Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
CHI HA MILITATO NELLA DESTRA SOCIALE CONOSCE BENE LA GENESI DELLA DESTRA REAZIONARIA, NEOCAPITALISTA E RAZZISTA
Qualche parola chiara, da chi, come noi, ha militato nel MSI in tempi non sospetti, evitando la conversione in An e la cattiva compagnia di tanti arrivisti che avevano intravisto in Fini il treno adatto per fare carriera e acchiappare una poltrona, salvo poi tradirlo quando oso’ puntare il dito contro Berlusconi, riscattando anni di caporalato al servizio dello zio di Ruby.
Per chi non ha vissuto quei tempi, riepiloghiamo: nel Msi degli anni 70-80 c’erano nostalgici del fascismo, reazionari, ma anche militanti della destra sociale. Il programma del Msi era anticomunista ma anche anti-capitalista, con elementi innovatori come la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Era contro il blocco sovietico ma altrettanto distante dal “mito americano”, indicava chiaramente un’Europa come terzo soggetto politico alternativo ai due blocchi.
Il Msi era uno dei partiti più “democratici” dove nei congressi si dibattevano idee diverse con una passione politica sconosciuta ad altri partiti, dove non si pensava alle poltrone ma piuttosto a “sopravvivere”, non solo politicamente.
Abbreviamo, perchè non è questa la sede di ulteriori analisi: a fronte di una componente “militante” facevano strada i “giovani notabili”, quelli che poi seguirono Fini in Alleanza Nazionale.
Chi ha avuto modo di conoscere, come noi, la classe dirigente “giovanile” di allora dei vari Gasparri, La Russa, non vede differenze tra costoro e chi ha ereditato quel testimone, come Giorgia Meloni.
Le tesi reazionarie di allora sono state riprese dalla destra di Fdi, aggiornandole in base alle nuove emergenze da cui trarre consensi.
Con risvolti umoristici, persino: quelli che criticavano i primi campi Hobbit ora fanno rivoltare nella tomba, citandolo a sproposito, Tolkien (per non parlare di Ezra Pound).
Celebrano giovani di destra vittime del terrorismo comunista di quei tempi quando certi politici di vertice erano i primi a scaricare i giovani missini dicendo “non risultano iscritti al partito” se solo facevano esplodere un petardo.
Per molti scimmiottare qualche atteggiamento “fascista” è diventato solo un modo per strizzare l’occhio a chi non ha mai letto un libro di analisi storica del fenomeno fascista, ma pensa di nascondere il suo ego da bullo dandosi una patina ideologica di presunta destra da avanspettacolo.
Perchè questa è diventata la sedicente destra “asociale” che la Meloni rappresenta: urla per apparire “macho”, si sposta sempre più verso un populismo irresponsabile, se la prende con i più deboli perchè non ha il coraggio di opporsi ai potenti. parla di “destra sociale” ed è più a destra economicamente di Confindustria, individua “colpevoli” per contendere a Salvini il voto degli italiani razzisti, parla di legalità e pugno duro, salvo proporre e votare condoni agli evasori fiscali (quelli che sottraggono 100 miliardi di euro l’anno agli Italiani).
In una cosa è stata furba (altra cosa dall’intelligenza): dire le stesse cose di Salvini per anni, sfruttando le cazzate politiche del Capitone, un altro tarantolato dal potere.
Fino a un parziale travaso di voti dalla Lega a Fdi, con qualche accortezza (aderire ai Conservatori europei).
Ma le impronte restano, non bastano i viaggi da pellegrina negli Usa per ingraziarsi l’Alleanza atlantica (che non è il destino di una vera europeista).
Come restano le amicizie con Orban, con Vox e i rapporti passati con personaggi imbarazzanti dell’estrema destra italiana.
Fascismo e comunismo non esistono più, esistono oggi regimi totalitari e democrazie, esiste legalità e mafia, esiste la necessità di tutelare i “poveri” onesti, non di condonare i disonesti, esiste la necessità per una vera destra della legalità di non candidare personaggi collusi con la ‘ndrangheta (non serve cacciarli dopo che la cosa diventa oggetto di interventi giudiziari).
Esiste la necessità di riconoscere “diritti civili”, non di cavalcare teorie da Inquisizione, di solidarietà umana, non di egoismi.
