Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile IL CAPO DEL CREMLINO HA MANDATO IN TV IL GENERALE SERGEY SUROVIKIN A CERCARE DI GIUSTIFICARE IL DISASTRO DELL“OPERAZIONE MILITARE SPECIALE”… ORMAI VUOLE SCARICARE LE RESPONSABILITÀ DEL FALLIMENTO SUI SOTTOPOSTI, SPERANDO DI MANTENERE IL POTERE
Contrariamente al vecchio teorema che la vittoria ha sempre molti padri, Vladimir Putin normalmente non vuole condividere i suoi meriti con nessuno. Quando il padrone del Cremlino inizia a delegare e distribuire responsabilità è quasi sempre segno di una situazione che considera spiacevole, e dalla quale vorrebbe allontanarsi fino a rendersi quasi invisibile.
Quando, qualche giorno fa, sui teleschermi russi è apparso il generale Sergey Surovikin, per spiegare le ragioni e le prospettive della «operazione militare speciale» russa in Ucraina, molti cremlinologi avevano sospettato di stare guardando il volto di pietra del prossimo Bonaparte russo, forse addirittura del vero «delfino» di Putin, destinato a venire premiato in caso di successo della guerra con il trono.
Ora, che il presidente russo ha annunciato una sorta di mobilitazione delle strutture statali russe, creando due superorganismi governativi che si occuperanno della guerra – il Comitato di coordinamento guidato dal premier Mikhail Mishustin e la commissione del Consiglio di Stato per coordinare i governatori delle regioni presieduta dal sindaco di Mosca Sergey Sobyanin – sembra farsi strada l’ipotesi opposta: sono in arrivo «decisioni difficili» annunciate da Surovikin, e Putin vorrebbe per quanto possibile condividerne il peso con i suoi sottoposti.
La «verticale di potere», costruita con tanta tenacia per più di 23 anni di regno, si trasforma in una «orizzontale» che dovrebbe nelle intenzioni parare il colpo del doppio disastro, quello militare al fronte e quello politico per la chiamata alle armi dei russi, dissipando lo scontento dal centro del sistema.
Era già successo con la pandemia di Covid-19, quando il padrone del Cremlino – dopo aver cercato fino all’ultimo di ignorare la gravità dell’emergenza, che intralciava i suoi piani per il «referendum» sui suoi nuovi mandati presidenziali – aveva delegato le spiacevoli e dispendiose decisioni sui lockdown e sugli aiuti a famiglie e imprese alle regioni, dopo avere ridotto l’autonomia del federalismo per due decenni.
L’«operazione militare speciale» è finita, Mosca ammette infine che si tratta di una guerra, che dopo la mobilitazione – con almeno 300 mila coscritti già in corso di arruolamento, e un milione di maschi russi cui è stato vietato l’espatrio in attesa di trasformarli in carne da cannone – non è più uno show televisivo, ma una realtà che riguarda tutti.
Inclusa quella struttura dello Stato che finora aveva cercato di fare finta di continuare il proprio funzionamento come se nulla fosse, ignorando la guerra in una indifferenza che in tempi di nazionalismo militante diventava quasi una manifestazione di dissenso. Ora il premier e il sindaco – due pesi massimi della politica federale, per quanto non troppo popolari presso l’elettorato – non potranno più apparire come il «volto buono» del regime.
La Russia è in guerra, e anche le regioni dove la legge marziale o la «allerta media» non sono stati dichiarati rischiano ora misure emergenziali come limitazioni alla libertà di movimento, mentre l’economia viene «mobilitata» per i bisogni dell’esercito, come all’epoca dell’Unione Sovietica. L’agenda che il partito della guerra aveva iniziato a promuovere dopo il successo della controffensiva ucraina a Kharkiv continua a venire implementata da Putin punto dopo punto, ma paradossalmente proprio i falchi potrebbero essere scontenti del risultato: Mishustin e Sobyanin sono dei «tecnici» che piacciono ai moderati, e la loro entrata in campo potrebbe creare nuovi concorrenti in quella gara per la successione a Putin che ormai è chiaramente in corso.
