Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
OGGI LA CONCESSIONE DI UNO STABILIMENTO, CON IL CANONE ANNUO DI APPENA 2.700 EURO, SI RIPAGA CON L’AFFITTO DI 2 OMBRELLONI PER 3 MESI A 15 EURO AL GIORNO… IL NUMERO DI LICENZE PER I TAXI È FERMO DAL 2008. IN ITALIA C’È UNA VETTURA BIANCA OGNI 2.000 ABITANTI, CONTRO I 1.160 DELLA FRANCIA
Chi ha ottenuto in concessione uno stabilimento balneare in cui ha investito, e che da decenni gli rende bene, può vantare il «diritto acquisito» a tenerselo senza partecipare a gare pubbliche e a canoni irrisori?
Il proprietario delle spiagge è lo Stato, ma chi le può gestire, a quali condizioni e con quali canoni è una questione irrisolta da almeno 16 anni. È fin troppo evidente che un equilibrio fra interesse privato e quello pubblico non c’è. Il tempo per varare la riforma delle concessioni balneari scade fra 3 mesi. Vediamo come stanno le cose.
Dall’ultimo rapporto della Corte dei conti i numeri sono chiari: le concessioni per le spiagge sono 12.166, e tra il 2016 e il 2020 hanno reso allo Stato solo briciole: in media 101,7 milioni di euro l’anno. Dal 2021 è stato introdotto il canone minimo annuo, che con l’aumento Istat è diventato di 2.698 euro. Una cifra che si ripaga con l’affitto di 2 ombrelloni per 3 mesi a 15 euro al giorno.
Certo ci sono spiagge (pochissime) dove il canone è più alto, ma più alto è anche il prezzo dell’ombrellone. Bisogna poi aggiungere i costi dei bagnini e della manutenzione della spiaggia, ma anche i ricavi del servizio bar o ristorante. Una sproporzione fra fatturati e canoni a danno della redditività per l’Erario, già segnalata sia dalla Corte dei conti sia nei documenti di economia e finanza.
Rinnovi automatici e taciti
Succede perché finora chi si è aggiudicato una concessione balneare se l’è tenuta grazie a rinnovi taciti e automatici. Ciò è stato possibile anche perché il Codice di navigazione, che risale al marzo 1949, prevedeva il «diritto di insistenza»: vuol dire che chi già ha una concessione vanta il diritto di essere preferito a terzi nella riassegnazione. Nel 2009 il «diritto di insistenza» viene eliminato sotto la minaccia di una procedura di infrazione Ue per il mancato rispetto della «direttiva Bolkestein» del 2006 che invece prevede l’obbligo di procedure pubbliche imparziali e trasparenti. Contemporaneamente, per allinearsi alle richieste della Ue, viene annunciata la necessità di rivedere le regole.
Nessuno decide
Da quel momento in poi nessuno osa mettere mano alle norme sull’assegnazione delle concessioni, e si procede di proroga in proroga: il governo Berlusconi IV fa slittare il termine al 31 dicembre 2015, il governo Monti al 31 dicembre 2020, il governo Conte 1 addirittura al 31 dicembre 2033. Così a dicembre 2020 ci viene notificata dall’Ue una nuova procedura di infrazione, e nel novembre 2021 il Consiglio di Stato sancisce che il rilascio o il rinnovo delle concessioni balneari deve avvenire con procedura di evidenza pubblica, fissando il termine delle attuali concessioni al 1° gennaio 2024.
Il Ddl Concorrenza
La svolta politica arriva con gli articoli 3 e 4 del Ddl Concorrenza approvato lo scorso agosto dal governo Draghi: la scadenza delle concessioni in vigore (date generalmente dai Comuni) è fissata al 31 dicembre 2023 o, in caso di pendenza di un contenzioso o difficoltà nell’espletamento della gara, al 31 dicembre 2024. Niente più rinnovi automatici, ma gare pubbliche che devono ispirarsi ai principi di imparzialità, trasparenza e adeguata pubblicità. Gli investimenti e la professionalità acquisita da chi già gestisce le spiagge vanno tenuti in considerazione, così come sono previsti indennizzi per gli eventuali concessionari uscenti a carico di chi subentra. Il Ddl Concorrenza, dunque, tutela sia gli attuali titolari delle concessioni e i loro investimenti, sia l’interesse pubblico di fare fruttare meglio i beni demaniali. E fissa una data: entro febbraio 2023 emanazione dei decreti con i criteri per le gare pubbliche.
