Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LE COMPETENZE RISCHIANO DI SCATENARE UNA RISSA
Pronti, via. E arriva subito il primo problema. Il varo del governo di Giorgia Meloni ha visto la presenza, piuttosto a sorpresa dell’ex governatore siciliano Nello Musumeci.
Che ha ricevuto in dote un dicastero con competenze variegate: si chiama ministero del Sud e delle politiche del Mare. Subito dopo è arrivata una precisazione da parte della Lega. Che ha fatto sapere a tutti che «le deleghe del ministro Musumeci non assorbiranno alcuna competenza attualmente in capo al ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, che sarà guidato da Matteo Salvini».
Dietro la precisazione non è difficile intravedere la preoccupazione del Capitano. Perché dai porti dipende, come ci ha insegnato l’esperienza del 2018, anche l’arrivo dei migranti.
Ed evidentemente il leader della Lega vuole conservare la competenza sul tema. Magari per sfruttarla come all’inizio della scorsa legislatura per fare politica.
Ma un retroscena de La Stampa oggi racconta che la storia potrebbe non essere finita qui. Perché il cosiddetto ministero del Mare è una novità e quello che dovrà amministrare è tutto da decidere. E quindi nel primo consiglio dei ministri utile basterebbe un decreto per spostare le deleghe dalle Infrastrutture al Sud.
Anche se, tecnicamente, questo porterebbe a far pesare sul bilancio di Palazzo Chigi tutti i costi di gestione delle capitanerie. Dall’altra parte però c’è una questione di logica. A Salvini è stato detto di no quando voleva tornare al ministero degli Interni per la faccenda di Open Arms. Un ministro sotto processo per quello che ha fatto durante il suo mandato non poteva riprenderlo come se niente fosse. Ma questo ragionamento allora vale anche per i porti.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
DI PROVATA FEDE RONZULLIANA, PAOLO ZANGRILLO, E’ STATO SPOSTATO DA UNA CASELLA ALL’ALTRA A SUA INSAPUTA
Senatore Paolo Zangrillo, lei è stato nominato ministro. Ma di cosa?
“Ora lo so con certezza. Mi occuperò di pubblica amministrazione”.
Perché la presidente del consiglio, nel leggere al Quirinale la lista degli esponenti del suo governo, le ha attribuito la delega all’Ambiente e alla sicurezza energetica?
“Ah guardi, non lo so”.
Proviamo a ricostruire.
“Proviamo. A me, fino al primo pomeriggio, era stato detto che mi sarebbero state assegnate le competenze sulla pubblica amministrazione”.
Poi?
“Poi ho appreso dalla tv, seguendo le comunicazioni della presidente Meloni, che la mia delega era l’Ambiente”.
E cosa ha fatto?
“Ne ho semplicemente preso atto”.
Ma ha pure parlato da ministro al ramo. C’è un lancio dell’agenzia Adnkronos delle 18,57, in cui dice che “l’energia è la priorità”. Aggiungendo: “Ce la metterò tutta”.
“Mi ha chiamato un giornalista e ho risposto in base a quella che credevo fosse stata la delega scelta per me”.
Lei, peraltro, ha competenza in materia di energia.
“Sì, mi sono sempre occupato di relazioni industriali, sono stato tra l’altro nel management dell’Acea, l’azienda energetica della Capitale”.
Quindi non ha chiesto lei, come si apprende da fonti di Forza Italia, a chiedere a Meloni di cambiare delega. Non è vero che non si è sentito all’altezza.
“No, non ho parlato con Giorgia Meloni. Mi ha chiamato il presidente Berlusconi poco fa, intorno alle 19, per dirmi che rimango alla Pubblica amministrazione”.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
MELONI HA PIAZZATO CROSETTO ALLA DIFESA E PER MEDIARE IN EUROPA HA SCELTO FITTO, A CUI HA AFFIDATO LA DELEGA PER SEGUIRE IL PNRR
Voleva i pantaloni e se li è presi. E da quando li ha indossati, Giorgia Meloni ha imposto le sue regole a un mondo di uomini. È successo anche ieri. Al termine delle consultazioni al Quirinale, Berlusconi l’aveva avvicinata e con un sorriso conciliante le aveva proposto di pranzare insieme: «Così facciamo qualche limatura…». E lei, sbrigativa: «Non posso, non ho tempo. Magari ci sentiamo dopo».
