Destra di Popolo.net

“ME NE ANDRÒ SOLAMENTE QUANDO RIPORTERÒ LA LEGA AL 30%”: IL POLTRONISTA SALVINI MINACCIA DI INCATENARSI A VITA DENTRO VIA BELLERIO

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

INTANTO I MILITANTI MORMORANO E RUMOREGGIANO, E L’ALA AUTONOMISTA DEL NORD SI RADUNA INTORNO AL COMITATO DI BOSSI

Resta sugli scudi il confronto tra Matteo Salvini e il territorio del nord, dopo i mal di pancia dei vecchi leghisti, a partire dalla mossa del ‘Comitato Nord’ messo in piedi da Umberto Bossi. Ieri sera il leader della Lega, ospite a Saronno, nel Varesotto, per una iniziativa del partito ha incontrato dirigenti, amministratori locali e militanti.
Nessuno si nasconde – a quanto filtra dal confronto a porte chiuse – che il risultato elettorale della Lega è stato deludente, ma nessuno punta il dito contro il segretario. Anzi. Così, a quanto apprende AdnKronos, lo stesso Salvini ha buon gioco a rivendicare il lavoro fatto, chiarendo che non ci sono ipotesi di passi di lato nel partito: “Troppo comodo – avrebbe detto – fare come fanno altri, c’è chi lascia la segreteria dopo la sconfitta elettorale”, è il ragionamento con implicito riferimento a Letta e al partito democratico.
“Io – avverte – me ne andrò solamente quando riporterò la Lega al 30%”. Ad ascoltarlo anche Attilio Fontana (cui Salvini ha confermato essere il candidato per la Regione) e Giancarlo Giorgetti.
Con il ministro per lo sviluppo economico che avrebbe ripercorso le tappe dell’impegno leghista al governo, spiegando che in ogni caso è stato meglio starci al governo per fare le cose possibili.
Al tavolo e in platea, con i militanti anche il senatore Stefano Candiani e altri dirigenti. Poi il tempo di un battuta da parte di Francesco Speroni, leghista della prima ora e già ministro per le Riforme nel primo governo Berlusconi.
“Che dobbiamo fare con il Comitato di Bossi? Posso firmare anche io?” è la domanda rivolta a Salvini. “Dove c’è la firma di Bossi, subito sotto c’è la mia”, sarebbe stata la risposta del segretario.
A Saronno, prima dell’inizio dell’assemblea, c’è molto nervosismo. I consiglieri regionali e altri figure di primo piano del partito, come il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, evitano i giornalisti. Anche Matteo Salvini, che arriva puntualissimo alle 21, si fa portare in macchina fino al portone ed entra con il telefono incollato all’orecchio. C’è un servizio d’ordine, indottrinato dal segretario cittadino Angelo Veronesi, che controlla tessere e documenti di identità per evitare intrusi. All’ingresso anche i leghisti doc ammettono che il momento è critico.
«Più che incazzati siamo delusi, vogliamo sapere perché a Roma ha fatto certe cose invece che altre. Quando è stato eletto alla guida del partito Matteo ci aveva fatto delle promesse che non ha mantenuto. Credo sia abbastanza intelligente da starci a sentire» dice Marco Leoni, ex segretario di Azzate.
«Senza autonomia non ha senso stare nel governo, ma la Lega è unita» l’opinione di Enrico Puricelli, sindaco di Samarate, il Comune in cui è cresciuto Umberto Bossi. «Siamo andati male al Nord, è vero, ma io sto con la Lega e con Salvini» sostiene Ercole Rossi, ex consigliere comunale di Cislago.
«La Lombardia è la locomotiva dell’Italia e bisogna tornare a parlare di noi. Il progetto nazionale della Lega non ha funzionato» ammette Marco Perin, anche lui di Azzate. Mentre per Giancarlo Frigeri, sindaco di Castiglione Olona, «manca il lavoro di base nelle sezioni. Bisogna dare più spazio ai giovani che meritano, ma da anni non facciamo i congressi. Spero cambi qualcosa perché la batosta c’è stata. È un momento così, va attraversato».
L’incontro vero e proprio si svolge lontano da microfoni e telecamere indiscrete. Hanno tirato pure le tende. Da fuori si sente solo qualcuno che alza la voce e qualche timido applauso quando, con mezz’ ora di ritardo, si presentano uno dopo l’altro Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana.
(da agenzie)

