Destra di Popolo.net

“MEGLIO MORIRE CON LA COSCIENZA PULITA, CHE COME ASSASSINO E OCCUPANTE”: KIEV HA MESSO SU LA “LEGIONE PER LA LIBERTÀ DELLA RUSSIA”

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

COMPRENDE PRIGIONIERI, OPPOSITORI E CITTADINI RUSSI CHE SI SCHIERANO CONTRO MOSCA… LA LEGIONE È COMPOSTA DA CIRCA MILLE UOMINI, MA OGNI GIORNO RICEVONO CENTINAIA DI RICHIESTE

Nella guerra in Ucraina la partecipazione di militari russi si manifesta in modi atipici. Da un lato abbiamo dissidenti anti-putiniani, si stima fra qualche centinaio e un migliaio, che hanno formato un reparto che combatte al fianco degli ucraini.
È la Legione per la Libertà della Russia, che comprende sia prigionieri di guerra e disertori passati a Kiev, sia cittadini russi, magari con parenti ucraini, accorsi sotto le bandiere giallo-blu
La Legione per la Libertà della Russia, che ha una bandiera bianco-blu, è stata formata dallo scorso marzo inizialmente con 100 russi disertori e si sarebbe accresciuta, sebbene sulla sua reale consistenza Kiev mantenga il segreto. Per l’esattezza, il 10 marzo venne aperto un canale Telegram a nome della legione, poi il 30 marzo l’agenzia di stampa ucraina Unian specificò che «l’unità è stata creata a partire da una compagnia dell’esercito russo che si è consegnata a noi».
La presentazione ufficiale avvenne con una conferenza stampa del 5 aprile, tenendo segreti i nomi «per motivi di sicurezza».
Da allora fioriscono ipotesi sulla sua consistenza, che resta top secret. In giugno il consigliere presidenziale ucraino Oleksiy Arestovych aveva dichiarato che era composta da «poche centinaia di membri». In luglio, fonti della stessa legione asserivano che la sua forza era pari a «due battaglioni pienamente equipaggiati», cioè circa 1000 uomini.
300 RICHIESTE AL GIORNO
I canali social della Legione vanterebbero 94.000 contatti e uno dei militi, noto col nome di battaglia Arni, ha dichiarato in questi giorni al Moscow Times, mostrandosi col volto mascherato, che «riceviamo ogni giorno 300 richieste di adesione, ma non significa che vengano tutte accettate». Arni ha spiegato la sua scelta: «Ho pensato sarebbe stato meglio morire con la coscienza pulita, anziché morire come assassino e occupante. Così ho cambiato fronte».
Sarebbe invece arrivato in Ucraina direttamente dalla Russia un altro “legionario” anti-Putin, nome di battaglia Professor, che ha raccontato: «Vengo dalla Russia Centrale e ho iniziato a sostenere l’opposizione a Putin dopo l’arresto nel 2019 dell’attivista Yegor Zhukov.Quando l’Ucraina è stata assalita nel febbraio 2022 mi sono vergognato e non ho potuto starmene in disparte».
A tutt’ oggi, l’unico membro della Legione per la Libertà della Russia di cui sia nota l’identità è Igor Volobuyev, ex-funzionario della potente Gazprombank, nativo dell’Ucraina, unitosi al reparto dallo scorso 11 giugno perché, dice, «voglio una Russia libera e democratica».
Quanto alla efficacia militare del reparto, l’esperto ucraino Illia Ponomarenko, del Kyiv Independent, è cauto: «Potrebbero esserci vari combattenti russi, ma su come sia organizzata la legione è una domanda aperta».
(da agenzie)

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LA TV GENERA MOSTRI: MATTEO BASSETTI È TALMENTE PIENO DI SÉ DA SOGNARE DI FARE IL MINISTRO (E AVREBBE RIFIUTATO LA CANDIDATURA)

