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SONDAGGIO BIDIMEDIA: PD 24,2%, FDI 24%, LEGA 13,6%, M5S 10% FORZA ITALIA 7%, AZIONE-ITALIA VIVA 5,2%, VERDI-SINISTRA 3,9%

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

GLI INDECISI SONO IL 20%… COALIZIONE CDX AVANTI DI 14 PUNTI

Il testa a testa è sempre tra Pd e FdI. Tra Enrico Letta e Giorgia Meloni, protagonisti ieri di un botta e risposta via social per via dell’intervista rilasciata dal segretario dem alla Cnn.
Ma il Partito democratico, in questi giorni in cui gli schieramenti sono alle prese con le beghe delle liste dei candidati e l’Italia se ne sta sotto l’ombrellone, supera Fratelli d’Italia per un soffio. Percentuali: 24,2 contro un 24% tondo tondo.
Tra le coalizioni però è il centrodestra avanti a tutti gli altri schieramenti. Almeno così racconta l’ultimo sondaggio di BiDiMedia appena pubblicato su un campione di 2107 intervistati.
Siccome però alle urne ci si andrà tra un mese e poco più, la foto scattata nell’immediato il terzo Polo composto da Azione e Italia Viva, che hanno fatto propria l’agenda Draghi, ancora non salpano col vento in poppa, puntando infatti Renzi e Calenda a raggiungere il 10%.
Al contrario i partiti che a luglio hanno messo definitivamente Ko l’ultimo governo, ovvero Lega, M5S e FI, stanno pian piano sgranocchiando delle posizioni migliori.
Se si votasse oggi, Giorgia Meloni starebbe già allestendo la conferenza stampa della vittoria. Il sondaggio di BiDimedia infatti colloca la coalizione capitanata da lei al 46.4%. Con 6 decimi in più rispetto alla rilevazione fatta nella prima settimana di agosto.
Ma il merito della crescita non è di Fratelli d’Italia, ma degli altri partiti della coalizione:la Lega di Salvini 13,6%, FI di Berlusconi 7 punti percentuali, mentre “I Moderati” di Toti, mettono insieme 1,8 punti.
Il Pd resta il primo partito, 24,2 %. In calo di un decimo di punto invece l’Alleanza Sinistra Verde, ora al 3,9%, mentre Impegno Civico del ministro Di Maio si attesta allo 0,9%. +Europa, la formazione di Emma Bonino e Benedetto della Vedova che è rimasta nella coalizione dopo l’addio di Carlo Calenda, raggiunge secondo questo sondaggio il 2,1%. In pratica la somma dei partiti di questa coalizione raggiungerebbero oggi il 31,1% dei voti. Il Centrodestra li batterebbe per 15 punti percentuale.
E’ un 10 per cento il risultato che otterrebbe, in questo momento, il movimento guidato da Giuseppe Conte. Invertendo così il trend di decrescita degli ultimi mesi. Anche se i numeri, dopo la scissione di Di Maio e la rottura col Pd, restano sempre bassi per il partito di maggioranza relativa in questa legislatura.
Terzo Polo
La lista Azione e Italia Viva, nata dopo il dietrofront di Carlo Calenda col Pd, non raggiunge al momento risultati di un certo peso. Solo il 5,2% degli intervistati ha dichiarato di voler votare questo polo appena nato..
In crescita Italexit di Paragone che al 2,4%. Scendono all’1% Alternativa per l’Italia di Adinolfi e sotto il punto percentuale Unione Popolare, lista che riunisce diverse formazioni di sinistra radicale. Stabile allo 0,8% Italia Sovrana e Popolare – composta dal PC di Rizzo.
Capitolo astensionismo. L’affluenza alle urne peserà sicuramente sul risultato. Secondo il sondaggio per ora c’è un piccolo incremento dello 0,5 punti. La propensione al voto è ad oggi del 64% mentre sono il 26% gli italiani ancora indecisi se andare alle urne oppure no.
(da agenzie)

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LE BALLE DI SALVINI SULLA FLAT TAX PER COSTEREBBE “COME IL REDDITO DI CITTADINANZA”

