Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“ECCO PERCHE’ LA PROCURA SI OPPONEVA A FORNIRE LA COPIA FORENSE DEL CELLULARE DI ADRIATICI: C’ERANO SMS DI FAVORI, CONFIDENZE E APPUNTAMENTI TRA L’ASSESSORE E DUE MAGISTRATI
Trasferire il processo ad altra sede, diversa dalla procura di Pavia, dove ci sarebbe «un rapporto del tutto amichevole tra due delle più importante cariche del tribunale» all’epoca dei fatti, e Massimo Adriatici, l’ex assessore leghista alla Sicurezza di Voghera, che la sera del 20 luglio 2021 sparò e uccise il marocchino Youns El Boussettaoui.
Dieci giorni fa il pm di Pavia, Roberto Valli, ha chiuso le indagini per eccesso colposo di legittima difesa, ma gli avvocati della famiglia della vittima, Debora Piazza e Marco Romagnoli, chiedono che la procura generale di Milano, «all’esercizio dell’azione penale si attivi per la remissione del processo».
Una decisione che arriva dopo aver visionato il contenuto del cellulare dell’avvocato e politico leghista, da cui emergerebbero i rapporti di amicizia con l’allora capo reggente della procura di Pavia, Mario Venditti, e con il giudice Daniela Garlaschelli, ex presidente della sezione penale del tribunale, entrambi ancora in servizio a Pavia.
La procura si è sempre opposta alla richiesta dei legali di avere copia forense del telefono, decisione avallata dal gip Maria Cristina Lapi, che l’ha dichiarata «inammissibile».
È stata poi la Cassazione a dichiarare «del tutto legittima la richiesta dei difensori di esaminare atti e prove già acquisite dal consulente della procura». Il pm non ha consegnato il dispositivo, ma ha ammesso solo la consultazione, con gli avvocati costretti a prendere appunti a penna di quanto ritenuto rilevante.
Nel loro esposto segnalano come il 30 marzo 2021, Venditti – che mesi prima partecipa a un convegno della campagna per il candidato sindaco leghista a Legnano – chiede su whatsapp un incontro ad Adriatici. «L’ho intravista in tribunale. Se è ancora in zona può passare da me?». «Buongiorno dottore, termino l’udienza e salgo da lei!» risponde Adriatici. Non si sa quale sia l’argomento dell’incontro, ma nel pomeriggio, un medico di Pavia scrive ad Adriatici: «Mi è stato segnalato il suo numero dal signor procuratore Mario Venditti in merito alla questione della revoca di patente a carico di mia figlia. Sono a chiederle quando fosse possibile fissare un appuntamento per discutere della questione». Adriatici poi seguirà il caso.
Poco dopo è un assessore di Pavia, il leghista Pietro Trivi, a scrivere ad Adriatici. «Grazie Massimo, ho dato il tuo cellulare a Venditti che me lo ha chiesto».
In un altro sms a un collega avvocato, il 25 aprile 2021, a proposito di un’iniziativa sulla sicurezza, Adriatici scrive: «A colloquio con il dott. Venditti ci sono andato tra i primi e, dopo avergli spiegato la situazione del personale, mi sono impegnato a distaccare un agente dopo le assunzioni conseguenti al concorso che stiamo per bandire».
Gli avvocati inseriscono nell’esposto anche i messaggi che si sarebbero scambiati Adriatici e il giudice Daniela Garlaschelli, sorella del sindaco leghista di Voghera Paola Garlaschelli, fino a pochi mesi fa presidente facente funzione della sezione penale del tribunale di Pavia.
«Avvocato, mi pare giusto segnalarglielo perché è un post aperto al pubblico», scrive il giudice il 25 ottobre 2020, ad Adriatici. Viene indicato uno scritto su Facebook in cui si critica la politica di “tolleranza zero” della giunta di Voghera. «Grazie», risponde l’assessore.
Il giudice sembrerebbe informare l’avvocato, sabato 23 gennaio 2021, di un fascicolo: «Avv. buongiorno, mi scusi per le modalità di comunicazione ma sono in ufficio e ho notato che il suo procedimento (..) è prescritto». Allegato, uno «screenshot di un capo di imputazione». «Grazie, va bene, risparmio un viaggio a Pavia – risponde Adriatici -. Gentilissima come sempre».
«I colleghi mi hanno detto che lei aveva preso come praticante una delle nostre tirocinanti che si era trovata molto bene! – scriverebbe ancora il giudice -. Ora ne abbiamo un altro vogherese che avrebbe bisogno di integrare con pratica forense, lei avrebbe posto o cerchiamo altrove?». «Disponibilissimo» risponde l’assessore. E anche venti giorni dopo la tragedia, appuntano i ricorrenti che «il giudice invia su whatsapp un’immagine ad Adriatici, indecifrabile».
Gli avvocati Piazza e Romagnoli scrivono nell’esposto al procuratore generale di Milano Francesca Nanni, che «detti contatti tra l’indagato e le cariche istituzionali dovevano essere esplicitati, circostanza che non si è verificata».
E chiedono che la procura generale si attivi per trasferire il processo. Lo chiederà anche la sorella di Youns, Bahija, stamattina in un presidio davanti alla procura.
(da la Repubblica)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
FONDAZIONI E ASSOCIAZIONI NELLA DIMENSIONE FINANZIARIA DEL PARTITO DELLA MELONI
C’è un lato ufficiale e conosciuto della dimensione finanziaria del partito di Giorgia Meloni. E un altro, invece, distante dai riflettori. Caratterizzato da associazioni e fondazioni che solo ufficialmente sono separate da Fratelli d’Italia, al cui interno compaiono tutti i fedelissimi della leader, alcuni con incarichi di rilievo e prossimi a occupare ministeri di peso.