Un altro segnale delle faide interne al Cremlino è stata l’interruzione della trasmissione televisiva della seduta del Consiglio di sicurezza russo appena il presidente ha passato la parola a Dmitry Medvedev, l’ex premier relativamente moderato riemerso negli ultimi mesi come il portavoce dei falchi più aggressivi.
Invece, una finestra mediatica è stata concessa a Nikolay Patrushev, l’ex capo dell’Fsb che oggi viene considerato da alcuni osservatori moscoviti come relativamente realista (o che almeno vuole apparire tale, che è comunque un segnale interessante), e che ha dedicato il suo intervento all’irrigidimento delle politiche migratorie, forse un’ulteriore regalo ai nazionalisti o forse una minaccia velata agli ucraini che abitano in Russia.
Anche la nuova autonomia dei governatori, che dovranno decidere quali misure emergenziali applicare nelle loro regioni, è un’arma a doppio taglio: da un lato, si tratta di un premio (le autorità locali nelle zone di legge marziale potranno sequestrare a loro discrezione beni e mezzi ai cittadini per i bisogni militari) che dovrebbe stimolarli a reprimere le proteste locali, dall’altro significa concedere più potere ai civili, violando gli equilibri di un sistema dominato da militari, polizia e servizi segreti.
La legge marziale fa a pezzi gli ultimi brandelli di democrazia in Russia, vietando manifestazioni, scioperi e proteste, e legalizzando censure, arresti, deportazioni e sequestri, ma si tratta semmai di un riconoscimento sulla carta di quella che era già una dittatura militare di fatto. Ora però, per sopravvivere e tentare di rilanciare, Putin ha bisogno di offrire anche degli incentivi – se non ai cittadini inviati in trincea, almeno alla sua nomenclatura, che non gradirà la trasformazione in capro espiatorio di una guerra fallimentare.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile “DALLA MELONI TROPPA RIGIDITÀ, COME SE NON SI VOLESSE APRIRE UN CONFRONTO”
Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia ed ex sottosegretario alla Difesa, è
stato eletto vicepresidente della Camera.
Come giudica le dichiarazioni di Berlusconi su Putin?
«Il presidente ha fatto discorso di quasi un’ora nel quale ha riannodato i fili di un rapporto ventennale con Putin. Poi tutto è stato raccontato attraverso audio rubati e spezzettati, diffusi qui e là. Il problema è che manca la sostanza di quel discorso».
E quale sarebbe?
«Si tiene tutto con un finale: farò di tutto pur di riavvicinare la Russia all’Occidente. Il presidente ci ha detto: “Se io fossi riuscito a far entrare la Russia nella Nato, sarei potuto morire in pace”. Berlusconi non accetta la logica della guerra. Io sono stato sottosegretario alla Difesa e mai sono stato sollecitato da Berlusconi su questo».
Il governo potrà partire nelle prossime ore?
«Sono sicuro di sì. Ma non si deve chiudere in qualsiasi modo, bisogna farlo bene. La rigidità si deve trasformare in capacità di dialogo».
La situazione è molto tesa nel centrodestra.
«Questa fase è come una volata nel ciclismo. Si sgomita, ci sono magari delle scorrettezze: ma l’obiettivo è comune, tagliare il traguardo insieme».
I colpi bassi sono molti?
«Si consumano riti della politica che nel passato restavano privati: qui abbiamo fogli zoommati, audio rubati».
Per Forza Italia qual è l’obiettivo?
«Pari dignità con la Lega. E riconoscimento della storia del partito, che su alcuni temi, come Giustizia e Sviluppo economico, fonda la sua esistenza».
Cosa c’è che non va nell’atteggiamento di Giorgia Meloni?
«Viene avvertita troppa rigidità, come se non si volesse aprire un confronto. Berlusconi si faceva concavo e convesso, una qualità che un leader di coalizione deve avere. La verità è una: senza Forza Italia il governo non vive».
Temete che Forza Italia possa essere sostituita da altri?
«No. Nascerebbe un minotauro. Una creatura mostruosa della quale gli elettori sarebbero terrorizzati».
Teme che qualcuno stia pensando a questo mostro?
«Lo escludo. Ma quando scende in campo una pattuglia di cosiddetti responsabili, come nell’elezione di Ignazio La Russa, si dà un’idea sbagliata. Ha fatto bene, allora, FdI a dire che questa maggioranza è l’unica possibile. Altrimenti saremmo piccoli Conte, degli accattoni di parlamentari che si aggregano pur di fare un governo».
