Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
SCATTA LA RIVOLTA NELLE CHAT DEL GRUPPO PARLAMENTARE: “NON MI HANNO CONFERMATO, NONOSTANTE IO ABBIA SEMPRE RAGGIUNTO TUTTI GLI OBBIETTIVI, DOPO AVER PARTECIPATO A TUTTE LE CAMPAGNE ELETTORALI DEGLI ULTIMI ANNI”
Uno non vale uno, a questo giro. Sfogo di un dipendente M5S lasciato a casa di fresco: «Ci hanno detto che stavolta non potevano rinnovarci il contratto, perché non c’erano abbastanza fondi. E invece…». Invece il Movimento ha deciso di assumere due ex senatori, Paola Taverna e Vito Crimi, 140mila euro l’anno in due, per collaborare con i gruppi grillini di Camera e Senato. Venti dipendenti, alcuni storici, che hanno lavorato per i 5 Stelle dalla prima legislatura del 2013, sono stati lasciati a spasso.
Niente contratto, gli è stato detto: ci dispiace, gli eletti sono calati, il budget è ridotto e non c’è più posto per tutti. La protesta naturalmente monta nelle vecchie chat dei collaboratori grillini. Soprattutto adesso che Repubblica ha rivelato come per i due ex parlamentari, non ricandidati per il tetto del doppio mandato, sono pronti contratti a 5 stelle, da 70mila euro l’anno ciascuno.
Proprio per un incarico di diretta collaborazione con i gruppi parlamentari, soldi dei contribuenti dunque. Un importo, quello che intascheranno Taverna e Crimi, con cui si sarebbero potuti rinnovare i contratti di almeno 3-4 collaboratori. Ma ai piani alti del M5S hanno deciso di premiare gli ex senatori, a danno dei dipendenti semplici.
È vero che il Movimento nella passata legislatura, dopo la sbornia elettorale del 2018, annoverava oltre 300 parlamentari – dimezzati anche a causa della scissione di Luigi Di Maio – mentre oggi sono solo 80 e quindi la riduzione dello staff era nell’aria. Ma il fatto che i tagli siano stati più sanguinosi per dare un salvagente, molto ben remunerato, a due ex parlamentari crea malumori e frustrazioni.
«Non mi hanno confermato, nonostante io abbia sempre raggiunto tutti gli obbiettivi, dopo aver partecipato a tutte le campagne elettorali degli ultimi anni», racconta uno degli esclusi, chiedendo l’anonimato. Il motivo? «Ci hanno detto che non c’erano abbastanza fondi».
Tra i sacrificati, spuntano nomi noti nel sottobosco degli addetti ai lavori 5S. Per esempio lo storico fotografo e videomaker del Movimento, assunto dai tempi di Gianroberto Casaleggio, Nicola Virzì: «In questi ultimi 9 anni e mezzo – ha scritto su Facebook nel post d’addio – ho avuto l’onore di lavorare nella comunicazione del Movimento, prima al Senato poi alla Camera dei deputati, ho fatto un milione di foto e centinaia di video, ho percorso non so quanti km in giro per il Paese». Ma «dopo 15 anni la mia avventura finisce qui».
(da La Repubblica)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
A BALI DONNA GIORGIA E MACRON SI EVITERANNO… LA MELONI RIUSCIRÀ A SMARCARSI DAL “CAPITONE”, CHE LA TIENE SOTTO SCACCO?
È una richiesta che suona come un ultimatum, e fa capire che la crisi diplomatica tra Roma e Parigi si sta avvitando. “Vogliamo ricordare gli obblighi dell’Italia e, se li rifiuta, immaginare qualsiasi misura possa essere utile” dice Olivier Véran, portavoce del governo francese.
Dopo aver dovuto accettare per ragioni umanitarie lo sbarco dell’Ocean Viking, la Francia mette come pre-condizione a una distensione nei rapporti bilaterali il rispetto non solo di una regola del diritto marittimo ma anche dell’accordo europeo sul ricollocamento firmato a giugno.
