersi il Pd, la Lega, Berlusconi?
«Ma appunto. Conte ha imposto emeriti sconosciuti come Gubitosi, Ricciardi, Turco e Todda (poi fatta viceministro). Ma nei voti degli iscritti prima era arrivato Di Battista con 11mila voti, poi io con 8500 e molto staccato Di Maio, 4500. Si è ignorato tutto. Dopo io, che volevo primarie interne, sono stato accusato addirittura di volere fare il presidente della Regione Sicilia e sono stato stoppato per incompatibilità di ruolo come europarlamentare. Peccato che Floridia, calata dall’alto, abbia due ruoli, Senato e governo. Il fatto è che lì non comanda Conte».
Ah no? E chi comanda, scusa?
«Paola Taverna, non si sa come e perché, è diventata il vero Capo politico. Ha cercato in tutte le salse di piazzare l’amico Ettore Licheri che ha preso sberle dappertutto (dalla presidenza della Commissione esteri alla candidatura come referente della Sardegna, facendo incazzare pure i sardi). Molti anche non dimaiani sono passati con Di Maio pur di non votarlo. Taverna è responsabile delle liste delle amministrative e il Movimento 5 Stelle lì è sparito, veleggiando al 2%, in Sicilia fino al 6% ma prima facevamo il 40%. E ha probabilmente spinto Conte – che non li conosceva, ovvio- a nominare direttamente quasi 240 referenti sul territorio».
Allora quando molti M5S dicono che la Taverna «tiene per le palle i senatori», forse è vero.
«Sì. A Palermo si sono messi con Orlando, sempre criticato. A Paternò alleanza con Cuffaro, considerato da sempre il diavolo, con Conte che continuava a sdegnarsi. A L’Aquila li ha fatti andare con la Pezzopane, nostra nemica storica: hanno fatto lo 0,8%. Il campo largo l’ha fatto funziona-re solo per il Pd che ha sempre prodotto un suo candidato quando il candidato sindaco doveva essere M5S».
Quindi ora si va al voto e arriva Di Battista?
«Di Battista prepara il ritorno, ma con Conte. Io al voto ci andrei, per rispetto del popolo. Ma la realtà è che qua tutti si fanno i cazzi loro; nessuno vuole andare al voto perché, da qui a fine legislatura, i parlamentari perderebbero 100mila euro a testa. Ma te li vedi?. Grillo l’ho sentito: è sconsolato, totalmente deluso e direi nauseato, poteva intervenire prima per evitare questo sfacelo, ma ormai è tardi».
(da Libero)

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ALL’ORIGINE DELLE PURGHE DI ZELENSKY CI SONO I TRADIMENTI DI ALTI FUNZIONARI CHE SI ERANO VENDUTI A MOSCA

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

LA MANCATA DIFESA DI KHERSON E LE DEFEZIONI A KHARKIV… PRIMA DELL’INVASIONE I RUSSI AVEVANO CONCORDATO IL GOLPE CONTRO ZELENSKY CON ALCUNI APPARATI UCRAINI PER UNA GUERRA LAMPO… MA LA RESISTENZA DEL PREMIER CHE NON E’ FUGGITO HA FATTO SALTARE I PIANI RUSSI