Al Senato, nel voto per la presidenza, la vostra strategia è stata sbagliata?
«Siamo stati ingenui. Non abbiamo calcolato che sarebbe arrivato il “soccorso rosso”».
Chi lo ha organizzato?
«Qualcuno nel centrodestra avrà incontrato questi stregoni, accettandone le offerte…».
Forza Italia è spaccata?
«Non ci sono correnti, ma al più ambizioni personali. Una cosa è certa: Berlusconi resterà il leader e quindi supererà delle divergenze in fondo normali in questa fase».
Antonio Tajani sarà ministro degli Esteri, vicepremier e capodelegazione: resterà anche coordinatore del partito?
«Maciste poteva sopportare molti pesi, ma fino a un certo punto. Antonio ha capacità straordinarie e sarà lui stesso, se ritiene di non poter sopportare questo peso, a porre il problema a Berlusconi».
Al suo posto può andare Licia Ronzulli?
«Licia è stata immolata sull’altare di una demonizzazione e strumentalizzazione interessata nel centrodestra, ma anche in Forza Italia. Ha grande visione e capacità organizzativa. Ma il faro che indicherà la soluzione rimane Berlusconi».
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile È PROBABILE CHE MATTARELLA PRETENDA UN’ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ. SE QUALCHE INTERLOCUTORE DEL CENTRODESTRA NON SI RIVELASSE RASSICURANTE, POTREBBE PROPORRE UN ALTRO GIRO DI CONSULTAZIONI
Non sarà un passaggio formale, se mai lo è stato, il gran consulto che comincia oggi al Quirinale per dare un nuovo esecutivo e stabilità al Paese. Stavolta, il ruolo del presidente della Repubblica potrebbe sfociare in una dimensione più penetrante del solito. Infatti, Sergio Mattarella vorrà vederci chiaro dopo gli ultimi giorni di alta tensione, durante i quali i partiti della maggioranza uscita vincitrice dalle urne si sono sfidati e intossicati fra loro, con ultimatum, polemiche e rilanci. «Un clima da crisi di governo prima ancora che un governo si sia insediato», è stato detto, evocando un paradosso.
Ora, poiché anche sul Colle non si può declassare al rango di banale pretattica quel che è andato in scena, è molto probabile che il padrone di casa pretenda una precisa assunzione di responsabilità, dai leader del centrodestra che busseranno alla porta del suo studio domattina.
Dovrebbero presentarsi uniti. E rispondere senza ambiguità alle poche domande che Mattarella rivolgerà loro, come sempre in chiave maieutica. Perché è appunto a loro che compete trovare dentro di sé, per poi motivarla, la scelta dell’alleanza, pronunciando infine il nome del candidato premier. In questa fase del confronto è lecito attendersi che Giorgia Meloni – la quale sta dimostrando una buona dose di scaltrezza politica – li chiami in causa a uno a uno, vincolando la loro parola data davanti a un supertestimone come il capo dello Stato.
Una forma di coinvolgimento che dovrebbe tutelarla da deragliamenti in extremis, magari per qualche irrisolta contesa sui ministeri da assegnare. Certo, se qualche interlocutore del centrodestra non si rivelasse abbastanza rassicurante, quanto a risolutezza, il presidente della Repubblica potrebbe proporre un giro supplementare. Ma è proprio ciò che al Quirinale si vorrebbe evitare, date le urgenze plurime che ci assediano.
Lassù – dove nessuno si sogna di essere coinvolto in negoziati politici di piccolo cabotaggio – si ha per esempio a cuore l’adempimento delle scadenze per il Pnrr e la legge di Bilancio. Oltre a una conferma della coerenza italiana accanto alla Unione europea e alla Nato, nella spinosa prova di forza della guerra in Ucraina. E su questo Mattarella, che a norma di Costituzione è anche garante dei Trattati internazionali dell’Italia, si è espresso molte volte e non ammette tentennamenti.