Attraverso queste entità esterne Meloni ha costruito una rete di relazioni internazionali, ha dialogato con pezzi dell’establishment dei conservatori americani, con i network conservatori che hanno ispirato le politiche neoliberiste più aggressive dei governi repubblicani e in alcuni casi hanno contaminato i programmi dei conservatori europei.
Fondazione Tatarella e Alleanza nazionale, Farefuturo e Nazione futura sono le sigle che ruotano attorno al partito erede del neofascista Movimento sociale italiano.
Organizzano eventi collaterali all’attività di Fratelli d’Italia o contribuiscono a fornire il supporto necessario, per esempio la sede, come nel caso di quella di via della Scrofa, nel centro di Roma, di proprietà della fondazione Alleanza nazionale. Questi satelliti hanno agevolato l’ascesa di Meloni e le hanno garantito la legittimazione nazionale e internazionale.
È il caso della fondazione New Direction, creata nel 2009 da Margaret Thatcher e nella quale Raffaele Fitto ha un ruolo di vertice. New Direction coadiuva il lavoro dell’Ecr (European Conservatives and Reformists), i conservatori europei di cui Fratelli d’Italia fa parte e di cui Meloni è presidente.
Fitto è indicato come il regista dell’operazione: ha convinto la leader di FdI che il contenitore più adatto e autorevole dove collocarsi in Europa fosse una formazione fedele al patto atlantico e custode dei principi del neoliberismo economico, piuttosto che diventare marginali aderendo al gruppo sovranista, di cui fanno parte la Lega e il partito di Marine Le Pen, guardati con sospetto perché filorussi. Per l’adesione all’Ecr Fratelli d’Italia dal 2017 versa una somma annuale variabile, nel 2021 è stata pari a 100mila euro.
Due milioni di servizi
I dati pubblici sui finanziamenti privati svelano che Fratelli d’Italia ha raccolto numerose donazioni per la campagna elettorale. Soldi ben spesi visto il trionfo dei post fascisti. Dagli elenchi pubblici risultano 2,5 milioni raccolti nel 2022, fino a luglio scorso. Le maggiori contribuzioni coincidono con l’inizio della campagna e la presentazione delle liste. Tra i candidati c’è chi ha dovuto versare anche 30mila euro a titolo di sostegno per le spese, ingenti, richieste da un tour pre elezioni in cui Meloni non si è certo risparmiata.
I conti del partito sono a posto: non solo in ordine, ma anche in attivo da quando Fratelli d’Italia ha iniziato la sua ascesa. Nel rendiconto finanziario 2021, l’ultimo disponibile, i ricavi sono raddoppiati superando i 4 milioni di euro. La metà di questi arrivano dal 2 per mille, la quota che ogni cittadino può devolvere ai partiti quando compila la dichiarazione dei redditi. Quasi un milione arriva dalle quote associative, in pratica il tesseramento divario tipo. Il resto da donazioni di privati, inclusi i parlamentari.
Rispetto al 2021 c’è un altro dato interessante: per tutte le campagne elettorali, dalla Calabria alla Lombardia, il partito nazionale ha speso all’incirca un milione. Ci sono poi le uscite per le decine di manifestazioni organizzate in tutta Italia. In particolare Atreju, l’evento annuale che è diventato un appuntamento fisso della politica nostrana. Non esiste una cifra pubblica messa a bilancio. I responsabili amministrativi, nella nota del bilancio 2021, spiegano che «tra i servizi sono indicate le spese per l’attività di propaganda e le manifestazioni».
Atreju rientra tra le kermesse organizzate dal movimento, si legge ancora. Certamente la più importante e la più impegnativa in termini di risorse impiegate.
L’anno scorso Fratelli d’Italia ha speso in servizi 2,3 milioni. Parte di questa somma è stata destinata ad allestire il “Natale dei conservatori”, l’ultima edizione di Atreju che si è svolta dal 6 al 12 dicembre 2021. Gli eventi organizzati nello stesso anno indicati nel documento contabile sono 18, la maggior parte però sono direzioni nazionali convocate su Zoom, quindi á costo zero, e campagne mirate ed elettorali, o il tour “L’Italia del riscatto” che ha toccato cinque città.
Fondazione in rosso
È difficile dire che la fondazione Alleanza nazionale sia altro rispetto a Fratelli d’Italia. Chi ne fa parte lo precisa di continuo, eppure basta dare uno sguardo al consiglio di amministrazione, di cui Meloni non fa parte, per dubitare. C’è Ignazio La Russa, il presidente del Senato. C’è Francesco Lollobrigida, capogruppo di FdI alla Camera, uomo forte del partito e marito di Arianna Meloni. Ci sono Fabio Rampelli e Andrea Delmastro Delle Vedove.
E ancora: Edmondo Cirielli e Luca Sbardella. Tutti esponenti di FdI. Certo c’è anche chi non appartiene alla “nuova destra”, come Gianni Alemanno, il quale però è apprezzato dalle giovanili del partito, tanto da presenziare ad alcune iniziative degli studenti meloniani. Un altro link tra fondazione e movimento è rappresentato dalle sedi: di proprietà della fondazione presieduta dall’avvocato Giuseppe Valentino e usate da Fratelli d’Italia. Su tutte quella storica di via della Scrofa 39, il quartier generale del partito.
Ma anche l’altra di via Livorno 1, sempre a Roma, che ospita una sezione. Lo stesso vale per le sedi di Fermo e di Brescia e per molte altre. Non si sa quanto paghi di affitto FdI. Se qualcosa versa non è tantissimo, lo si capisce dai bilanci disastrosi della fondazione. Perennemente in perdita da anni: nel 2018 aveva chiuso il rendiconto con oltre 3 milioni di rosso, nel 2021 con un disavanzo di oltre un milione e più.
