Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile UNA RETE “STAY BEHIND” CHE AGISCE SENZA CONSULTARE GLI AMERICANI: CHI C’È AL COMANDO? NESSUNO LO SA
È Stato un attacco di geometrica potenza, che potrebbe imprimere una
svolta all’intero conflitto. Un colpo a triplice effetto propagandistico, politico e militare – inferto al cuore del Cremlino, senza preoccuparsi delle possibili ritorsioni. Anzi, cercando proprio di provocare l’ira di Vladimir Putin.
Non esistono certezze su chi abbia organizzato il raid del ponte di Kerch, ma i sospetti portano alla struttura segreta che ha ucciso Daria Dugina, la giovane figlia dell’ideologo putiniano. Questa rete stay behind ucraina ha dimostrato di sapersi muovere in profondità dietro le linee russe.
Nel raid contro il viadotto però sembra avere raggiunto un livello di ideazione ed esecuzione senza precedenti in Europa.
Hanno portato un camion imbottito di esplosivo sull’infrastruttura più protetta, beffando i poliziotti addetti alle ispezioni. Hanno studiato il punto esatto dove farlo saltare in aria per ottenere i danni maggiori: proprio nel mezzo del viadotto, lontano dai pilastri.
In più c’è l’ipotesi che abbiano sincronizzato la corsa del veicolo con il movimento del convoglio ferroviario carico di carburante. Un blitz del genere richiede menti raffinatissime per coordinare esperti di demolizioni, vedette lungo il percorso, rifugi per uomini e materiali. Inoltre c’è l’elemento assolutamente eccezionale dell’autista morto nell’esplosione. Era un kamikaze? Oppure il guidatore non sapeva di trasportare l’ordigno, innescato da altri incursori con un telecomando?
I danni materiali sono rilevanti. Il traffico automobilistico tra Russia e Crimea è stato dimezzato. Più importanti però le condizioni del viadotto centrale con i binari, dove il rogo è proseguito per ore: le autorità di Mosca confidano di ripararlo in tempi brevi.
Da ieri le difficoltà logistiche per le truppe russe sul fronte sud si sono aggravate. Il quartiere generale di Kiev potrebbe sfruttarle subito e aumentare la spinta verso Melitopol e Mariupol, terminali dell’unica ferrovia attiva: i ventimila soldati asserragliati a Kherson rischiano di restare senza rifornimenti né munizioni.
Questo prova che il ponte di Kerch è un obiettivo di rilevanza militare. Certo, ma è anche un simbolo – il sigillo di cemento all’annessione russa della Crimea – che la Gladio ucraina ha scelto di sfregiare nel giorno del compleanno di Putin. Perchè? Nessuno sa chi sia al comando della rete di sabotatori.
Pochi giorni fa il New York Times ha rivelato che la Casa Bianca non è stata avvisata dagli ucraini dell’attentato contro Daria Dugina: se avesse saputo, non l’avrebbe approvato perché «inutilmente escalatorio». Quindi a Kiev esiste un centro di potere parallelo che agisce senza consultare gli alleati: un’organizzazione così segreta ed efficiente da battere gli 007 di Russia e Stati Uniti.
Ha scatenato l’azione più clamorosa dopo che Biden aveva evocato l’Armageddon: il rischio che Putin usasse un’arma nucleare per non perdere la faccia davanti alle sconfitte sul campo. Il presidente americano ha citato l’unico momento in cui il mondo è arrivato vicino allo scontro atomico: la crisi dei missili di Cuba del 1962.
La vulgata del film “13 days” racconta che Kennedy faceva controllare dai suoi collaboratori i singoli piloti militari mandati in missione sull’isola: temeva che i vertici del Pentagono volessero arrivare a provocare la guerra totale. Oggi però non sappiamo se la campagna di attentati sia guidata dalle istituzioni di Kiev o sia opera delle “uova del drago” seminate in Russia dagli elementi delle brigate Azov.