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

CAZZATE, COSTA 5 VOLTE TANTO

Non è vero, come sostiene Matteo Salvini, che la flat tax al 15% proposta dalla Lega ha un costo “sostanzialmente identico a quello del reddito di cittadinanza“. A
smentirlo non sono economisti “nemici” o avversari politici, ma il disegno di legge “Disposizioni in materia di flat tax” depositato al Senato il 27 maggio 2020, che porta la firma di tutti i senatori del partito tra cui lo stesso leader del Carroccio.
Il testo, farina del sacco di Armando Siri, è quello esplicitamente richiamato nel programma elettorale di oltre 200 pagine presentato in vista del voto. E leggendo gli articoli 26 e 45 si scopre che il piano in due fasi per arrivare dall’attuale tassa piatta per gli autonomi (limitata a chi ha introiti fino a 65mila euro) alla flat tax per tutti senza limiti di reddito richiede nel complesso coperture per 22 miliardi nella prima fase e 38 a regime.
Gli stanziamenti annuali per il reddito ammontano in questo momento a 8,3 miliardi l’anno: l’aliquota unica costa dunque quasi cinque volte tanto, volendo dar credito ai calcoli di chi la sta promettendo agli elettori.
La fase 2: flat tax con limiti al reddito
Il progetto della Lega è assai articolato, a dir poco. Il ddl 1831 consta di 40 pagine in cui si dettagliano le tappe necessarie per dire addio alle aliquote sostituendole con un unico prelievo pari al 15% del reddito. La “fase 1” della tassa piatta per gli autonomi è già realtà, spiega l’introduzione. La seconda fase verrebbe attuata in più mosse. La tassazione non sarebbe più personale bensì famigliare. Tralasciando le deduzioni (che partirebbero da 13mila euro nel caso ci sia un componente a carico), l’attuale tassa piatta al 15% verrebbe innanzitutto estesa ai nuclei con redditi fino a 26mila euro se composti da una sola persona, 50mila in caso di famiglia monoreddito e 65mila in caso di famiglia bireddito.
Oltre quelle soglie l’aliquota crescerebbe progressivamente di uno o più punti a seconda del numero di componenti. Superati i 55mila euro per i nuclei monoreddito e i 70mila per quelli bireddito si tornerebbe alle normali aliquote Irpef che sarebbero però ridotte da quattro a tre (23, 27 e 38%).
Contestualmente si introdurrebbe per un biennio, per tutti, un’imposta del 15% anche sul reddito “incrementale”, cioè l’aumento rispetto a quello percepito l’anno precedente, e si ridurrebbe l’Imposta sui redditi delle società (Ires) dall’attuale 24 al 20%.
Servono coperture per 22 miliardi
I costi? L’”onere derivante dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente titolo”, si legge nel ddl, è “valutato in 13 miliardi di euro con riferimento alle misure per la famiglia, in 4 miliardi di euro con riferimento all’accorpamento delle ultime tre aliquote dell’Irpef al 38 per cento e in 5 miliardi di euro con riferimento alla revisione dell’Ires”. In totale fa 22 miliardi, che la Lega conta di coprire con un fondo ad hoc alimentato dalle “maggiori entrate, registrate a consuntivo, derivanti dall’aumento del livello di fedeltà fiscale conseguenti alle misure di cui al presente titolo e dall’incremento dell’attività economica conseguente alla riduzione delle aliquote fiscali” da integrare eventualmente – come sempre – a debito.
La tassa piatta per tutti: ci vogliono 38 miliardi
Seguirebbe, nei piani di Siri, la “fase tre”. Quella che conduce alla flat tax per tutte le famiglie e le imprese, proprio come previsto nel programma della Lega. Per farlo, l’aliquota Ires verrebbe portata anch’essa al 15% e per i nuclei famigliari verrebbero eliminati i limiti di reddito in vigore nella fase precedente. Risultato: i costi lieviterebbero a 38 miliardi di euro. Anche in questo caso, per le coperture ci si affida ai proventi legati alla riduzione dell’evasione, tutt’altro che certi soprattutto se venissero applicate le ricette del centrodestra incentrate sull’abolizione del tetto all’uso del contante e dell’obbligo di accettare il pagamento con moneta elettronica.
Per il reddito stanziamento da 8,3 miliardi l’anno
Per il reddito di cittadinanza, istituito nel 2019 dal governo Conte, era prevista inizialmente una spesa di 5,9 miliardi nel 2019, 7,1 nel 2020 e 7,3 nel 2021. La pandemia, impoverendo molte famiglie, ha però fatto lievitare i beneficiari, arrivati a 3,9 milioni di persone. Il governo Draghi con la legge di Bilancio per il 2022, oltre a prevedere modifiche in senso restrittivo pesantemente bocciate dal comitato di valutazione della misura, lo ha rifinanziato con 1 miliardo l’anno fino al 2029, portando lo stanziamento a 8,3 miliardi. Se anche venisse abolito – cosa che peraltro la Lega non propone: chiede che resti per chi non può lavorare e negli altri casi sia tolto alla prima offerta rifiutata – quei soldi non basterebbero nemmeno lontanamente per coprire il buco di gettito aperto dalla flat tax.
(da Il Fatto Quotidiano)

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FLAT TAX, COME E’ ANDATA NEI PAESI CHE HANNO INTRODOTTO LA “TASSA PIATTA”