La fondazione, nonostante il rosso fisso, non risparmia: lo scorso anno ha speso un milione in servizi, divisi tra spese ordinarie non meglio specificate (440mila euro circa) e attività istituzionali (541mila euro). Ha incassato appena 170mila euro da attività editoriali, manifestazioni e altre attività. E ha dichiarato zero alla voce contributi da persone o società.
La domanda è quindi: come si finanzia? Solo con gli affitti? «Il valore del patrimonio immobiliare della fondazione è stimabile, complessivamente, in circa 20 milioni di euro», dice il presidente Valentino, «i canoni provenienti dagli immobili locati ammontano a oltre 450.000 euro su base annua».
Cifra non sufficiente per presentare un conto in utile o quantomeno con perdite azzerate. «Non abbiamo mai accettato donazioni. Si avvale di quanto ottiene dalla gestione degli investimenti in portafoglio e delle proprie dotazioni patrimoniali», è la replica di Valentino. Che investimenti? «Sono costituiti da prodotti standard proposti dalle più importanti banche e assicurazioni italiane ed europee, a bassissima componente azionaria, come è tipico per gli investimenti a basso rischio».
Non può dirsi diversamente per la storica testata il Secolo d’Italia, di proprietà della fondazione An e, se non tecnicamente l’house organ di Fratelli d’Italia, certamente giornale amico. Con la redazione nello stesso palazzo di via della Scrofa. Il Secolo d’Italia ha chiuso il 2021 con un rosso di 161mila euro, il doppio rispetto al 2020, nonostante sia una testata online. I dipendenti sono 17, per un costo totale di 1,3 milioni tutto compreso, come si legge nel bilancio. Non è sufficiente neppure il contributo pubblico per l’editoria ricevuto a riportare in attivo il giornale.
Gli amministratori hanno dichiarato che anche per il 2021 spetta alla testata un milione di euro pubblici, è la cifra scritta a bilancio. Il presidente Valentino ha spiegato che «i disavanzi di gestione della fondazione sono strutturali e correlati a spese, oltremodo contenute, finalizzate alle sole attività istituzionali e alla gestione del Secolo d’Italia, storica testata della fondazione che costantemente incrementa la sua diffusione e riduce i suoi costi, mantenendo il posto di lavoro dei propri dipendenti».
Adolfo network
L’altra fondazione che supporta Fratelli d’Italia è Farefuturo, creatura di Adolfo Urso, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti, nella scorsa legislatura, oggi dirigente e parlamentare di Fratelli d’Italia, nome sempre presente nel totoministri come possibile titolare di diversi dicasteri, in pole position per lo Sviluppo economico. Al di là dei ruoli futuri, è certamente l’uomo che ha più lavorato per intensificare le relazioni con i repubblicani americani: sulla rivista della fondazione Charta Minuta scrive spesso James Carafano, analista della Heritage Foundation, dal 1973 è uno dei think tank conservatori più influenti al mondo.
Carafano è stato indicato dalla stampa internazionale tra gli esperti scelti da Donald Trump per comporre il team di transizione dopo la sua elezione. Tra le partnership segnalate dalla fondazione Farefuturo c’è anche quella con Iri, International Republican Institute, l’organizzazione espressione del partito repubblicano e presieduta per 25 anni da John McCain, l’ex candidato alla Casa Bianca morto nel 2018. Farefuturo ha raccolto diverse donazioni da privati.
La curva dei finanziamenti è cresciuta in coincidenza della nomina di Urso a presidente del Copasir. Dal 3 agosto 2020 a oggi ha incassato 97.300 euro, dichiarati secondo le norme che regolano le erogazioni ai partiti e alle fondazioni nei cui board sono presenti degli eletti. 1190 per cento di questa somma è arrivata sui conti di Farefuturo da maggio 2021, cioè da quando hanno iniziato a circolare le indiscrezioni sulla possibile elezione del parlamentare a presidente del Comitato.
Tra i più generosi troviamo il gruppo Gvm (Gruppo Villa Maria), oltre mezzo miliardo di fatturato, che fa capo all’imprenditore Ettore Sansavini e che nel 2021 ha ottenuto un finanziamento da 96 milioni, garantito dallo stato grazie al decreto Liquidità, da un pool di banche. Sansavini ha finanziato la fondazione di Urso attraverso due sigle, tra queste c’è anche l’istituto clinico Casal Palocco, durante la pandemia trasformato dalla regione Lazio in centro Covid.
«Farefuturo rispetta appieno la normativa sulle fondazioni anche per quanto riguarda la massima trasparenza su bilanci e sostegno finanziario», dice Urso. Che rapporto lo lega al gruppo Gvm di Sansavini?: «Non ho alcun rapporto con il “patron” del gruppo. Conosco da lungo tempo il senatore e professore Valentino Martelli, noto cardiochirurgo, con cui costruimmo Alleanza nazionale nel 1994, e che credo ricopra un ruolo rilevante nel gruppo». Così è. Martelli fa parte dell’organico dell’istituto clinico Casal Palocco.
Gli altri donatori sono perlopiù sconosciuti imprenditori divari settori: società immobiliari, di logistica e di costruzioni. Nell’elenco anche la casa editrice Ad Maiora di Giuseppe Pierro, presente nel comitato scientifico di Farefuturo. Ad Maiora ha pubblicato un libro molto caro a Urso. Titolo: La sicurezza nazionale come interesse costituzionale, il caso Copasir. La presentazione del volume: con «Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia e unico componente dell’opposizione, presidente del Copasir si apre una stagione di protagonismo per il Copasir, come mai prima d’ora».
Farefuturo ha contribuito alla vita di Fratelli d’Italia, non solo in termini di dibattiti e idee, ma anche economicamente. Nel 2018 ha versato 20mila euro al partito. Con Farefuturo collaborano anche Kiril Maritchkov e lo psichiatra Alessandro Meluzzi.