Al Cavaliere era toccato sedersi a tavola con La Russa, e accontentarsi di una telefonata con la leader di FdI che ancora non era stata incaricata. Raccontano di un colloquio frugale come una minestrina, appena riscaldata da una «compensazione». «Va bene per Zangrillo ministro», aveva concluso Meloni prima di staccare il telefono.
Gli alleati devono ancora adattarsi a questo modo di far politica, a un metodo così accentrato che ha sorpreso Salvini: «Ai suoi li manda a quel paese se si fanno sfuggire qualcosa». E ce n’è per tutti, persino per il presidente del Senato, che «mi poteva chiamare prima di andare a colloquio con Mattarella».
Custode gelosissima di ciò che le compete, sulla squadra di governo ha tenuto sul filo tutti. Al punto che l’altro ieri il segretario della Lega si era un po’ preoccupato: «Non sento Giorgia da due giorni. Non vorrei finisse come con Draghi, che mi comunicò la lista dieci minuti prima».
È vero, ogni tanto si era fatta viva con i partner più esperti, ai quali chiedeva solo notizie sui capi di gabinetto: «Vabbé che è competente, ma è affidabile?» Il fatto è che Meloni vive sotto stress. «La situazione del Paese è difficile. E dopo quello che ha detto Berlusconi su Putin, in Europa sarà ancor più dura di quanto già non lo fosse».
L’ultimo report l’ha avuto ieri da Draghi, appena rientrato dal vertice di Bruxelles. All’intesa sul tetto al prezzo del gas è stata posta la pietra angolare. Il resto però, suda freddo, «andrà costruito». I rapporti tra i due sono cordiali. E il premier uscente confida su chi oggi prenderà il suo posto, tanto che giorni addietro stava per farsi scappare un complimento: «Lei è stata brava a…». Poi si è interrotto davanti agli interlocutori, per non esporsi. Di certo condivide con Meloni la preoccupazione per il clima sociale: lei teme che qualcuno possa soffiare sul fuoco
La situazione gliel’ha esposta anche il suo prossimo ministro dell’Economia, Giorgetti, secondo il quale «la crisi è diversa da quelle passate. Negli ultimi quindici anni c’è stato un rischio solo di tipo finanziario, connesso al nostro debito pubblico e al costo per il rifinanziamento. Oggi è minacciata anche l’economia reale. Il nostro sistema produttivo aveva reagito meglio di altri alla pandemia: è la sua resilienza che finora ha garantito il nostro debito, certo non l’apparato amministrativo».
È in questo clima e nel mezzo del conflitto ucraino che Meloni dovrà governare. Perciò, per gestire i rapporti con i partner della Nato ha piazzato Crosetto alla Difesa e per mediare in Europa ha scelto Fitto, a cui ha affidato la delega per seguire il Pnrr. Sono i due fronti caldi e non a caso ha scelto due dei suoi.
Politicamente si è mossa come il Berlusconi d’antan, che ammaliò leghisti e finiani per conquistarli alla causa. Si vedrà cosa provocherà il gelo con il Cavaliere, ma intanto gli ha tolto la sponda di Salvini e ha messo una rete di protezione attorno a Forza Italia, garantendo la nascita dei gruppi centristi «per evitare che qualche parlamentare finisca nel Terzo polo». È l’unica deroga all’accentramento di potere. Forse perché le resta una forma di idiosincrasia verso il passato. Una volta infatti le dissero che stava conquistando elettori democristiani: «E c’è speranza che democristiana lo diventi anche tu». La sua risposta fu eloquente: «Vai a mori’…». Ieri sera ripassava a memoria i compiti fatti prima di arrivare a Palazzo Chigi. L’esame sarà molto complicato ma – al contrario di alcuni esponenti della sua coalizione – è convinta che durerà. Tanto da aver persino programmato l’apertura della stagione delle riforme, con una Bicamerale da affidare all’ex presidente del Senato, Pera. Come non bastassero le prove che da oggi dovrà sostenere.