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CON UNA BATTUTA, BRUNO VESPA HA GELATO L’AMBASCIATORE RUSSO IN ITALIA, SERGEI RAZOV, CHE HA DETTO: “IL PRESIDENTE ZELENSKY DICE CHE NON NEGOZIERÀ. BISOGNERÀ ASPETTARE CHE CAMBI IDEE, O CHE L’UCRAINA CAMBI PRESIDENTE”

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

LA REPLICA EPICA DI VESPA: “AVETE PROVATO A FARLO SPARANDOGLI”

Quando i media italiani scrivono di ciò che a Mosca non si può nominare — l’invasione dell’Ucraina, la guerra scatenata da Putin — diffondono «fake news» che per leggerle «bisognerebbe essere costretti da un tribunale».
D’altronde Mosca «non ha annesso nessun territorio ucraino», e il gas che gorgoglia in fondo al mare e non arriva più nelle nostre cucine sono «la Ue e l’Italia a non volerlo più», mica il Cremlino.
È la nenia cantata ieri sera nello studio di Porta a Porta dall’ambasciatore russo Sergey Razov, sempre più imbarazzato a dover contrattaccare con cappa e spada il Paese «in cui vivo da nove anni e che amo moltissimo» (come dargli torto: che splendidi soli, la mattina, da plenipotenziario russo al Gianicolo, nei giardini di villa Abamelek).
È il mestiere del diplomatico. Il mite e sorridente Razov veste ormai da mesi l’abito imposto dal Cremlino. «Il ministro Lavrov ha detto che la Russia non parteciperà a un’escalation della retorica nucleare… Sono solo balle?», lo incalza Bruno Vespa, che lo interrompe e parla il triplo dell’ospite pur di non rischiare la figuraccia di Giletti a Mosca con Zakarova, o la scena muta di Rete4 con Lavrov.
«Non so di quali minacce nucleari russe si parli», replica Razov. «Non abbiamo intenzione di partecipare a questa escalation. Putin ha detto che difenderemo il nostro territorio con tutti i mezzi e le forze a disposizione, e ha ricordato che abbiamo vari tipi di armamenti. Tutto il resto sono speculazioni dei media, parole all’aria».
«Quando è iniziata l’operazione speciale — dice — Putin ha spiegato i motivi di una decisione difficile. La geopolitica è la scelta del male minore». Le chiama così, le stragi di un popolo invaso.
“Ogni giorno sfoglio i principali giornali italiani, fake news è la cosa più leggera che si può dire di quanto viene pubblicato».
Il solito paradosso, l’accusa alla stampa da un Paese che non la consente. Ma la guerra? Gli obiettivi? La trattativa? «La risposta non è nelle mie possibilità», dice.
Però «Putin ha detto che siamo a favore del cessate il fuoco e di sederci a un tavolo. Ma il presidente Zelensky dice che l’Ucraina non negozierà. Bisogna aspettare che cambi idee, o che l’Ucraina cambi presidente». «Avete provato a farlo sparandogli», lo gela Vaspa.
Due battute, per finire: il nuovo governo «sarà il settimo nel mio mandato. La vostra instabilità è il segno della vostra stabilità», sorride Razov. Ma sul gas non sorride più: «Si specula che sia stata la Russia a sabotare il proprio gasdotto: capisco, sotto propaganda, ma non siamo idioti».
(da agenzie)