Il primo è il bulgaro che, da ambasciatore presso la Santa sede, ha creato grande scandalo con il libro clandestination. Un romanzo sull’immigrazione, in cui racconta di un uomo disperato costretto a prostituirsi, che aveva irritato le alte sfere vaticane, tanto da negargli il gradimento come diplomatico. Meluzzi è invece un idolo dei complottisti. No-vax convinto al punto da essere stato espulso dall’Ordine dei medici di Torino, in passato è stato candidato con Forza Italia.
Oggi più vicino all’estrema destra fa parte del comitato scientifico che, per Farefuturo, si occupa del Rapporto sull’islamizzazione d’Europa. Urso risulta ancora tra i soci di E’uropa, osservatorio sulle politiche dell’Unione. «Mi risulta che l’associazione da lei citata non sia attiva da tanti anni». Dunque l’organizzazione, ancora visibile nei registri della camera di commercio, non esiste più. Ma rivela alcune relazioni di Urso. Alcuni suoi compagni di quell’avventura risultano adesso in Farefuturo, come Federico Eichberg, dirigente del ministero dello Sviluppo economico. Eichberg potrebbe quindi trovarsi presto, fossero confermate le indiscrezioni, con il suo amico Urso come ministro. Altro socio di E’uropa era Gabriele De Francisci, un militante “nero” nei Nuclei armati rivoluzionari, legato a Francesca Mambro e a Giusva Fioravanti, condannati per la strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Di Fioravanti è stato «testimone delle nozze con Mambro», si legge in alcuni atti giudiziari, ed è citato ampiamente in una relazione del 1989 sull’omicidio di Piersanti Mattarella come soldato neofascista legatissimo ai capi dei nuclei armati. «Gli errori del passato non possono marchiare le persone a vita. Come accaduto con altri, per esempio con Adriano Sofri, che è stato accolto in un grande gruppo editoriale e di cui leggo ancora oggi, con interesse, le sue analisi. Nella nostra Costituzione lo scopo della pena è la riabilitazione», dice Urso.
De Francisci dal canto suo non nasconde la sua amarezza per i vecchi camerati armati: «112 agosto segna la fine dello stato di diritto e l’inizio dello stato della menzogna», scriveva sui social contestando la verità processuale sull’attentato alla stazione del capoluogo emiliano. Giudizio condiviso da molti in Fratelli d’Italia. In Europa, al fianco di Urso, c’era anche Domenico Temperini, manager della sanità, in particolare dell’Idi, l’Istituto dermopatico di proprietà della Congregazione dei figli dell’immacolata concezione.
Temperini dopo tanti anni è ancora sotto processo per il crac dell’ospedale vaticano. «Una storia surreale», commenta, «la giustizia in Italia andrebbe cambiata». Conferma la sua esperienza ai tempi di Alleanza nazionale nell’associazione E’uropa: «L’idea era di fare politica e creare un think tank che portasse idee fresche in An, poi ognuno ha preso la propria strada ma siamo rimasti molto amici con Adolfo».
Soldi pubblici
Urso è anche in un’altra fondazione di area conservatrice, nata per custodire la storia della destra sociale e neofascista del Movimento sociale: la prestigiosa fondazione Giuseppe Tatarella, intitolata al politico del Msi poi fondatore di An, l’anima moderata di quel partito. Urso non è l’unico di Fratelli d’Italia all’interno della onlus: ci sono La Russa, Tommaso Foti, Giulio Tremonti (eletto alle ultime elezioni con Meloni) e molti altri.
Il presidente del comitato scientifico è Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e intellettuale d’area, amico di Meloni oltreché, secondo alcuni osservatori, suo ascoltatissimo consigliere. La fondazione è stata costituita nel 2002, quando regnava Alleanza nazionale e il leader era Gianfranco Fini (nel comitato pure lui). Il fratello Salvatore ha donato l’archivio e la biblioteca di Giuseppe “Pinuccio” Tatarella, un vero tesoro storico, politico, editoriale.
La fondazione, di cui non si conoscono i finanziatori privati, tra 112020 e i12021 ha ricevuto 1,6 milioni di fondi pubblici. Piccole quote sono arrivate da enti locali, la stragrande maggioranza dal ministero dei Beni culturali. A presiederla è Francesco Giubilei, enfant prodige della nuova destra meloniana ispirata dai conservatori inglesi e dai repubblicani a stelle e strisce. Giubilei, 30 anni, è un editore e fondatore di Nazione futura, movimento nato nel 2017 (pubblica una rivista).
Fino a qualche tempo fa era una realtà marginale, fuori dal perimetro della destra, adesso, con il trionfo di Meloni, tutto è cambiato. Nonostante la giovane età, il presidente della fondazione Tatarella conta su un capitale notevole di relazioni con i conservatori europei e americani. Dal 30 settembre al 2 ottobre è riuscito a portare a Roma parte di quel mondo all’evento “Italian conservatism”. L’appuntamento, già previsto prima del voto ha però goduto del successo registrato appena una settimana prima da Meloni alle elezioni del 25 settembre. La tre giorni si è trasformata in una celebrazione della rivoluzione conservatrice in atto in Italia. Molti gli ospiti dall’estero, dell’estrema destra spagnola di Vox agli svedesi di Sweden Democrats fino al partito di Viktor Orbán, il premier ungerese.
Tra i relatori organici a Fratelli d’Italia c’erano Fitto in rappresentanza di Fratelli d’Italia e dell’eurogruppo Ecr, l’ex ministro ora senatore Giulio Terzi Sant’Agata e alcuni consiglieri comunali di varie parti d’Italia. In platea erano presenti tanti altri meloniani. A patrocinare l’evento, cioè a metterci i soldi, oltre a Nazione futura, altre due sigle: Fondazione Tatarella e The European Conservative.