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
ATTENZIONE: I PROSSIMI MESI POTREBBERO ESSERE QUELLI IN CUI IL CAV DARA’ LE SUE “PICCONATE”
«Presidente, dovremmo esserci, viene a vedere?». «Guardate voi, intanto, io poi arrivo». Lo spettacolo d’arte varia, come lo avrebbe chiamato Paolo Conte, ha raggiunto un numero significativo di repliche. Per ora. E i numeri da trasformista navigato, disseminati in ogni dove per i lunghi decenni di una carriera da «numero uno», si sono visti anche adesso che nel campionato della politica quel gradino più alto del podio da secondo (dopo il sorpasso della Lega nel 2018) s’ è fatto terzo (elezioni 2022).
Ma nel giorno della vera «destituzione», quello in cui la prima figura del centrodestra italiano che non è lui riceve nientemeno che l’incarico di guidare il governo del Paese, ecco, del Silvio Berlusconi «picconatore» degli ultimi giorni non c’è traccia.
Niente «vaffa» come quello riferito in pubblico a Ignazio La Russa perché Giorgia Meloni intendesse, niente liti al chiuso delle stanze di Montecitorio, niente aggettivi messi in fila in un foglio in bella vista per i fotografi, niente fuori onda, audio più o meno rubati, niente «signora Meloni», nulla.
Più semplicemente, ma anche sorprendentemente, quando alle 16.30 sono iniziate in tv le dirette dal Quirinale, nella lunghissima attesa che separava l’ingresso della leader di Fratelli d’Italia nella stanza del presidente della Repubblica dall’uscita della stessa con la lista dei ministri, il Cavaliere ha preferito non vedere. «Guardate voi, io poi arrivo». Al pari di Salvini, aveva provato a mettersi in contatto Giorgia Meloni per scongiurare «qualche scherzo dell’ultimo secondo», poi rassegnandosi a un telefono muto.
Qualche ora prima, attraversando i lunghi corridoi del Quirinale insieme alle delegazioni del centrodestra e alla designanda presidente del Consiglio, Berlusconi invece non era riuscito a frenare l’insopprimibile voglia di mostrarsi ancora una volta come il «primus» che relega gli altri al ruolo di «pares» (pari tra di loro, mica con lui), quello che le cose le conosce non per averle studiate ma per averle vissute, e prima e meglio e più volte degli altri.
E quando, passando dalla Sala degli Arazzi di Lille, aveva iniziato a dire rivolto a Meloni «sai, la prima volta che sono passato di qua…» – con implicito richiamo alla primavera inoltrata del 1994, il suo primo governo – all’altra, che evidentemente temeva interventi scomposti nel colloquio con Mattarella, erano venuti i sudori freddi.
Poi qualcosa è successo, di significativo: il silenzio durante la consultazione collettiva, qualche secondo di rassicurazioni sulla politica estera appartato col solo capo dello Stato e infine quel sopracciglio inarcato, con diabolico scambio di sguardi con Matteo Salvini, mentre Meloni parlava ai giornalisti della «indicazione unanime sul mio nome».
È possibile che neanche Berlusconi sappia quale, delle tante volte che la vita gli si è presentata davanti con la scritta «the end», sia stata più dolorosa delle altre.
Se la bruciante caduta per mano di Bossi del primo governo del ’94, gli scandali del 2009, il «golpe» ( copyright suo) del 2011 col passaggio della campanella a Mario Monti, la condanna definitiva del 2013, il sorpasso della Lega nel 2018 o adesso che una donna cresciuta nel centrodestra da lui fondato per la prima volta prende il suo posto a capotavola, relegandolo lontano dalla tv nel momento dell’annuncio finale. Nel corso degli anni la scena nella sua testa era un’altra: «Io presidente della Repubblica che do l’incarico al miglior presidente del Consiglio possibile, e cioè Gianni Letta».
Ecco, da questo sogno è passato talmente tanto tempo che ora è ingiallito come una vecchia fotografia. A colori, adesso, c’è quella televisione che Berlusconi ha raggiunto in tempo per assistere senza alcuna voglia, e con apparente distrazione, al momento clou del grande giorno di Meloni.
Per tornare a mettere in pratica lo stile delle «picconate» mutuato dal suo compianto amico Francesco Cossiga, stile che ha usato per apporre (insieme a Conte e Salvini) anche la sua firma sulla fine anticipata del governo di Mario Draghi, ci sarà spazio e tempo nei prossimi mesi. D’altronde, a quelli che lo guardano come se fosse al tappeto, ha ricominciato a raccontare la vecchia storiella sull’origine della sua fortuna, quando si sdraiava per terra su un terreno appena acquistato, per mostrare ai possibili acquirenti l’esatta metratura del soggiorno nella casa che gli avrebbe venduto. Fedele Confalonieri, accanto a lui, reggeva un metro.