Nuovi ostacoli
Ed è quello che deve fare il nuovo governo: il dossier sarà preparato da un Comitato interministeriale di coordinamento delle politiche del mare (Cipom) sotto la guida di Palazzo Chigi e il coordinamento del ministro del Mare Nello Musumeci. Agli imprenditori balneari, da anni sulle barricate, la stessa Meloni in una lettera del 3 novembre assicura: «Il nostro governo difenderà le imprese balneari italiane e le famiglie che lavorano nel settore. L’Italia non può permettere che le proprie spiagge finiscano in mano a chissà chi, con il rischio di distruggere un tessuto economico sano e di mettere in pericolo anche l’integrità dell’ambiente». Intende dire che i concessionari rimangono gli stessi perché il governo non riesce a definire dei criteri di gara che garantiscono l’interesse pubblico?
L’altro fronte irrisolto: i taxi
Nello stesso Ddl Concorrenza c’era anche la delega al governo per riscrivere entro 6 mesi le regole sui taxi, un servizio pubblico la cui prestazione deve essere obbligatoria, capillare sul territorio e accessibile economicamente. La legge del 1992 che disciplina il settore demanda ai Comuni il compito di stabilire il numero di licenze, i turni con il numero di taxi per fasce orarie e le tariffe.
Chi ha una licenza è titolare di un’impresa artigiana e iscritto alla Camera di Commercio dopo avere superato l’esame per ottenere il «ruolo di conducente». Chi ha una licenza da più di 5 anni, o ha compiuto i 60 anni, o per malattia, può indicare al Comune a chi trasferirla. In caso di morte può passare a uno degli eredi, o a chi indicato da loro.
Numero di licenze al palo
In media in Italia c’è un taxi ogni 2.000 abitanti contro i 1.160 della Francia e i 1.028 della Spagna. Nelle 110 principali città italiane le licenze sono 23.139, più o meno le stesse di 15 anni fa. A Milano erano 4.855 e oggi sono 4.852, e le ultime, rilasciate dal Comune a titolo gratuito risalgono al 2004. Ad agosto 2019 l’allora assessore ai Trasporti Marco Granelli ammette: «È necessario ampliare il contingente in servizio con 450 nuove licenze». Il motivo? Sulle 33.400 chiamate al giorno tra le 8 e le 10 ne risulta inevaso il 15%; tra le 19 e le 21 il 27%, il sabato e domenica tra le 19 e le 21 il 31%; tra mezzanotte e le 5 il 42%.
Tutto rinviato poi per il Covid, ora c’è da vedere se e quando la questione sarà ripresa. A Roma in quindici anni sono passati da 7.710 licenze a 7.703, e le ultime 500 sono state assegnate nel 2008. Per fare fronte all’alta richiesta insoddisfatta di taxi tra luglio e settembre il Comune modifica le regole dei turni ben 4 volte per dare ai tassisti la possibilità di allungare gli orari nel fine settimana; fare lavorare un sostituto e avere turni di 12 ore contro le 8 e mezzo precedenti. Si legge nell’ordinanza: risposta deludente, la domanda dei taxi resta inevasa. In sostanza le licenze sono poche.
Uber e compagnia
L’altra questione da risolvere riguarda il mercato parallelo delle piattaforme digitali, come la californiana Uber black che connette passeggeri e autisti Ncc (anch’ essi con licenza ma che non svolgono servizio pubblico): l’app permette di conoscere in anticipo il costo della corsa. Come l’italiana Wetaxi. Poi c’è la tedesca Freenow che lavora con i tassisti e permette di pagare la corsa dal cellulare (per esempio con PayPal). Tutto questo nuovo mercato oggi si autoregolamenta.