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LICIA RONZULLI SCATENATA: VUOLE A TUTTI I COSTI UN MINISTERO CON PORTAFOGLIO. NON VUOLE UN CONTENTINO, TIPO IL RUOLO DI CAPOGRUPPO O MINISTERO DI RAPPRESENTANZA

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

IL MOVIMENTISMO DELL’INFERMIERA PRESTATA ALLA POLITICA AGITA ANTONIO TAJANI: SE A SPUNTARLA SARÀ LICIA RONZULLI, TAJANI SE LA PRENDE IN SACCOCCIA

Forza Italia inizia a fibrillare. Più s’avvicina la decisione finale sulla lista dei ministri da presentare a Mattarella (inizio settimana prossima è previsto il vertice del centrodestra), più le ambizioni deflagrano in un appetito cieco e forsennato. Gli “addetti ai livori” raccontano di una Licia Ronzulli scatenata: vuole a tutti i costi un ministero con portafoglio. No al contentino da capogruppo o ministero di rappresentanza (Pari opportunità o Politiche giovanili): pretende una poltrona pesante.
Il suo pressing su Berlusconi è diventato più intenso: non intende restare fuori dalla Corrida. Il suo movimentismo però agita l’altro maresciallo del Cav, Antonio Tajani, che in ambizione non è secondo a nessuno. L’ex monarchico sogna per sé gli Esteri. Si vede già a zompettare su e giù per il globo, circondato da feluche adoranti. Ma a quante poltrone pesanti può ambire Forza Italia? Se a spuntarla sarà Licia Ronzulli, Tajani rischia di prenderla in saccoccia.
L’infermiera prestata alla politica, inoltre, non rientra nelle grazie di Giorgia Meloni. Le due si detestano cordialmente. Qualcuno sostiene – come fa oggi “la Stampa” – che l’ostilità sia legata alla posizione sul Green pass o obbligo vaccinale (favorevole la Ronzulli, meno la Meloni). La ragione è più antica e non strettamente politica.
Quando i rapporti di forza tra Lega e Fratelli d’Italia erano invertiti, Licia Ronzulli spadroneggiava al fianco del suo amico Salvini come una vera zarina.
A quel tempo, il Capitone sembrava lanciato alla conquista dell’Italia, vagheggiando pieni poteri. Giorgia Meloni, agli occhi della Ronzulli, non era che un alleato ingombrante. Ora però le gerarchie sono capovolte
(da agenzie)

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MELONI PER DIRE NO ALLA RONZULLI CHIEDE “SOLO PROFILI DI ALTO LIVELLO” E BERLUSCONI SBOTTA: “ CHIEDE A ME MINISTRI COMPETENTI?”

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

“NELLA SUA LISTA QUANTI NOMI CI SONO CHE HO LANCIATO IO?” … TRADOTTO DAL POLITICHESE: “SE NON CI FOSSERO QUELLI, NON NE AVRESTI NESSUNO”