Un patto che prevede la redistribuzione delle persone sbarcate nei paesi di primo ingresso in base al principio del “safe place”, il luogo più sicuro per le navi delle Ong che si avvicinano alle frontiere dell’Ue. Quindi dei cinque paesi citati nel testo, tra cui l’Italia, primo beneficiario di quel patto a cui hanno aderito 23 Stati. Se il governo Meloni, è il ragionamento dell’esecutivo di Parigi, non mantiene questo “impegno fondamentale”, la Francia è pronta a stracciare l’accordo.
L’Eliseo ritiene che dopo il passo falso del comunicato di Palazzo Chigi che ringraziava la Francia di prendersi la Ocean Viking, la conferenza stampa di venerdì di Giorgia Meloni non abbia ripristinato la fiducia con Emmanuel Macron. Anzi, nelle ore successive alle dichiarazioni della premier è circolata la voce di un richiamo dell’ambasciatore a Roma, Christian Masset.
Un’opzione ad ora scartata ma che resta sul tavolo. Insieme ad altre rappresaglie possibili in sede Ue. I dossier su cui un veto della Francia può pesare sono tanti, a cominciare dalla proposta di un price cap sul gas cruciale per Roma.
Macron arriva oggi a Bali dove non è previsto nessun bilaterale con Meloni. Il leader francese è rimasto silenzioso finora, mantenendo come bussola nei suoi rapporti con l’Italia la figura del capo di Stato Sergio Mattarella, con il quale ha scambi dietro le quinte. All’Eliseo la lettura è che l’incertezza della premier sia dovuta alle divisioni nel governo italiano tra linee opposte, quella dei dialoganti come Raffaele Fitto (e Forza Italia) e quella dei duri e puri alla Matteo Salvini.
A Parigi ci si aspetta quindi che Meloni sposi anche nelle sedi ufficiali la linea del ministro degli Affari europei che sta faticosamente tentando una mediazione. I contatti tra Fitto e la sua omologa Laurence Boone sono stati frequenti negli ultimi giorni, senza però trovare una soluzione condivisa anche perché sullo sfondo resta la concorrenza politica tra le varie anime dell’esecutivo italiano.
La necessità di dare approdo ai naufraghi in Italia è un punto contestato dal governo Meloni che Macron ritiene imprescindibile anche per ragioni politiche interne. Il leader francese, sotto attacco dell’estrema destra, ha come obiettivo di rendere lo sbarco dell’Ocean Viking a Tolone un evento “eccezionale”, destinato a non ripetersi. Restano pochi giorni per evitare un’escalation della crisi
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE FRANCESE HA SEMPRE CONSIDERATO MATTARELLA UNA GARANZIA DI LEGALITA’
Un tentativo di pacificare quella situazione deflagrata nel corso della scorsa settimane e che ha portato a uno stallo istituzionale (nei rapporti internazionali, e non solo) tra i due Paesi. Questa mattina, come confermato dal Quirinale in una nota diffusa, c’è stata una telefonata tra il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella e quello francese Emmanuel Macron. Il tema, ovviamente, è quanto accaduto sulla gestione dei migranti, partendo dal caso della Ocean Viking e arrivato al balletto di accuse e contro-repliche tra i ministri di Italia e Francia.
Secondo quanto spiegato dal breve comunicato della Presidenza della Repubblica Italiana (congiuntamente a quando confermato dall’Eliseo), nella telefonata Mattarella-Macron è stata ribadita la cooperazione e la piena collaborazione tra i due Paesi per quel che riguarda ogni elemento condiviso negli accordi già ratificati in passato. E non solo nei bilaterali, ma anche nei patti sottoscritti nel teatro dell’Unione Europea:
“Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha avuto con il Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, un colloquio telefonico, nel corso del quale entrambi hanno affermato la grande importanza della relazione tra i due Paesi e hanno condiviso la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia dell’Unione Europea”.