Quest’ultima è una rivista trimestrale (ha anche un sito web quotidiano), che gli editori definiscono «il principale giornale trimestrale conservatore in lingua inglese di filosofia, politica e arti d’Europa. Pubblica articoli, saggi, interviste e recensioni che illuminano le diverse varietà di pensiero conservatore, tradizionalista, reazionario e di destra da tutta Europa e nel mondo».
Nel consiglio consultivo spicca John O’Sullivan, storico collaboratore di Margaret Thatcher. Tra i membri della redazione ci sono sia Giubilei sia Benjamin Harnwell, fedelissimo di Steve Bannon, consigliere di Trump negli anni della sua ascesa e collegamento con l’estrema destra europea. Alla tre giorni non poteva mancare Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d’Italia in odore di ministero, qualora dovesse lasciare l’incarico di presidente di Aiad, la federazione di Confindustria che rappresenta le aziende italiane del settore della difesa e aerospazio. L’Aiad è questione delicata per Crosetto, tra i consiglieri di cui Meloni si fida di più. Il conflitto di interessi è dietro l’angolo.
Di recente un’azienda ha versato 10mila euro al partito. Si tratta della Drass Galeazzi srl, si occupa di «tecnologia subacquea e prodotti per la difesa marina come sommergibili e veicoli per le forze speciali». Drass è specializzata in sottomarini, ed è tra i fornitori della marina militare italiana. Fin qui nulla di strano se non fosse che è anche membro di Aiad, il cui presidente è Crosetto, l’imprenditore e fondatore del partito di Meloni, che tra le altre cose ha intenzione di aumentare le spese militari ora che governerà. Almeno questa è la promessa fatta in campagna elettorale.
(da editorialedomani)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA BERNINI ALL’UNIVERSITA’ GIA’ BOCCIATA DAI DOCENTI COME NORDIO DAI MAGISTRATI DOPO IL SUO PELLEGRINAGGIO A VILLA GRANDE
L’arrivo al dicastero del Lavoro di Marina Elvira Calderone, presidente del Consiglio dell’Ordine dei consulenti del Lavoro, ha sollevato più di un dubbio sui suoi conflitti d’interesse. Il primo ha già sortito i suoi effetti. Rosario De Luca, suo marito e collega ai vertici dell’Ordine, era anche nel consiglio di amministrazione dell’Inps, istituto vigilato proprio dal ministero del Lavoro.
Un conflitto tanto evidente che si è risolto ieri con le dimissioni di De Luca dal Cda guidato da Pasquale Tridico.
Ma per Calderone le contraddizioni non finiscono qui.
Da ministro del Lavoro sarà chiamata a occuparsi del Reddito di cittadinanza. Da capo del Consiglio dell’Ordine professionale ha proposto di coinvolgere tra le agenzie chiamate a trovare un lavoro ai beneficiari del sussidio anche gli stessi consulenti del lavoro. Quindi rischia – qualora dovesse dare seguito a questa proposta – di favorire gli iscritti all’ente che oggi presiede
Bernini all’Università e i docenti già la bocciano
Alla fine Anna Maria Bernini non è andata al ministero dell’Istruzione, toccato al leghista Giuseppe Valditara, ma questo non significa che non si occuperà del sistema della formazione. Già perché per la fedelissima di Silvio Berlusconi, su cui il Cavaliere non ha voluto sentir ragioni ritenendola indispensabile per l’Esecutivo, all’ultimo secondo si sono spalancate le porte per il ministero dell’Università dove, a quanto pare, dovrà trovare il modo di fare breccia nel mondo accademico che non sembra ritenerla adatta allo scopo.
Come rivelato a La Notizia dal professore Domenico De Masi, infatti, “Istruzione, Università e Cultura” per il Centrodestra sono “dicasteri di scarsa importanza tanto che come possibili ministri sono stati fatti nomi, come quello della Bernini per l’Università o l’Istruzione, che sono del tutto inadeguati”.. Staremo a vedere.
Alla Giustizia Nordio, l’ex pm sgradito ai colleghi
Carlo Nordio, eletto in quota Fratelli d’Italia, è un ex magistrato che la premier in pectore ha individuato come il profilo migliore per ricoprire il ruolo di guardasigilli.
L’ex togato, oggi in pensione, ha da sempre intrattenuto un rapporto conflittuale con la magistratura tanto da aver più volte detto che sia nell’Associazione nazionale magistrati che nel Consiglio superiore della magistratura, a comandare sono le correnti e quindi in entrambi “a farla da padrone è la politica”.
Inoltre Nordio ha spesso sostenuto posizioni molto garantiste che gli sono valse il plauso del Centrodestra ma non quello dei suoi ex colleghi che, stando a quanto trapela, nelle chat private sono già in preallarme. Proprio quest’ultimi non gli perdonano neanche il recente incontro con Silvio Berlusconi a Villa Grande in cui i due avrebbero concordato un piano di riforma della Giustizia e che viene giudicato dalle toghe italiane come “uno sgarbo istituzionale”.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
DA SOTTOSEGRETARIA AL WELFARE, PORTÒ AVANTI UNA FEROCE BATTAGLIA CONTRO BEPPINO ENGLARO. È CONTRARIA ALL’ABORTO E ALLE UNIONI CIVILI
Ci sono un nome e un volto legati indelebilmente alla biografia di Eugenia Roccella, neo ministra di Famiglia, Natalità e Pari opportunità, figura di spicco del mondo prolife e teocon, nemica dichiarata di biotestamento, unioni civili, delle sentenze che abbatterono la legge 40, dalla fecondazione eterologa alla diagnosi preimpianto, della pillola abortiva Ru486, delle famiglie arcobaleno, dei diritti Lgbtq+, del reato di omofobia, del divorzio breve, del suicidio assistito e dell’eutanasia.