Il lungo rosario di licenziamenti, sospensioni e arresti che, dal 24 febbraio, ha sforbiciato i vertici degli apparati statali ucraini disegna la trama di un golpe incompiuto
A precipitare nello sconcerto l’opinione pubblica, ieri, è stato l’allontanamento improvviso di Ivan Bakanov e di Iryna Venediktova. Non due nomi qualsiasi: capo dei servizi segreti (Sbu), il primo; procuratrice generale che indaga sui crimini di guerra russi, in sostanza il magistrato più importante dell’Ucraina, la seconda.
«Li abbiamo solo sospesi, per fare accertamenti sul loro operato», è la spiegazione del governo. In effetti, sessanta dipendenti della procura generale e dello Sbu sono rimasti nelle zone occupate dai russi e i loro fascicoli sono nella pila dei 651 casi aperti contro pubblici ufficiali ritenuti collaborazionisti.
Bakanov, che faceva parte di Kvartal 95 paga per non aver visto arrivare il complotto: alla vigilia dell’invasione, una parte dello Stato si è accordata segretamente con l’intelligence russa, e Bakanov non ne sapeva niente.
Nelle stesse ore in cui veniva sospeso (l’incarico, pro tempore, è stato dato al vice, Vasyl Malyuk), è finito in carcere un suo amico, Oleg Kulinich, fino al marzo 2022 responsabile Sbu per la Crimea, la penisola da cui è partita indisturbata la colonna di carri armati che si è presa Kherson in poche ore, senza neanche il fastidio di dover sparare un colpo. La mancata difesa di Kherson, unica città conquistata a ovest del fiume Dnepr e punto strategico per la Crimea (da lì arrivano le riserve idriche), è un tema sensibile.
Perché non sono stati fatti brillare i ponti per tagliare l’avanzata nemica? Come hanno fatto i soldati di Mosca a evitare i campi minati? Qualche interrogativo lo solleva anche la storia di Kharkiv, la seconda città del Paese, dove nelle prime ore del conflitto una gran fetta dell’esercito si è rifiutata di combattere, lasciando alle forze di difesa territoriale l’onere improbo di arginare l’ondata russa.
C’era un accordo segreto, il governo di Kiev ne è ormai certo e la sfilza di epurazioni ne è la prova. Il Cremlino aveva avuto rassicurazioni da una parte degli apparati ucraini – ancora pieni di funzionari nominati dal vecchio premier filorusso Yanukovich – che non ci sarebbe stata vera resistenza e che i blindati avrebbero sfilato a piazza Maidan al massimo in tre giorni. A patto che Zelensky fuggisse dalla capitale.
Il presidente, però, non è salito sull’elicottero degli americani, è rimasto al suo posto, e si è vendicato su chi, a suo parere, aveva tradito. Nell’ordine: il generale Serhii Kryvoruchka (capo Sbu a Kherson, gli sono stati tolti i gradi), il suo assistente Igor Sadokin (arrestato a marzo), Gennadii Lahutia (capo dell’amministrazione militare di Kherson, rimosso il 28 giugno), Andriy Naumov (capo della sicurezza interna dello Sbu, arrestato in Serbia), Roman Dudin (capo Sbu di Kharkiv, arrestato il 29 maggio).
(da agenzie)

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L’AGENZIA DI RATING AMERICANA FITCH ; ““SENZA DRAGHI LE RIFORME STRUTTURALI E IL RISANAMENTO DI BILANCIO DIVENTEREBBERO PIÙ IMPEGNATIVI”

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

“LE DIMISSIONI DI DRAGHI ANNUNCIANO UNA MAGGIORE INCERTEZZA POLITICA, ANCHE SE VENISSERO EVITATE LE ELEZIONI ANTICIPATE”

“Le dimissioni di Mario Draghi da presidente del consiglio italiano dopo una spaccatura nel suo governo di unità nazionale annunciano una maggiore incertezza politica anche se venissero evitate le elezioni anticipate”.
Lo afferma l’agenzia di rating Fitch in una nota. “Le implicazioni di breve termine per la politica economica e di bilancio dipendono dagli esiti politici, ma è probabile che le riforme strutturali e il risanamento di bilancio diventino più impegnativi”, aggiunge.
“I recenti sviluppi sono ampiamente in linea con la nostra visione di lungo termine sul fatto le divisioni tra i partiti della coalizione che supportano il governo di unità, che si è insediato nel febbraio 2021, possano ampliarsi con l’approssimarsi delle prossime elezioni generali (attese entro giugno 2023), indebolendo potenzialmente l’agenda politica del governo”, scrive Fitch.
Secondo l’agenzia di rating, le conseguenze politiche “non sono chiare”, ma “qualunque cosa accasa, l’Italia sta per entrare in un periodo di incertezza politica dopo 18 mesi di relativa stabilità e l’attuazione di alcune riforme. Anche se Draghi restasse premier, ci aspettiamo che i partiti che lo sostengono vadano in cerca di maggiore visibilità su alcune misure bandiera con l’approssimarsi delle elezioni, ampliando le attuali tensioni”.
“Ci aspettiamo anche che esercitino pressione per un maggior allentamento fiscale nella prossima legge di bilancio. Al contrario, se si andasse subito al voto questo renderebbe estremamente stretto il cronoprogramma per approvare la legge di bilancio. E renderebbe più difficile per l’Italia centrare gli obiettivi per la prossima tranche dei fondi del NextGeneration Eu a dicembre, o indebolirebbe la capacità delle autorità di distribuire i fondi già ricevuti”.
L’attuale piano di bilancio del governo fissa il risanamento oltre il 2023 e Fitch prevede per quest’anno un deficit maggiore di quello stimato dal governo (5,9% del Pil, contro 5,6%), mentre per l’anno prossimo stima una “modesta riduzione” del deficit al 4,5% del Pil (il governo prevede 3,9%), conclude la nota, in cui Fitch conferma il rating dell’Italia del 27 maggio a BBB.
(da agenzie)