Il tentativo, dunque, è quello di saturare quella ferita provocata dalla gestione dei migranti. La Francia, infatti, sostiene che l’Italia abbia violato i trattati internazionali non concedendo un porto sicuro alla Ocean Viking (poi trasferitasi a largo delle coste di Tolone).
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
“I DUE TERZI DELLE PERSONE CHE LO PERCEPISCE SONO PERSONE CHE NON POSSONO LAVORARE, OVVERO ANZIANI E DISABILI”… MA AL GOVERNO DEI RICCHI SOVRANISTI SAI CHE GLIENE FREGA DEI POVERI E DEI DEBOLI
«Per milioni di persone, senza il reddito di cittadinanza rimarrebbe solo la Caritas. Esiste la Naspi per chi perde il lavoro, per un massimo di 2 anni. Ma ricordiamoci sempre che il Rdc oggi per i due terzi viene dato a persone che non possono lavorare (anziani, disabili, minori), o non hanno mai lavorato, o non hanno una storia contributiva recente».
Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico in un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano oggi difende il sussidio voluto dal governo Lega-M5s. Prendendosela con i “divanisti”: «Da aprile 2019 a oggi hanno ricevuto il pagamento di almeno una mensilità 2,24 milioni dinuclei familiari per un totale di oltre 5 milioni di persone, con un importo medio Rdc-Pdc (reddito e pensione di cittadinanza) attualmente di circa 550 euro per nucleo e una spesa totale di circa 8 miliardi l’anno. Si è raggiunto un record di percettori nel picco della pandemia, nella prima parte del 2021, con 3,9 milioni di individui beneficiari di almeno una mensilità di Rdc».
Il Rdc e i divanisti
«Oggi, rispetto al tempo della pandemia, l’economia va meglio. E a ottobre i percettori sono scesi a circa 2,45 milioni di persone, corrispondenti a 1,16 milioni di nuclei familiari. Circa il 20% dei percettori già lavorava, con guadagni minimi, fin dall’inizio della misura e non ha smesso di farlo. Anzi ha aumentato la propria offerta sul mercato, come abbiamo rilevato nell’ultimo rapporto annuale Inps. Un dato sufficiente a rilevare che il reddito non incentiva a stare sul divano», conclude Tridico.
E l’aiuto nel trovare una nuova occupazione? «Sono circa 350 mila nel triennio coloro che hanno stipulato un contratto di lavoro, nella prevalenza dei casi a termine. Sicuramente una cosa non ha funzionato, ovvero l’accesso agli sgravi contributivi previsti dal programma per le assunzioni, utilizzato solo da poco più di mille aziende. Sia perché in questo periodo abbiamo solo denigrato la misura piuttosto che farla conoscere. Sia perché le aziende non sono abituate a cercare manodopera attraverso i Centri per l’impiego, che non considerano efficienti».
Nel colloquio con Salvatore Cannavò Tridico tiene il punto anche sui numeri dei lavoratori: «Ribadisco che il 20% dei percettori del Rdc lavora, sono working poor a cui viene integrato il reddito, percentuale aumentata rispetto al 2019, quando era del 18,5%.
Inoltre, il profilo dei percettori nel 70% dei casi è costituito da persone con bassa istruzione, spesso difficili da allocare sul mercato, un mercato che per buona parte dell’ultimo triennio è stato bloccato da pandemia e crisi. Ciò premesso, la riattivazione sul mercato, la presa in carico e le politiche attive rimangono l’anello debole non solo del programma del Rdc, ma delle politiche del lavoro più in generale».
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
PENA RIDOTTA E ADDIO A 50 PARTECIPANTI, NIENTE INTERCETTAZIONI
Un emendamento di maggioranza cambierà il decreto anti rave del governo Meloni. Abbassando la pena prevista per non far scattare la possibilità di utilizzare le intercettazioni per le indagini. E ridefinendo i contorni dei raduni «pericolosi per l’ordine pubblico» allo scopo di ripararsi da possibili interpretazioni estensive della norma.