L’articolo 10 del Ddl Concorrenza prevedeva di promuovere la concorrenza, anche con il rilascio di nuove licenze, e di regolamentare l’uso delle piattaforme tecnologiche per mettere in contatto passeggeri e conducenti. Ma l’articolo viene stralciato lo scorso 21 luglio dopo l’ennesima rivolta della lobby dei tassisti: più licenze fanno perdere mercato e valore alle licenze stesse, vendute anche a 150-200 mila euro. Uno stralcio rivendicato da Francesco Lollobrigida, braccio destro di Giorgia Meloni: «È merito di Fratelli d’Italia e di tutto il centrodestra». Mentre l’Autorità indipendente per i trasporti chiede una revisione delle regole almeno dal 2015 e cresce la domanda di servizio taxi, prosperano gli abusivi.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da il “Corriere della Sera”)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
NEI PROSSIMI GIORNI TORNERANNO TUTTE NEL MEDITERRANEO
Chi in Spagna, tra Barcellona e il porto di Burriana, chi in Francia, le navi umanitarie che fanno ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale in questi giorni sono tutte ferme, in porto. Non per l’attesa del decreto anti salvataggi annunciato dal governo Meloni e dal ministro Matteo Piantedosi, assicurano, ma per riorganizzarsi e ripartire.
Quasi tutte le imbarcazioni umanitarie più note, infatti, sono state coinvolte nel braccio di ferro col governo italiano delle ultime tre settimane e ora, dicono, hanno bisogno di recuperare forze, oltre a provviste, e di rinnovare gli equipaggi. «Tempo pochi giorni», assicurano, «e saremo di nuovo in mare».
E’ così per la Geo Barents, la nave di Medici senza frontiere, bloccata per diversi giorni a Catania, fino alla decisione delle autorità sanitarie di far sbarcare tutti i naufraghi salvati nei giorni precedenti.
L’imbarcazione si è spostata da Catania ad Augusta, sempre in Sicilia: «Stanno arrivando i nuovi membri dell’equipaggio – racconta il portavoce Riccardo Gatti a Open – faranno un ulteriore training a bordo, nel frattempo completeremo le provviste e i controlli e saremo pronti a partire. In genere le nostre soste durano un massimo di 15 giorni, con una media di dieci».
Nel mentre le leggi italiane potrebbero essere cambiate, con una ulteriore stretta per le organizzazioni umanitarie, ma al momento Gatti preferisce guardare avanti: «Certo il clima potrebbe essere più difficile, ma la verità è che sono anni che lavoriamo in una situazione poco serena nei nostri confronti e chiaramente il livello di stress è elevato».
Molta prudenza, per il momento, sulle annunciate nuove norme: «Abbiamo sempre operato nel rispetto della legalità, le leggi internazionali però riguardano prioritariamente i governi degli stati nazionali chiamati ad applicarle», dice Gatti. La situazione potrebbe complicarsi, certo, tanto più che quando per la prima volta fu imposto un regolamento alle ong (ministro era Marco Minniti del Pd), Msf fu l’unica tra le grandi organizzazioni umanitarie a non aderire: «Ma abbiamo sempre rispettato le leggi internazionali che sono chiarissime in tema di soccorsi in mare», conclude Gatti.
Il ruolo dell’Europa
In porto è anche la Open Arms 1, quasi omonima dell’organizzazione umanitaria spagnola che la gestisce. Nei prossimi giorni partirà da Barcellona, sempre alla volta del Mediterraneo centrale: «Guardiamo con preoccupazione anche al processo penale che ci vede protagonisti assieme all’attuale vicepremier Matteo Salvini, ci sarà una nuova udienza a giorni – dice Valentina Brinis Advocacy officier di Open Arms – Da tempo le organizzazioni umanitarie sono al centro di una campagna che nulla ha a che vedere con il loro effettivo ruolo nelle situazioni di emergenza, capiamo la necessità di coinvolgere l’Europa ma chiediamo di farlo a terra non mentre ci sono vite da salvare».