Insomma di tutti i diritti civili, alcuni dei quali leggi dello Stato, che hanno caratterizzato la nostra storia negli ultimi trent’ anni. Il nome di Eugenia Roccella, classe 1953, figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale, Franco Roccella, femminista negli anni Settanta, resterà legato per sempre alla feroce battaglia che da sottosegretaria al Welfare, nel quarto governo Berlusconi, portò avanti contro Beppino Englaro, il papà di Eluana, che chiedeva di far morire legalmente sua figlia in stato vegetativo da 17 anni.
Era il 2009, il Pdl, partito delle libertà, e le destre provarono a far approvare in extremis un decreto “Salva Eluana” che il presidente della Repubblica di allora, Giorgio Napolitano, rifiutò di firmare, per impedire che fosse applicata la sentenza della Cassazione secondo la quale era legittimo che a Eluana fossero interrotte idratazione e alimentazione. Eluana invece fu sedata e morì, dal suo calvario è nata, nel 2017, una delle leggi più avanzate della storia recente, ossia la legge sul fine vita.
Ecco la visione di Roccella su unioni gay e divorzio breve: «Non si può pensare di sostenere le unioni civili , una genitorialità fai da te via utero in affitto, il diritto a morire, il divorzio breve stile Las Vegas e tutto quello che di fatto è avverso alla cultura della vita e della famiglia».
Cosa farà dunque Eugenia Roccella per Famiglia, Pari opportunità e Natalità? Esiste una strategia teocon contro le culle vuote, che non sia quella di rilanciare i metodi naturali di contraccezione o pagare le donne per non abortire?
Quali saranno i sostegni di welfare che in un Paese assediato dalla povertà faranno tornare ai giovani la voglia di avere bambini? Ma soprattutto: il governo degli «italiani al primo posto », di Dio e della Patria, secondo il quale l’unica famiglia è quella formata da madre e padre, garantirà anche alle altre famiglie, monogenitoriali, omogenitoriali, immigrate, magari non cattoliche e bianche, gli stessi diritti? Per concludere: i bambini saranno tutti uguali con il governo sovranista? Speriamo di sì.
(da La Repubblica)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
CONTANO GLI INTERESSI DELLE LOBBY INDUSTRIALI
Premessa doverosa: come ogni esecutivo, anche quello neonato, guidato da Giorgia Meloni, andrà giudicato per quel che farà, non per quel che ha promesso di fare, o di quel che ci aspettiamo che faccia.
Detto questo, gli auspici che questo governo prenda di petto il problema del cambiamento climatico sono davvero ai minimi storici. E no, non è questione di pregiudizi. Basta una breve ricerca su internet, alla ricerca di dichiarazioni sul tema da parte dei neo ministri, per farsi un’idea di quale sia l’andazzo e dei toni, molto simili a quelli di Trump e Bolsonaro.
Partiamo, ovviamente da Giorgia Meloni, neo presidente del consiglio, secondo cui il problema non è il surriscaldamento dell’atmosfera, né sono gli eventi climatici estremi che ne conseguono, quanto semmai, “Il fondamentalismo climatico” che “ci porterà a perdere migliaia di aziende e milioni di posti di lavoro in Europa”.
Una posizione, questa, condivisa da Antonio Tajani, ministro degli esteri e Vicepresidente del Consiglio, per il quale “serve più tempo per la transizione ecologica perché dobbiamo salvaguardare gli interessi dell’industria”, e pure da Giancarlo Giorgetti, neo ministro dell’economia, per il quale “se spingiamo sulla sostenibilità ambientale avremo gravi conseguenze sulla sostenibilità sociale”.
Sono prese di posizione, queste, che esprimono la linea “fossilista” dell’esecutivo e che si sono sostanziate, soprattutto, nel voto contrario di tutti i partiti della nuova maggioranza contro il blocco europeo alla vendita di auto a benzina o diesel a partire dal 2035.
O a favore dell’inserimento del gas e del nucleare – sul quale sono tutti favorevoli, senza alcun distinguo – come fonti energetiche rinnovabili. Una posizione ben sintetizzata dal neo ministro della difesa Guido Crosetto, secondo cui, “L’ambiente è un tema fondamentale per il nostro futuro ma non è meno fondamentale l’energia”.
La medaglia d’oro del negazionismo climatico se la giocano altri, però. Nello specifico, Matteo Salvini, ministro delle infrastrutture e Vicepresidente del Consiglio e Daniela Santanché ministro del turismo. Secondo Salvini, che avrà la delega su numerosi capitoli di spesa del Pnrr, “da quando hanno lanciato l’allarme del riscaldamento globale fa freddo, c’è la nebbia. Lo sto aspettando questo riscaldamento globale”. Per Santanché, invece, le manifestazioni dei giovani contro il cambiamento climatico sono “una buffonata per saltare la scuola in massa”.
Unica isola di consapevolezza, in un oceano di benaltrismo e negazionismo, è proprio il ministro con delega al mare e al Sud, Sebastiano “Nello” Musumeci, che nell’estate appena trascorsa, da governatore della regione Sicilia, ha toccato con mano la devastazione indotta dagli eventi climatici estremi: “Come più volte abbiamo ribadito – ha detto Musumeci giusto un anno fa – dobbiamo affrontare gli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico su un duplice piano: con interventi di contrasto al dissesto idrogeologico e con provvedimenti del governo nazionale che, da straordinari, devono diventare ordinari, al pari della non più eccezionale cadenza di questi eventi”.
Speriamo qualcuno lo ascolti, o che l’aria di Roma non gli faccia dimenticare queste sue parole. Soprattutto, speriamo che arrivino alle orecchie giuste. Ad esempio, quelle del ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica – e mai nome di una delega fu più rivelatrice – Gilberto Pichetto Fratin, di cui non si registra alcuna dichiarazione sul cambiamento climatico. Notevole, se si pensa che i prossimi cinque anni – lo dice la conferenza intergovernativa sul clima dell’Onu, non noi – saranno decisivi per l’implementazione di politiche volte a mitigare gli effetti del riscaldamento del pianeta, e per provare a invertire la rotta.