Il provvedimento potrebbe essere presentato già all’apertura dei lavori sul testo. Come del resto avevano annunciato la premier Giorgia Meloni e il ministro Matteo Piantedosi dopo le prime critiche arrivate al testo. Il Messaggero spiega oggi che il punto centrale sarà l’abbassamento della pena per chi «organizza o partecipa ai» rave party.
La nuova pena massima per l’articolo 434 bis del Codice Penale sarà inferiore ai cinque anni.
In più, l’emendamento prevederà una tipizzazione del reato maggiormente circoscritta. Definendo meglio i raduni e con un riferimento più esplicito all’uso di droghe. Probabile anche l’innalzamento del numero dei partecipanti, oggi fissato a 50. Mentre le confische del materiale utilizzato per il rave saranno ancora possibili. E questo sarà esplicitato nel testo.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
MULTE SALATISSIME E SEQUESTRO DELLA NAVE IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE REGOLE (QUALI? QUESTE CHE PROPONETE E CHE SARANNO BOCCIATE DALLA CORTE COSTITUZIONALE COME IN PASSATO?)
Le Ong che vorranno attraccare nei porti italiani dovranno dimostrare di aver soccorso imbarcazioni a rischio naufragio. Chi non rispetterà questa regola e violerà il divieto di approdo subirà una sanzione amministrativa che potrà prevedere anche il sequestro della nave utilizzata per l’attività di ricerca e salvataggio in mare.
È lo schema del provvedimento che il governo sta studiando per regolamentare l’attività delle organizzazioni non governative impegnate al largo delle coste della Libia.
Sarà il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – chiamato mercoledì a riferire in Parlamento sullo scontro diplomatico con la Francia – a confermare la volontà di procedere con un’azione che serva a «gestire i flussi migratori agendo in due direzioni: gli accordi bilaterali con i Paesi d’origine dei migranti e il codice per le navi private».
E in quella sede spiegherà che «l’Italia non aveva alcun divieto per Ocean Viking, sono stati loro a decidere di dirigersi verso la Francia non avendo ottenuto risposta alla richiesta di porto sicuro».
Gli accordi bilaterali
Le intese siglate negli ultimi anni in sede europea per il ricollocamento e la distribuzione dei richiedenti asilo non sono mai state rispettate. Sembra difficile che possa accadere adesso, nonostante le buone intenzioni dichiarate dalla Commissione europea in vista del vertice straordinario dei ministri dell’Interno che si svolgerà a fine mese.
In quella sede si chiederà un impegno formale a sostenere gli Stati di partenza dei migranti con progetti di sviluppo sostenuti dalle organizzazioni internazionali, concessione di contributi economici e apparecchiature per il potenziamento dei controlli sia alle frontiere interne della Libia, sia con la Tunisia. Ma proprio come già accaduto troppo spesso in passato, non sembra ci sia alcuna possibilità – almeno al momento e vista l’altissima tensione tra i partner europei – di andare oltre una dichiarazione formale di impegno che però non porterà ad alcun accordo di cooperazione nella distribuzione e ricollocazione degli stranieri.
I flussi
L’ipotesi alternativa che si intende esplorare passa dunque per la riattivazione di quegli accordi bilaterali stretti con alcuni Paesi – in particolare la Tunisia, ma anche il Marocco, il Niger, la Nigeria e altri Stati africani – per aumentare il numero di quanti potranno giungere in Italia con flussi regolari in cambio dell’impegno a garantire il rimpatrio di chi non aveva i requisiti per arrivare.
Un’attività congiunta tra Viminale e Farnesina che però deve poter contare su stanziamenti anche europei e che finora ha mostrato di non funzionare proprio per la mancanza delle risorse necessarie, ma anche per la scarsa cooperazione di quei governi che chiedono una contropartita adeguata.
Per questo si potrebbe utilizzare il Team Europe, il progetto europeo messo a punto durante la pandemia per intervenire sulle situazioni di emergenza e l’Italia chiede di coinvolgere anche i Paesi africani in modo da destinare loro «il 10% delle risorse già allocate» e poi contribuire con altri sostegni di tipo economico.