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

NELLA LEGA PILLON, RIXI E BONGIORNO SARANNO IN LISTA – CANDIDATA DAL CARROCCIO L’EX GIORNALISTA MARIA GIOVANNA MAGLIE, DIVENTATA NEGLI ANNI AGIT-PROP DI SALVINI

Per conquistare i collegi, servono (anche) nomi di outsider, personaggi oltre che personalità. E dopo la legislatura del Covid, come non pensare ai virologi, per due anni volti della tv? Infatti corteggiatissimo, conteso da Fratelli d’Italia e dai renziani, sarebbe Matteo Bassetti.
Che, dopo tutto, aveva provocatoriamente azzardato una lettura del voto, alle Amministrative di ottobre scorso, come vittoria degli scienziati sui movimenti no vax.
Alle prime sollecitazioni, Bassetti avrebbe risposto di no. Tuttavia interessatissimo – l’ha dichiarato lui stesso in un’intervista a Libero – a ricoprire «da tecnico» il ruolo di ministro della Salute, potrebbe ripensarci.
FdI che nella legislatura che si sta per chiudere conta 58 parlamentari (21 senatori e 37 deputati) potrebbe passare a occupare, nella prossima, il triplo degli scranni. Ha quindi bisogno, oltre che di volti, di esponenti fedeli alla linea, soprattutto dopo l’accordo di coalizione, raggiunto ieri, che prevede che il numero 2 di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida, tenti di conquistare la presidenza del Lazio.
La leader preleverà le nuove leve soprattutto da Comuni e Regioni, ma cerca anche vecchie glorie e figli d’arte. Giuseppe Consolo, classe 1948, a lungo in parlamento con An, padre dell’attrice Nicoletta Romanoff, appartiene alla prima categoria, Sergio Rastrelli, figlio di Antonio, popolare presidente della Campania e anche sottosegretario del governo Berlusconi nel 1994, alla seconda.
Al contrario nella Lega chi un seggio, in Europa o negli enti territoriali, ce l’ha già è invitato caldamente a rimandare le ambizioni di traslocare a Roma. Obiettivo garantire gli uscenti. Simone Pillon, Edoardo Rixi e Giulia Bongiorno hanno avuto recenti rassicurazioni. Sarà probabilmente candidata dal Carroccio l’ex giornalista Maria Giovanna Maglie. Ma i conti faticano a tornare, soprattutto perché Meloni rivendica più collegi degli alleati anche nelle regioni del Nord (a eccezione di Veneto e Lombardia).
E quanto a ridimensionamenti, dentro Forza Italia ci sono sicuramente le preoccupazioni maggiori. Silvio Berlusconi prende tempo sulla sua candidatura: «Vedremo». Potrebbe misurarsi con il collegio che copre il territorio di Monza, città della quale detiene la squadra di calcio, oltre che essere capolista al proporzionale.
La sfida, in generale, è tenere quanti più uscenti possibile: sono 123. Non in discussione sembra essere la conferma della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati.
In uno degli 11 o 13 (le trattative sono ancora in corso) collegi uninominali attribuiti dalla coalizione ai centristi di Maurizio Lupi e Giovanni Toti, potrebbe misurarsi l’ex candidato sindaco di Napoli Catello Maresca. Il listino plurinominale potrebbe tenere insieme anche Coraggio Italia di Brugnaro e l’Udc di Cesa, per superare più agilmente lo sbarramento.
Lì dovranno trovar posto gli uscenti tra i quali Andrea Costa, sottosegretario alla Salute per NcI, Marco Marin, eletto con FI e ora capogruppo della formazione guidata dal presidente della Liguria, Italia al centro, Gaetano Quagliariello, parlamentare di lunghissimo corso, che di Toti è il vice
(da agenzie)