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

VANTAGGI SOLO PER I RICCHI, PENALIZZATI REDDITI BASSI E GIOVANI, CATEGORIE DELLE QUALI I SOVRANISTI SE NE FOTTONO

Torna la “Flat Tax”, la tassa piatta ad aliquota unica. Quest’estate infilata a forza tra i temi da ombrellone. A riproporla in vista delle elezioni del 25 settembre è il centrodestra, anche se nel programma di coalizione presentato ieri l’introduzione sembra molto limitata (e non è indicata nemmeno l’aliquota, 15 o 23%).
In concreto “Flat tax” può voler dire molto o molto poco, dipende da come la si applica.
Esperienza dice che non sembra essere una mossa risolutiva per risollevare i destini economici di un paese. L’applicazione di un’aliquota unica sui redditi personali, in sostituzione di un sistema fiscale progressivo in cui il prelievo sale proporzionalmente all’aumentare del reddito, significa tendenzialmente premiare chi guadagna di più e penalizzare chi guadagna di meno.
Questo è quello che emerge analizzando le esperienze dei paesi che hanno sperimentato questo tipo di imposizione.
Tra di essi non compare nessuna economia occidentale avanzata, per lo più si tratta di ex paesi del blocco sovietico come l’Ungheria, la stessa Russia o di piccoli stati, non di rado inclusi nelle liste dei paradisi fiscali.
I sostenitori della flat tax ritengono che questa forma di tassazione possa ridurre l’evasione semplificando il sistema, favorire la crescita economica e attrarre investimenti.
Nessuna di queste affermazioni ha però sinora trovato conferme nella realtà.
Sembra illusorio pensare che la flat tax si auto finanzi, riducendo l’evasione e spingendo la crescita economica. Non è mai accaduto.
In generale nei paesi in cui è stata applicata ha prodotto una diminuzione delle entrate.
Tema particolarmente delicato in Italia il cui equilibrio dei conti pubblici è reso precario da un debito elevato e superiore a quello di economie paragonabili (con l’unica eccezione del Giappone). A meno che il gettito, ossia quello che incassa lo stato non resti invariato grazie all’allargamento di base imponibile (cioè voce aggiuntivi nel calcolo dell’imposta) o manovrando soglie di esenzione.
A questo punto si tratterebbe però di una riforma finta, dove verrebbe meno anche l’aspetto di semplificazione.
Si possono in alternativa ridurre le spese, almeno in teoria. Ma molte sono spese obbligate come pensioni o il pagamento degli interessi del debito pubblico.
Abbassare gli stipendi dei dipendenti pubblici pare politicamente impraticabile (oltre che socialmente discutibile). Resta la riduzione delle risorse per servizi erogati come sanità, scuola, etc. Per una famiglia benestante può essere vantaggioso versare meno tasse e pagare scuola e sanità private, lo è molto meno per chi ha redditi bassi.
Qualcuno proporrà di usare i soldi del reddito di cittadinanza. Significherebbe. banalmente, togliere ai poveri per dare ai ricchi. E le somme non bastano. Il reddito di cittadinanza copre appena un quinto del costo della riforma di Salvini.
Una delle (poche) leggi certe dell’economia è che non esistono pasti gratis. Concetto che si può declinare in mille contesti.
Se parliamo di tasse significa che, riformando il sistema fiscale, c’è sempre qualcuno che ci guadagna e qualcuno che ci perde. Oggi in Italia, come in tutte le grandi economie avanzate, vige un sistema di tassazione progressiva.
Ossia più sale il reddito più cresce la quota che viene prelevata dal fisco. Chi guadagna di più è chiamato a contribuire in misura proporzionalmente maggiore rispetto a chi guadagna meno.
Questa progressività è stata fortemente ridotta negli ultimi decenni e oggi l’Irpef (l’imposta sui redditi delle persone fisiche) si compone di appena 4 aliquote che vanno dal 23% al 43%. Nel 1980 l’aliquota più elevata era al 70%, nel 1990 al 50%, nel 2000 al 45%.
Il passaggio alla flat tax la ridurrebbe ulteriormente e drasticamente. Una precisazione. L’aliquota massima riguarda solo la parte di reddito che eccede una determinata soglia di introiti, nel regime attuale i 50mila euro. Per intendersi, chi ha un reddito di 60mila euro subisce un prelievo al 43% non sull’intera somma ma solo sui 10mila euro che eccedono la soglia.
Le simulazioni
Il modello di flat tax al 15% proposto da Salvini significherebbe risparmi di 100 euro al mese per i redditi più bassi ma superiore ai mille euro per quelli più ricchi, con punte fino a 4mila euro per chi ha pensioni d’oro, stipendi manageriali e vitalizi vari.
Per la fascia da 15mila – 28mila euro, si pagherebbero 208 euro in meno di tasse; tra i 28mila e i 50mila euro, fino a 575 euro al mese.
A calcolarlo è il Centro consumatori Italia, che ha analizzato le ricadute della proposta.
Nel 2019, quando il leader della Lega avanzò la stessa proposta, si stimò un ammanco per le casse pubbliche di circa 60 miliardi di euro all’anno. La proposta più morbida di Silvio Berlusconi (tassa unica al 23%) avrebbe un costo di circa 30 miliardi.
Il 23% è però l’attuale aliquota minima dell’Irpef. I benefici della riforma andrebbero insomma quasi esclusivamente a chi guadagna di più. In entrambi i casi dalla riforma nessun beneficio per incapienti, casalinghe, disoccupati, lavoratori precari.
Come intuibile dai dati sulla distribuzione dei redditi per fasce d’età i vantaggi sarebbero soprattutto per i contribuenti con età elevata, a scapito dei più giovani.
Il caso Ungheria
L’Ungheria ha introdotto un’aliquota unica al 15% sui redditi personali tra il 2010 e il 2013 e contestualmente ha unificato, sempre al 15%, il prelievo Iva. Studi recenti mostrano come i vantaggi siano andati a favore della fascia più benestante della popolazione e a danno dei più poveri e del ceto medio.
Tra il 10% più ricco della popolazione, oltre 9 contribuenti su 10 hanno avuto dei vantaggi economici dalla riforma. Nella fascia medio bassa circa l’80% ha invece avuto uno svantaggio.
Come si legge nelle analisi “l’effetto di redistribuzione delle ricchezze è diminuito a danno della solidarietà sociale”. La spinta della riforma sulla crescita economica è stata al di sotto delle attese e trascurabili sono stati i benefici sull’occupazione.
Secondo i dati della Banca Mondiale, dal 2010 al 2017 il 20% più ricco della popolazione è passato dal possedere il 37,7% del reddito totale ungherese al 38,5% (con aumento maggiore per la metà ancora più facoltosa, che è passata dal 23,1% al 23,9%).
Nello stesso periodo il 20% più povero è sceso dall’8,2% al 7,9%. Stando ai dati della Commissione europea è salita la percentuale di lavoratori ungheresi a rischio povertà mentre si sono ridotte le somme statali per scuola e sanità. Di recente anche il Fondo monetario internazionale ha ricordato come l’aumento delle diseguaglianze sia nocivo per la crescita economica.
Il caso Russia
Nel 2001 l’ex Unione sovietica ha introdotto un sistema fiscale incentrato su un’unica aliquota al 13% con un contestuale ampliamento della base imponibile e della no tax area, ossia il livello di reddito fino al quale non si pagano tasse. S
ono seguiti anni di crescita economica ma nessuno è stato in grado di dimostrare un legame tra le due cose, anche perché Mosca beneficiò nel periodo di un forte incremento degli incassi da vendita di idrocarburi. Già nel 2005 il Fondo monetario internazionale aveva studiato l’esperimento russo giungendo alla conclusione che non esistessero prove di un legame tra risultati economici e introduzione della tassa piatta. Certamente la riforma fiscale non ha favorito un’evoluzione del tessuto produttivo russo, sempre più dipendente dalla vendita di materie prime e sempre meno presente nelle produzioni ad alto valore tecnologico.
(da Il Fatto Quotidiano)