Il tanto demonizzato Msi non era mai arrivato a sparare rancore e xenofobia, disprezzo per i deboli e genuflessioni verso i poteri forti e miserabili lobbisti.
Nel Msi un corrotto o chi comprava voti non veniva “sospeso” ma cacciato a calci in culo (se riusciva ad arrivare alla porta) , altro che Fidanza e Lobby Nera.
La sinistra sbaglia a demonizzare la Meloni come “fascista”, è solo una fortunata che ha vinto un Gratta e Vinci milionario e come tanti sputtanerà il ricavato nei rivoli del teatrino politico italiano.
Non certo una attrice protagonista, ma una caratterista, una “spalla” del potere economico che recita la parte di chi a parole finge di combatterlo.
Tra qualche anno spunterà un altro interprete e le ruberà la parte e il camerino . E calerà il sipario.
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
“ABBIAMO GIA’ I FONDI PER FIRMARE CONTRATTI, FARE ACQUISTI, ORGANIZZARE RIPARAZIONI E FORMARE I PILOTI. ABBIAMO PIÙ DI 300MILA HACKER: GLI OBIETTIVI SONO QUELLI PUBBLICI ASSOCIATI ALLA PROPAGANDA DEL CREMLINO”
«Ero nello staff della campagna presidenziale. Ci stavamo occupando di un prodotto
da implementare e, mentre lo presentavamo, uno dei dipendenti lo chiamò in ufficio e gli disse: “Senti un po’ anche lui…”
Fu quel giorno che io e Zelensky ci parlammo per la prima volta». Mychajlo Fedorov ricorda il suo incontro di esordio con il presidente Volodymyr Zelensky. Lui lo ascoltò. Quel ragazzo cresciuto a pane e computer dev’ essergli piaciuto molto perché in men che non si dica lo volle, nel 2018, a capo del settore digitale della campagna che lo portò alla carica più alta del Paese.
Oggi Fedorov è uno dei quattro vicepremier ucraini nonché ministro per la Trasformazione digitale. Ha convinto con un tweet Elon Musk ad attivare il suo sistema Starlink in Ucraina, ha chiesto e ottenuto che le Big Tech lasciassero la Russia. Tutto questo da trentunenne, dato che il 24 agosto di 31 anni fa, quando il parlamento ucraino dichiarò il Paese «Stato indipendente e democratico», lui aveva sette mesi.
Lei ha la stessa età dell’Ucraina postsovietica.
«Esatto. E proprio come una persona che a 30 anni sviluppa la comprensione di chi è cosa vuole diventare, così anche il nostro Paese ha scelto chiaramente la sua strada».
Quando è nato il suo amore per il mondo digitale?
«Ho visto il primo computer quando avevo 6-7 anni, nell’ufficio di mia madre dove andavo quando finivo la scuola. Mi sedevo davanti a quella scatola per 4-5 ore, cercavo di capire come funzionava. Me ne sono innamorato. Per me la tecnologia è uno strumento di trasformazione, semplificazione, un’opportunità per aprire strade nuove».
Quale futuro digitale immagina per l’Ucraina?
«Vedo potenzialità enormi. Possiamo diventare il Paese più conveniente, veloce, libero del mondo in termini di servizi digitali e interazione fra persone e governo. Siamo un Paese giovane, capiamo la tecnologia. La mia idea del futuro e la direzione in cui cerco di andare è un domani paperless, caschless , con educazione e governo digitale, con 100% di servizi online, immagino l’abbattimento della burocrazia, i 5G..»
Fra i suoi ultimi progetti c’è «Army of drones».
«Esatto. Abbiamo testato tutti i nostri droni e abbiamo fatto una ricognizione dei bisogni dell’esercito su tutte le linee di difesa. Per capire quanti droni kamikaze, da ricognizione o d’attacco ci servono. Ora stiamo raccogliendo fondi per comprare i droni che servono al nostro esercito. Abbiamo già raccolto abbastanza per firmare contratti, fare acquisti, organizzare riparazioni e una scuola di formazione dei piloti».
E poi avete assoldato anche un cyber-esercito.
«Sono migliaia di specialisti volontari che lavorano per noi contro il nemico. L’uso del digitale fa parte della nuova strategia militare».