(da La Repubblica)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile RIASSORBIREBBE ANCHE TUTTE LE DELEGHE SULL’ENERGIA, SVUOTANDO IL MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA
Si lasciano con uno schema di massima, una divisione a quote tra ministeri e presidenze delle Camere, e la sensazione che la partenza di questo governo non potrebbe essere più faticosa.
Poco dopo le tre di pomeriggio si aprono i cancelli della villa di Arcore. Silvio Berlusconi è riuscito ancora una volta a trasformare il suo salotto, in Brianza, nell’epicentro della politica italiana.
È un rito a cui gli alleati, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, non possono sottrarsi. Tanto più che una settimana fa, aveva messo in chiaro che è con lui che bisogna trattare, non con il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani. Il patriarca siede soddisfatto e con l’aria più disponibile del mondo con accanto a sé la compagna e deputata di FI Marta Fascina.
Di fronte, si accomodano Meloni e Ignazio La Russa per Fratelli d’Italia, Salvini e Roberto Calderoli per la Lega. Non è una coincidenza: i leader sono accompagnati dai due principali contendenti per il ruolo di presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, la più ambita.
È il nodo principale da sciogliere prima della formazione del governo. E con molta probabilità non verrà sciolto ufficialmente prima di mercoledì, quando Meloni, Berlusconi e Salvini si incontreranno di nuovo, a Roma, alla vigilia della prima seduta parlamentare della diciannovesima legislatura.
In teoria un passo in avanti è stato fatto. Il partito – probabilmente FI – a cui non andrà nessuna delle due presidenze, sarà risarcito con un ministero in più. Al momento le quote di governo prevedono quattro ministeri agli azzurri e quattro ai leghisti.
La leader è molto preoccupata. Non ne fa mistero: «Ci attendono mesi difficili». Sui conti italiani, sulla tenuta in Europa, sulla guerra, sull’energia e sui prezzi delle bollette, soprattutto. È una sfida gigantesca che le serve anche a giustificare la sua volontà di affidare alcuni dei ministeri chiave a figure tecniche. Sa che gli alleati sono contrari. Salvini lo chiarisce subito dopo il vertice quando ribadisce che la Lega farà solo «nomi all’altezza, di cui – precisa – nessun tecnico».
Solo politici, in grado di rappresentare la forza del centrodestra. Su questo c’è un solido asse con Berlusconi. Sono invece da cinque a sette le poltrone su cui Meloni vorrebbe far sedere gli esperti, «magari di area», sostiene. Tra i nomi su cui punta molto c’è Antonio D’Amato.
Imprenditore napoletano, è stato presidente di Confindustria dal 2000 al 2004. È stato già sondato e ha dato una prima disponibilità, precisando che nel caso accettasse dovrebbe rapidamente affidare a un trust le sue società, per evitare conflitti di interesse.
L’offerta è allettante: per lui Meloni starebbe pensando a un super ministero dello Sviluppo economico che riassorbirebbe tutte le deleghe sull’energia, e la gestione delle grandi aziende controllate del settore, da Eni a Enel e altre.
Di fatto si svuoterebbe il ministero della Transizione ecologica che potrebbe tornare nella formula più classica dell’Ambiente. Non è ancora chiaro se il ministro uscente Roberto Cingolani resterà nelle vesti di commissario all’energia o lascerà del tutto il governo come lui dichiara di voler fare.
Non è più considerabile puramente un tecnico invece Carlo Nordio, ex magistrato, che Meloni vorrebbe alla Giustizia, anche per frenare gli appetiti degli azzurri, di Elisabetta Casellati, che ha chiesto a Berlusconi di vestire i panni del Guardasigilli, e di Francesco Paolo Sisto, già sottosegretario del governo Draghi.