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“I LEADER ITALIANI CERCANO LA VETRINA INTERNAZIONALE MA GLI EFFETTI SUGLI ELETTORI SONO TRASCURABILI”

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

IL DIRETTORE SCIENTIFICO IPSOS, ENZO RISSO: “QUANTI SONO GLI ITALIANI CHE GUARDANO LA CNN E CHE SE NE LASCIANO INFLUENZARE? L’IMMAGINE CHE ALL’ESTERO HANNO DEI NOSTRI CANDIDATI PESA POCO O NULLA, SULL’ELETTORATO ITALIANO”

«Mi pare che la discussione risenta di un certo provincialismo tutto italiano. Per cui se una cosa viene detta alla Cnn, in genere è molto più importante di un’affermazione fatta alla Rai. Non è così che funziona».
Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos e docente di teoria e analisi dell’audience alla Sapienza di Roma, com’ è allora che funziona? Meloni accusa Letta di screditare il Paese, dicendo «bugie» su di lei al pubblico Usa.
«Mi pare un giudizio esagerato. Quella di Letta è una valutazione che non influirà sul voto, né sull’immagine dell’Italia all’estero. Se Meloni diventerà premier, dovrà dimostrare che è in grado di guidare il Paese con le sue proposte ».
Perché allora in Italia diamo sempre così tanta importanza a ciò che si dice sui nostri leader all’estero?
«Fa parte di quella dose di provincialismo di cui parlavo prima, la domanda da farsi è: quanti sono gli italiani che guardano la Cnn e che se ne lasciano influenzare, a parte forse i nostri connazionali all’estero?».
Però la guardano gli stranieri. E magari si fanno un’idea del nostro Paese.
«Vero, il motivo per cui i candidati italiani spesso cercano le attenzioni delle grandi reti estere è una forma di accreditamento internazionale. Ma da noi non influisce molto, in termini di voti ».
Quanto, dal suo punto di vista?
«Riassumerei dicendo che l’immagine che all’estero hanno dei nostri candidati pesa poco o nulla, sull’elettorato italiano. Certo, può esistere una quota minoritaria di elettori moderati, informati e attenti a queste tematiche, che potrebbe sentirsi indotta a non scegliere Meloni se su di lei pesasse un giudizio critico a livello internazionale. Parliamo […] dell’uno per cento. Del resto, Berlusconi ha sempre goduto di una popolarità elevata nonostante le critiche dei media stranieri. ».
(da agenzie)