Si disse che erano più di 300 mila, esatto?
«Sì. La Russia ci attacca e noi contrattacchiamo con i nostri hackers. Gli obiettivi sono quelli pubblici associati ai media, alla propaganda, i portali del Cremlino e del parlamento russo, società come Gazprom, banche come Sberbank… E poi ci sono obiettivi non pubblici per attacchi multivettore, ma su questo non possiamo svelare nulla. C’è anche una guerra informatica in corso ed è importante che i nostri sistemi funzionino per far funzionare la macchina dello Stato. È importantissimo l’accesso a Internet e all’informazione».
Ha mai pensato a quello che farà come prima cosa dopo la guerra?
«Penso che annuncerò un nuovo progetto davvero rivoluzionario; riguarderà il mondo intero».
Di cosa si tratta?
«Mi spiace ma non posso essere più preciso ( ride ). Le do soltanto un indizio: riguarderà l’intelligenza artificiale e la mia idea di come vivranno le persone del futuro».
Il giorno peggiore dall’inizio della guerra.
«Personalmente è stato il giorno in cui è stata bombardata la mia città natale, Vasylivka (nell’Oblast di Zaporizhzhia, ndr ). La mia famiglia ha molto sofferto e mio padre è ancora in ospedale…».
Esiste un giorno migliore, anche?
«Quando abbiamo affondato l’incrociatore Moskva».
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
“CI AVEVANO DETTO CHE NELLA VISITA ERA INCLUSA UNA BATTAGLIA TRA GLADIATORI. GLI SERVE UN RESTAURO E UNA RIVERNICIATA” – “NON POSSONO RIPARARLO E FARLO FUNZIONARE DI NUOVO?”
Sulle prime vien da ridere. È naturale pensare a uno scherzo. Ma, pensandoci e rileggendo con attenzione, si instilla il dubbio che sia tutto vero. Provare per credere: un paio di click e sotto con la recita delle recensioni del Colosseo su Google.
Quelle più severe – una sola stella su cinque, quando il monumento si guadagna una media di 4,7 – sono tutte un programma. Meglio, sono materiale buono per TikTok. Da giorni, infatti, sul social che vive di balletti e citazioni cinematografiche da recitare in playback circola a ritmi forsennati una doppia clip che raccoglie i pollici versi immeritatamente incassati dall’Anfiteatro Flavio sul web.
Tra gli oltre 301 mila visitatori che hanno lasciato un commento, com’ è normale che sia, ci sono anche gli ipercritici. Chi è scontento della fila, chi delle audioguide oppure ha trovato «maleducato» lo staff. O, ancora, non ha digerito il prezzo del biglietto. Fin qui tutto nella norma. Più che comprensibili le proteste contro le finte guide turistiche a caccia di turisti da accalappiare per il portafoglio. Poi, però riecco la compilation di TikTok. Riecco l’impensabile. Una serie di recensioni incredibili perché vere. Più serie che seriose.
Un esempio? Si parte con il commento lasciato un mese fa da James Bufkin: «Il Colosseo è una discarica. È tutto rotto, le sedute sono in pietra. Ci avevano detto che nella visita era inclusa una battaglia tra gladiatori, ma nel giorno della nostra visita non c’era nulla in programma. Gli serve un restauro e una riverniciata». Proprio così. Sul video montato con la colonna sonora de La Dolce Vita, si rincorrono bocciature ben oltre il limite dell’assurdo. Tommy Kaspar si candida a blogger anti- degrado così, senza fare distinzioni tra ricostruzioni cinematografiche e realtà: «L’ho visto per la prima volta nel film Il Gladiatore, ma quando siamo arrivati siamo rimasti stupiti. È tutto rotto.In Italia non fanno davvero nulla per le loro infrastrutture» .
Il commento fa il paio con quello firmato quattro anni fa da Nikolay Solovyov: «È distrutto. Perché è ridotto così? Perché ci vanno così tante persone? Non possono ripararlo e farlo funzionare di nuovo?». Certo, d’altronde basta bussare al dipartimento Lavori pubblici in Campidoglio. No?
Un altro utente, nome in codice Astral Clouds, rincara la dose: «Il Colosseo? È ok. Ma l’ho visitato 40 anni fa e ancora non l’hanno completato». Non resta che sperare che stesse prendendo in giro i colleghi.