Non c’è dunque tempo da perdere. Il che fa pensare che Giorgia Meloni possa ricevere l’incarico già nella serata di domani o, al più tardi, sabato mattina. Starà poi a lei, perfezionata la lista dei ministri, risalire sul Colle sciogliendo la riserva. Questione di poche ore, così da permettere il giuramento dell’esecutivo tra domenica e lunedì, con voto di fiducia alla Camera già martedì e replica mercoledì al Senato.
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile DA FRATELLI D’ITALIA PRETENDONO CHE IL FORZISTA SI DISSOCI “IN MODO INEQUIVOCABILE” DALLE POSIZIONI DEL CAV, MA E’ ANCHE L’UNICO SU CUI LA MELONI PUO’ FARE AFFIDAMENTO IN FORZA ITALIA
Solo che poi, sotto garanzia di anonimato, altri fedelissimi di Donna Giorgia
riflettono che no, “non è affatto scontato che possa restare il candidato d’obbligo per la Farnesina”. Di più: “E’ morto”. E il paradosso è che a ucciderlo sarebbe stato, con chissà quale grado di inconsapevolezza, lo stesso Silvio Berlusconi che lo ha voluto ai vertici del partito.
“Le dichiarazioni del Cav. su Putin e Zelensky? Mi riservo di non commentarle, che è meglio”, sbuffa Giulio Terzi di Sant’ Agata, l’ambasciatore eletto al Senato con FdI. Adolfo Urso, che già studia da ministro della Difesa, se la cava così: “Come presidente ancora in carica del Copasir, ho il vantaggio di dover esimermi dal rilasciare interviste su questioni diplomatiche”.
E Tajani? Compare in Transatlantico a ora di pranzo. La riunione del gruppo di FI ha appena ratificato la scelta di promuovere Giorgio Mulè vicepresidente di Montecitorio: dopo la sostituzione di Paolo Barelli con Alessandro Cattaneo, è un altro colpo di Licia Ronzulli, un altro sfregio che la favorita di Arcore fa a quello che è stato fino a qualche settimana fa il suo più fido compagno di brigata. Lui reagisce da uomo di mondo, qual è. Dissimula serafica indifferenza al tumultuoso complicarsi degli eventi.
Prima di arrivare alla Camera è stato ricevuto con tutti gli onori dall’ambasciata israeliana a Roma: incontro cordiale, foto di rito, l’accoglienza che si riserva agli amici veri. “Non commento né totoministri né audio estrapolati”, si schermisce. “Antonio deve solo aspettare che si deposito questo polverone assurdo”, dice Barelli.
E però a metà pomeriggio, la polvere turna a turbinare. Il nuovo audio, la nuova esibizione di fervore putiniano del Cav., quella ricostruzione della guerra, anzi dell'”operazione speciale” dell'”amico Vlad” che è la stessa dei falchi del Cremlino, mette di nuovo a rischio le ambizioni da ministro degli Esteri di Tajani. Che con Meloni si sente, e prova a rassicurarla come può. Ma lo zelo nel rimediare rivela in modo ancor più lampante il disagio.
Eccolo che twitta per festeggiare l’assegnazione del premio Sacharov da parte del parlamento europeo al popolo ucraino, con tanto di foto di Zelensky: lo stesso che Berlusconi descrive come un manigoldo sanguinario. “Domani sarò al Summit del Ppe per confermare la posizione europeista, filo atlantica e di pieno sostegno all’Ucraina mia e di FI”, ribadisce lui, che il Parlamento europeo lo ha presieduto, e con merito.
Solo che nel frattempo, dagli “amici popolari”, arrivano bordate terribili. Gli estoni: “E’ ora che il veterano si ritiri per non dire sciocchezze nella sua demenza. Elogiare Putin è un atto criminale”. I polacchi: “Farebbe bene a rimandare indietro la vodka. Putin è un criminale di guerra”.
Il capogruppo Cattaneo, che proprio dieci giorni fa è andato a conoscere i vertici dell’Ambasciata americana col suo collega Matteo Perego, dispensa cautela: “Appena il governo parte, tutto questo rumore di fondo si dissolverà”. E però, appunto, il governo va fatto partire.