«Ma davvero chiede a me ministri competenti? Ma nella sua lista quanti nomi ci sono che ho lanciato io?». Silvio Berlusconi è irritato.
Ha accolto con fastidio l’invito di Giorgia Meloni, rivolto agli alleati, a indicare «solo profili di alto livello» per la squadra di governo. Racconta chi frequenta la Real Casa di Arcore che il presidente di Forza Italia ha vissuto quasi come un affronto quell’appello.
Mercoledì sera è sbottato: in corsa per un posto nell’esecutivo o ai vertici del Parlamento, ha fatto notare, ci sono esponenti politici come Fitto, Pera, Santanché, La Russa, Tremonti.
Tutti, peraltro, candidati in FdI: «È gente che ha fatto parte dei miei governi e ora Giorgia pone proprio a me il problema della qualità dei ministri?», il concetto espresso agli ospiti di Villa San Martino.
Fino alla stoccata finale: la stessa Meloni, ha fatto notare il Cavaliere, nel 2008 divenne ministro sì per indicazione di Gianfranco Fini ma solo perché lui, Berlusconi appunto, la reputò all’altezza.
Sono considerazioni che l’ex premier è pronto a consegnare alla futura premier, in un incontro già preventivato ma ancora senza data. Un modo per rafforzare la sua lista di ministri “politici” dalla quale non arretra: fra loro c’è Licia Ronzulli, divenuta il casus belli, perché la leader di FdI non vuole saperne di indicarla per la Salute.
In alternativa Ronzulli potrebbe andare alla Famiglia, in virtù anche del ruolo di presidente della Commissione per l’infanzia e l’adolescenza. Nell’elenco di Fi anche Antonio Tajani (in pole per gli Esteri) e Anna Maria Bernini.
Forza Italia è in difficoltà nei rapporti con Meloni: gli azzurri sono rimasti spiazzati dallo scontro fra la presidente di FdI e Draghi sul Pnrr. Nel merito, come dice il sottosegretario uscente Giorgio Mulé, «è evidente che ci siano ritardi nella spesa, soprattutto al Sud». Dall’altro il partito di Berlusconi intende mantenere il ruolo di garante dei buoni rapporti con Bruxelles e con i Paesi guida dell’Ue. Non sono mancate, in queste ore, le richieste di chiarimento da parte di esponenti del Ppe preoccupati per il rischio di una deriva anti- europeista del prossimo governo italiano.
«Attaccare Draghi non è un buon viatico», l’osservazione ricorrente. Fi, peraltro, è chiamata a essere elemento di equilibrio nella coalizione in un momento in cui sta cercando di superare le lacerazioni interne: una fetta del partito ha contestato al coordinatore Tajani di muoversi in autonomia nella partita del governo con Meloni e Berlusconi ha dovuto far sapere che le trattative le gestisce lui direttamente.
La probabile presidente del Consiglio ieri è rimasta chiusa nei suoi uffici alla Camera, impegnata sui dossier economici ma anche nel Sudoku delle presidenze delle Camere: sempre vivo il derby fra Ignazio La Russa e Roberto Calderoli per il Senato, da cui dipende la soluzione per Montecitorio, con Giancarlo Giorgetti in attesa. Matteo Salvini, ieri in Lombardia, è intenzionato ad aprire il negoziato su basi chiare: vuole che sia l’alleata a spiegargli il no a una sua indicazione per il Viminale e, in alternativa, è pronto a puntare sulle Infrastrutture, ministero da cui dipende la Guardia costiera, dunque buon atout per continuare la sua azione contro gli sbarchi illegali di migranti. «Con Berlusconi e Salvini ci incontreremo presto», afferma Meloni. Non è da eslcudere un incontro a Roma mercoledì.
(da La Repubblica)

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SI SCATENA CONTRO LA MELONI LA RIVOLTA DEGLI ESTREMISTI CHE L’HANNO VOTATA: “SMETTI DI ADULARE L’UE, GLI USA E QUELL’INFAME DEL LEADER UCRAINO”

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

SCATENATI I FOLLOWER SU TWITTER: “DA ‘IO SONO GIORGIA’ A ‘IO SONO DRAGHI BIS’ IL PASSO E’ BREVE”,.. “TI ABBIAMO VOTATO PER DARE UNA SVOLTA CONTRO L’EUROPA MAFIOSA NON PER CONTINUARE A ESSERNE SUCCUBI”