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
I TECNICI SONO DIGNITOSI, MA (ESCLUSO NORDIO) INDUBBIAMENTE DI LIVELLO INFERIORE A QUELLI DI DRAGHI
Se doveva essere di «alto profilo», com’ è stato ripetuto più volte nei lunghi giorni della gestazione, il governo presentato ieri sera certamente non lo è.
I tecnici sono dignitosi, ma – escluso Nordio – indubbiamente di livello inferiore a quelli di Draghi. E i politici sono quel che sono diventati nella politica di adesso: nella media di un Paese – una Nazione, direbbe Meloni, che preferisce questo termine – che da tempo non ha quasi più statisti in servizio, tolto il Presidente Mattarella, e ne ha appena licenziato uno, Draghi, che presto rimpiangerà.
Sull’idea di cambiare i nomi ai ministeri per segnare l’Anno Uno dell’Era Meloniana, insieme a un cambio culturale di cui non è difficile riconoscere le radici di destra, meglio sorvolare.
In attesa di sapere, ad esempio, quali saranno i poteri del ministro della Sovranità alimentare, e se sarà ancora possibile, sotto il suo dominio, mangiare gli hamburger o il sushi.
Il governo , come ha ricordato il Capo dello Stato, ha davanti a se problemi enormi e emergenze vecchie e nuove, come il Covid non ancora del tutto sconfitto e la guerra in Ucraina, con la crisi energetica e il caro bollette, di cui non si vede la fine.
(da la Stampa)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
VISTA LA DELICATEZZA DEL TEMA E I MILIARDI CHE BALLANO SUL TAVOLO DEI GOVERNI E DELLE INDUSTRIE, IL NUOVO MINISTRO SARÀ IL PRINCIPALE INTERLOCUTORE DELL’ASSOCIAZIONE CHE HA RAPPRESENTATO FINO A OGGI
«Tranquilli, sono assolutamente convinto di continuare a tenermi i privilegi di privato cittadino per tanto tempo», diceva Guido Crosetto, commentando l’articolo di Domani, che lo indicava come consigliere principale della leader di Fratelli d’Italia e possibile ministro di un esecutivo di destra
Alla fine gli toccherà giurare da ministro e per giunta della Difesa, settore che conosce a menadito per la sua esperienza pluriennale da presidente di Aiad, la federazione confindustriale che cura gli interessi delle aziende del settore dell’aerospazio e della difesa.
Un ruolo che lo aveva portato persino a dimettersi da parlamentare per evitare possibili conflitti di interesse, vista la delicatezza del tema e i miliardi che ballano sul tavolo dei governi e delle industrie che il nuovo ministro dovrà trattare. Certamente Crosetto dovrà lasciare la presidenza di Aiad, passerà dall’altra parte: sarà il capo del ministero principale interlocutore dell’associazione che ha rappresentato fino a oggi.
«La presidenza dell’Aiad per statuto è gratuita», aveva chiarito Crosetto. In realtà il regolamento interno dice altro. «Tutte le cariche non sono retribuite, fatta eccezione per la carica del presidente ove il cda lo ritenga opportuno», si legge. Evidentemente per Crosetto non ha deliberato conseguentemente. «Da dove vengono i miei guadagni? Dalla mia attività privata, eventuali dividendi di società, entrate da proprietà e fatturato partite Iva», aveva risposto il fondatore di Fratelli d’Italia.
I CONFLITTI DI CROSETTO
Il fidato meloniano Crosetto è stato, come detto, il cofondatore del partito. Si è dimesso dal parlamento nel 2018. Ha preferito continuare a rappresentare la lobby delle aziende delle armi, della difesa e dell’aerospazio. Oltre a essere un imprenditore, è stato sottosegretario alla Difesa nel quarto governo Berlusconi, oggi è all’Aiad ed è, informalmente, consigliere della Meloni. Un doppio ruolo che spesso genera conflitti. Anche perché di Aiad fa parte Leonardo Spa, l’ex Finmeccanica, che gestisce larga fetta degli affari con il ministero che sarà il regno di Crosetto.