Lo stesso vale per Meital Waldmann: «È un posto tremendo, uccidono persone e leoni per divertimento. Ripetono lo stesso spettacolo da 400 anni, state alla larga». La speranza a questo punto si fa preghiera.§
Diteci che è tutto uno scherzo. Diteci che nessuno stia seriamente pensando – e scrivendo, battendo come un forsennato sulla tastiera – che il monumento simbolo di Roma sia «solo un mucchio di rocce disposte in circolo» o che non sia «neanche lontanamente cool come il Corn Palace di Mitchell, in South Dakota».
Per carità, i gusti son gusti e nessuno dovrebbe giudicare quelli altrui. Ma vuoi mettere il Colosseo con degli affreschi in mais e grano di un’arena tirata su nel 1921? Alex, a quanto pare, ci riesce: «Un po’ messo male per essere uno stadio. Chi pagherebbe mai per visitarlo? Non ci sono mai stato, ma non mi pare promettente» .
John Georgiades taglia corto. La sua sentenza promette disastri: «È vecchio, può venire giù da un momento all’altro». Altro che sette meraviglie del mondo, qualcuno puntelli il Colosseo.
Su TikTok, dove il video sulle colossali stroncature dei vacanzieri ha già sorpassato 2,5 milioni di visualizzazioni, un commento di un utente piuttosto sconsolato riassume tutti gli altri: «Magari fosse uno scherzo. Ma ho lavorato 5 anni ai servizi turistici e ne dubito. Quei turisti sono seri». Una stella, stroncatura. E poi via a cercare una carbonara, magari appena scongelata. Sempre meglio che correre il rischio di mettersi in fila, sotto al sole feroce di quest’ estate spietata, per poi restare delusi come Dennis: «Dimenticavo, non ha nemmeno un tetto!». Eggià.
(da La Repubblica)
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
UNA SOFFERTA REPLICA AGLI INSULTI DI UNA POVERETTA CHE SI VESTE DA CINQUANTENNE
«Mi dicono tappo o nano. Definizioni per cui ho sofferto, e continuo a soffrire. Col
passare degli anni non mi è passata. Sdogano questo termine su di me, perché essere violentato a parole da Marta (Fascina, ndr) fa sì che tutti quei bambini e bambine che non hanno avuto la fortuna di essere alti, belli e che soffrono possono trovare in me un esempio». Risponde con commozione il ministro Renato Brunetta a Mezz’ora in più di Lucia Annunziata, all’attacco subìto nei giorni scorsi da parte della deputata forzista Marta Fascina, compagna di Silvio Berlusconi.
«Ho anche le spalle larghe, perché nella mia vita ho fatto un po’ di cose, malgrado mi dicessero: “Ma guardate, tappo com’è, nano com’è…”. – ha continuato Brunetta – Per cui Marta Fascina grazie, vai avanti così, perché consentirai di sdoganare anche queste violenze, perché parlarne significa elaborare questo termine: non mi era mai riuscito parlarne in pubblico, adesso ne parlo».
Dopo l’addio a Forza Italia del ministro della Pa del governo Draghi, così come quello della ministra Mariastella Gelmini, Fascina aveva pubblicato sul suo profilo Instagram una storia con scritto: «Roma non premia i traditori», accompagnata dalla musica di Fabrizio De André e dal brano Un giudice, che parla della storia di un «nano» che scala i gradini della funzione pubblica.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
“PERCHÉ NON ABBIAMO MANTENUTO ANCHE IL NO AL 2XMILLE, FONDAMENTALE PER PAGARE IL CONTRATTO DA 300MILA EURO DI CONSULENZE ALLO STESSO GRILLO?”
Beppe Grillo prova a lanciare il nuovo corso del Movimento 5 stelle. Uno slancio che è più che altro un ritorno al passato. l’Elevato da un lato difende gli ultimi avamposti di ciò che fu il Movimento immaginato con Gianroberto Casaleggio come il limite al secondo mandato e, dall’altro, rispolvera chi quell’anima l’ha già incarnata, finendo però ai margini.