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IN RUSSIA È IN CORSO UNA GUERRA CIVILE: SONO DECINE I CASI DI AGGRESSIONI, OMICIDI E DENUNCE CONTRO CHI SIMPATIZZA PER L’UCRAINA O CHI VIENE SCAMBIATO PER UCRAINO

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

MOGLI CHE LASCIANO I MARITI, GENITORI CHE DENUNCIANO I FIGLI COME “TRADITORI DELLA PATRIA”… SECONDO I SONDAGGI CLANDESTINI META’ DELLA POPOLAZIONE È CONTRARIA ALL’“OPERAZIONE SPECIALE” VOLUTA DA PUTIN MA VIENE SILENZIATA CON LA PROPAGANDA E CON LA VIOLENZA

Viktor Galdobin aveva 49 anni, amava le moto, scriveva poesie, aiutava i cani randagi. Non amava Putin e la sua guerra, argomento sul quale aveva litigato con tutti, colleghi e amici, e perfino con suo padre, un ex poliziotto. È stato ucciso a pugni e calci nella sala biliardo del suo villaggio Bolshaya Martynovka, nei pressi di Rostov-sul-Don.
Gli assassini hanno trasmesso l’esecuzione in diretta su Instagram: si vedono due ragazzi picchiare un uomo che non si difende, e urlare «Gloria all’Ucraina?! Frocio, vaff…, ti piace l’Ucraina?! Prendi, c…!». Si sentono le risate e il grido di una donna «uccidilo, uccidilo, c…».
Il video ha girato nei social del Sud della Russia, ricondiviso e commentato con faccini sorridenti. I due assassini non hanno nascosto i loro nomi e nickname, ma la magistratura sta indagando su un omicidio colposo senza aggravanti: «Nel nostro villaggio non puoi dire che simpatizzi per l’Ucraina, ti ammazzano», ha raccontato un amico di Galdobin al giornale online Vyorstka, che ha rivelato la storia.
Già dopo l’uscita dell’articolo, il club di biker di cui faceva parte Galdobin ha chiesto di non menzionarlo: «Per noi il fatto che uno dei nostri membri fosse un oppositore è un insulto», ha scritto con numerosi errori di ortografia il suo direttore.
La guerra in Ucraina infuria a pochi chilometri da Rostov, ma è in corso anche dall’altra parte del confine. Il 15 agosto, un ufficiale dell’esercito russo ha usato come ultimo argomento in una discussione con un tassista contrario all’invasione una pistola, uccidendolo con quattro colpi a bruciapelo.
Pochi giorni prima, un moscovita ha accoltellato un vicino critico della guerra, per poi consegnarsi alla polizia invocando l’attenuante della «rabbia per gli insulti ai nostri militari».
I casi di aggressioni, botte e denunce contro chi simpatizza per l’Ucraina (o chi viene scambiato per ucraino) sono decine, l’ultimo è di due giorni fa: uno sconosciuto ha teso un agguato all’attivista contro la guerra Mikhail Baranov, gettandogli in faccia un liquido verde. Mikhail era già stato minacciato, e sulla porta del suo appartamento era apparsa la scritta “traditore”.
Ma nel mirino non finiscono soltanto i dissidenti. Un marito moscovita ha denunciato la moglie perché «educa nostra figlia a criticare il presidente». Un intero ufficio di Pushkino ha consegnato alle autorità una collega che «simpatizza per Zelensky e racconta falsità sulle atrocità commesse dai russi contro civili ucraini».
Una classe di liceali ha chiamato la polizia per la professoressa di inglese che criticava la guerra. Una donna ha chiamato la polizia per cercare l’ignoto vicino che aveva dato al suo wi-fi di casa il nome “Gloria all’Ucraina”: lo aveva visto apparire sul suo telefonino, e l’ha considerato una minaccia alla sicurezza del condominio.
Una vecchietta ha attirato l’attenzione su una ragazza che lasciava volantini contro la guerra al supermercato: il guardiano del negozio non le ha prestato ascolto, ma la babushka ha insistito, e la giovane dissidente è ora in carcere e rischia di restarci per 10 anni.
Mogli che lasciano i mariti, genitori che denunciano i figli come «traditori della patria», fratelli che smettono di parlare con le sorelle: il documentario di Andrey Loshak “Legami spezzati” mostra una Russia che torna nella modalità della guerra civile.
Mentre in Europa si discute di come sanzionare i turisti russi senza punire i dissidenti, e l’Ucraina si convince sempre di più che dall’altra parte del confine abitino soltanto complici più o meno espliciti di Putin, in Russia migliaia di persone vengono arrestate e condannate per aver manifestato e protestato contro la guerra.
Lo Stato lancia il segnale: «La violenza verso un altro Paese autorizza anche i cittadini a usare la forza, soprattutto verso i nemici della nazione», spiega a Vyorstka il sociologo Artemiy Vvedensky, che teme un aumento della “disumanizzazione” dei russi.
La repressione poliziesca sta crescendo: l’avventore di un bar crimeano è stato condannato per aver chiesto al DJ di mettere un rap ucraino (mille euro di multa, più 10 giorni di carcere al DJ), e a Omsk un uomo è stato picchiato dalla polizia per aver esibito lo stemma del tridente ucraino.
È il “fascismo putiniano” denunciato dal dissidente solitario Viktor Galdobin, ucciso proprio da quei seguaci del presidente che riteneva «ubriaconi disperati e incattiviti», e che odiava con la stessa intensità con la quale gli ucraini odiano e disprezzano gli “orchi” russi, venuti dalla provincia profonda a uccidere e saccheggiare.
È una guerra che passa su una linea generazionale, ma anche lungo la frattura storica tra popolo ed élite, con la seconda terrorizzata dal primo quanto incapace di dargli una dimensione civile, una parabola raccontata magistralmente in “Cuore di cane” di Mikhail Bulgakov, in una cultura che parla ancora di “popolo” e non di “cittadini”.
Ma mentre l’intellighenzia e la neoborghesia scelgono, per l’ennesima volta nell’ultimo secolo, tra la fuga e il conformismo, sono proprio i rappresentanti del “popolo” a sfidare il pensiero unico putinista: Galdobin era uno scaricatore che abitava in una borgata, e Pavel Filatiev, ex parà di Volgograd, che ha appena messo online “Zov”, una denuncia violenta della brutalità dell’esercito russo in Ucraina, è un “orco”.
Secondo le indiscrezioni che girano in rete, ad opporsi alla guerra sono più della metà dei russi, e non il 15% dei sondaggi ufficiali, ma misurare la protesta latente in una dittatura è impossibile. Non resta che seguire i segnali indiretti di una resistenza nascosta: le scritte che appaiono nella metropolitana e sui muri, l’epidemia di binari danneggiati sotto i treni che portano armi al fronte, e di commissariati militari bruciati, i soldati che si licenziano a centinaia, costringendo il regime a reclutare i detenuti.
Il fronte interno di Putin non sono soltanto i dissidenti “agenti stranieri”, passa anche dal “popolo” del quale si sentiva adorato. Del resto, già Lenin aveva teorizzato che la rivoluzione in Russia si ottiene trasformando «una guerra imperialista in una guerra civile».
(da la Stampa)