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L’AGENZIA DI RATING MOODY’S PREPARA LA MAZZATA PER L’ITALIA: CONFERMA IL GIUDIZIO SU BANCHE, UTILITY E SOCIETÀ PARTECIPATE, MA PEGGIORA L’OUTLOOK. LE PROSPETTIVE SONO NEGATIVE

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

È UN MESSAGGIO CHIARO IN VISTA DELLE ELEZIONI DEL 25 SETTEMBRE: SE VINCE LA DESTRA, SI SCATENERÀ L’ARMAGEDDON FINANZIARIO

Raffica di bocciature sulle prospettive future del sistema Italia nelle nuove pagelle comunicate ieri da Moody’ s.
L’agenzia di rating ha sostanzialmente confermato i giudizi sulle società italiane. Peggiorandone però l’outlook. Le prospettive, appunto.
L’agenzia americana, ha allineato il giudizio sui nostri bond societari a quelli del debito sovrano dell’Italia. Mossa spiegata con l’anticipo delle elezioni politiche al 25 settembre, dopo la crisi del governo Draghi che ha portato allo scioglimento delle Camere.
In sostanza le prospettive sono state riviste da “stabili” a “negative” – e francamente non è poco – per quattordici banche, nove utility e un buon numero di società varie.
L’operazione di Moody’ s riguarda praticamente tutti i grandi gruppi tricolori. E ricalca la mappa dei soggetti che emettono titoli di debito. Le obbligazioni
Riviste da “stabili” a “negative” le prospettive di quattordici istituzioni finanziarie: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bper Banca, Banca Carige, Mediocredito Trentino-Alto Adige, Fca Bank, Banca del Mezzogiorno-Mcc, Cassa Centrale Banca, Cassa Centrale Raiffeisen, Cassa Depositi e Prestiti, Invitalia, Crédit Agricole Italia, Credito Emiliano e Mediobanca. Inalterato, invece, il giudizio su Montepaschi di Siena, Banco Bpm, Banca Sella Holding, Beff Bank e Banca Ifis.
Pure le Poste Italiane sono state coinvolte nella revisione. Rating confermato, prospettive riviste in peggioramento. Da stabili a negative. Stessa sorte per Eni e nove utility.
Per il Cane a sei zampe invariato a Baa1 il giudizio sul merito di credito, il rating, due tacche sopra al rating sovrano dell’Italia, mentre per le nove utility è stato confermato il rating Baa2.
Si tratta di Acea, Hera, Italgas, Snam, Terna, Cdp Reti, 2i Rete Gas, A2a ed Enel, a cui si aggiunge Endesa Italia, il cui rating è di Baa1. Energia alle stelle e utility bocciate. Diversa la situazione nel comparto assicurativo dove Moody’ s ha confermato il giudizio di solidità finanziaria assicurativa A3 con outlook stabile di Generali e delle sue controllate italiane, francesi e tedesche.
Mentre ha confermato il giudizio per UnipolSai, il cui outlook però passa da stabile a negativo. Una differenza – spiega l’agenzia di rating – che «riflette la concentrazione delle proprie attività». Infine, per quanto riguarda Allianz, confermato A3 e outlook positivo. In pratica l’unica big fra le società italiane a salvarsi da questa raffica di revisioni peggiorative è Generali.
Secondo Moody’ s, il giudizio sul Leone di Trieste riflette la forte diversificazione geografica del gruppo e il continuo miglioramento del suo profilo finanziario. L’agenzia di rating ha inoltre affermato che il rating di Generali si posiziona al di sopra del rating sovrano dell’Italia, grazie alla capacità della compagnia di reagire a un eventuale scenario di crisi.
(da agenzie)

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IL CENTRODESTRA FA A GARA PER SPARTIRSI LA TORTA DELLO SPORT: CON LE OLIMPIADI DI MILANO E CORTINA IN ARRIVO, LA PARTITA VALE QUASI 800 MILIONI DI EURO