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UNO SMASH IN FACCIA A PUTIN: LA TENNISTA RUSSA DARIA KASATKINA, NUMERO 12 DELLA CLASSIFICA MONDIALE, HA FATTO COMING OUT PROPRIO NEI GIORNI CUI IL PARLAMENTO DI MOSCA VUOLE CRIMINALIZZARE L’OMOSESSUALITÀ

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

L’ATLETA HA PUBBLICATO SU INSTAGRAM UNA FOTO CON LA COMPAGNA, LA PATTINATRICE ARTISTICA NATALIA ZABIIAKO… POI HA CONDANNATO LA GUERRA DI PUTIN

Un’intervista senza filtri e soprattutto senza paura. Daria Kasatkina, tennista numero 1 in Russia e 12 nel ranking mondiale Wta, ha rivelato di avere una relazione con una donna. Si tratta della pattinatrice russa Natalia Zabiiako, medaglia d’argento olimpica nel 2018. «Tenerlo segreto non sarebbe stato sostenibile», ha detto l’atleta, prima di condannare la guerra in Ucraina. «È un totale incubo, spero che finisca presto».
Daria è scoppiata in lacrime quando ha pensato al fatto che, per tali dichiarazioni, rischia di non poter tornare in Russia.
Proprio in questi giorni le autorità di Mosca stanno discutendo per inasprire la legge che vieta di promuovere «rapporti sessuali non tradizionali».
Daria Kasatkina ha parlato senza filtri con il blogger russo Vitya Kravchenko a Barcellona, dove si sta allenando. Con grande tranquillità ha rivelato di avere una relazione con una donna. «Non ha senso tenere il segreto», ha detto la tennista, numero 1 in Russia. «Ci pensi sempre fin quando non riesci a parlarne. Ovviamente, ogni persona decide se, come e quando fare coming out».
Kasatkina aveva già rivelato però di essere bisessuale a sport.ru lo scorso anno. Stavolta ha deciso di annunciare pubblicamente la sua relazione con Natalia Zabiiako, pattinatrice e medaglia d’argento olimpica sua connazionale.
La tennista, poco dopo l’intervista, ha pubblicato infatti una foto sul suo profilo Instagram che la ritrae abbracciata alla fidanzata. Zabiiako ha poi ripostato lo stesso scatto sui suoi canali social.
Si tratta di una dichiarazione coraggiosa. Dal 2013, una legge in Russia vieta qualsiasi discussione sulle relazioni Lgbtq+ identificabile come «promozione di rapporti sessuali non tradizionali» di fronte ai minori.
E in questi giorni si rischia di assistere a un ulteriore inasprimento con un totale divieto alla “promozione di relazioni non eterosessuali” e alla proiezione di immagini Lgbtq+ nei cinema.
«Questa idea che qualcuno voglia essere o diventi gay è ridicola», ha dichiarato Kasatkina. «Nessuno scegliere di esserlo. Perché complicarsi la vita, soprattutto in Russia? Non c’è niente di più facile che essere etero». Daria Kasatkina ha poi anche parlato contro la guerra in Ucraina chiedendo la pace. «È un vero incubo, spero finisca presto». Poi, improvvisamente, le lacrime. Le sue dichiarazioni infatti potrebbero impedirle di tornare in Russia senza subire gravi conseguenze, fino alla reclusione.
Originaria di Togliatti, classe 1997, Daria Kasatkina è una delle stelle del tennis russo. Oggi è infatti numero 12 del ranking mondiale Wta, ma soprattutto la miglior giocatrice del suo Paese nel circuito. Professionista dal 2017, vanta 250 vittorie in carriera a fronte di 138 sconfitte, con il 64,4 per cento di successi.
Quattro i titoli Wta, oltre a una semifinale al Roland Garros quest’anno, dove ha perso contro la numero 1 e vincitrice del torneo Iga Swiatek. Fra le prime quattro anche agli Internazionali BNL d’Italia a Roma, dove ha perso in tre set da Ons Jabeur. Il suo best ranking risale al 2018, quando dopo la finale del Wta 1000 di Indian Wells (persa contro Naomi Osaka) si issò fino alla decima posizione.
(da agenzie)

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