§E Tajani, per la Meloni, era l’alleato in più per puntellare la maggioranza: era lui il riferimento obbligato, forse perfino esclusivo, dentro FI. E del resto, dettaglio non secondario, era stato proprio lui a innescare quella sgangherata sequela di accidenti che ha poi portato alle elezioni. Fu lui, ricevuto a Palazzo Chigi insieme a Matteo Salvini, a usare i toni perentori con Mario Draghi. Era il 19 luglio: “La tua malafede nei nostri confronti, caro presidente, non è mai stata in discussione. Ma per andare avanti vogliamo la garanzia che si voterà a marzo, e non a maggio, del 2023”.
Al che Draghi un po’ si risentì: “Ma come vi permettete di chiedermi questo? Parlatene col Capo dello stato, semmai”. Finì come si sa.
E la Meloni gli fu, e gli resta, debitrice anche per questo. Ora rinunciare a lui, farlo fuori dal governo, o anche solo declassarlo – magari spostandolo dalla Farnesina al Mise, come perfidamente suggerivano i fedelissimi della Ronzulli, giorni fa, “per metterlo a gestire le crisi industriali e il caro bollette” – sarebbe, più che un affronto a un amico, sarebbe un dispetto a se stessa. Perché senza la sponda di Tajani, Meloni perde un appiglio forse fondamentale.
“Lui non è in discussione”, dicono da FdI. “Ma pretendiamo che si dissoci in modo inequivocabile dal Cav.”. Deve perdere la faccia, dunque, per non perdere la Farnesina?
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile IL VICEPRESIDENTE PPE, PAULO RANGEL: “LE PAROLE DI BERLUSCONI SONO TRISTI PER GLI EUROPEI CHE SOFFRONO PER LA TIRANNIA DI PUTIN”
“Non ci stancheremo mai di dire che Putin è un criminale di guerra”. Le parole di Manfred Weber sconfessano Silvio Berlusconi e il suo “riavvicinamento” con il leader russo, con tanto di scambio di vodka e lambrusco. “La Russia ha attaccato nuovamente Kiev con quasi trenta droni, uccidendo innocenti, tra cui una donna incinta”, sottolinea il capogruppo del Ppe, di cui fa parte Forza Italia.
“Non passa giorno senza che Putin e il suo regime diano notizie terribili e menzogne” prosegue Weber, intervenendo nella plenaria di Strasburgo, dove il dibattito ha anche toccato le dichiarazioni del Cavaliere. “Putin deve perdere e l’Europa non smetterà mai di sostenere l’Ucraina. Mai. Questo messaggio ci unisce” aggiunge Weber, sancendo di fatto l’esclusione di Berlusconi dalla linea della destra europea di cui fa parte Forza Italia.
Le reazioni nel Ppe
La famiglia del Ppe deve correre ai ripari davanti alle nuove, imbarazzanti dichiarazioni che arrivano da Roma, aggravate dal nuovo attacco a Zelensky diffuso ieri attraverso un nuovo audio. “Penso che le parole di Berlusconi siano tristi per tutti gli europei che soffrono per la tirannia di Putin”, commenta il vicepresidente dell’eurogruppo, il portoghese Paulo Rangel, che però le ridimensiona a “opinioni personali” e si appella al “ruolo di garanzia” svolto da Antonio Tajani.
D’altro avviso è un altro deputato del gruppo, l’estone Riho Terras, secondo il quale “è ora che il veterano della politica Berlusconi si ritiri”. Il parlamentare polacco Andrzej Halicki è ancora più netto e lancia un invito al Cavaliere: “Rimandi la vodka a Putin che è un criminale di guerra e non un amico”.
Il dono di una ventina di bottiglie arrivate da Mosca potrebbero anche, secondo la Commissione, comportare una violazione delle sanzioni che si applicano all’import di beni russi. “Nel quinto pacchetto di sanzioni abbiamo deciso di estendere il bando all’importazione di alcool, che include la vodka” ha spiegato la portavoce Arianna Podestà. “Chiaramente l’implementazione delle sanzioni è responsabilità degli Stati membri e la Commissione lavora con loro in tale implementazione”.
Nello scrutare la tormentata formazione del nuovo governo italiano, con il filo putinismo degli alleati di Giorgia Meloni sempre più scoperto, da Bruxelles viene ribadita la linea della Commisione: piena condanna dell’aggressione illegale dell’Ucraina. “Gli Stati membri sono liberi di condurre contatti bilaterali come ritengono opportuno, rispettando però sempre la posizione politica dell’Ue e tra queste c’è il rispetto del diritto internazionale” conclude la portavoce.
Anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ricorda: “La posizione dell’Ue è chiara: sosteniamo l’Ucraina, condanniamo la Russia e non accettiamo una guerra ingiustificata”. Mentre la capogruppo dei socialisti e democratici europei, Iratxe Garcia Perez, esorta il Ppe a tagliare i legami “con gli amici di Putin, che violano i diritti umani e promuovono movimenti anti-sistema in Europa”, la tensione è palpabile nella destra europea.
L’amicizia rivendicata del Cavaliere per il leader russo diventa sempre più imbarazzante per i vertici del Ppe. E non è un caso che nel giorno in cui si scopre un attacco di Berlusconi a Zelensky, il premio Sakharov sia stato attribuito dal parlamento dell’Ue al popolo ucraino e al leader di Kiev che dal 24 febbraio fronteggia l’aggressione russa. Una decisione annunciata dalla presidente del parlamento Roberta Metsola, dopo la conferenza dei presidenti dei gruppi in cui ha pesato il voto della destra europea decisa a respingere qualsiasi ambiguità nei confronti di Mosca.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile ALL’EPOCA SICLARI ERA PARLAMENTARE E SI RIFUGIÒ SOTTO L’OMBRELLO DELL’IMMUNITÀ MA ORA, VISTO CHE NON È STATO RICANDIDATO, SONO SCATTATI I DOMICILIARI
È stata eseguita a Roma l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti
dell’ex senatore di Forza Italia Marco Siclari, condannato in primo grado a 5 anni e 4 mesi per scambio elettorale politico mafioso nell’ambito del processo “Eyphemos” nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte e Sinopoli.
Il provvedimento non era stato eseguito nel febbraio 2020, quando scattò il blitz della squadra mobile, perché Siclari era parlamentare e la Giunta per le autorizzazioni a procedere non aveva mai deciso se accogliere la richiesta della Procura reggina guidata da Giovanni Bombardieri. Nel frattempo, il gup Maria Rosa Barbieri il 28 settembre 2021 ha emesso la sentenza di primo grado al termine del processo celebrato con il rito ordinario per cui Marco Siclari è stato condannato poiché avrebbe accettato, in occasione delle politiche del 2018, la promessa di voti dalla ‘ndrangheta.
In sostanza, per i pm, l’esponente di Forza Italia “accettava – è scritto nell’ordinanza – a mezzo dell’intermediario Giuseppe Antonio Galletta, la promessa di procurare voti da parte di Domenico Laurendi, appartenente al locale di ‘ndrangheta di Sant’Eufemia d’Aspromonte della famiglia mafiosa Alvaro”.
Non essendo stato candidato alle ultime elezioni politiche, con la fine della passata legislatura Siclari ha perso l’immunità parlamentare per cui l’ordinanza di custodia cautelare, firmata all’epoca dal gip Tommasina Cotroneo, è diventata esecutiva. Su disposizione della Procura generale di Reggio Calabria, diretta da Gerardo Dominijanni, gli agenti della squadra mobile hanno eseguito la misura degli arresti domiciliari. La sentenza di condanna non è ancora definitiva. Il processo d’appello, infatti, deve essere celebrato.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile “SILVIO NON E’ PER NULLA IMPAZZITO, HA UNA STRATEGIA PRECISA,VUOLE SFREGIARE LA MELONI”
Chi ha incastrato Silvio Berlusconi? Mentre il Cavaliere riscrive la storia della guerra in Ucraina in salsa putiniana nel nuovo audio in cui accusa Zelensky, è partita la caccia alla talpa responsabile del «dossieraggio». Ovvero di chi, mentre lo applaudiva come si ascolta distintamente nella registrazione diffusa da Lapresse, intanto conservava tutto per darlo ai giornali.
Ma mentre Giorgia Meloni è costretta a professare fedeltà alla Nato e all’Ue per varare il suo nuovo governo, un sospetto comincia a serpeggiare tra chi lo conosce bene. Ovvero che Silvio non è per niente impazzito. Anzi. Segue invece una precisa strategia.