Lei è Giorgia, la sovranista che avverte l’Europa: «La pacchia è finita». Ma lei è anche Giorgia, la futura presidente del Consiglio convertita all’europeismo che ringrazia la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: «Un passo in avanti per far fronte alla crisi energetica». L’incognita di queste ore, e non solo in Italia, è capire quale sia la Giorgia che guiderà il Paese.
Se la responsabile leader che, con l’occhio pragmatico e i polsi tremanti per l’enormità della sfida che l’attende, evita i caroselli che avrebbero portato in strada fiamme e nostalgia. O la premier in pectore che già liquida il predecessore, Mario Draghi, e il suo lavoro su Pnrr e sulle trattative europee su gas, dando eco al vittimismo di chi è preda di una sindrome da assedio perenne. Il fatto è che anche nel suo popolo, oltre al comprensibile entusiasmo del momento, c’è qualche sconcerto.
Quando Meloni, mercoledì sera, ha postato sui social un messaggio di apprezzamento per la lettera di Von der Leyen ai partner europei sulla crisi, le risposte sono state centinaia e con toni durissimi, la maggior parte delle quali arrivano da utenti chiaramente schierati a destra. «Ursula è quella che ci ha minacciato nel caso ti avessimo votato.
Ma non ce l’avete un po’ di autostima?» si legge sotto al post.
Altri ironizzano sul fatto che Enrico Letta o Emma Bonino siano entrati in possesso dell’account della leader che fu sovranista. Mentre c’è chi utilizza gli argomenti che Meloni ha usato spesso per criticarla: «L’Italia deve prendere le sue decisioni come Stato sovrano».
Le rivolte social lasciano il tempo che trovano, ma è chiaro che c’è una parte del popolo di destra che non ha digerito le presunte svolte moderate della sua leader.
Al di là dell’Europa, l’altro tema che una parte dell’elettorato rischia di rifiutare è l’appoggio incondizionato all’Ucraina. Un sondaggio di Quorum/YouTrend ha dimostrato che questa ondata sui social non è un fenomeno virtuale: Fratelli d’Italia, il partito che più di tutti, con il Pd, ha appoggiato le sanzioni alla Russia ha un elettorato che la pensa diversamente: il 55% è contrario e solo il 27% è favorevole. Meloni ne è perfettamente consapevole.
«È la prova che la nostra posizione a favore della Nato non è una scelta di convenienza politica. Anzi. E quindi è sincera», spiegava subito prima delle elezioni Giovanbattista Fazzolari, consigliere fidatissimo della leader e probabile sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. La luna di miele, magari ridotta visti i tempi, fa sì che per il momento la contraddizione resti sotto controllo. Ma quanto durerà?
In realtà, come prova a interpretarla una fonte del partito che la conosce bene, nel doppio registro di Meloni c’è tanta tattica e un po’ di strategia. Ci ha messo poco, pochissimo, la presidente di FdI, a passare da leader dell’opposizione a essere ribattezzata «Draghina», per l’atteggiamento che, stando al suo stesso vocabolario, è parso aderire «all’establishment» e «al mainstream».
Per un giorno, davanti ai suoi commilitoni di partito, Meloni ha ritrovato i toni del salotto tv dove colpiva duro contro il governo. E deve farlo a maggior ragione adesso che dovrà scontentare tanti di loro, come altri dentro la coalizione di centrodestra, delegando a figure tecniche l’architettura del suo esecutivo. Nel partito sono tutti allineati con la leader. Ma non è un mistero che i messaggi rassicuranti verso l’Europa vengano accettati da un’ala di FdI solo se frutto di preciso disegno.
In un partito monolitico, ci sono in realtà delle differenze: la vecchia guardia legata ai temi identitari, i giovani più vicini alla leader, e i dirigenti approdati da altre esperienze.
“I gabbiani” guidati da Fabio Rampelli rappresentano l’anima più vicina alla destra sociale. Gli ex militanti di Colle Oppio rivendicano la paternità delle origini, non solo della destra, ma della stessa Meloni, che Rampelli ha tenuto a battesimo.
Con lui resistono Federico Mollicone, Massimo Milani e Marco Marsilio, attuale presidente dell’Abruzzo. Per trovare le tracce dei messaggi più moderati bisogna cercare nei nuovi arrivati: Raffaele Fitto, famiglia Dc e poi in Forza Italia, percorso simile a quello di Guido Crosetto.
Dietro ai toni più identitari, invece, si riconosce la mano di Fazzolari, che però più di altri sa modulare la tempra delle origini, con il pragmatismo di chi si appresta a governare.
Nella “fiamma magica” ci sono poi i giovani della cosiddetta generazione Atreju (definizione mal digerita dai “vecchi” dirigenti depositari dei riferimenti a Tolkien), come, tra gli altri, Giovanni Donzelli, Augusta Montaruli e Carolina Varchi. Con percentuali modeste, per Meloni è stato relativamente semplice mantenere lo «spirito di comunità» di cui va orgogliosa.
Ora però la massa di voti arrivati e le responsabilità di governo aprono una nuova era. E in molti si chiedono se Meloni da Palazzo Chigi riuscirà a governare da capo partito anche a via della Scrofa.
I precedenti sono pochi, Matteo Renzi è tra questi, e gli eventuali reggenti o persino successori in teoria esistono. Basta leggere le dichiarazioni di questi giorni per trovare gli indizi: «Resto al partito», hanno risposto Francesco Lollobrigida, capogruppo e Giovanni Donzelli.
(da La Stampa)