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LA PARATA ANTI-MOSCA A KIEV CON I MEZZI MILITARI RUSSI DISTRUTTI

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

“ABBIAMO ROVINATO I PIANI DEL DITTATORE”

L’esibizione è stata organizzata per celebrare la resistenza ucraina contro la Russia, che a febbraio prospettava una vittoria in pochi giorni
Decine di carrarmati e veicoli corazzati russi sono stati schierati lungo Khreshchatyk Street e Maidan Nezalezhnosti.
«I russi finalmente hanno la loro parata militare nel centro di Kiev», twitta Oleskiy Sorokin, giornalista ucraino del The Kyiv Independent. Guardandoli più da vicino, però, si può notare senza troppa difficoltà come questi siano bruciati, alcuni proprio mezzi distrutti.
Sono passati quasi sei mesi da quando il 24 febbraio scorso la Russia di Vladimir Putin ha iniziato l’invasione del territorio ucraino e, come scrive il ministero della Difesa di Kiev: «L‘esibizione di metallo russo arrugginito ricorda a tutti i dittatori come i loro piani possano essere rovinati da una nazione libera e coraggiosa».
Un’esposizione che ricorda come a febbraio le forze armate di Mosca stavano organizzando una parata trionfale nella capitale ucraina, convinti di poter vincere lo scontro armato in pochi giorni.
Il conflitto, invece, prosegue da allora e il prossimo 24 agosto Kiev festeggerà per la 31esima volta il Giorno dell’Indipendenza. Per commemorare la caduta dell’Unione Sovietica quest’anno non ci saranno concerti e festeggiamenti, ma questa mostra del nuovo bottino di guerra.
(da agenzie)

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“NESSUNA PIETA’ PER IL POPOLO UCRAINO”: IL TWEET, POI CANCELLATO, DELL’AMBASCIATORE RUSSO A VIENNA

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

IL MINISTERO DEGLI ESTERI UCRAINO CHIEDE ALL’AUSTRIA DI DICHIARARLO “PERSONA NON GRADITA”… UN CRIMINALE COME I SUOI DATORI DI LAVORO

«Nessuna pietà per il popolo ucraino!». Con questi termini l’ambasciatore russo a Vienna, Mikahil Ulyanov, ha commentato un tweet di Volodymyr Zelensky.
Il presidente ucraino ringraziava gli Stati Uniti per l’invio di un altro pacchetto di aiuti militari dal valore di 775 milioni di dollari. L’ambasciatore russo, che ha poi eliminato il tweet contestato (e che però rimane negli archivi web), è stato accusato di usare «toni da genocidio». Soprattutto da Oleg Nikolenko, portavoce del ministero degli Esteri ucraino: «Chiediamo all’intera comunità diplomatica di Vienna di boicottare Ulyanov e al Paese ospitante, l’Austria, di dichiararlo persona non grata», scrive allegando lo screenshot del tweet.
Sommerso da critiche, Ulyanov ha provato a spiegare come quelle sue parole siano state oggetto di una «interpretazione subdola che non ha nulla a che fare con me e con quello che ho detto». L’ambasciatore, dice, voleva intendere che è Kiev che «non si preoccupa della propria popolazione», rifiutando categoricamente ogni tipo di sforzo diplomatico per porre fine alla guerra.
(da agenzie)