Se per il Senato la spunterà La Russa e non Calderoli, alla Lega – secondo partito di centrodestra – andrà la Camera, dove il più favorito sembra Giancarlo Giorgetti. Ma non è così scontato. Dipende se, all’ultimo, Salvini gli preferirà qualcuno dei suoi fedelissimi. Giorgetti ieri era migliaia di chilometri lontano da Arcore, a Londra.
Ha una fede calcistica particolare, e a suo modo malinconica, il Southampton, che onora quando può. Ma il calcio è una passione molto presente anche nel confronto di Arcore. La Russa è il più agitato, compulsa il cellulare continuamente per vedere come va Sassuolo-Inter. Recupererà la partita solo dopo qualche ora, registrata. Berlusconi è atteso a Monza, all’inaugurazione di un impianto sportivo intitolato al padre. C’è voglia di fare in fretta e almeno di puntellare le prime decisioni. Il vertice dura poco meno di due ore
Gli staff riescono a evitare gli assembramenti dei giornalisti di fronte alla villa, dando notizia dell’incontro a tre solo dopo un’ora dal suo inizio.
Meloni vuole chiarire con gli alleati i risultati delle sue interlocuzioni private. E spiegare che c’è uno scarto tra la realtà e quello che viene percepito. «Non è vero che sono in alto mare» è il senso del suo ragionamento. È vero, però, che non ha ancora un nome certo per l’Economia, e senza quello le altre caselle sono più difficili da riempire. La sensazione della futura premier è che il no di Fabio Panetta non sia definitivo, che qualcosa potrebbe cambiare tra una settimana, quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella darà l’incarico e la trattativa sul governo sarà formalizzata.
A quel punto, la speranza di Meloni è che il capo dello Stato faccia una telefonata all’economista che siede nel board della Bce. Ieri, intanto, a Madrid, è stato annunciato con grande enfasi che questa mattina la presidente di FdI interverrà in collegamento alla festa annuale degli ultranazionalisti di Vox. Il rapporto con l’Europa dipende molto da chi andrà al Tesoro. Ma anche da come la premier gestirà le sue alleanze all’interno dell’Unione.
(da La Stampa)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile “QUELLI CHE SONO CAPACI DI ENTRARE LI RICEVIAMO COME FRATELLI O LI SFRUTTIAMO?”
Oggi, 9 ottobre, Papa Francesco ha celebrato la messa domenicale con il
rito della canonizzazione dei beati Artemide Zatti e Giovanni Battista Scalabrini.
Proprio in onore di quest’ultimo, che ha dedicato gran parte della sua carriera episcopale ai fenomeni migratori, il Pontefice si è soffermato sulla questione dei migranti nel Mar Mediterraneo: «Nel giorno in cui Scalabrini diventa santo, vorrei pensare ai migranti. È scandalosa l’esclusione dei migranti, anzi, è criminale: li fa morire davanti a noi e così oggi abbiamo il Mediterraneo che è il cimitero più grande del mondo. L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale. Non aprire le porte a chi ha bisogno… “No, non li escludiamo, li mandiamo via”… Sì, ai lager, dove sono sfruttati e venduti come schiavi», ha detto il Papa durante l’omelia della messa.
Poi ha concluso: «Fratelli e sorelle oggi pensiamo ai nostri migranti, quelli che muoiono. E quelli che sono capaci di entrare, li riceviamo come fratelli o li sfruttiamo? Lascio la domanda soltanto». §
Una riflessione non casuale. Solo due giorni fa, il 7 ottobre, 15 persone sono morte bruciate a bordo di un barcone, vittime questa volta non del mare, ma delle fiamme.
Secondo le prime ricostruzioni, il barcone era fermo a Sabrata, in Libia, quando è rimasto coinvolto in una disputa tra trafficanti di esseri umani, che lo hanno colpito con alcuni razzi Rpg.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile IL REPORT DEL MINISTERO
Il ministero della Salute ha pubblicato il report annuale sul Certificato di Assistenza al Parto (Cedap) relativo al 2021 e 364 punti nascita in tutta Italia. Il primo dato che emerge è che le donne italiane partoriscono in media a 33 anni. L’88 per cento di loro preferisce le strutture pubbliche e il 62,8 per cento delle nascite si svolge in strutture con alti volumi di attività (sopra i 1000 parti annui).