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IL CASTING MINISTERIALE DELLA MELONI SI STA TRADUCENDO IN UNA LUNGA SEQUELA DI RIFIUTI: PANETTA, FRANCO E SCANNAPIECO HANNO GIÀ DETTO NO, E ANCHE ROBERTO CINGOLANI SI È SFILATO (HA UN’OFFERTA PRIVATA DAL GIAPPONE)

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

ANCHE PER IL PORTAVOCE LA PARTITA SI INGARBUGLIA, DOPO CHE SI SONO SFILATI ANDREA BONINI E GIAN MARCO CHIOCCI – L’UNICA SPERANZA PER DONNA GIORGIA È LA MORAL SUASION DI MATTARELLA

Pare che la ricerca del superministro dell’Economia, del grande tecnico e garante, insomma Fabio Panetta, Daniele Franco o Dario Scannapieco, si sia arenata su una triste sponda, come una vecchia barca: tre ipotetici ministri, tre uomini sicuri, e tre no altrettanto sicuri che forse soltanto Sergio Mattarella potrebbe sciogliere.
Anche Roberto Cingolani non vuole restare al ministero della Transizione ecologica, ha infatti un’offerta nel settore privato, e potrebbe trasferirsi in Giappone.
Così adesso qualcuno ha portato al sesto piano della Camera, nell’ufficio di Giorgia Meloni, lì dove il governo dovrebbe nascere ma stenta, il curriculum di Antonio D’Amato, l’imprenditore, l’ex presidente di Confindustria. Sarebbe un buon ministro dello Sviluppo e della Transizione ecologica, dicono i suoi sostenitori per convincere la leader.
Persino la ricerca del portavoce ha preso l’andatura dello zoppo che corre.
Andrea Bonini, giornalista di Sky, serio ed elegante, ha rifiutato. E ieri alla Camera è stato visto entrare Gian Marco Chiocci, il direttore dell’agenzia AdnKronos, giornalista di destra, che però ha rifiutato pure lui.
Un po’, a Meloni, adesso deve sembrarle di rivivere quei mesi che l’anno scorso precedettero le elezioni comunali a Roma, quando lei, con tenacia e ambizione, aveva in effetti cercato i migliori candidati possibili per fare il sindaco della capitale d’Italia, gli imprenditori, i grandi professionisti, i presidenti delle associazioni di categoria, ma aveva ricevuto soltanto sorrisi e gentili dinieghi. Così, scendendo sempre più di quota, finì con il candidare a sindaco Enrico Michetti. Un simpatico gaffeur.ù
Ma è presto per disperarsi. Non c’è ancora nemmeno l’incarico, e il presidente della Repubblica non è entrato in partita con la sua capacità di persuasione sui riluttanti.
Malgrado appaia innegabile che la nascita del governo non stia scorrendo tranquilla e incanalata come un ruscello di cui osservando la sorgente si possono prevedere con una certa approssimazione il percorso e la lunghezza.
(da il Foglio)