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

L’UOMO DELLA MELONI E’ ANDREA ABODI, QUELLO DI FORZA ITALIA È BARELLI, PRESIDENTE DELLA FIN. POI C’È LA VEZZALI, POSSIBILE FUTURO MINISTRO DELLO SPORT

Una partita da quasi 800 milioni di euro. Ma anche una enorme vetrina politica e soprattutto un potente strumento per attrarre consenso. Nel centrodestra è già scattata la battaglia per mettere le mani sullo sport.
Il prossimo governo sarà, almeno sulla carta, quello che accompagnerà l’Italia al più importante evento della sua storia recente, le Olimpiadi invernali di Milano e Cortina del 2026, a forte trazione leghista con Fontana e Zaia al vertice delle Regioni ospitanti, Lombardia e Veneto.
Il decreto Aiuti bis ha appena destinato altri 400 milioni all’evento, ma più dei soldi conta la governance: Draghi nominerà un nuovo ad dopo ferragosto, chi vincerà le elezioni avrà però facoltà di cambiare ancora.
In più, a marzo scadrà il mandato di Vito Cozzoli come presidente e ad di Sport e Salute, ossia la cassaforte dello sport italiano che nell’ultimo anno ha amministrato 380 milioni di soldi pubblici destinati al mondo sportivo, compresi i 280 milioni di contributi statali alle federazioni. Un enorme potere sotto forma di moneta.
Soldi e potere: impossibile non farsi attrarre. All’universo sportivo è da sempre attentissima Giorgia Meloni. Quasi una questione ideologica per FdI: fosse chiamata a governare, non prescinderebbe dall’affidare allo sport un ministero. E in questo senso, il suo uomo è indubbiamente Andrea Abodi, presidente del Credito sportivo, volto affidabile perché lontano da eccessi e posizioni estremiste. Ma molto vicino alla leader, che lo avrebbe voluto sindaco di Roma un anno fa. Meno probabile vederlo al vertice di Sport e Salute. Ruoli istituzionali interessano anche a Claudio Barbaro, che FdI ha riaccolto dalla Lega.
Anche Forza Italia ha i propri nomi, come il presidente della federnuoto, Paolo Barelli, vicinissimo ad Antonio Tajani che lo ha imposto come capogruppo di Forza Italia alla Camera nell’autunno scorso. Però l’ipotesi di vederlo ministro dello Sport ha due enormi controindicazioni: intanto, la posizione confliggerebbe con l’incarico in federazione. Ma soprattutto, sarebbe una dichiarazione di guerra al Coni di Giovanni Malagò, di cui Barelli è nemico giurato.
La soluzione? Un nome di compromesso, magari riconfermando Valentina Vezzali. In fondo Barelli potrebbe preferire la presidenza di una commissione parlamentare, magari al bilancio. Vezzali è un nome che piace anche a Giancarlo Giorgetti, padre della mai risolta riforma dello sport del 2019 e timoniere della Lega (anche) su questioni di materia sportiva. Che a Giorgetti piacerebbe tenere quella delega per sé – come nel governo Conte I – è fuori di dubbio.
Ma se un governo di destra dovesse chiamarlo a ruoli più centrali, sarebbe prontissimo a chiedere di affidare lo sport a un fedelissimo. E chi meglio del sottosegretario della Regione Lombardia Antonio Rossi. Uno che il dossier Milano-Cortina lo conosce dall’interno.
E gli altri? Il frontman del Pd è l’ex ct del volley Mauro Berruto, che ha indicato i fedelissimi Fabio Appetiti (sindacato atleti) e Laura Coccia (sport e disabilità). Renzi punta su Silvia Salis, ex martellista e vicepresidente Coni. Ma l’estate elettorale è ancora lunghissima.
(da La Repubblica)

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L’ATTACCO UCRAINO IN CRIMEA E’ UN DURO COLPO PER PUTIN, USATI I NUOVI MISSILI ATACMS?