Ormai quasi tutti i papà, il 95,4 per cento, assistono alla nascita, fatta logicamente eccezione per i parti cesarei. La cui pratica viene definita ancora «eccessiva» nella frequenza, anche se si registrano segni di rallentamento. In 2,9 gravidanze ogni 100, le donne hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita.
I tassi di natalità
Il tasso di natalità varia notevolmente a seconda della regione. Se la media nazionale, infatti, è del 6,8 nati per mille donne in età fertile, scende a 5,2 in Sardegna e sale a 9,7 nella Provincia Autonoma di Bolzano.
Le regioni del Centro presentano tutte un tasso di natalità con valori inferiori alla media nazionale. Mentre tra le regioni del Sud i tassi di natalità più elevati sono quelli di Campania, Calabria e Sicilia, che presentano valori superiori anche alla media nazionale.
La fecondità è in leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti: nel 2021 il numero medio di figli per donna è stato pari a 1,25 (rispetto all’1,46 del 2010). I livelli più elevati di fecondità sono al Nord nelle Province Autonome di Trento e Bolzano e nel Mezzogiorno in Campania e in Sicilia. Le regioni in assoluto meno prolifiche sono invece Sardegna e Molise.
I tassi di mortalità
Il tasso di mortalità infantile, che misura la mortalità nel primo anno di vita, è pari a 2,88 bambini ogni mille nati vivi (nel 2018). Negli ultimi 10 anni questo tasso ha continuato a diminuire su tutto il territorio italiano, ma negli anni più recenti si è assistito a un rallentamento di questo trend decrementale. Permangono, inoltre, notevoli differenze territoriali. Il tasso di mortalità neonatale si riferisce alla mortalità entro il primo mese di vita e contribuisce per oltre il 70% alla mortalità infantile. I decessi nel primo mese di vita sono dovuti principalmente alle condizioni della gravidanza e del parto o a malformazioni congenite del bambino.
Origini e occupazione
Nel 2021, circa il 19,9 per cento dei parti è stato relativo a madri di cittadinanza non italiana. Al Centro-Nord, dove vi è una maggiore presenza straniera, la percentuale sale al 26. In particolare, in Emilia Romagna, Liguria e Marche oltre il 30 per cento delle nascite è riferito a madri straniere.
Le aree geografiche di provenienza più rappresentate sono quelle dell’Africa (28 per cento) e dell’Unione Europea (21,4 per cento). Il 57,7 per cento delle madri lavora, il 25,8 per cento sono casalinghe e il 16,5 per cento sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. Il 51,4 per cento delle donne straniere sono casalinghe a fronte del 64,9 per cento delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile LE INDISCREZIONI RUSSE SUL FUTURO DEL CREMLINO
Fino a qualche tempo fa l’ipotesi era così improbabile da non essere
nemmeno presa in considerazione. La figura di Vladimir Putin, “l’eterno presidente”, era intoccabile.
Ma ora, con la situazione in Ucraina che si fa sempre più complessa, sembra che persino i fedelissimi abbiano iniziato a discutere dell’impensabile eresia: il “dopo Putin”.
«Non è che vogliano rovesciare Putin adesso o stiano complottando — ha riferito una fonte dell’amministrazione presidenziale ad Andrej Pertsev, analista russo del think tank Carnegie Politika — ma c’è la consapevolezza, o il desiderio, che potrebbe non governare il Paese nel prossimo futuro».
Come racconta la Repubblica, Putin si sarebbe dovuto dimettere nel 2024, quando scadrà il suo quarto mandato, ma due anni fa ha promosso una riforma costituzionale che gli permette di restare al potere fino al 2036. E, compiuti 70 anni venerdì scorso, non è scontato che si ricandidi. Potrebbe anzi averlo fatto non per garantirsi il potere a vita, ma per avere il tempo di scegliere accuratamente il suo successore, evitando una battaglia tra i suoi luogotenenti che finirebbe solo per destabilizzare il Paese.