Anche dopo essere diventato numero uno dell’Aiad, Crosetto è rimasto per molto tempo coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, con il rischio di plurimi conflitti di interessi: dell’associazione fanno parte 186 aziende più 3 associazioni nazionali quali l’Associazione nazionale produttori armi e munizioni sportive (Anpam), l’Associazione per la normazione, la formazione e qualificazione nel settore dell’aerospazio, difesa e sicurezza (Unavia) e l’Associazione per i servizi, le applicazioni e le tecnologie Ict per lo spazio (Asas).
Aiad rappresenta il comparto ai massimi livelli. Ha un ruolo predominante nella scelta dei membri della delegazione nazionale presso Niag (Nato industrial advisory group) ossia un «gruppo consultivo ad alto livello di industriali appartenenti ai paesi membri della Nato che agiscono riportando alla Conferenza dei direttori nazionali degli armamenti (Cnad), forum principale per la cooperazione in ambito Nato sugli armamenti».
In pratica la delegazione nazionale selezionata da Aiad ha lo scopo di riportare le istanze dell’industria nazionale nei confronti di studi e programmi richiesti o sollecitati da parte di organismi dell’Alleanza atlantica. Si tratta di spazi di confronto in cui si decidono strategie di business nel delicato settore degli armamenti che possono valere svariati miliardi di euro.
C’è chi dice: una volta lasciata la presidenza per Crosetto ogni possibile conflitto svanirà. È davvero così? C’è da dire che all’interno di Aiad e delle aziende che ne fanno parte Crosetto ha molti amici.
Per esempio in Aiad potrà sempre contare sul segretario generale, Carlo Festucci: un dirigente che la famiglia Crosetto conosce bene, è nel consiglio di amministrazione di una azienda che ha tra i soci il 25enne figlio del fondatore di Fratelli d’Italia.
La benevolenza dell’industria degli armamenti verso Crosetto e Fratelli d’Italia è indicata anche da un altro elemento: poco tempo fa un’azienda ha versato 10mila euro al partito.
Si tratta della Drass Galeazzi srl, si occupa di «tecnologia subacquea e prodotti per la difesa marina come sommergibili e veicoli per le forze speciali». Drass però membro di Aiad, il cui presidente è Crosetto, l’imprenditore e fondatore del partito di Meloni. Diventato ora il ministro della Difesa con cui Drass dovrà confrontarsi.
(da Editoriale Domani)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL FATTO CHE CROSETTO LIQUIDI LE SUE AZIENDE IN AFFARI CON IL MINISTERO NON CAMBIA LA SOSTANZA …LA SANTANCHE POI NON FA NEPPURE QUELLO
«Per tutti quelli che (non per amore) me lo stanno chiedendo, rispondo. Mi sono già dimesso da amministratore, di ogni società privata (non ne ricopro di pubbliche) che (legittimamente) occupavo. Liquiderò ogni mia società (tutte legittime). Rinuncio al 90% del mio attuale reddito».
È stato lo stesso Guido Crosetto su Twitter ad annunciarlo dopo la conferma della sua nomina a ministro della Difesa del governo Meloni. Ma l’addio alla carica di presidente dell’Aiad, ovvero la Federazione delle aziende italiane dell’aerospazio e della difesa aderente a Confindustria non cambia la sostanza del problema.
Mentre Daniela Santanchè, nuova ministra del Turismo, è già sulla graticola per il suo Twiga: «Proprietaria di uno stabilimento balneare, stabilirà quanto dovranno costare le concessioni balneari. Compresa quella al suo che paga un canone irrisorio», attaccano i Verdi.
Il ministro della Difesa liquida le sue aziende
Il prossimo ministro della Difesa ha lasciato quindi l’Aiad. Crosetto abbandona anche la presidenza di «Orizzonti sistemi navali», società controllata al 51% da Fincantieri ed al 49% da Leonardo. Ovvero i due principali gruppi industriali italiani del settore.
E altro: «Da privato e libero cittadino in questi anni ho costruito una bella società di consulenza, con mia moglie e mio figlio. Sono fatto così male che, adesso che una mia amica, che fino a 2 giorni fa non contava, conterà, ho deciso di liquidarla perché nessuno possa fare illazioni», aveva detto qualche tempo fa.