Per destabilizzare la nuova premier e tenerla sulla corda. Perché «a lui interessa una sola cosa: sfregiare Meloni l’abusiva». A costo di giocarsi gli Esteri, oltre che di rimettere in discussione la lista dei ministri. Oltre che finire nei guai con le sanzioni per la vodka di Vladimir Putin.
Silvio il Putiniano
Nell’intervista che rilascia oggi al Corriere della Sera il Cavaliere prova a gettare acqua sul fuoco. Utilizzando il metodo che conosce meglio: la negazione della realtà. Nel colloquio con Marco Galluzzo prima se la prende con chi «carpisce e registra di nascosto» brani di conversazioni private. Quello che ha detto, spiega, si riferiva a notizie fornitegli «da fonti autorevoli». Poi chiarisce che quando auspicava un «intervento autorevole» per porre fine alla guerra si riferiva alla Cina e agli Stati Uniti. Ma insiste nel chiedere il ministero della Giustizia per Elisabetta Casellati. Nonostante l’incontro di ieri con Carlo Nordio, scelto dalla nuova premier per via Arenula. E non rinuncia a una velata minaccia: «Forza Italia è già stata penalizzata nella distribuzione dei collegi uninominali. Per questo non abbiamo espresso né la presidenza del Senato né quella della Camera. Di tutto questo naturalmente si dovrà tenere conto. Il centrodestra è fatto di tre forze politiche, ognuna delle quali è numericamente e politicamente essenziale alla vita del futuro governo».
La caccia alla talpa
Intanto dentro Forza Italia si è scatenata la caccia alla talpa. Le tesi dietro il leak degli audio di Berlusconi su Putin sono tante. La prima è che si tratti di un’azione di sabotaggio nei confronti di Antonio Tajani. E di due ex parlamentari non ricandidati ma presenti alla riunione. Che avrebbero agito per vendetta. E non quindi specificatamente con l’obiettivo di sabotare il nuovo esecutivo. Anche se nel frattempo c’è chi fa notare che probabilmente la fuoriuscita delle registrazioni non finirà qui. Perché il Cavaliere ha detto anche altre cose durante quelle riunioni.
Intanto c’è chi fa notare che dentro Forza Italia la maretta è sempre più avvertibile. «La verità – spiega a La Stampa un esponente azzurro – è che quasi la metà del partito vuole che il governo inizi a lavorare. Berlusconi deve accettare che in Forza Italia ci sono le correnti e fare un “contratto” con chi non la pensa come lui…». Il Fatto Quotidiano invece delinea uno scenario in cui il partito è diviso tra i ronzulliani (ovvero i seguaci di Licia Ronzulli) e i governisti. In questo scenario i primi divulgherebbero gli audio per fare uno sgambetto ai secondi.
Destabilizzazione e sabotaggio
Ma c’è chi non è d’accordo. Osvaldo Napoli, ex Forza Italia ora in Azione, sostiene che «Berlusconi non è impazzito, segue una strategia precisa. Vuol tenere Meloni il più possibile sulla corda e destabilizzare la nascita dell’esecutivo». La stessa cosa la dice un altro ex, ovvero Fabrizio Cicchitto, al Foglio: «Guardate che Berlusconi era così anche vent’anni fa. La resa scenica è logorata dagli anni, certo, ma l’animus pugnandi è lucido. Silvio a volte fa cose irrazionali che dipendono da un’esorbitante personalizzazione dei conflitti. E ora gli interessa solo una cosa, credetemi e non è politica: lui vuole sfregiare Giorgia Meloni, l’abusiva». Cicchitto era capogruppo del Polo delle Libertà all’epoca della guerra del Cavaliere con Gianfranco Fini. Con il quale proprio Meloni aveva avuto contatti nei giorni precedenti. E questo perché «Silvio non sopporta nessuno che lontanamente possa essere il suo successore, nemmeno con il suo sostegno. Ed è incapace di accettare l’idea che gli anni siano passati, e che una storia sia finita». Intanto da Fdi arriva a Tajani l’invito a dissociarsi: «C’eri anche tu a quella riunione». E le ripercussioni sul totoministri potrebbero essere ampie.