Ma, osserva l’ex autore dei discorsi del presidente russo, Abbas Galljamov, in una lunga dissertazione sulla nuova Operatsija Prejemnik (Operazione Successore) per il media indipendente online Poligon, «il tempo che la storia gli ha concesso per scegliere il suo successore non è infinito.
Più debole sarà nel momento in cui annuncerà il nome, più è probabile che alcuni gruppi dell’élite si rifiuteranno di obbedirgli». Più passa il tempo, più si riducono le probabilità di un trasferimento ordinato del potere e aumentano i rischi di complotti, rivolte o violenze. Gli scenari sono molteplici. E pure i possibili candidati che, secondo Pertsev, seguono due opposte strategie.
I candidati che fanno “rumore”
Da una parte c’è il “rumore”: «I falchi sono guidati dall’assunto che Putin stesso sceglierà il suo successore, perciò lo imitano nel tentativo di vincerne il favore segnalando che ne difenderanno l’eredità».
È il caso del segretario generale del partito di Putin Russa Unita, Andrej Turchak, o del presidente della Duma, Vjacheslav Volodin, ma soprattutto dell’ex presidente e premier Dmitrij Medvedev, oggi numero due del Consiglio di Sicurezza russo.
Si inizia a far notare anche Serghej Kirienko, primo vice capo dell’amministrazione presidenziale incaricato di curare i rapporti con i territori ucraini, che ha moltiplicato le sue apparizioni e può contare su una vasta rete di fedeli tecnocrati.
Il suo tallone d’Achille è la sua totale estraneità al mondo dei “chekisti” o “siloviki”, gli uomini delle forze di sicurezza vicini a Putin, e il suo passato. Iniziò infatti la sua carriera al fianco dell’oppositore Boris Nemtsov e durante la sua parentesi da premier nel 1998 fu costretto a dichiarare il primo default russo.
I candidati del “silenzio”
Ci sono poi quelle figure che hanno scelto di non parlare dell’operazione militare. «Il loro silenzio è un atto politico. Si aspettano che a scegliere il nuovo leader saranno le élite che punteranno a un tecnocrate in grado di conciliare interessi opposti», spiega Pertsev.
Un profilo basso che punta, prima o poi, a ripristinare le relazioni con l’Occidente e Kiev. Si tratta del premier Mikhail Mishustin e del sindaco di Mosca Serghej Sobjanin, considerati in lizza per la successione già prima del 24 febbraio.
Un silenzio non benvisto da Putin, a differenza di quello del suo ex “pretoriano” Aleksej Djumin, considerato da anni il possibile delfino del presidente. Veterano dell’Fso, il Servizio di protezione federale che garantisce la sicurezza del presidente, ed ex viceministro della Difesa, avrebbe guidato le forze speciali durante l’annessione della Crimea, poi sarebbe stato nominato governatore di Tula, nel tentativo di avvicinarlo al popolo.
Gli altri papabili candidati
Anche Galljamov passa al vaglio diversi potenziali successori: il vicepremier Dmitrij Kozak, il ministro dell’Agricoltura e figlio del capo del Consiglio di Sicurezza, Dmitrij Patrushev, Denis Manturov, ex vicepremier, o i liberali Aleksej Kudrin e German Gref.
C’è chi azzarda l’ipotesi, improbabile, di una rivolta dal basso e di un’ascesa al Cremlino dell’oppositore numero uno di Vladimir Putin, Alexei Navalny, o dell’ex oligarca in esilio Mikhail Khodorkovskij. In ogni caso, per il momento la corsa alla successione rimane del tutto ipotetica.