L’attività delle Ong
È certamente il capitolo più controverso del piano che il Viminale vuole rendere operativo. Ma anche quello ritenuto «prioritario». Perché riguarda l’attività di organizzazioni non governative impegnate nelle attività umanitarie del soccorso in mare. Sulla falsariga di quanto accaduto quando ministro dell’Interno era Marco Minniti, sarà approvato un nuovo codice di condotta per le Ong. Per entrare nelle acque italiane diventerà obbligatorio averlo sottoscritto e la regola principale da rispettare sarà di intervenire soltanto quando esiste un effettivo pericolo per i migranti.
Nei casi in cui si effettua il soccorso di imbarcazioni in pericolo, la procedura prevederà di avvisare le autorità del Paese più vicino comunicando il tipo di intervento che si sta effettuando.
Multe e sequestri
Per chi non rispetterà il codice e questa regola preliminare scatterà automatico il divieto a entrare nelle acque territoriali. In caso di violazione saranno previste sia le sanzioni amministrative (in base alla gravità dei comportamenti) sia il sequestro delle navi.
Le ipotesi che vengono studiate dagli esperti giuridici non prevedono al momento contestazioni penali, né lo strumento del decreto legge anche perché sarebbe complicato sostenere la necessità e l’urgenza di intervenire.
La strada più agevole sembra quella di una regolamentazione che valga come impegno formale e che farà scattare automaticamente le multe se non sarà rispettata.
La Consulta
Il governo va verso quindi il ripristino di gran parte delle norme abrogate dalla ministra Lamorgese durante il secondo governo Conte. Le misure erano andate incontro alle bocciature della Corte Costituzionale.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
LA TEORIA DEL “TAXI DEL MARE” GIURIDICAMENTE SMENTITA COME DISEGNO SOVRANISTA PER SCREDITARE IL LORO OPERATO… TAJANI VERGOGNATI DI AVER DICHIARATO IL FALSO
Con il nuovo governo, come era prevedibile, è partita una nuova campagna di criminalizzazione contro le organizzazioni umanitarie che salvano migranti in mare.
La loro colpa, secondo l’interpretazione sovranista, è che la loro stessa presenza in mare contribuisca all’aumento delle partenze di barconi dal Nord Africa, favorendo e incentivando le attività illegali degli scafisti. C’è un’espressione che sintetizza questa teoria: “Taxi del mare”.
Oggi è il ministro degli Esteri Antonio Tajani a rievocarla. “Non è scritto da nessuna parte che l’Italia deve essere il posto dove quelli che cercano di attraversare il Mediterraneo e non vi riescono devono essere portati”. Ciò detto, le ong “non devono essere i taxi del mare e non devono decidere la politica europea”. Lo ha affermato a Mezz’ora in più su Rai3.
La locuzione ‘taxi del mare’ è stata più volte utilizzata in passato. Il primo a usarla fu Luigi Di Maio, che da vicepresidente della Camera – al Viminale c’era Minniti – disse: “Chi paga questi taxi del Mediterraneo? E perché lo fa? Presenteremo un’interrogazione in Parlamento, andremo fino in fondo a questa storia e ci auguriamo che il ministro Minniti ci dica tutto quello che sa”. Il post su Facebook era del 21 aprile 2017, ma l’allora leader del M5s smentì successivamente di aver pronunciato quelle parole contro le organizzazioni umanitarie.
La ricostruzione secondo cui le ong agirebbero come pull factor è stata smentita già durante il governo giallo verde da diversi studi, come l’analisi effettuata da due ricercatori, Eugenio Cusumano e Matteo Villa, per l’European University Institute, che è stato il primo studio sistematico sull’argomento, a partire dai dati a disposizione tra il 2014 e l’ottobre del 2019.