Sos Humanity, l’organizzazione tedesca che guida la Humanity 1, in porto a Burriana (Spagna), sottolinea che il problema con l’Europa c’è: «E’ chiaro che al ruolo degli stati costieri va affiancato quello degli stati interni per l’accoglienza e la protezione umanitaria, ma questo scontro, che contiene degli elementi veri, non può portare ad affermare che chi affaccia sul Mediterraneo ha il diritto di non soccorrere più – dice Wasil Schauseil di Sos Humanity – E’ stato detto che le ong agiscono nella illegalità, voglio solo ricordare che abbiamo organizzato le prime missioni umanitarie in mare quando, nel 2014, i governi hanno deciso di interrompere l’operazione Mare nostrum e di smettere di salvare chi si trova alla deriva nel Mediterraneo».
Partirà tra qualche tempo, infine, dopo alcune opere di “cantiere” a Marsiglia, la Ocean Viking di Sos Mediterranee, forse la principale protagonista della battaglia delle ultime settimane, visto che è a lei che la Francia ha accettato di aprire il porto di Tolone.
Il presidente di Sos Mediterranee italia, Alessandro Porro, lavora in pronto soccorso. Risponde al telefono mentre è in turno, spiegando che «se arriva un’emergenza devo attaccare», e promette che sarà a bordo della prossima missione: «Siamo preoccupati perché questa campagna può spingere i cittadini a smettere di sostenerci, specie quando i riflettori si spegneranno, ed è l’effetto che ci preoccupa di più, perché i sequestri in passato si sono spesso rivelati illegittimi. E siamo preoccupati perché, come è già accaduto nel 2018, questo genere di sceneggiate ha la diretta conseguenza di far aumentare i morti in mare. In ogni caso dopo le opere di cantierizzazione che avevamo in programma già da tempo, ripartiremo. Come sempre».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
IL PRIMO MINISTRO SANCHEZ RIMPIANGE DRAGHI E NON PUÒ FARE CONCESSIONI AI SOVRANISTI DI “VOX”
Dopo la prima presa di contatto, che risale a un paio di settimane fa, Pedro Sánchez ha sottolineato come Giorgia Meloni parli «un ottimo spagnolo». Ma evidentemente non sono sufficienti le affinità linguistiche per intendersi. È bastata la prima grave crisi, che già contrappone in modo frontale Roma e Parigi e semina scompiglio in Europa, perché Madrid prendesse le distanze dal suo tradizionale alleato.
Del resto, in quella dichiarazione congiunta sulle «Ong fuorilegge », firmata da Italia, Grecia, Malta e Cipro, c’è appunto un grande assente, la Spagna, che è il quinto membro del gruppo Med5 impegnato da tempo nella ricerca delle soluzioni più efficaci al problema migratorio.
La Spagna «non può sostenere proposte che premierebbero i Paesi che non rispettano i loro obblighi in termini di diritto marittimo internazionale e che andrebbero a discapito di quelli che, come la Spagna, rispettano i loro obblighi e salvano vite con risorse pubbliche», ha detto all’Ansa un portavoce del Ministero dell’Interno di Madrid.
Una presa di distanze netta che rischia di scavare un solco tra due Paesi da sempre uniti da interessi strategici comuni.
L’irritazione è palese anche nelle parole del ministro degli Esteri José Manuel Albares che, intervistato dal Periódico de España , riflette: «Assistiamo a un aumento del numero di migranti che cercano di raggiungere l’Europa tranne che attraverso una rotta: la Spagna. Perché? Perché abbiamo una lunga e solida collaborazione con i Paesi di origine e di transito».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
“LA SOLIDARIETA’ C’E’, L’ITALIA PRIMA A RICEVERLA”
Non si ferma la crisi tra Roma e Parigi sui migranti. In mattinata, dopo giorni di preoccupazioni, è intervenuto anche il del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha avuto un colloquio telefonico con il presidente francese Emmanuel Macron, nel tentativo di ricucire strappo tra Italia e Francia sulla gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo e la ridistribuzione tra i Paesi dell’Ue.