«Putin non ha annunciato l’inizio dei casting e non sta pianificando di lasciare l’incarico. Ma l’interesse mostrato per la corsa dagli esponenti più autorevoli dell’élite, senza menzionare l’entusiasmo dei partecipanti, dimostra che il sistema vuole discutere, e persino vedere, un futuro post-Putin».
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile CARA GIORGIA, HAI VOLUTO LA BICICLETTA (E I COMPAGNI DI MERENDA)? ADESSO PEDALA
Tanti i No sul tavolo della trattativa sempre più complicata per la formazione del nuovo governo. A partire da quelli incassati da Meloni sui tecnici per i ministeri chiave.
E poi quelli che la leader di FdI ha dovuto ribadire agli alleati: lo scontro La Russa-Calderoli sul Senato, il Cav spinge su Licia Ronzulli ed Elisabetta Casellati
Il tempo a disposizione per chiudere la quadra sul prossimo governo è sempre più risicato, mentre aumentano i No che Giorgia Meloni è stata costretta a incassare finora con gli alleati che di certo non le semplificano il lavoro.
Dal vertice di Arcore di ieri 8 ottobre con Matteo Salvini e il padrone di casa Silvio Berlusconi, è proprio il fattore tempo l’unico punto fermo emerso a fronte di un sostanziale stallo sulla scelta dei nomi dei ministri quando all’inizio della legislatura mancano appena quattro giorni. L’urgenza più pressante è innanzitutto la scelta delle presidenze di Camera e Senato, su cui si dovrà cominciare a votare da giovedì 13 ottobre.
E la prospettiva al momento, come ricorda il retroscena de la Repubblica di Tommaso Ciriaco, è di arrivare in aula senza un accordo sui nomi. «Facciamo in fretta – avrebbe detto Meloni – Avete idea di quello che stiamo per affrontare?». A preoccupare la leader FdI sono le troppe rinunce incassate finora e le condizioni inconciliabili proposte da Forza Italia e Lega, mentre l’emergenza energetica incombe con l’inverno alle porte.
Nel salotto di Arcore, Meloni avrebbe ribadito di volere Ignazio La Russa come presidente di palazzo Madama, dove i numeri della maggioranza sono più stretti e l’instabilità dell’aula è cronicamente un problema.
Secondo Il Messaggero, lo schema immaginato dalla leader di FdI prevede che la presidenza della Camera vada a un leghista, probabilmente Riccardo Molinari, ma quasi certamente non Giancarlo Giorgetti.
Quello schema però non sarebbe piaciuto a Salvini, che anche per il Senato rivendica spazio, magari per alzare un po’ il prezzo sulla trattativa dei ministeri. Salvini spinge per Roberto Calderoli, ma l’accordo pare ancora lontano. Un nuovo tentativo sarà fatto lunedì 10 ottobre, con un nuovo vertice a Roma.
Il nodo «Economia»
Altra situazione di stallo sarebbe ancora sui ministeri, in particolare per i dicasteri chiave che Meloni vorrebbe affidare a tecnici di comprovata autorevolezza e competenza.
Pesa ancora il No del banchiere della Bce Fabio Panetta per il ministero dell’Economia, al quale neanche il Quirinale è riuscito a far cambiare idea, come scrive la Repubblica. Restano sul tavolo i nomi di Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli. Pare certo comunque che per quel ruolo ci dovrà andare un tecnico, così come per il ministero degli Esteri.
I No agli alleati
Sempre sul fronte dei No, c’è quello ripetuto da Meloni a Salvini sul Viminale. Anche in quella casella la leader di FdI pensa a un tecnico, con il nome del prefetto di Roma Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto del segretario leghista quando ha guidato l’Interno.
Per Salvini i margini di manovra sono sempre più stretti: per sé potrebbe restare la guida di Agricoltura o Riforme. Ma il leader leghista punta anche a un ruolo da vicepremier. Ipotesi bocciata anche in questo caso da Meloni, che non vorrebbe due vice ingombranti.