La ricerca dimostrò che non esisteva alcuna correlazione tra le partenze e l’attività delle ong nel Mediterraneo, e che gli sbarchi erano condizioni dalle condizioni meteorologiche: l’unico fattore che allora aveva inciso sull’aumento delle partenze era stato l’accordo con la Libia concluso nel 2017 e firmato dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, proprio per rafforzare i controlli sulle partenze dal paese nordafricano.
Le ong non c’entravano nulla, anche perché, prendendo per esempio solo il caso del 2019, dei circa 4mila arrivi ben 3500 erano da imputare a partenze autonome dalla Libia, dalla Tunisia e dall’Algeria. Sbarchi che nulla avevano a che vedere con i salvataggi delle navi da soccorso.
Oggi anche la Germania si è schierata a sostegno delle Ong: “L’impegno delle ong merita la nostra riconoscenza e il nostro appoggio”, ha twittato l’ambasciatore tedesco in Italia Viktor Elbling, mentre il Bundestag ha fatto sapere che finanzierà con due milioni di euro l’anno la tedesca United4Rescue, che si prepara a mandare nel Mediterraneo la Sea Watch 5.
Magi contro Tajani
“Oggi il ministro degli Esteri italiano Tajani, il volto moderato del governo Meloni, ha definito le Ong che si occupano di salvataggio in mare ‘taxi dei migranti’ e ha parlato di ‘appuntamenti in mare tra trafficanti’, è sconcertante il ricorso a vecchie fake news smentite anche dalle inchieste giudiziarie che negli anni ci sono state e hanno sistematicamente riconosciuto che le ong svolgono un ruolo fondamentale per salvare vite umane operando nel rispetto delle norme nazionali e internazionali”, ha detto il deputato e presidente di Più Europa Riccardo Magi.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
L’ALLENATORE DOVEVA DISSOCIARSI DALL’ATLETA O LASCIARE L’INCARICO…CONTE, FONDATORE DELLA PALESTRA “ARDITA TRIESTE”, È STATO SEGRETARIO CITTADINO DI FORZA NUOVA E CANDIDATO ALLE COMUNALI PER FRATELLI D’ITALIA
Di fronte all’orrore dell’apologia del nazismo non basta essere incolpevoli né si può rimanere indifferenti, ma occorre una pubblica dissociazione. Affermando un principio innovativo dal punto di vista giuridico e orientato in senso etico, il Collegio di garanzia del Coni (la Cassazione della giustizia sportiva) ha condannato definitivamente Denis Conte, allenatore del pugile Michele Broili che combatteva esibendo tatuaggi neonazisti: un’evocazione del Veneto Fronte Skinheads, la bandiera con le lettere SS in caratteri runici e il numero 88, richiamo segreto al saluto di Hitler.
Conte, ex pugile, fondatore della palestra Ardita Trieste, è stato segretario cittadino di Forza Nuova e candidato alle elezioni comunali per Fratelli d’Italia.
Un anno fa aveva difeso Broili come «esempio di correttezza», dicendo che «in palestra non facciamo politica». La Procura federale l’ha accusato «di non aver posto in essere alcuna attività affinché Broli, durante le operazioni di peso, visite mediche e successivamente durante l’incontro non esibisse in pubblico tatuaggi simbolo di inequivocabile evocazione nazista».
Poiché anche una condotta superficialmente omissiva può violare «i doveri di lealtà, rettitudine e correttezza sportiva, coordinati con la funzione sociale, educativa e culturale del pugilato», Conte avrebbe dovuto fare di tutto per impedire al pugile di «fare pubblico sfoggio dei tatuaggi inequivocabilmente neonazisti». E in caso di ostinato rifiuto avrebbe dovuto «rinunciare all’incarico professionale di tecnico». Conte si è difeso ricordando che il pugile aveva combattuto già quattro volte con i tatuaggi «senza suscitare contestazioni o proteste anche mediatiche».
E che in ogni caso, «a conferma dell’ineccepibilità del proprio operato», egli aveva chiesto e ricevuto assicurazioni da parte dell’ex presidente friulano della federazione «sull’insussistenza di divieti quanto ai tatuaggi». Il Collegio ha dato «una meditata risposta» a questi argomenti, smontandoli.