Se il buongiorno si vede dal mattino, insomma, saranno cinque anni torridi. Letteralmente.
(da Fanpage)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
PER AVERE LA MAGGIORANZA IN SENATO, DEVE AVERE 104 VOTI E IL CENTRODESTRA NE HA 115. MA LEI SI PRIVA DI NOVE SENATORI FACENDOLI MINISTRI E ALMENO ALTRETTANTI SARANNO I SENATORI SOTTOSEGRETARI COSÌ IL GOVERNO NASCE MORTO
La reazione più divertita è quella dei vecchi democristiani. «Forse Meloni ha istinti suicidi», commenta una vecchia volpe del Pd che preferisce l’anonimato: «Per avere la maggioranza in Senato, deve avere 104 voti e il centrodestra ne ha 115. Ma lei si priva di nove senatori facendoli ministri…almeno altrettanti saranno i senatori sottosegretari! Poi, non contenta, leva pure dal governo Maurizio Lupi, che al Senato ha un suo gruppo parlamentare… Ma così il governo nasce morto!».
Ai dem colpisce la modalità con cui la premier «non ha concesso il cuore del governo a Berlusconi o Salvini: il ruolo di vicepremier è una medaglia di latta, non esiste nell’ordinamento, neanche nell’amministrazione», nota Borghi. «Poi agli Esteri c’è Tajani, ma la presenza di Crosetto alla Difesa garantisce gli alleati americani e lui insieme alla Meloni sterilizza le ipotesi di sbandamento dopo le uscite di Berlusconi.
Infine, mettere Giorgetti all’Economia è un’operazione sottile: impegna direttamente la Lega per affrontare il rapporto con l’Europa, la trattativa sul Pnrr e la tenuta sociale del paese. Giorgetti dovrà badare alla tenuta dei conti, non potrà fare la flat tax e la Lega non potrà metterlo sotto schiaffo».
(da la Stampa)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
HA INTERESSI NEL SETTORE, PROTAGONISTA DI BATTAGLIE PER DIFENDERE LE RENDITE DI POSIZIONE ACQUISITE NEGLI ANNI E ALLONTANARE LE GARE PUBBLICHE
Dopo i tentativi vani del governo guidato da Mario Draghi di liberalizzare le concessioni balneari, il settore torna a sorridere grazie alla nuova ministra del Turismo, Daniela Santanchè.
Non solo è amica dei balneari, ma è lei stessa socia con Flavio Briatore del famoso Twiga, il lido più esclusivo della Versilia. Proprio lei che ha interessi nel settore, proprio lei protagonista di strenue battaglie per difendere le rendite di posizione acquisite negli anni e allontanare le gare pubbliche, proprio lei che, anche nei salotti televisivi, è sempre stata sempre dalle parte dei balneari e sempre meno da quella delle casse dello stato. Giorgia Meloni ha evidentemente premiato la coerenza.
Una delle prime crepe nel governo dei cosiddetti migliori si è aperta proprio sulla questione balneari, quando l’allora presidente del Consiglio ha proposto di indire gare pubbliche dopo anni di proroghe e bassi guadagni per l’erario, in ragione anche del pronunciamento del Consiglio di stato.
Ma la resistenza in parlamento è stata tenace, il provvedimento Concorrenza è rimasto fermo sei mesi proprio per il contestato articolo che riguardava la riforma del settore, e alla fine ha vinto un compromesso con le gare rinviate al 2024, in tempo per rimettere tutto in discussione con l’arrivo di un nuovo governo.
L’unico magro bottino è stato l’annuncio di una mappatura delle concessioni. «Un avvilente teatrino», lo hanno definito le associazioni dei consumatori.
Daniela Santanchè era all’opposizione del governo Draghi e si è battuta contro le gare, ha difeso i concessionari storici e affrontato, impettita e fiera, ogni battaglia parlamentare, televisiva e via social. Quando Carlo Calenda, leader di Azione, le ha ricordato i bassi canoni concessionari, ha risposto : «La sua è un’ignoranza assoluta, il Twiga ha pagato negli ultimi vent’anni 217mila euro all’anno e non 10mila o quello che dice lui, in Italia ci sono 30 mila stabilimenti a conduzione familiare e non fatturano quello che fattura il Twiga, bisogna salvaguardare gli investimenti fatti. Se Calenda vuole dare i nostri litorali alle multinazionali si accomodi, noi siamo d’accordo con un pagamento maggiore per chi fattura di più», replicava Santanchè.
«Nessun business al mondo ha in affitto perpetuo per tutta l’esistenza, chi lo gestisce ma anche i discendenti, un pezzo pregiatissimo del patrimonio italiano pagando canoni irrisori senza alcuna gara. Nessuna multinazionale vuole prendersi i nostri litorali, quella di Briatore sembra una multinazionale, propongo di fare le gare nelle quali si tenga conto anche degli investimenti», rispondeva Calenda.
La ministra del Turismo incaricata ha esposto il suo programma più volte sui suoi canali social e nelle interviste dove non ha mancato di ricordare che da vent’anni non fa vacanze per occuparsi del Twiga, il suo stabilimento che, lo scorso agosto, è stato travolto da una tromba d’aria. Nonostante tutto, la società ha finanziato il partito Fratelli d’Italia con 26mila euro.
Balneari che ora sono in festa per la nomina di Santanchè, ma soprattutto perché le gare, come l’estate, sono solo un ricordo
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IMPOSE AI BAR DI SPEGNERE IL WI-FI, PERCHÉ VENIVA UTILIZZATO DAI MIGRANTI… DI LEI SI RICORDA UN ATTACCO A MATTARELLA: “CHIEDEREMO AGLI AMMINISTRATORI DI RIMUOVERE LA FOTO DEL PRESIDENTE, CHE NON RAPPRESENTA PIÙ UN GARANTE IMPARZIALE DEI CITTADINI”
È Alessandra Locatelli, la nuova ministra per le Disabilità scelta dalla presidente del Consiglio incaricata, Giorgia Meloni. Locatelli, originaria di Como, è in forze alla Lega per Salvini. Locatelli è già stata ministra per la famiglia e le disabilità – seppur per un breve periodo – durante il Governo Conte I.