Sulle barricate ci saranno con ogni probabilità le ex sindache Virginia Raggi (candidata a Ostia, dove ha ottenuto buoni risultati anche alle Comunali dello scorso anno) e Chiara Appendino (a Torino). Ma anche un rivoluzionario buono per tutte le stagioni come Alessandro Di Battista e, perché no, un comunicatore di razza come Rocco Casalino.
Restano un paio di però. Non solo sul cosa Giuseppe Conte possa davvero incarnare in questa stagione (nonostante un seggio a Roma dato per certo), ma anche sul come verranno integrate le truppe.
Grillo marca il territorio, attraverso la sola regola aurea dei grillini non smantellata: il limite al secondo mandato.
È la parola fine sull’esperienza politica di molti dei volti più noti di oggi (dalla vicepresidente Paola Taverna ai ministri governisti Federico D’Incà e Fabiana Dadone, fino a Carlo Sibilia e Riccardo Fraccaro) e di ieri: come il presidente della Camera Roberto Fico, l’ex capo politico ad interim Vito Crimi e Roberta Lombardi, prima capogruppo alla Camera.
Ma anche gli ex ministri Alfonso Bonafede e Danilo Toninelli. A restare fuori saranno in 49. La lista è lunga e lastricata di insoddisfatti.
Anche perché dopo l’intervento di Grillo appare tramontata la possibilità di deroghe ad personam (il comico peraltro è il proprietario del simbolo M5S che va presentato entro il 21 agosto per consegnare le liste), ma non degli incarichi retribuiti nel partito. Tant’ è che nelle chat già montano le polemiche perché, se il limite ai due mandati è stato mantenuto, non lo è stato il no al 2xmille, fondamentale anche a pagare il contratto da 300mila euro di consulenze allo stesso Grillo.
(da il Messaggero)
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
COME? CON LA PROPOSTA DI TAJANI: LEGA, FORZA ITALIA E FRATELLI D’ITALIA INDICHERANNO UN CANDIDATO PREMIER CIASCUNO PER POI, DOPO IL RISULTATO DELLE URNE, DECIDERE CHI MANDARE A PALAZZO CHIGI
Si va verso un attacco a tre punte. Ovvero i tre grandi partiti del centrodestra
indicheranno un candidato premier ciascuno per poi, dopo il risultato delle urne, emettere un verdetto riguardo a chi andrà a sostituire Mario Draghi a palazzo Chigi. La proposta è stata esplicitata dal coordinatore azzurro Antonio Tajani, «non ci sarà un candidato comune» ha affermato.
E, salvo sorprese, la soluzione dovrebbe essere ratificata mercoledì al vertice della coalizione che si terrà alla Camera proprio mentre i primi sondaggi dopo la caduta del governo delineano la forza dei tre partiti e sanciscono un (ulteriore) calo per Lega ed FI, ritenuti responsabili dell’addio a Draghi.
Il ragionamento sottinteso è che difficilmente il Capo dello Stato potrà appoggiare un candidato sovranista. In realtà lo stesso Salvini ha argomentato che la forza politica che prenderà più voti, sempre se il centrodestra dovesse vincere le elezioni, indicherà il premier.
E poi ci sono le perplessità dell’Europa, le pressioni a livello internazionale, i dubbi che arrivano sponda Washington, i timori della finanza e dei giornali stranieri. Non ci sono veti su Giorgia Meloni a palazzo Chigi, ma non si esclude che qualora Fdi dovesse ottenere più consensi la presidente di Fratelli d’Italia venga invitata a fare un nome terzo. Anche sulle liste ci sarà una battaglia campale. La valutazione secondo cui Fdi vale il 50% della coalizione non è affatto condivisa.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
“LE MISURE CONTRO FRAGILITÀ E DISEGUAGLIANZE SONO URGENTI, E INVECE RISCHIANO DI ESSERE ANCORA RIMANDATE”… CI SONO QUASI 6 MILIONI DI PERSONE IN POVERTÀ, UNA SU DIECI: L’OCCUPAZIONE OGGI È MORTIFICATA E SVILITA DALLA PRECARIETÀ”
Il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) Matteo Maria Zuppi si sofferma con La Stampa sul passaggio delicato che sta attraversando il Paese tra la caduta del governo e i rischi di una crisi sociale. “Le misure contro fragilità e diseguaglianze sono urgenti, e invece rischiano di essere ancora rimandate, dato che i processi decisionali saranno di fatto paralizzati almeno fino all’autunno”, afferma l’arcivescovo di Bologna.