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IL REGNO UNITO AFFONDA NELLA PEGGIORE CRISI ECONOMICA DAL 2008 E “IL PALAZZO DEL POTERE E’ VUOTO”

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

PER IL FINANCIAL TIMES, “LO STATO D’ANIMO NAZIONALE PEGGIORERA’ CON I GIA’ PREVISTI AUMENTI DEL 75% DELLE BOLLETTE”… GLI ECONOMISTI SI ASPETTANO CHE LA GENTE REAGIRA’ SPENDENDO MENO E CHE LA RECESSIONE DURI UN ANNO: LA BREXIT HA RESO IL PAESE PIU’ DEBOLE

C’è un grande malato in Europa e la guarigione non sarà rapida. Le previsioni della Banca d’Inghilterra dicono che il Regno Unito entrerà in recessione nel quarto trimestre di quest’ anno e che sarà probabilmente il più lungo periodo di contrazione dell’economia dalla grande crisi finanziaria globale del 2008 a oggi.
Le statistiche dipingono un quadro che non concede speranze di smentita: in luglio l’inflazione ha superato il 10 per cento per la prima volta in 40 anni, il volume dei consumi è diminuito del 3,4 per cento e nei tre mesi da aprile a giugno il prodotto interno lordo si è ristretto dello 0,1 per cento. Ieri l’indice che riflette la fiducia del consumatore è calato a quota meno 44, il livello più basso da mezzo secolo ovvero da quando si è iniziato a calcolare questo termometro dell’umore popolare.
Il Financial Times predice che a partire dall’autunno lo stato d’animo nazionale peggiorerà ulteriormente con i già previsti aumenti delle bollette per l’energia elettrica, che cresceranno mediamente del 75 per cento, portando entro fine anno l’inflazione al 13 per cento. Gli economisti si aspettano che la gente reagirà spendendo ancora di meno e cercando di risparmiare, due classici atteggiamenti che contribuiscono a spingere un Paese in crisi economica.
Insieme alla crisi energetica, gli scioperi del settore dei trasporti, che in questi giorni stanno paralizzando treni, metropolitana e autobus a Londra, con i sindacati che chiedono salari più alti per affrontare il vertiginoso aumento del costo della vita, trasmettono l’immagine di una nazione in difficoltà.
E tutto questo succede mentre il palazzo del potere è praticamente vuoto: Boris Johnson ha annunciato le dimissioni il 7 luglio scorso dopo avere perso la fiducia dei propri parlamentari, le primarie del partito conservatore riveleranno soltanto il 5 settembre chi è il nuovo primo ministro fra gli ultimi due candidati rimasti in gara, la ministra degli Esteri Liz Truss, ultra favorita dai sondaggi, e l’ex-ministro del Tesoro Rishi Sunak, ma intanto nessuno prende decisioni per cercare di arginare la crisi.
«Non è questo il metodo per scegliere un nuovo leader», commenta il quotidiano della City, sostenendo che una democrazia del G7 non può rimanere due mesi senza una guida politica. Le foto di Johnson in vacanza in Grecia con la famiglia mentre la Gran Bretagna va a fondo ricordano l’orchestrina del Titanic che suona mentre la nave affonda.
Naturalmente la situazione economica suscita preoccupazione anche nel resto d’Europa, ma qui appare più grave. La nazione con la ripresa più forte del continente, l’inflazione più bassa, la minore disoccupazione: questo è stato a lungo il Regno Unito, nel decennio al potere del laburista Tony Blair ma anche negli anni successivi, attraversando con meno danni di altri la tempesta del crash finanziario del 2008.
La Brexit ha sicuramente influenzato il declino: la decisione di uscire dall’Unione Europea, presa con il referendum del 2016, sei anni più tardi risulta un tragico errore. Al quale si sono poi aggiunti altri problemi su cui Londra non ha responsabilità: la pandemia e la guerra in Ucraina.
Gli esperti calcolano che la recessione potrebbe durare circa un anno, come minimo fino all’estate 2023. L’opposizione laburista chiede misure urgenti, e perfino la riconvocazione urgente del parlamento dalle ferie estive, per rispondere all’aumento dei prezzi dell’energia. Ma per ora bisogna aspettare il prossimo premier, nella consapevolezza che se questa per gli inglesi è l’estate dello scontento, l’autunno e l’inverno saranno ancora peggio.
(da la Repubblica)

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LA DENUNCIA DELLA FONDAZIONE NAVALNY: DMITRY MEDVEDEV È IL BENEFICIARIO REALE DI UNA ELEGANTISSIMA PROPRIETÀ IN ITALIA, IN TOSCANA, NEL CHIANTI, UNA FATTORIA E AZIENDA VITIVINICOLA DI 36 ETTARI, DI NOME L’AIOLA