(da Open)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile TRE SCENARI PER LA CRISI CHE PUO’ SPACCARE FORZA ITALIA
Cosa succede se Silvio Berlusconi molla Giorgia Meloni? Mentre la nuova
premier in pectore decide di non trattare più con il Cavaliere (anche grazie all’appoggio di Mattarella), i giornali ipotizzano gli scenari alternativi all’attuale maggioranza di centrodestra.
Un’ipotesi che potrebbe vedere il governo non ancora nato già in crisi. Ma che potrebbe essere necessaria in caso di rottura. Anche dentro Forza Italia.
I numeri dicono che senza gli azzurri il centrodestra alla Camera ha 197 deputati (la maggioranza è 201) e 98 senatori (a Palazzo Madama il magic number è fissato a 104 contando i senatori a vita). E quindi ad oggi senza Berlusconi il governo non ha i numeri per partire. In teoria. Perché nella pratica tutte le voci che vogliono i parlamentari di Forza Italia pronti a mollare Silvio per il governo potrebbero concretizzarsi. Il Quotidiano Nazionale oggi ipotizza tre scenari:
il primo prevede il rientro della crisi tra Berlusconi e Meloni; in questo caso il nuovo governo verrebbe varato al più tardi la prossima settimana e l’esecutivo comincerebbe a lavorare. Con la spada di Damocle della prossima crisi sulla testa;
nel secondo scenario Berlusconi si sfila dalla coalizione con tutta Forza Italia: a quel punto senza maggioranze alternative bisognerebbe cambiare premier. Oppure andare alle urne, come Fdi ha già minacciato;
infine, il terzo scenario: Forza Italia si spacca. In questo caso il governo Meloni nascerebbe sì, ma con scarse garanzie di sopravvivenza.
Il ritorno alle urne potrebbe essere una minaccia sufficiente per ridurre i riottosi a più miti consigli. Ma in questo caso anche per Fdi potrebbero esserci problemi.
Il primo tentativo di andare al governo sarebbe comunque un fallimento. E gli elettori potrebbero anche decidere che non è tutta di Berlusconi la colpa.
(da Open)
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Ottobre 20th, 2022 Riccardo Fucile FACCIAMO COSI’, NOI VOGLIAMO LA LISTA DI QUEI SOVRANISTI CHE VANNO A PROSTITUTE E A TRANS E POI LA DOMENICA VANNO A MESSA CON MOGLIE E FIGLI
Alcuni anni fa aveva chiesto allo stesso Comune di procedere con l’istituzione di un cimitero destinato ai feti. Ora il nome del consigliere leghista Alcide Mosso è tornato in auge per aver avanzato due richieste – con due lettere formali inviate al Sindaco (anch’egli in orbita leghista) e al Consiglio Comunale di Ferrara -, con tanto di carta intestata, simbolo e firma in calce: effettuare un censimento delle persone che, nel territorio ferrarese, hanno cambiato sesso anagrafico e farne un altro per tenere conto del numero degli aborti in città.
Le due richieste, dopo le polemiche, sono state ritrattate. Ma il testo di entrambe le interrogazioni è stato reso pubblico. In una si parla esplicitamente di un censimento sui numeri di aborti all’interno del Comune di Ferrara (dal 2011 al 2021): “Quante donne che si sono presentate alle strutture del Servizio sanitario nazionale del comune di Ferrara per richiedere l’attivazione della procedura di IVG (interruzione volontaria di gravidanza) per motivi economici, sociali, psicologici, lavorativi, famigliari, hanno poi proseguito nel percorso fino ad arrivare all’IVG, relativamente al periodo dal 2011 al 2021, suddividendo il numero per anno di riferimento”.
Fa riferimento ai vari “motivi” che possono portare una donna a prendere la decisione di interrompere una gravidanza, senza considerare che grazie alla legge 194 questa libertà non debba essere motivata da chi fa questa scelta. E nella stessa giornata – entrambe le interrogazioni al Sindaco Alan Fabbri e al Presidente del Consiglio Comunale di Ferrara portano la data di martedì 18 ottobre – il leghista Alcide Mosso chiede un altro censimento: quello sulle persone che – sempre nei dieci anni tra il 2011 e il 2021 – hanno deciso di cambiare sesso anagrafico.
Poi, dopo le polemiche, tutto è stato ritirato. Almeno per il momento.
(da agenzie)
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