Originaria di Como, Locatelli ha una laurea in sociologia e ha lavorato come educatrice. È specializzata nella cura delle persone con disturbi psichici. Ha lavorato come responsabile di Comunità Alloggio a Como, centro per la cura di persone con disabilità, e per un periodo è stata volontaria in Africa. Militante della Lega Nord, negli anni, diventa una dei fedelissimi di Matteo Salvini.
Locatelli dà il via alla sua carriera politica con l’elezione a segretaria della Lega per la sezione di Como. Nel 2017 entra in consiglio comunale e poi viene scelta come vice-sindaca. E proprio nella sua città, durante il suo incarico, le era stato affibbiato l’appellativo di “sceriffa”.
Un soprannome dovuto ai suoi durissimi attacchi contro clochard, migranti e organizzazioni non governative. Tra questi, la richieste di chiudere il centro-migranti di Como fino all’approvazione di regolamenti comunali che vietavano l’elemosina durante le festività di Natale. O ancora il no alla concessione di spazi pubblici per chi voleva pregare durante il Ramadan.
Era stata sempre lei, attraverso un post sul suo profilo Facebook, a chiedere a tutti gli amministratori della Lega lombardi di rimuovere dagli uffici pubblici “la foto di Mattarella che non rappresenta più un garante imparziale dei cittadini”.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
SALVINI SOGNAVA ANCHE DI SPADRONEGGIARE SUI PORTI DAL DICASTERO DELLE INFRASTRUTTURE, CHE CONTROLLA LE CAPITANERIE, PER FARE CAMPAGNA SULL’IMMIGRAZIONE. MA IL MINISTERO “DEL MARE” A NELLO MUSUMECI NON È UN CASO
“Avremo tempo.per parlare anche di questo”. Così il ministro del Sud Nello Musumeci ha replicato, lasciando il Quirinale, ai cronisti che gli chiedevano se la delega ai porti sarebbe stata in capo al suo ministero o alle Infrastrutture di Matteo Salvini. Ma chi ce l’ha? “Non c’è”, ha replicato.
Ore 13.32: fuga attraverso le cucine. Giorgia Meloni ha appena finito di pranzare al ristorante della Camera e sceglie un passaggio che sfiora i cuochi per gabbare la stampa. La leader ha in tasca una lista dei ministri che vuole condividere solo con Sergio Mattarella. E soprattutto: ha in testa una strategia per ridimensionare Matteo Salvini.
La giornata sarà lunga e alla fine – nonostante gli sforzi – ci riuscirà soltanto in parte. Ottiene di sfilargli la delega al Pnrr, la cassa dei grandi investimenti, un colpo durissimo per il leghista: il dossier del Recovery finisce a Raffaele Fitto. Non è ancora chiaro, invece, se sarà capace di sottrargli la gestione di porti e Capitaneria.
L’obiettivo di Salvini è controllarli, come fino a oggi è sempre accaduto, attraverso le Infrastrutture, ma non è escluso che alla fine si decida che dovranno dipendere invece dal ministero del Mare e del Mezzogiorno di Nello Musumeci.
Non riesce però a depotenziare il ruolo politico del leader della Lega, che sarà ministro e vicepremier. Avrà un ufficio e proverà a far fruttare la conquista. Così tanto che il primo post dopo la nomina mostra una scritta gigante e in grassetto – «Vicepremier» – e una quasi invisibile, «Ministro delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili».
Le novità ci sono. La prima riguarda il Pnrr: la gestione di questa delega – e di quella sui fondi di coesione – sarà affidata a Fitto, che è anche ministro degli Affari europei. Il leghista ci resta di sasso, perché aveva programmato un tour in giro per l’Italia, seguendo la mappa dei progetti finanziati da Bruxelles. È un primo colpo. Non è l’unico.
Il secondo tempo si gioca nell’ufficio di Mattarella. Tra i nuovi ministeri, prende forma quello del Mare e del Mezzogiorno. È evidente che senza controllare porti e Capitaneria – e senza la Coesione – il dicastero di Musumeci assomiglierebbe moltissimo a un guscio vuoto in balia delle onde.
Sono le ore in cui si fa strada allora l’ipotesi di un passaggio di deleghe, che avrebbe anche l’effetto di scippare a Salvini la sorveglianza dell’immigrazione che approda sulle coste italiane. D’altra parte, è difficile immaginare che un ministero senza portafoglio possa gestire una macchina complessa come quella della Capitaneria. La tensione aumenta, finché Meloni non fa sapere all’alleato che al momento nulla cambia.
Il Carroccio lo mette immediatamente agli atti, lasciando trapelare che il ministero del Mare «non assorbirà le competenze attualmente in capo alle Infrastrutture ». In realtà, la partita è aperta.
Ed è in questa ambiguità – che fa rima con possibilità – che la nuova premier giocherà il braccio di ferro con Salvini. Ma a pesare è anche la questione politica (e geopolitica). La posizione del vicepremier, assai vicina alle ragioni della Russia di Putin, imbarazza la leader. Salvini da numero due del governo presidierà Palazzo Chigi (ma non dovrebbe essere nel Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica).
Anche per questo la nuova premier ha voluto accanto a sé Alfredo Mantovano – vicinissimo a Washington – come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Per la stessa ragione si farà affiancare da Giovanbattista Fazzolari, il più convinto della resistenza di Kiev: avrà l’Attuazione del programma o diventerà capo di gabinetto.
(da agenzie)
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