“La crisi di governo – aggiunge – rischia di bloccare gli aiuti economici in arrivo con il Pnrr”, che è “un’ opportunità unica per ricostruire tanti pezzi della nostra Nazione” e che “guarda al futuro”. In Italia, ricorda il cardinale, “ci sono quasi 6 milioni di persone in povertà, una su dieci” e “tutti temono l’onda lunga della crisi in autunno”, rileva Zuppi, che dichiara: “Non possiamo, come rispetto al Covid, sperare solo che andrà tutto bene”. “Dobbiamo attrezzarci alle necessità che esploderanno”.
La solidarietà “è offuscata dall’egoismo”, riflette il numero uno della Cei, ma da questa situazione “da soli non si esce”. E “non basta allungare qualche aiuto – denuncia -: dobbiamo dare stabilità, a iniziare dal lavoro e dalla casa”. Zuppi si sofferma in particolare sul lavoro precario.
“L’ occupazione oggi è mortificata e svilita dalla precarietà”, accusa. Un problema che, insieme alla sicurezza sul lavoro e all’ uguaglianza salariale, impone “decisioni chiare e una incisiva collaborazione con le parti sociali e con l’Europa”. Per i leader politici, allora, “è il tempo di scelte non opportunistiche”. Serve “una aspirazione alla compattezza capace di mettere da parte posizioni polarizzate che sono un grande inganno”.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
IL CELLULARE DI BERLUSCONI IN MANO A CHI LO AVREBBE ESCLUSO DALLA GESTIONE, PER QUELLO NON HA RISPOSTO AL QUIRINALE
Il risarcimento dopo l’estromissione dal Parlamento nel 2013. La cura dopo la
delusione della fallita elezione al Colle, che lo aveva lasciato nella prostrazione più nera. Stavolta, però, il Cavaliere ci crede. In queste ore l’ha ripetuto a chiunque, «dovevo diventare Presidente della Repubblica, nessuno può vantare la mia storia, quindi adesso». L’ha ribadito anche a Meloni, due giorni fa a Villa Grande: «Alla Presidenza del Senato ci tengo, Giorgia».
Un passo indietro. Dopo la sconfitta nella corsa per il Quirinale (mai nata, mai realmente esistita), Berlusconi barcolla tra due sentimenti: lasciare tutto, oppure ottenere riscossa. L’unica possibile, quella ritagliata per lui in questi mesi amari, è la Presidenza del Senato. La seconda carica dello Stato, un gradino sotto Sergio Mattarella. È la postazione che i falchi azzurri (e Salvini) gli indicano come tappa intermedia per tenere vivo il sogno del Colle, sussurrandogli scenari inesistenti: tocca a te, se il Presidente dovesse dimettersi anzitempo dal secondo mandato.
È anche una posizione che un uomo dell’età del leader azzurro può gestire, avvalendosi dei numerosi vice che di norma presiedono l’Aula. E siamo al pomeriggio in cui è caduto Draghi. L’obiettivo di una clamorosa crisi estiva viene evocato nel vertice di centrodestra di martedì scorso. Berlusconi non pensa che accadrà. Ma mercoledì, quando tutto si consuma, il Cavaliere viene sostanzialmente estromesso dalla conduzione delle operazioni. Draghi lo cerca, senza esito. Il centralino del Quirinale pure, fallendo. Si nega, oppure chi gestisce le comunicazioni non lo avverte?
Ha chiaro il quadro, le conseguenze? Ed è vero, come circola il giorno dopo ai vertici del Carroccio e tra i centristi, che il cellulare del capo resta per lunghe ore nelle mani di chi lo circonda, a partire ovviamente dalla compagna Fascina?
Di certo, quando torna rintracciabile è già tutto consumato. Salvini, il vero artefice dell’operazione assieme ai colonnelli azzurri, brinda con “Silvio”: «A ottobre sarai Presidente del Senato». Neanche Meloni, se punta alla premiership, può opporsi.