La società, fa sapere oggi Il Fatto Quotidiano, si chiama Csc&Partners Srl e l’attuale ministro era proprietario del 50% delle quote. Nel 2021 aveva un fatturato di 272 mila euro e un utile netto di 179 mila. Chiuderà anche le tre aziende che gestiscono bed & breakfast a Roma. E l’agenzia di viaggi attualmente amministrata da un curatore fallimentare.
Oltre a quella che si occupa di servizi contabili. «Mi dimetto da amministratore e poi per scelta mia le vendo, ho novanta giorni di tempo per farlo. Ma nessuno lo ha mai fatto prima, tanto per capirci vendo dei bed and breakfast. Mentre non è che Berlusconi ha venduto Mediaset quando è entrato in politica», ha concluso lui.
Rimane il fatto che da ministro dovrà avere rapporti con quegli ambienti industriali da cui proviene.
Twiga delle mie brame
Nessuna notizia su Santanchè, invece. Che il canone di concessione del Twiga di Forte dei Marmi ammonti ad appena 17 mila euro l’anno lo ha detto anche l’altro socio, Flavio Briatore. Ad attaccarla ieri per il conflitto d’interessi sono stati Angelo Bonelli ed Eleonora Evi dei Verdi. La società ha anche finanziato Fratelli d’Italia con 26 mila euro. Ma d’altro canto la posizione del partito sul problema è nota. «È incomprensibile la scelta del governo Draghi di procedere con i decreti attuativi del ddl Concorrenza sulla mappatura delle concessioni i balneari», diceva il capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida all’epoca. Fdi difende i balneari con buona pace dell’Europa, delle procedure d’infrazione e del Consiglio di Stato. Che in una recente sentenza ha imposto la scadenza delle concessioni a fine 2023.
La soddisfazione dei balneari
Intanto Marco Maurelli, presidente di Federbalneari Italia, ha colto con soddisfazione la nomina: «Siamo felici per il conferimento dell’incarico al neo ministro del Turismo Daniela Santanchè, convinti della sua importante esperienza e passione nel settore per trainare al successo che merita il comparto del turismo italiano in cerca di stabilità e di un forte rilancio oggi più che mai. L’industria del turismo balneare italiano rappresentata a pieno titolo da Federbalneari Italia è pronta a collaborare con il Governo e con il Ministero del Turismo per il conseguimento degli obiettivi sperati puntando ad una piena collaborazione ed avviando quel dialogo serio con la Commissione Ue, finalizzato a conferire la giusta dignità al tessuto imprenditoriale italiano che questo settore merita».
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
FESTA GROSSA PER LA LOBBY DEI BALNEARI
La squadra è composta da cinque tecnici, cinque leghisti, cinque forzisti e nove ministri di FdI. Tra questi ultimi, una delle figure più criticate è stata Daniela Santanché, voluta da Giorgia Meloni al Turismo.
Una nomina, la sua, che ha subito attirato le critiche di molti perché ambigua: la meloniana, infatti, è assieme a Briatore proprietaria del Twiga, stabilimento di lusso a Forte dei Marmi, e avrebbe quindi interessi in campo marittimo che mal si concilierebbero col ruolo istituzionale che le è stato appena conferito.
A sollevare perplessità sulla nomina di Daniela Santanché al Turismo era stato già nei giorni scorsi il co-portavoce di Europa Verde e parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra Angelo Bonelli, che aveva detto: “È inaccettabile che al ministero del Turismo, e quindi del demanio marittimo, possa sedere chi ha interessi nel demanio marittimo, un settore che fattura tra i 7 e i 10 miliardi di euro mentre, con le concessioni demaniali, lo Stato incassa solo 100 milioni di euro, con un’evasione erariale di quasi il 50%. Attualmente, infatti, le concessioni demaniali costano tra 1 euro e 1,70 euro al metro quadro all’anno”.
Bonelli ha proseguito: “Il Twiga, lo stabilimento balneare di Briatore e Santanchè, paga un canone irrisorio di 17 mila euro l’anno mentre, ai consumatori, fa pagare ben 300 euro al giorno per una tenda. Ciò significa che, con gli incassi di meno di mezza giornata, il Twiga riesce a pagare il canone che versa allo Stato per la concessione della spiaggia per tutto l’anno. Come denunciamo da tempo, a noi pare che quelli di cui lei stessa gode siano privilegi inaccettabili”.
(da agenzie)
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