Agosto 20th, 2022 Riccardo Fucile

IL PRESTANOME FU A LUNGO UNO DEI VICEDIRETTORI DI GAZPROMBANK, ILYA ELISEEV… LA PROPRIETÀ È STATA SCHERMATA DIETRO SOCIETÀ OFFSHORE… PERCHÉ UNA SQUADRA DEL FSO – IL SERVIZIO SEGRETO RUSSO INCARICATO DELLA SICUREZZA DEI PRESIDENTI – ERA DI STANZA UFFICIALMENTE LÌ? E PERCHÉ C’ERA UNA NO-FLY ZONE UFFICIALE SOPRA L’AREA?

Secondo la Fondazione di Alexey Navalny, Dmitry Medvedev è il beneficiario reale di una serie di proprietà di lusso a Mosca, San Pietroburgo, Sochi. E una elegantissima proprietà in Italia, in Toscana, nel Chianti, una fattoria e azienda vitivinicola di 36 ettari, di nome L’Aiola. Medvedev negò tutto.
E negò tutto anche il presunto prestanome, che fu a lungo uno dei vicedirettori di Gazprombank, Ilya Eliseev, laureato nella stessa università e nello steso corso di studi di Medvedev, uno dei suoi amici di più lunga data. Eliseev è nel consiglio di sorveglianza di una fondazione di beneficenza, Dar (che vuol dire «Dono»), che possedeva tra l’altro una residenza nella città russa di Ples prima che fosse trasferita a un’altra fondazione.
Eliseev dirige poi un’altra fondazione, che ha tra i suoi beni villa Rublevka, a Mosca, che sarebbe stata donata da uno degli amici più stretti di Putin, Alisher Usmanov, dal 2010.
Usmanov nega e dice invece che la villa fu uno scambio di proprietà avvenuto tra lui e Eliseev. Certo è che il legame tra Eliseev e Medvedev è fortissimo, e ammesso. E anche Usmanov è un grande investitore in Italia, con diverse ville colpite dalle sanzioni e sequestrate dal governo Draghi.
È Eliseev che, con una sua società offshore, ha comprato il vigneto e la tenuta nel Chianti, tra Radda in Chianti e Castelnuovo Berardenga (già del liberale Giovanni Malagodi) e due yacht. Le società è a Cipro (si chiama Dockell Ltd) comprò la tenuta nel 2012 da un’altra società a Cipro, Fursina Ltd. Perché una normale proprietà è stata schermata dietro società offshore?
In un’intervista a Kommersant, Eliseev rispose che un’altra tenuta che secondo Navalny era di Medvedev – nella città di Ples – era invece una sua residenza dove «altri personaggi famosi hanno soggiornato, oltre a Dmitry Medvedev: grandi uomini d’affari, politici, personaggi pubblici di spicco». Insomma: lui ospitava persone di alto rango.
Ma, insistette Navalny, perché una squadra del Fso – il servizio segreto russo incaricato della sicurezza dei presidenti – era di stanza ufficialmente lì? E perché c’era una no-fly zone ufficiale sopra l’area?
«Chiudono il cielo sopra la dacia di ogni vicepresidente della Gazprombank?», domandò Navalny.
E perché agenti russi del Fso dovevano transitare dalla Toscana per ispezionare la residenza di un russo qualunque? Sull’Aiola, Eliseev disse: «Non è solo un vigneto, ci sono anche un piccolo uliveto e una cantina – solo 100 ettari. È un mio investimento puramente privato, che non ha nulla a che fare con le attività dei fondi. Sia chiaro una volta per tutte: i fondi che gestisco non hanno affatto asset esteri e non li ho mai avuti. Ma la mia attività di privato, di imprenditore, si trova in Italia e anche fuori dall’Europa. Oltre alla cantina nel territorio di Aiola, esiste un’antica villa da ristrutturare, che non è stata in alcun modo utilizzata dopo l’acquisto di questa azienda. In generale, è ancora una residenza. Se qualcuno può essere trovato lì, sono i fantasmi del tardo Rinascimento».
Si vantò anche che grazie a questa pubblicità il commercio di vini e distillati de L’Aiola era cresciuto notevolmente e la tenuta era diventata un hub della vendita di Chianti in Russia. L’amministratore della proprietà, Sergei Stupniski, si vedeva una volta al mese da quelle parti, prima dello scoppio della guerra. E è stato anche in contatto con l’ambasciata russa a Roma.
Quale che sia la proprietà effettiva, Medvedev si vantava di conoscere bene l’Italia, soprattutto Silvio a Berlusconi. A giugno si è spinto a scrivere sui social «Mario Draghi non è Silvio Berlusconi. Da molto tempo sono in contatto con leader stranieri e posso constatare quanto il livello dei politici occidentali si sia abbassato». E dire che l’Italia gli piaceva così tanto, una volta.
(da La Stampa)

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