Un inciso: la leader di Fratelli d’Italia è paradossalmente quella che meno ha gestito la congiura contro Draghi. Cauta, fino a pochi giorni prima della caduta, sullo scenario di crisi e, soprattutto, di un voto a settembre. Che improvvisamente si è concretizzato. La sensazione è che in Fratelli d’Italia – più che negli alleati – ci sia maggiore consapevolezza (e forse preoccupazione) della difficoltà di approvare in poche settimane una finanziaria in tempi di guerra e crisi energetica. E si torna a Berlusconi.
E al resto delle caselle da riempire. Per quanto riguarda Palazzo Chigi, le idee divergono. Salvini ci punta. Tutto ruota attorno a una regola: chi verrà indicato, in caso di vittoria? «Chi prende un voto in più», ha annunciato il leghista. Fino a qualche settimana fa, il suo obiettivo – condiviso con lo stato maggiore berlusconiano, tutto a trazione leghista – era quello di scavalcare Meloni dando vita a una lista unica di Lega e Forza Italia, “Lega Italia”.
Questo progetto è stato però escluso con nettezza da Berlusconi nelle ultime ore. La ragione? I sondaggi dicono che la coalizione di destra (ormai di centro sono rimaste le briciole) mostra un tratto sovranista che allontana i moderati. Schiacciarli sotto Salvini completerebbe la fuga.
Come fare, dunque? Salvini ritiene che all’atto di insediamento delle Camere possa nascere un gruppo unico di parlamentari leghisti e azzurri. E che possa così reclamare la presidenza del Consiglio. L’idea non piacerà di certo a Meloni. L’altro ieri, all’Huffingtonpost, La Russa è stato chiaro: «Quando avevamo il 4% non chiedevamo nuove regole sulla leadership del centrodestra».
Consapevole della difficoltà, Salvini ha già pronto il piano B: diventare ministro dell’Interno. Da lì si seguono i dossier di intelligence più delicati. Non è poco, per chi soltanto pochi mesi fa finiva isolato dopo aver pianificato un viaggio in Russia nel bel mezzo dei bombardamenti di Putin.
(da La Repubblica)
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Luglio 24th, 2022 Riccardo Fucile
NON SI RICANDIDERANNO BERSANI E GIACHETTI, FASSINO E PINOTTI, MADIA E PRESTIGIACOMO, MARCUCCI, GALLIANI E SCHIFANI… FALCIDIATO IL M5S
Dal suo primo giorno da «eletto» nelle istituzioni sono passati quarantadue anni e un mese. E la data è di quelle rimaste scolpite nella storia italiana, quantomeno quella musicale: 27 giugno 1980, il giorno dell’unico concerto italiano di Bob Marley, allo stadio San Siro di Milano.
«Con tutte le date che c’erano, proprio quel giorno doveva capitare l’insediamento del consiglio regionale dell’Emilia-Romagna?», si lamenta ancora oggi Pier Luigi Bersani, che aveva comprato mesi prima il biglietto per il concerto di Marley e che riuscì «a raggiungere San Siro solo perché mi infilai in extremis in un pullman di smandrappati in partenza da Bologna, e io ero l’unico in giacca e cravatta».
Quasi mezzo secolo dopo, anche se gli amici gli chiederanno di ripensarci, Bersani si prepara a dire addio alla sua carriera nelle istituzioni, anche se passione e militanza in pensione non vanno mai.
A meno di colpi di scena, il suo è uno di quei volti celebri che non si rivedranno in Parlamento dopo le elezioni del 25 settembre.
Esce di scena volontariamente e non sarà presente nelle liste elettorali. Come capiterà a un altro cavallo di razza che con lui ha spesso (politicamente s’ intende) incrociato le lame: Roberto Giachetti, oggi deputato di Italia Viva, pedigree radicale al cento per cento, già vicepresidente della Camera e mago dei regolamenti parlamentari.
Bersani e Giachetti non sono gli unici due ad aver comunicato ai compagni di partito l’intenzione di lasciare spazio ad altri.
Anche Adriano Galliani, che quest’ anno riabbraccia un ruolo da prim’ attore nel campionato di calcio di Serie A col Monza berlusconiano, si preparerebbe a lasciare il suo seggio a Palazzo Madama e a rinunciare al suo posto blindato nelle liste di Forza Italia.