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LA MINISTRA FRANCESE BOONE FA CAPIRE L’ARIA CHE TIRA: “VIGILEREMO SU GIORGIA MELONI”

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

“L’EUROPA LO STA GIA’ FACENDO CON POLONIA E UNGHERIA, STIAMO ATTENTI ALLE REGOLE DELLO STATO DI DIRITTO”

La ministra per gli Affari Europei del governo Borne Laurence Boone in un’intervista a la Repubblica torna a ribadire l’intenzione della Francia di vigilare sul nuovo governo italiano.
Come aveva detto la premier il giorno dopo le elezioni, citando in particolare il diritto all’aborto, Parigi ha intenzione di porre sotto osservazione «il rispetto dei diritti e delle libertà».
Anche se prima premette: «Rispetteremo la scelta democratica degli italiani. L’Europa deve rimanere unita, in particolare nell’affrontare la guerra che la Russia ha dichiarato in Ucraina, con le sanzioni che abbiamo adottato.
Su questo punto, Meloni ha espresso chiaramente il suo sostegno a ciò che l’Europa sta facendo. Dopodiché è chiaro che abbiamo delle divergenze. Saremo molto attenti al rispetto dei valori e delle regole dello Stato di diritto. L’Ue ha già dimostrato di essere vigile nei confronti di altri Paesi come l’Ungheria e la Polonia».
Parigi, l’Italia e l’Europa
La commissione Ue ha proposto di recente il taglio dei fondi all’Ungheria senza riforme sullo stato di diritto. Mentre Orbàn non ha nascosto di sperare che il nuovo governo italiano lo aiuti a togliere le sanzioni alla Russia. Nel colloquio con Anais Ginori Boone prima premette: «non c’è ancora un nuovo governo in Italia, giudicheremo dai fatti. Le norme sullo Stato di diritto si applicano a tutti i 27 membri Ue». Poi però dice che la presidente von der Leyen ha fatto bene a sottolineare il punto nei confronti dell’Italia: «È normale che ci ricordi il diritto europeo, è la custode dei trattati, ed è la nostra base di valori di fronte a paesi come la Russia». Mentre sulla guerra «Kiev deve essere in grado di difendere il proprio territorio».
E se l’Ucraina vincerà contro Putin, questo significa «che sarà l’Ue democratica che avrà trionfato, e che sarà in grado di definire i termini della pace che vuole, che non ci saranno più ingerenze nel continente europeo, né aggressioni da parte di uno Stato con l’attraversamento dei confini e il disastro umanitario in un altro Stato».
(da agenzie)

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L’ULTIMA TROVATA DI SALVINI E’ CREARE UN MINISTERO DELLA NATALITA’ DA AFFIDARE ALLA LEGA