Quanto all’inesistenza di uno specifico divieto, spiega che in ogni caso su ogni tesserato incombe il dovere di difendere «il nucleo di valori e beni tutelati complessivamente dal sistema, ovvero lealtà e correttezza». Concetti non vuoti, ma adeguati «al sentire sociale». E un allenatore, come un maestro, deve farsi carico dei comportamenti degli atleti-allievi.
Nel caso specifico «è di immediata percezione che l’ostentazione di figure tatuate sul corpo dell’atleta offende il sentimento comune di assoluta, fermissima riprovazione di un periodo storico, dei suoi efferati interpreti, delle tragiche conseguenze causate nel tessuto sociale della collettività». Conte non può chiamarsi fuori perché «anche i tecnici sono chiamati a fornire il proprio contributo al conseguimento della funzione sociale, educativa e culturale dello sport.
Non è pensabile che si possa tollerare l’indifferenza rispetto anche alle condotte altrui che mettono in crisi tale sistema di valori: e la deprecabile indifferenza può certamente assumere la forma dell’inerzia o dell’insensibilità anche laddove le circostanze del caso proclamino l’esigenza di non lasciar mancare un intervento diretto a impedire o mitigare gli effetti negativi» della condotta di un atleta. Fino al punto di «abbandonare qualsiasi forma di collaborazione tecnica». Conte, del resto, «era consapevole dell’esistenza dei tatuaggi e la maturità frutto della lunga esperienza sportiva lo rendeva perfettamente in grado di comprenderne il profondo, ingiustificabile disvalore».
La rassicurazione informale ricevuta da un ex dirigente federale non vale a scagionarlo, anzi dimostra che «in lui dimorasse un dubbio sulla liceità dei tatuaggi». Ora sia Broili che Conte sono stati squalificati: l’atleta per 515 giorni, l’allenatore per 140. Ma il principio affermato in questa sentenza potrebbe trovare applicazione più vasta, rafforzando la responsabilità etica e sociale di chi svolge, in diversi campi, una funzione anche indirettamente educativa
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
“E’ L’INIZIO DELLA FINE DELLA GUERRA, IMPOSSIBILE UCCIDERE L’UCRAINA”… “RUSSI, STIAMO ARRIVANDO, VI TROVEREMO OVUNQUE”
«Siamo pronti per la pace, la pace per tutto il nostro Paese». Questo l’annuncio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante la sua visita a sorpresa nella città di Cherson, appena liberata dal controllo delle forze russe.
«Stiamo arrivando, passo dopo passo, in tutto il nostro Paese», ha detto a una folla di centinaia di persone, alcune avvolte nella bandiera ucraina. Zelensky ha cantato l’inno nazionale, mentre alcuni soldati issavano la bandiera gialla e blu nel centro della città.
Pochi giorni fa, dopo otto mesi di occupazione, le truppe di Mosca si sono ritirate da uno dei territori più strategici dell’Ucraina meridionale, lasciando la strada aperta ai soldati ucraini che lo scorso 11 novembre sono entrati nella città riconquistandone il controllo.
Un avvenimento che secondo il presidente ucraino rappresenta «l’inizio della fine della guerra». E, soprattutto, testimonierebbe che «è impossibile uccidere l’Ucraina».
Diversi esperti hanno definito la riconquista di Cherson una «svolta decisiva» per il conflitto tra Russia e Ucraina, con possibili conseguenze decisive soprattutto per la perdita da parte di Mosca del canale del nord che conduce all’approvvigionamento idrico della Crimea. Dopo la festa nelle strade di Cherson durata giorni, il presidente ucraino ha voluto recarsi di persona nella città tornata nelle mani della sua gente. «Vi troveremo ovunque», aveva detto il giorno della liberazione del territorio rivolgendosi alle forze russe. «L’unica possibilità di salvezza per voi è arrendervi».
(da Open)
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