Le regole Due mandati per il M5S, come ha ribadito ancora ieri Beppe Grillo; tre per il Pd; quattro per Forza Italia: deroghe a parte, che per i pentastellati non sono all’orizzonte, sono questi i tetti fissati dalle forze politiche ne hanno uno come limite massimo alla carriera dei singoli in Parlamento. E in più c’è, per quasi tutti, il nodo della riduzione del numero dei parlamentari.
I nomi celebri del Pd
Dalle liste del Pd rischiano di scomparire nomi celebri come Piero Fassino (sei legislature), ex ministre del calibro Barbara Pollastrini (idem), Roberta Pinotti (cinque) e Marianna Madia (tre), pronta a impegnarsi alle elezioni regionali del Lazio.
Superano il tetto dei mandati, tra gli altri, Luigi Zanda (cinque), Andrea Marcucci (quattro, di cui uno nella Prima repubblica col Partito liberale) e Francesco Verducci (tre), anche se quest’ ultimo aveva cominciato la sua prima legislatura quando di fatto era già finita (era subentrato nell’autunno 2012, a pochi mesi dalle elezioni del 2013).
Il restyling azzurro
L’album di figurine di Forza Italia subirà il più clamoroso restyling dalla fondazione del partito ai giorni nostri.
Dopo l’addio volontario dei ministri uscenti Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, con l’altra ministra Mara Carfagna con un piede e mezzo fuori (scontate invece le ricandidature dei sottosegretari, da Giorgio Mulè a Giuseppe Moles), rischiano di uscire dal Parlamento altri nomi che rimandano ai tempi d’oro del berlusconismo di governo: a meno che non vengano concesse ulteriori deroghe, saluteranno l’ex ministra Stefania Prestigiacomo (sette legislature) e l’ex presidente del Senato Renato Schifani (sei).
Un altro volto celebre del berlusconismo d’annata, Elio Vito, s’ è dimesso da parlamentare qualche settimana fa e ha stracciato la tessera del partito. In bilico, secondo le malelingue, anche il prosieguo delle carriere parlamentari di Simone Baldelli, Catia Polidori, Elvira Savino e Renata Polverini, quest’ ultima rientrata in Forza Italia dopo un «arrivederci» durato il tempo della fiducia votata al governo Conte bis.
Curioso il caso del deputato ligure Roberto Bagnasco: al suo posto potrebbe candidarsi il figlio Carlo, sindaco di Rapallo, molto apprezzato ad Arcore
Di successione si parla anche in casa Cesaro: dove il senatore Luigi detto «Giggino ‘a purpetta», ex presidente della provincia di Napoli, spinge per il figlio Armando, ex consigliere regionale campano e recordman di preferenze.
I big dei cinquestelle
«Il senatore Berlusconi è solo il passato. Buona galoppata verso casa, Cavaliere! Non potremo dire che ci mancherà», tuonava nell’Aula del Senato Paola Taverna nel dibattito sulla decadenza di Berlusconi da senatore a seguito della condanna definitiva per frode fiscale. Era il 2 ottobre 2013.
Beffardo il destino: dieci anni dopo, il 2 ottobre 2023, Berlusconi con tutta probabilità siederà tra i banchi del Senato (secondo qualcuno, correrà addirittura per presiederlo) mentre Taverna non più. La senatrice romana è una delle «vittime» (virgolette ovviamente d’obbligo) della storica tagliola dei due mandati che da sempre è il primo, vero, cavallo di battaglia dei grillini. A fine corsa, tra gli altri, anche big come Roberto Fico, Danilo Toninelli, Carlo Sibilia, Vito Crimi, Alfonso Bonafede.
Il caso Bossi
Se Fratelli d’Italia ha il problema delle caselle da riempire, perché verosimilmente porterà in Parlamento più eletti dell’ultima volta, anche nella Lega si aprirà la riflessione sui posti da tagliare. Il caso più spinoso riguarderà il fondatore del partito, Umberto Bossi, che nonostante gli acciacchi ha partecipato all’ultima votazione del presidente della Repubblica. Anche simbolicamente il Senatur sarà ancora in lista oppure no? Un indizio: tra coloro che vanno spesso a trovarlo a casa, a Gemonio, c’è un uomo considerato «centrale» nella costruzione del centrodestra che verrà: il professor Giulio Tremonti.
(da agenzie)
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