E in tarda mattinata è nuovamente intervenuta la Commissione europea, che era già intervenuta sul caso dell’Ocean Viking, a seguito del rifiuto da parte dell’Italia di assegnare alla nave della Ong Sos Mediterranée un porto sicuro in cui attraccare, richiedendo «lo sbarco immediato di tutti i migranti».
Anitta Hipper, portavoce della Commissione Ue, quest’oggi ha ribadito che nell’obbligo di prestare soccorso alle imbarcazioni in mare in difficoltà, salvando la vita delle persone a bordo, «non c’è differenza tra le navi delle Ong o le altre navi: è un obbligo chiaro e inequivocabile, a prescindere dalle circostanze».
E da Bruxelles è stato ribadito che «la Commissione Ue è al lavoro su un piano d’azione per le migrazioni» e, come già annunciato in precedenza, verrà presto convocata «una riunione straordinaria dei ministri dell’Interno» degli Stati membri. Hipper, nel corso del punto stampa con i giornalisti, ha infine precisato: «Noi abbiamo messo sul tavolo una piattaforma di solidarietà volontaria. L’Italia ne è la prima beneficiaria, con la Francia e la Germania che hanno provveduto ai primi ricollocamenti. C’è la necessità che la solidarietà continui, ed è quanto sta accadendo».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
FDI 28,4%, PD 17,4%, M5S 16,5%, AZIONE 8,4%, LEGA 8,3%, FORZA ITALIA 6,6%, VERDI-SINISTRA 3,6%, + EUROPA 2,5%
Secondo l’ultimo sondaggio settimanale realizzato da Termometro Politico, relativo al periodo tra l’8 e il 10 novembre, l’indice di fiducia del presidente del Consiglio Giorgia Meloni rimane alto, al 45%. Alla domanda ‘Ha fiducia nel presidente del Consiglio Giorgia Meloni?’, il 27, 3% ha risposto ‘Sì, molta’, mentre il 17,7% ha risposto ‘Sì, abbastanza’. ‘No, per nulla’, è stata la risposta del 34,6% degli intervistati, mentre, ‘No, poca’ è stata la risposta indicata dal 19,3% dei partecipanti al sondaggio.
Per quanto riguarda invece le intenzioni di voto, si segnala la crescita di Azione/Italia Viva, data all’8,4%, che supera la Lega di Salvini (8,3%) e diventa la quarta forza politica del Paese dietro a Fratelli d’Italia (ancora in crescita al 28,4%) Pd e M5S (stabili rispettivamente al 17,4% e al 16,5%). Forza Italia perde ancora due decimi e scivola al 6,6%. Seguono Sinistra Italiana/Verdi (3,6%), +Europa (2,5%), Italexit (2,2%), Unione Popolare (1,8%) e Italia Sovrana (1,4%).
Per quanto riguarda le modifiche al Reddito di cittadinanza, promesse e più volte annunciate dal governo Meloni, l’elettorato è diviso. Il 38,4% è d’accordo su una sua modifica, a patto che i percettori del sussidio possano rifiutare un’offerta di lavoro, se paga e mansione non sono dignitosi. Di diverso avviso il 34,1%, secondo cui chi prende il Reddito di cittadinanza deve accettare qualsiasi lavoro gli venga offerto. Contrario ad ogni modifica il 7,8%, mentre il 19% vorrebbe l’eliminazione tout court della misura.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
CONTAVAMO MOLTO AL TAVOLO CON FRANCIA E GERMANIA. ORA VANTIAMO UN’INTESA CON ATENE (DOVE IL GOVERNO È INDEBOLITO DAI SUOI DEBITI), CON CIPRO (CENTRALE DI DENARO RUSSO) E CON MALTA
Tutte le dispute in Europa hanno in sé un’invisibile frontiera che è saggio non varcare mai. È la linea friabile che separa politica europea ed interna: non vederla porta – consapevolmente o no – a offendere le sensibilità in un altro Paese solo per legittimarsi all’interno del proprio, segnando punti in casa ma generando danni a cascata nel rapporto con il vicino. Quando questa frontiera viene varcata, uscire dal labirinto delle incomprensioni diventa difficile e nessuno può più vincere.