Non va meglio la trattativa con Berlusconi, che ancora ieri ha rilanciato il nome di Licia Ronzulli per un ministero tra Salute o Infrastrutture.
Per il Cav sarebbe una condizione «irremovibile», ma Meloni non sembra disposta a cedere se non per un posto di seconda fascia.
Da Forza Italia arriva anche la proposta per il ministero della Giustizia, dove Berlusconi vedrebbe bene l’ex presidente del Senato, Elisabetta Casellati oppure, come riporta il Fatto quotidiano, Francesco Paolo Sisto. Su quel posto però ci sarebbero anche le aspirazioni leghiste, che da tempo avrebbero in mente il nome di Giulia Bongiorno. Ancora uno stallo, così come per il ministero della Difesa, su cui ci sono le ambizioni di Antonio Tajani per Forza Italia e Guido Crosetto per FdI.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile RICOMINCIA L’AVANSPETTACOLO: ABBANDONATA FORZA NUOVA ORA ARRINGA NO VAX E AMICI DEL CRIMINALE DEL CREMLINO
Un anno fa la manifestazione No Vax e No Green Pass convocata in
piazza del Popolo ed egemonizzata dall’estrema destra, terminava in violenti scontri.
Se una parte dei manifestanti si dirigeva verso via del Corso con relativi incidenti andati avanti per ore, un corteo non autorizzato percorreva il Muro Torto e Corso Italia.
Alla testa si trovavano i vertici del movimento neofascista Forza Nuova, Incredibilmente la Digos garantisce la manifestazione, credendo a un defluire tranquillo del serpentone lontano dalla zona del parlamento, e quando gli estremisti di destra arrivano di fronte alla sede nazionale della Cgil in Corso Italia indisturbati guidano l’assalto squadrista.
Per le violenze di quel giorno contro la sede del sindacato diversi sono stati i neofascisti e gli esponenti No Vax arrestati, tra cui i leader di Forza Nuova Roberto Fiore e Giuliano Castellino, che hanno scontato un lungo periodo di detenzione in carcere e oggi sono ancora sottoposti a misure cautelari seppure a piede libero.
Ieri la Cgil ha promosso una grande mobilitazione con corteo, rilanciando la propria piattaforma sociale e sindacale ma anche per ricordare l’assalto al sindacato e la mobilitazione democratica che seguì. Oggi nella sede di Corso Italia un nuovo momento di mobilitazione, con un convegno sulle ragioni dell’antifascismo oggi.§
Proprio mentre si svolge la mobilitazione sindacale, a poche centinaia di metri in via Sallustiana, si riorganizzano gli stessi squadristi che guidarono l’assalto.
È Giuliano Castellino, che ha divorziato dal suo ex capo Roberto Fiore e che oggi pretende di guidare il “Fronte del Dissenso”, che ha organizzato due giorni di manifestazione al chiuso di una sala. Tra gli altri hanno preso la parola Diego Fusaro, Carlo Taormina, Alessandro Meluzzi e l’ex magistrato Angelo Giorgianni.§
Castellino promuove una due giorni fortemente filo Putin (si è tatuato anche una “Z” simbolo dell’invasione sul braccio), e che ha i suoi punti di riferimento nella destra cattolica anti Bergoglio e un modello nella destra complottista filo Trump.
Per questo Castellino sta riorganizzando le sue fila lontano da Roberto Fiore, per scrollarsi di dosso l’etichetta del fascismo e dire le stesse cose di prima con lo slogan della lotta alla dittatura sanitaria e al globalismo.
Dopo l’assalto di un anno fa forze politiche e parlamento avevano discusso della necessità di sciogliere le organizzazioni neofasciste. Non solo non è successo, ma oggi gli stessi squadristi provano a riorganizzarsi con l’appoggio di personaggi in cerca d’autore come Giorgianni e Taormina e qualche personaggio televisivo di seconda fascia come Meluzzi e Fusaro.
(da NextQuotidiano)
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