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

COLPIRE A 200 KM DAL FRONTE VUOL DIRE CHE LA RUSSIA NON E’ PIU’ AL SICURO

Ancora gli analisti militari non hanno capito che cosa hanno usato ieri i soldati ucraini per colpire la Crimea occupata dai russi alla distanza mai raggiunta prima di duecento chilometri dalla linea del fronte ma il punto importante è che qualsiasi sia la nuova arma adesso a disposizione degli ucraini per i soldati russi non c’è più un singolo centimetro quadrato di Ucraina dove possono sentirsi al sicuro
Sparisce il concetto di retrovie, dove riorganizzare i reparti logorati dal fronte, tenere le munizioni e l’equipaggiamento, curare i feriti, parcheggiare elicotteri e aerei.
Gli invasori sono esposti ovunque al tiro preciso dei missili ucraini a meno che non ritornino in Russia
Da due giorni circolava la notizia, non confermata, dell’arrivo in Ucraina degli Atacms, un razzo di fabbricazione americana capace di colpire a trecento chilometri di distanza con molta precisione.
A metà giugno gli americani dopo molti ripensamenti e tormenti avevano consegnato agli ucraini i sistemi lanciarazzi Himars, che riescono ad arrivare a settanta chilometri e hanno impresso una svolta al conflitto.
Gli Himars hanno fatto saltare in aria decine di depositi di munizioni russi nel giro di poche settimane e hanno quasi azzerato il grande vantaggio dei russi, che è quello di disporre di un numero infinitamente superiore di pezzi di artiglieria e di colpi da sparare.
Tutti i chilometri di terreno conquistati dai russi tra aprile e maggio nel Donbass sono stati presi grazie alle batterie di cannoni, che hanno reso semplicemente impossibile per i soldati ucraini mantenere le posizioni. Adesso i comandanti ucraini dicono che per dieci colpi che i russi sparavano ne sparano soltanto uno, si vede che sono a corto di munizioni e devono farne un uso molto più accorto, è tutto cambiato.
L’Amministrazione Biden ha dato gli Himars agli ucraini con una condizione: che non fossero usati contro bersagli militari dentro ai confini della Russia. Si pensava che gli americani avrebbero potuto concedere un salto di livello molto desiderato. Ed ecco gli Atacms, una versione più potente degli Himars che non si ferma a settanta chilometri arrivano fino a trecento.
C’è anche la possibilità che l’arma usata sia stata invece sviluppata in autonomia dagli ucraini oppure il frutto di una collaborazione con il governo saudita. Il risultato per i russi non cambia.
In questo conflitto avevano la supremazia in campo missilistico e la capacità di colpire da distante. Non hanno più questo vantaggio.
(da agenzie)

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RUSSIA, ARRESTATA LA GIORNALISTA MARINA OVSYNNIKOVA CON LA SOLITA ACCUSA DI “FALSITA’ CONTRO L’ESERCITO” SENZA ASPETTARE IL SUO AVVOCATO