Purtroppo fra Italia e Francia questa linea è stata calpestata più volte negli ultimi giorni. Lo ha fatto Matteo Salvini con il suo sprezzante «l’aria è cambiata» alla (presunta) notizia che Parigi avrebbe accolto la Ocean Viking con 230 migranti a bordo; lo ha fatto Giorgia Meloni, con un comunicato che presentava come fatto compiuto un approdo della nave in Francia che il governo transalpino non aveva confermato; e lo ha fatto la ministra degli Esteri francese Catherine Colonna con una minaccia di «conseguenze» per il governo di Roma, che appare del tutto fuori luogo (come altre uscite francesi).
Invece di avvilupparci in questa spirale, in Italia potremmo ripartire da poche semplici domande: chi sono i nostri alleati in Europa? Ne abbiamo? Possiamo farne a meno? Con chi lavorare ai nostri obiettivi essenziali nella crisi dell’energia, sul bilancio, nelle politiche industriali, nella recessione che si annuncia e (anche) sui rifugiati? In poche settimane siamo passati dalla foto a tre nel treno verso Kiev, quando Mario Draghi convinse Emmanuel Macron e Olaf Scholz ad accettare la candidatura dell’Ucraina all’Unione europea, alla cordata sui migranti con Grecia, Malta e Cipro.
Contavamo molto a un tavolo con Francia e Germania. Ora vantiamo un’intesa con Atene (dove il governo è indebolito dai suoi debiti verso gli altri Paesi europei e dallo scandalo per lo spionaggio sull’opposizione), con Cipro (centrale di denaro russo, con Gazprombank terza banca dell’isola) e con Malta. Ci conviene?
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
LA RUSSIA HA TAGLIATO L’80% DELLE ESPORTAZIONI DI GAS IN EUROPA MA IN SOLI 8 MESI ABBIAMO LE SCORTE AL 95% E RIDOTTO DEL 15% IL CONSUMO DEL GAS
L’Europa, a volte, ha la memoria corta. Anzi, cortissima. Così omette di celebrare la vittoria di guerre che scorda di aver combattuto. È accaduto dieci anni fa, quando riuscì, con grande fatica e grazie anche a Mario Draghi, a superare la sfida dei mercati alla sopravvivenza della moneta unica.
Gli effetti di quella crisi li stiamo scontando ancora adesso. Ma, dopo il grande panico dell’estate 2012, l’euro resse all’urto e il sistema finanziario europeo ne uscì rafforzato, sia pure nell’indifferenza generale. Lo stesso sta accadendo ora con la guerra del gas. È passato meno di un anno da quando Putin ha invaso l’Ucraina convinto di tenere in scacco la Ue con il ricatto energetico. Ci ricordiamo di quando Medvedev, e lo stesso Putin, disegnavano lo scenario di un’Europa al gelo, in preda a tumulti di piazza che avrebbero sovvertito i nostri ordinamenti democratici se solo i governi dell’Unione avessero osato sfidare il Cremlino?
In settant’ anni di storia la Ue non aveva mai ricevuto una sfida così aperta, così difficile e così potenzialmente letale. Anche da noi, la guerra del gas fu vissuta con angoscia, e affrontata senza nessuna certezza di poterla vincere. I timori di vedere le città al gelo e le fabbriche chiuse erano reali. Ma l’Europa non si è piegata: ha varato sanzioni durissime contro la Russia e inviato armi e aiuti di ogni genere all’Ucraina.
Putin ha di fatto chiuso i rubinetti del gas. Ma, pur tra mille difficoltà, lo scenario catastrofico da lui previsto non si è avverato.