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

FATEGLI ADDOBBARE L’ALBERO DI NATALE A SAN VITTORE, COSI’ PER UNA VOLTA SI RENDE UTILE

La sua corsa verso il Viminale sembra essersi definitivamente interrotta. Lo ha fatto capire, a più riprese, Giorgia Meloni. Lo ha confermato anche la percezione dell’elettorato del centrodestra che ha bocciato in toto l’ipotesi del suo ritorno alla guida del Ministero dell’Interno.
Ma l’eterna rincorsa di Matteo Salvini a un posto nel “paradiso” del governo che sarà guidato dalla leader di Fratelli d’Italia, il leader della Lega continua a regalare perle di inestimabile valore.
L’ultima? Il Ministero della Natalità. E non si è limitato esclusivamente a proporlo e prometterlo, ma ha già indicato che la guida di questo dicastero dovrà esserci un esponente del suo partito.
E davanti agli altri leghisti ha detto: “Per quanto mi riguarda chiederò per la Lega alcuni ministeri come quello per la Famiglia e la Natalità, perché bisogna tornare a mettere al mondo figli senza tanti problemi”.
Non sarà, probabilmente, lui il candidato papabile (per Salvini, infatti, si parla sempre più insistentemente di “Infrastrutture” o, in extrema ratio, Sviluppo Economico), ma qualche altro parlamentare eletto con il Carroccio.
E lo ha detto chiaro e tondo durante l’assemblea della Lega che si è tenuta nella giornata di giovedì a Varese. All’interno della sala comunale Aldo Moro, come spiega Stefano Cappellini sul quotidiano La Repubblica, i partecipanti hanno alzato la voce puntando il dito contro le scelte fatte dal partito nel corso degli ultimi anni: dall’appoggio incondizionato al governo Draghi all’abbandono di vecchie battaglie come quella sull’Autonomia.
E dopo gli interventi al vetriolo di alcuni partecipanti, Matteo Salvini è salito in cattedra. Ha prima rassicurato tutti spiegando che il Ministero degli Affari Regionali finirà nelle mani di un leghista, proprio per risalire in sella al cavallo di battaglia chiamato “Autonomia”. Poi ha parlato del Ministero della Natalità (da accorpare a quello della Famiglia che, dunque, sembra essere destinato a staccarsi da quello delle Pari Opportunità). Mistero sugli obiettivi che si intendono raggiungere con questo nuovo dicastero, visto che le stesse già passano da altri Ministeri già esistenti.
(da NextQuotidiano)

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SONDAGGIO INDEX: NEANCHE GLI ELETTORI DI CENTRODESTRA VOGLIONO SALVINI AL VIMINALE: IL 63,4% DICE NO

Ottobre 7th, 2022 Riccardo Fucile

SOLO IL 30% VUOLE RIVEDERE IL SEQUESTRATORE DI PERSONE AL MINISTERO DEGLI INTERNI

Le sue mire personali sembrano aver cambiato direzione dopo le resistenze di Giorgia Meloni. L’ipotesi di un ritorno di Matteo Salvini al Viminale si fa, di giorno in giorno, sempre più peregrina. Per il leader della Lega, comunque, ci sarà un posto all’interno del governo guidato da Fratelli d’Italia, ma quasi sicuramente non sarà un rientro al Ministero dell’Interno dopo aver guidato quel dicastero durante il governo Conte-1. E anche gli elettori di centrodestra sono contrari alla possibilità di un ritorno al passato.
Il sondaggio realizzato da ProgerIndex Research per PiazzaPulita, La7, mette in evidenza un dato inequivocabile: il 63,4% degli elettori di centrodestra intervistati hanno detto no a un ritorno di Matteo Salvini al Viminale.
E mentre il 6% del campione ha deciso di non rispondere, meno di un terzo dei partecipanti a questa rilevazione si è detto favorevole. Sintomo dei tempi che mostrano un netto cambiamento nella percezione che i cittadini hanno del segretario della Lega.
Un dato non risibile. La campagna elettorale di Matteo Salvini – che ha portato a un crollo di consensi per il Carroccio, anche in una roccaforte come il Veneto – si è basata proprio sulla prospettiva (dopo aver capito di esser stato nettamente superato da Giorgia Meloni nei sondaggi) di un ritorno alla guida del Ministero dell’Interno.
Poi la vittoria alle elezioni, ma solo grazie a Fratelli d’Italia e i primi tentennamenti. Perché proprio dal partito che ha trionfato alle urne è arrivata la prima indicazione (nonostante le smentite di rito): nessuno potrà tornare alla guida di un dicastero in cui è già stato in passato.
Una regola non aurea che, però, toglie dall’impaccio la prossima Presidente del Consiglio. E ora, come si evidenzia dal sondaggio, anche il suo elettorato sembra essere d’accordo.
(da agenzie)

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