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

BLITZ A CASA SUA COME FOSSE UNA TERRORISTA: IL REGIME CRIMINALE DI PUTIN NON SI SMENTISCE MAI

È stata di nuovo fermata dalla polizia la giornalista russa Marina Ovsyannikova, accusata ancora una volta di «aver screditato» l’esercito di Mosca.
Come ha riferito il suo avvocato Dmitri Zakhvatov all’Afp, si tratta di un’indagine ancora aperta nella quale alla giornalista viene attribuita la «diffusione di informazioni false» sull’esercito.
L’arresto è avvenuto dopo che la polizia ha perquisito l’abitazione della giornalista, divenuta nota in questi mesi per la manifestata contrarietà alla guerra in corso in Ucraina. Le forze dell’ordine però hanno eseguito la misura senza aspettare l’arrivo del suo avvocato, come aveva denunciato lui stesso all’ong Ovd-Info, citata da Meduza.
Il blitz sarebbe scattato per via della cosiddetta legge bavaglio contro le informazioni sulla guerra in Ucraina, entrata in vigore dopo l’invasione russa. La norma prevede che chi diffonde informazioni sulle truppe russe ritenute «false» dalle autorità rischia fino a 15 anni di carcere.
Il governo russo, infatti, negli ultimi mesi sta rafforzando sempre più la censura e reprimendo ogni forma di dissenso politico. Sono molte le figure che sono state processate per aver condannato le atrocità della guerra. E Marina Ovsyannikova è entrata nel mirino dell’esercito perché – a marzo 2022 – aveva interrotto un telegiornale su Channel One – in diretta dalla tv di stato russa – per sventolare un cartello con scritto: «No alla guerra, fermate l’invasione». Una protesta che le è costata cara: venne prima arrestata, poi rilasciata e infine condannata a una multa di 50.000 rubli. Ora anche la perquisizione, spiega il suo legale, è connessa a quell’episodio. I guai per la reporter con la giustizia russa sembrano quindi esser appena iniziati.
(da agenzie)

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L’ECONOMISTA CARLO COTTARELLI: “SARO’ CANDIDATO CON PD E + EUROPA, PER ME E’ UN GRANDE ONORE”

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

LETTA E BONINO LANCIANO UNA CANDIDATURA FORTE

“Ho accettato, ed è un grande onore, l’offerta di Pd e +Europa di essere candidato comune alle prossime elezioni” politiche 2022 in programma il 25 settembre. Lo ha annunciato Carlo Cottarelli collegandosi alla conferenza stampa di Emma Bonino, Benedetto Della Vedova ed Enrico Letta.
“Queste elezioni sono le più importanti, si confrontano due visioni del mondo, una progressista e l’altra conservatrice, e gli italiani devono decidere. Sono visioni legittime, ma sono diverse” ha detto Cottarelli. “Mi è molto dispiaciuto che non sia stato possibile portare avanti in modo unitario con Azione un percorso comune, ma guardiamo avanti. Anche se su strade elettorali diverse credo sia comune la visione progressista del mondo. Spero che da ora vedremo tutti come avversario chi porta avanti quella visione conservatrice che noi non condividiamo”, ha aggiunto l’economista.
“Cottarelli sarà una delle principali punte di diamante della campagna elettorale. Sarà candidato nel nord del Paese, sia nell’uninominale che nella parte proporzionale. Abbiamo intenzione di fare sì che la sua candidatura sia visibile e forte” ha affermato Letta, aggiungendo: “Cottarelli è il migliore interprete di quell’intesa della settimana scorsa, che vede entrare Cottarelli e uscire qualcun’altro che ha deciso di uscire, rappresenta un grande privilegio poter lavorare con lui”.
“Oggi rilanciamo quel patto con un altro Carlo. Questa volta durerà il patto e durerà il Carlo” ha detto Benedetto Della Vedova.
“Neanche due mesi fa Calenda definiva Carlo Cottarelli ‘il nome perfetto per tenere insieme un campo progressista e riformista’. Oggi Cottarelli ha annunciato di aver accettato la proposta di candidatura con Più Europa e Partito Democratico”, ha scritto su Twitter Riccardo Magi, deputato e Presidente di +Europa, aggiungendo l’hashtag #ilCarlogiusto.
E Carlo Calenda ha twittato: “Avere Carlo Cottarelli in parlamento sarà una cosa positiva per il paese. Indipendentemente da chi lo candida. Un abbraccio”.
(da agenzie)

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INDAGATO IL GIOVANE GENOVESE DI DESTRA ANDATO A COMBATTERE A FIANCO DEL POPOLO UCRAINO: DATEGLI UNA MEDAGLIA

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

MA CHE MERCENARIO, SE UNO VA A COMBATTERE PER UN IDEALE DI LIBERTA’ E’ ASSURDO PERSEGUIRLO … NON E’ UNO DEI CRIMINALI DELLA WAGNER CHE PRENDONO 4.000 EURO AL MESE