Così la settimana scorsa Ursula von der Leyen ha potuto riassumere la situazione in questi termini: «Abbiamo fatto più progressi di quanto pensassimo fosse possibile. Dall’inizio della guerra, Putin ha tagliato l’80% delle esportazioni di gas in Europa. In soli otto mesi, siamo riusciti a sostituirne la maggior parte. Questo ha permesso di riempire i nostri stoccaggi al 95%. Allo stesso tempo, abbiamo ridotto il consumo di gas del 15%. Non ho dimenticato come Putin abbia cercato di far pressione su di noi. Come alcuni temessero un blackout in Europa quando è iniziata la guerra. Non solo questo scenario non si è concretizzato, ora siamo preparati per l’inverno. E soprattutto, i prezzi del gas sono scesi di circa due terzi rispetto ad agosto. Tutti noi abbiamo fatto la nostra parte e possiamo esserne orgogliosi».
Ma di questo orgoglio, nelle cancellerie e nelle opinioni pubbliche europee, non si vede traccia. Certo, l’emergenza non è finita. La sfida della Russia ci ha costretti ad importare inflazione e ha fortemente ridotto le aspettative di crescita delle nostre economie.
La nostra dipendenza energetica resta elevata e, come ha riconosciuto la stessa presidente della Commissione, riempire nuovamente le scorte l’anno prossimo non sarà affatto semplice. Ma, se almeno ci rendessimo conto di aver vinto una sfida mortale lanciata contro il nostro sistema economico e le nostre democrazie, forse affronteremmo le difficoltà future con maggiore fiducia.
(da Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
“HA LAVORATO PER ALEMANNO E VOLEVA GLI INCENERITORI”
Livio De Santoli, già candidato dai 5 stelle alle scorse elezioni politiche – un civico d’area – a detta di molti esponenti grillini non sarebbe l’uomo giusto per succedere a Nicola Zingaretti
Appena il suo nome ha cominciato a circolare come possibile candidato del Movimento 5 stelle alla Regione Lazio, le chat degli attivisti sono esplose. Livio De Santoli, già candidato dai 5 stelle alle scorse elezioni politiche – un civico d’area – non sarebbe l’uomo giusto per succedere a Nicola Zingaretti.
Almeno questo sostiene la base grillina: la Repubblica scrive che gli esponenti locali del partito, una volta scoperto che il prorettore della Sapienza ha lavorato – a titolo gratuito – per l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, si sono ribellati.
Un motivo in più l’ha fornito il Piano di azione per l’energia sostenibile scritto per la giunta di centrodestra.
In quel programma, l’accademico vedeva nel futuro della Capitale la costruzione di diversi termovalorizzatori: «È possibile provvedere a realizzare centri di termovalorizzazione dei rifiuti di piccola dimensione».
Una posizione, a distanza di nove anni, difficile da giustificare, visto che la rottura con il Partito democratico per le Regionali ha tra le sue ragioni anche la scelta dei Dem di sostenere Roberto Gualtieri nella costruzione del termovalorizzatore capitolino.
De Santoli, che di Giuseppe Conte è diventato un fedelissimo, avrebbe cambiato idea sulla questione termovalorizzatori. «Questa notizia delle chat impazzite è stata fatta uscire da alcuni membri del Movimento contrari alla sua candidatura», dice a Open una fonte di livello del mondo pentastellato. Forse perché è considerata una candidatura debole, forse perché ci sono piani per spingere qualche altro nome.
E nella rosa dei papabili da contrapporre al Pd e al Terzo polo, prima che al centrodestra, potrebbe rientrare Ignazio Marino. L’ex sindaco Dem, scaricato dal Nazareno quando ancora era in carica, sarebbe tentato dal riscatto sul territorio laziale.