Si chiama Kevin Chiappalone il primo italiano indagato per aver partecipato ai combattimenti in Ucraina con l’esercito di Kiev.
La direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Genova accusa il ragazzo di 19 anni di essere stato uno dei mercenari arruolatosi nella Brigata internazionale ucraina e rischia una condanna da due a sette anni. Il ragazzo sarebbe anche simpatizzante del movimento di estrema destra Casapound.
La Digos avrebbe avviato l’indagine dopo che lo stesso Chiappalone aveva annunciato lo scorso 23 marzo sulle pagine del settimanale Panorama di voler partire per difendere l’Ucraina
Chiappalone sarebbe arrivato in Ucraina lo scorso maggio attraverso il confine polacco, senza alcuna preparazione militare o nell’uso delle armi. Come mostrano anche le immagini diffuse sui suoi canali social, il 19enne si troverebbe ancora in Donbass. Chiappalone sarebbe partito da solo, organizzando il viaggio su internet. Una volta arrivato in Polonia con un volo da Genova, avrebbe poi preso un pullman che lo ha portato nella zona del fronte. Nella Brigata internazionale ucraina Chiappalone avrebbe usato «Alessandro» come nome di battaglia.
Dove sta il reato?
(da agenzie)

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IL DESTINO DI TUTTI I PADRI-PADRONI: RESTANO AL COMANDO DELLA LORO “CREATURA” FINO A UCCIDERLA

Agosto 10th, 2022 Riccardo Fucile

L’AFFONDO DI DI BATTISTA CONTRO BEPPE GRILLO DIMOSTRA L’INCAPACITA’ DEL COMICO DI CREARE UNA VERA SUCCESSIONE

Erano in 339, erano giovani e forti e sono (politicamente) morti. O comunque non si sentono granché bene perché, a distanza di soli quattro anni dallo sbarco trionfale in Parlamento, il Movimento si è sfasciato, è esploso in mille frammenti, con il pianeta più importante che resiste ancora, sotto il dominio post-populista e «laburista» di Giuseppe Conte, ma ormai acefalo di buona parte della classe dirigente storica.
Tutt’ intorno, satelliti impazziti e polvere di stelle che hanno brillato per pochi anni, risucchiate fuori dall’atmosfera terrestre. Il parallelo con l’impresa tentata da Carlo Pisacane nel 1857, che da Sapri provò a innescare il processo rivoluzionario in tutto il Meridione, può sembrare azzardato, ma provare ad aprire come una scatoletta di tonno il Parlamento era già una piccola rivoluzione.
Fallita, visto che il Movimento aveva grandi prospettive palingenetiche per l’Italia e si ritrova ridotto ai minimi termini (10 per cento nei sondaggi), con alle spalle una grave sconfitta alle amministrative, una scissione dolorosa e l’idolo delle folle Alessandro «Attila» Di Battista che, chiuso nel non luogo di un’auto parcheggiata, lancia strali contro Di Maio «ducetto», contro il «sinistro» Fico e perfino contro l’«elevato», l’uomo che l’ha creato e che ha abbracciato mille volte in lacrime sul palco. Quel Beppe Grillo diventato «padre padrone», una divinità iraconda, modello Crono, che divora i suoi figli.
Ricostruire l’albero genealogico di un Movimento che non c’è più mette i brividi. In principio erano Grillo con Gianroberto Casaleggio, scomparso nel 2016. La successione con Davide, come spesso accade in queste vicende dinastiche, non ha funzionato. Tanto che l’informatico se n’è andato a giugno, sbattendo la porta: «Mio padre non riconoscerebbe questo Movimento». Sotto i due fondatori, brillavano le stelle di Di Maio e Di Battista.
Coppia perfetta perché complementare: l’incravattato con un grande futuro da democristiano e lo scamiciato, barricadero ma allergico alla pugna. Ora il primo ha fondato «Insieme per l’Italia», coccola il Pd, che accusava di orrori inenarrabili, tratta con il partito animalista per raggiungere il 3 per cento e viene chiamato da Grillo «Giggino ‘a cartelletta» («aspetta di essere archiviato in qualche ministero»). Il secondo, reduce dalla Russia, prosegue in un fuoco sempre meno amico e spara veleno contro i poltronari che hanno il sedere «flaccido come la loro etica».
Poi c’era la «classe dirigente» del Movimento. Una combriccola molto eterogenea, che ci ha fatto compagnia per anni.
La mannaia del tetto del secondo mandato, fatta calare da un irremovibile Beppe Grillo, ha annientato molti di loro.
Il «padano» Stefano Buffagni, gran tessitore di rapporti nell’imprenditoria del nord, tornerà a fare il commercialista. L’«orsacchiotto» Vito Crimi, rimasto abbarbicato al suo ruolo di capo pro tempore per un’eternità, sarà probabilmente costretto a tornare a fare l’assistente giudiziario. E Paola Taverna? Dal suo monolocale di Torre Maura ancora lavora alla campagna elettorale, dice che si «sentirà a lungo l’eco delle mie urla» in Parlamento, ma presto potrebbe vedersi avverare il celebre sfogo di Tor Sapienza: «Io nun so’ politica».
Roberto Fico prepara gli scatoloni, anche se difficilmente tornerà a commerciare in tappeti orientali, dopo Montecitorio. Danilo Toninelli non si vedrà più in Parlamento, con i pettorali a mettere a dura prova la tenuta delle camicie: lo troverete a torso nudo, mentre fa jogging lungo le sponde del Tevere, o su TikTok, dove si è trasferito a tempo pieno per fare l’influencer (14 mila follower, non male, ma deve vedersela con Khaby Lame che ne ha 142 milioni). Addio a Carlo Sibilia, che considerava «una farsa» lo sbarco sulla luna.
E ancora, a Fabiana Dadone, Davide Crippa, Federico D’Incà, Nunzia Catalfo, Riccardo Fraccaro. Perfino Alfonso Bonafede, l’avvocato che andò a pescare un ignoto Giuseppe Conte: perfidia della sorte, è stato fatto fuori proprio dal suo pupillo.
Tutti a casa, tutti disarcionati per volere di Crono-Grillo, nel nome del dilettantismo in politica (ancora l’altro giorno Conte se n’è vantato: «Non siamo professionisti della politica»). Un’ecatombe.
Tutti «zombie», inchiodati come farfalle morte nell’album digitale del loro creatore. Altri si erano già persi per strada. Il filosofo calabrese Nicola Morra, che è ancora incollato alla poltrona dell’Antimafia. Paolo Bernini, complottista e animalista, che licenziò l’assistente, colpevole di non essere vegano. Il funambolico Gianluigi Paragone, no vax e no euro, che alle elezioni potrebbe superare il 3 per cento con la sua Italexit.
Grillo l’aveva già detto nel 2012, durante il «massacrotour»: «Il futuro del Movimento è sciogliersi».
Futuro vicino: qualcuno pensa che il fondatore da un momento all’altro potrebbe andarsene, portandosi via la palla e il simbolo.
Ingenuità: da poco ha firmato un contratto come consulente e riceve 300 mila euro dal Movimento. La dissipatio grillina è quasi compiuta, anche se nel Paese non si è dissolto l’humus del populismo. Ci sono ancora gli scontenti, i frustrati, i malpagati. La società del rancore è ancora qui. Solo che troverà altri sfoghi, altre vie di fuga. Di Battista e Raggi, dicono, sono pronti a riprendersi il Movimento, dopo le elezioni. Bisogna vedere cosa ne resterà.
(da il Corriere della Sera)

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