In occasione della candidatura di Gualtieri a primo cittadino, si era tolto qualche sassolino dalla scarpa attaccando il Pd, nello specifico la leadership romana del partito. «Il Pd di Gualtieri ha ricandidato in Comune gli stessi che mi tradirono», disse. Infine, altro nome sul tavolo sarebbe quello di Massimiliano Smeriglio, europarlamentare indipendente ed ex vicepresidente della Regione Lazio. Eletto a Bruxelles nella lista Pd, si è sempre mosso a sinistra del Nazareno.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
DOPO LA DISCESA IN CAMPO DI ELLY SCHLEIN, ANCHE IL SINDACO DI FIRENZE NARDELLA SI FA AVANTI
Elly Schlein ha dato la prima scossa a un Pd che continua a rimestare l’acqua nel mortaio e che scende nei sondaggi. Per Enrico Letta la sfida di Schlein per la segreteria è benvenuta. Ma il segretario non nasconde la sua preoccupazione, perché il rilancio del partito è tutto da costruire. Letta, che non aveva voluto abbandonare la barca dem nella tempesta dopo la sconfitta del 25 settembre, crede sia necessaria una accelerazione verso il congresso.
Sabato prossimo, il 19, il “parlamentino” dei mille delegati del Pd si riunirà online e voterà la nuova road map: entro Natale i nomi di chi corre per la segreteria dovranno essere presentati, poi un mese di discussione nei circoli e il voto nei gazebo a fine gennaio, al massimo a inizio febbraio. Subito parte la fase costituente, la cosiddetta “chiamata”, il dibattito allargato ai non iscritti, a cui aderiscono la sinistra di Roberto Speranza, Schlein, movimenti, i centristi di Demos, quell’arcipelago di giovani organizzati dall’eurodeputato Brando Benifei in “Coraggio Pd”. Per fine gennaio il Pd dovrebbe avere eletto con le primarie il nuovo segretario e cominciare a correre.
Nicola Zingaretti, ex segretario (che si dimise contro un partito che pensava «solo alle poltrone») e governatore uscente del Lazio, dà a sua volta uno scrollone: «Non mi piace l’aria che si respira nel Pd, non possiamo solo aspettare il congresso. C’è un gruppo dirigente che potrebbe spiegare agli italiani chi siamo, dobbiamo creare più giustizia per le persone, il pianeta e le imprese», dice a “Mezz’ ora più” su Rai3. C’è da organizzare l’opposizione e alle Regionali del 2023 non vanno fatti regali alla destra. Nel Lazio, al voto in febbraio, il centrosinistra rischia una débâcle. Ancora più ingarbugliata la situazione lombarda, dove Renzi e Calenda tentano i Dem con la candidatura di Letizia Moratti, già respinta al mittente da Letta.
Sul Lazio il giudizio di Zingaretti contro il leader grillino Giuseppe Conte, che ha strappato l’alleanza, è durissimo: «Questa idea per cui siccome c’è una linea nazionale dobbiamo distruggere tutto nei territori è folle. È un errore che la destra non fa mai: prima degli interessi di partito c’è l’interesse nazionale». La direzione del Pd del Lazio domani dovrebbe decidere di puntare sull’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato (sostenuto anche dal Terzo Polo), però addio campo largo.
Maggiori sono i problemi in Lombardia, dove il Pd è spaccato. Ma la carta a sorpresa potrebbe essere Pier-Francesco Majorino, europarlamentare del Pd, esponente della sinistra, che si è detto pronto a correre per la Regione, così come Pierfrancesco Maran, assessore dem di Milano. Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori invita a fare le primarie: «Io sono più vicino a Maran».
Intanto per la leadership del Pd gli sfidanti scaldano i motori. Il sindaco di Firenze Dario Nardella presentando ieri il suo libro “La città universale” ha annunciato una convention di amministratori a Roma il 26 novembre, dove potrebbe lanciare la sua candidatura con lo slogan “Protagonisti nel congresso”. Stefano Bonaccini, il governatore dell’Emilia Romagna, è il candidato super favorito e dovrebbe sciogliere a ore la riserva, compattando l’area riformista ma tra i malumori della sinistra che invece apprezza Schlein, anche se l’ex ministro Andrea Orlando resta dubbioso.
In corsa c’è già Paola De Micheli, ex ministra. Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, è partito con un tour in Italia prima di decidere. E Brando Benifei è il nome degli under 40 del Pd che puntano al ricambio generazionale.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »