Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
PER IL CREMLINO SI È TRATTATO DI UN “SUICIDIO” – DI RECENTE BOYKO ERA STATO INCARICATO DAL PRESIDENTE VLADIMIR PUTIN DELLA FORMAZIONE E ARRUOLAMENTO DEI COSCRITTI PER LA REGIONE MILITARE DEL PACIFICO
Cinque colpi di pistola al petto. Così è stato trovato morto nel suo
ufficio di Vladivostok, nella regione russa di Primorsky, Vadim Boyko, colonnello russo di 44 anni e recentemente incaricato dal presidente Vladimir Putin della formazione e arruolamento dei coscritti per la regione militare del Pacifico, da mandare in Ucraina dopo la mobilitazione parziale delle truppe per fare fronte alle difficoltà nel conflitto contro Kiev.
Boyko è stato trovato senza vita nel suo ufficio da un altro ufficiale presente nella struttura militare in cui lavorava l’ex capo della “Makarov Pacific Higher Naval School” di Vladivostok, la più importante accademia militare della marina russa.
La stampa russa ha immediatamente parlato di caso di suicidio, l’ennesimo tra le figure apicali non solo dell’esercito ma anche dell’imprenditoria, spesso legata direttamente al Cremlino, dall’inizio del conflitto in Ucraina. Secondo quanto riferito, Boyko sarebbe giunto nel suo ufficio frettolosamente e subito dopo sarebbero stati uditi 5 spari.
(da il Riformista)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
ALLA PRIMA SEDUTA GIANFRANCO MICCICHÉ HA DIFFIDATO IL CENTRODESTRA A UTILIZZARE IL NOME DI “FORZA ITALIA” IN SICILIA, DI CUI DETIENE I DIRITTI IN ESCLUSIVA
Nel giorno dell’esordio del suo governo regionale, il presidente della Sicilia Renato Schifani non ha già più la maggioranza: il primo vero voto in Assemblea regionale, quello per le vicepresidenze, vede prevalere Pd e Cinquestelle, che ottengono per il grillino Nuccio Di Paola la poltrona di vicario del Parlamentino dell’isola. La pronuncia arriva al termine di una seduta surreale, iniziata con la costituzione di due distinti gruppi berlusconiani: il coordinatore regionale del partito Gianfranco Micciché guida infatti una fronda contro il governatore, e così alla fine in Assemblea sono stati formalmente costituiti “Forza Italia 1” e “Forza Italia 2”.
A monte di tutto c’è proprio lo scontro sul governo regionale.
Schifani l’ha presentato ieri, quando dalle elezioni sono passati 52 giorni: ne fanno parte quattro esponenti di Fratelli d’Italia, tre forzisti, due leghisti, due assessori espressi dalla Nuova Dc di Totò Cuffaro e un autonomista. Sono però i quattro meloniani a provocare le polemiche .
Una volta ufficializzate le nomine, però, sono iniziati i malumori, proprio a cominciare dal partito di Schifani: la giornata di ieri, così, ha preso il via con la diffida legale di Micciché, che ha rivendicato per il proprio gruppo il simbolo ufficiale del partito e ha fatto sapere di avere la benedizione di Silvio Berlusconi.
Lo scontro, del resto, non è un fulmine a ciel sereno: fra Schifani e Micciché – da sempre proconsole di Berlusconi in Sicilia e artefice del cappotto del 2001, quando il centrodestra ottenne in Sicilia 61 seggi alle Politiche su 61 – non corre buon sangue da anni. Le conseguenze si sono viste già nelle settimane precedenti alle elezioni regionali: il coordinatore forzista nell’Isola è stato di fatto costretto da un altro blitz meloniano, condotto allora da Ignazio La Russa, a schierare l’attuale governatore nella corsa per la presidenza della Regione, e nonostante la pace apparente i due hanno continuato a punzecchiarsi per tutta la campagna elettorale.
E così, adesso, Schifani prova a uscire dall’angolo tendendo la mano al civico Cateno De Luca, che ha eletto 8 deputati e li ha schierati finora all’opposizione: «Con lui – ha scritto in una nota pochi minuti dopo la sconfitta in aula – avremo modo di incontrarci e di confrontarci fattivamente sui problemi della Sicilia». La legislatura regionale è solo al primo giorno. Ma la crisi di una maggioranza appena nata c’è già.
(da La Repubblica)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
LO STRANO CASO DI LUISA TODINI, EX EURODEPUTATA FORZISTA DAL 1994 AL 1999, CHE HA VERSATO LA STESSA CIFRA, 2MILA EURO, A CALENDA, RENZI E MELONI
Imprenditori che finanziano tanto a destra quanto a sinistra,
associazioni, società e multinazionali. Addirittura scuole e ovviamente gli stessi parlamentari. Senza dimenticare chi intanto è diventato ministro
Nell’ultimo periodo e a cavallo tra le elezioni politiche e la formazione del governo di Giorgia Meloni, sono continuati a piovere sui principali partiti italiani lauti finanziamenti, che in parte evidentemente sono serviti a coprire le ultime spese di campagna elettorale, in parte serviranno per affrontare i prossimi impegni con le amministrative.
Uno e trino
Tutto lecito, per carità, e tutto trasparente. TPI ha infatti consultato il documento relativo alle «erogazioni ai partiti e ai movimenti politici iscritti nel registro nazionale», da cui ad esempio emerge come Azione, tanto durante la campagna elettorale quanto dopo, ha attratto tante società private.
Il 26 settembre, dunque un giorno dopo le politiche, la società immobiliare Ipi spa ha versato ben 30mila euro al partito di Carlo Calenda. Nei giorni precedenti, invece, a staccare un assegno erano state altre grandi imprese attive nel mondo dell’edilizia come la Bononia Holding (10mila euro), la Mst spa e la Stella Holding (entrambi 20mila euro).
Qualche giorno prima però, precisamente il 12 settembre, a versare 2mila euro è stata un’altra imprenditrice, Luisa Todini. Il nome è di quelli che contano. Parliamo dell’ex eurodeputata dal 1994 al 1999 (con Forza Italia), oltreché in passato consigliera di amministrazione in Rai (dal 2012 al 2014) e presidente di Poste Italiane (dal 2014 al 2017).
La vera curiosità, però, è che la Todini non ha pensato soltanto ad Azione. Risultano, infatti, a suo nome e nello stesso giorno altri due bonifici, sempre di 2mila euro: uno a Fratelli d’Italia e uno a Italia viva. Tanto per non farsi mancare nulla.
E a proposito del partito di Matteo Renzi, anche qui sorgono interessanti curiosità. A cominciare dal fatto che, in mezzo a tante elargizioni di privati e società, sempre il 12 settembre a finanziare Iv è stato un imprenditore monegasco di origini italiane: Manfredi Lefebvre d’Ovidio, uomo d’affari miliardario (ad agosto 2022 il suo patrimonio netto era stimato in 1,3 miliardi di dollari), presidente ed ex proprietario della società di crociere di lusso Silversea Cruises, che ha deciso di riprendere in mano le sue origini finanziando il partito di Renzi con un bonifico da 100mila euro.
Cavalieri e giocatori
Non è stata da meno, spostandoci sul fronte del centrodestra, anche Forza Italia. Negli ultimi giorni di campagna elettorale, tanto per dire, sono arrivati importanti bonifici, come quello da 100mila euro risalente all’8 settembre dell’Ares Safety, società impegnata nel mondo dell’abbigliamento sanitario.
Ad esempio? I tanto famigerati dpi, a cominciare dalle mascherine. Dopo 4 giorni altro contributo da 100mila euro, questa volta dalla Eurozona srl, impegnata sempre nel mondo dell’edilizia. Esattamente come la Ipi spa che già abbiamo incontrato parlando di Azione. Tra i beneficiari dei contributi della società per azioni non c’è solo Calenda ma anche Berlusconi: risultano, infatti, due elargizioni, una del 20 settembre (25mila euro) e una subito dopo il risultato elettorale, il 26 settembre (10mila euro).
D’altronde i versamenti sono continuati anche dopo la vittoria della coalizione del centrodestra. Un altro esempio? Gli ulteriori 10mila euro che il 27 settembre ha versato l’Associazione nazionale Sapar. Ovvero, l’associazione nazionale dei gestori del gioco di Stato che, nonostante sul sito si professi «assolutamente apolitica», ha deciso di foraggiare il partito di Silvio Berlusconi.
Scuole “leghiste”
A questo lungo elenco ovviamente non poteva mancare Fratelli d’Italia. Che a quanto pare piace a mondi profondamente diversi l’uno dall’altro. Spiccano, ad esempio, i 30mila euro del gruppo Cremonini, leader nel settore alimentare, o di quelli della Eurologistics, che si occupa di locazione di immobili.
Curiosi, a proposito dell’imparzialità politica delle associazioni di categoria, anche i 3mila euro della Federalberghi di Roma. A proposito di ricettività, però, il partito di Giorgia Meloni piace anche alla Bassani srl, società attiva proprio nel mondo del turismo, che ha versato il 22 settembre altri 10mila euro al primo partito d’Italia.
E la Lega di Matteo Salvini? Accanto a privati cittadini e società, piace anche agli istituti scolastici. Qualche esempio? Il 26 settembre (dunque un giorno dopo le elezioni politiche) l’Istituto paritario “Del Majo” di Pagani in provincia di Salerno ha versato la bellezza di 25mila euro alla Lega. E non è proprio una novità. Agli inizi di settembre, infatti, a foraggiare Salvini con 50mila euro era stato l’Istituto scolastico “Cesare Brescia”.
La particolarità? Parliamo sempre di una scuola campana, essendo l’istituto di Pompei. Su qualche punto, insomma, è riuscito a conquistare i cuori meridionali. Altra coincidenza è quella del 5 settembre: 20mila euro sono arrivati dall’Irsaf, Istituto di Ricerca scientifica e di alta formazione. Una delle sede principali? A Caserta.
Ma non è tutto. In mezzo a tutte le altre elargizioni spiccano i 50mila euro versati il 6 settembre dalla Sostenya Green srl che a quanto pare si occupa di green economy. Tema in cui crede fortemente, dato che il giorno prima ha versato altri 30mila euro a Italia viva. Tanto per dimostrarsi bipartisan.
Ministri benefattori
Le curiosità scorrendo gli elenchi dei “benefattori” dei partiti, però, sembrano non finire mai. E così si scopre un altro dettaglio. Molti dei politici e dei principali personaggi politici della XIX legislatura hanno finanziato i rispettivi partiti proprio in questo periodo, a cavallo delle elezioni e dunque poco prima delle nomine (o delle elezioni) che li hanno toccati. Prendiamo il ministro Gilberto Pichetto Fratin, oggi a capo del dicastero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.
Ebbene, dopo aver finanziato Forza Italia con 900 euro, a inizio settembre risulta un assegno di 20mila euro. Il 14 settembre, invece, risulta un bonifico di 10mila euro di Giovanbattista Fazzolari, oggi sottosegretario per l’attuazione del programma, a Fratelli d’Italia; qualche giorno prima (l’8 settembre) 8mila euro del nuovo presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Il 20 settembre, invece, è toccato a Nello Musumeci, neo-ministro del Mare, che ha versato 5mila euro. Tutti contributi, ovviamente, legittimi e inevitabili per chi è iscritto a un partito. Certo, in altre circostanze più e più volte si sono accumulati ritardi nei pagamenti che invece dovrebbero essere mensili. Restano, insomma, le curiosità della mole dei finanziamenti e, soprattutto, delle tempistiche.
(da TPI)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
SOPRANNOMINATO “CAMALEONTE” PER LA CAPACITÀ DI MUOVERSI CON DESTREZZA TRA DESTRA E SINISTRA E DI SOPRAVVIVERE ANCHE AI GUAI GIUDIZIARI… NEL 2006 ERA FINITO AI DOMICILIARI PER UNA VICENDA DI TANGENTI, POI FINITA IN PRESCRIZIONE
I bene informati dicono che Giorgia Meloni abbia risposto più volte al telefono a lui che non al professor Schillaci, passato dal rettorato di Tor Vergata a capo del ministero della Salute, per dimostrare che il faro resta sempre la scienza. Soprattutto quando non è di intralcio alla politica. Una regola che Francesco Vaia, direttore generale del super-ospedale romano Spallanzani, ha sempre seguito nella sua lunga e travagliata carriera. Tanto da farlo diventare oggi il vero consigliere ombra della premier.
Che di lui si fida, perché sa capire fino a che punto ci si può spingere nel segnare la discontinuità rispetto alla passata gestione della pandemia, senza però far insorgere il mondo scientifico. Anche perché dopo lo strappo sui migranti con l’Europa Giorgia non vuole consumarne un altro, finendo nella lista dei negazionisti. Che per Trump e Bolsonaro ha coinciso anche con quella dei perdenti.
Per questo “Franceschiello”, come lo aveva ribattezzato il suo assessore alla sanità laziale, Alessio d’Amato un secolo fa prima di nominarlo al vertice dello Spallanzani, una sparata come quella di Gemmato sull’assenza di prove circa l’utilità dei vaccini non l’avrebbe mai fatta o consigliata. Perché della campagna vaccinale è stato sempre promotore sin dalle prime punture.
E mentre gli stessi super esperti del ministero della Salute vanno suggerendo a Schillaci di toglierla del tutto la quarantena dei positivi, sulla falsa triga di quanto già fatto in Usa, Spagna e Regno Unito, lui alla Premier ha suggerito prudenza, ricordandole la figuraccia del dietro front sulle mascherine in ospedali e Rsa fatta dal governo dopo l’alto là di Mattarella e delle associazioni mediche. Per cui «lasciamo cinque giorni di isolamento a casa e poi liberi tutti senza dover fare il tampone».
Una via di mezzo che sa di colpo al cerchio e uno alla botte
Quando alla fine si deciderà il da farsi su una delle ultime restrizioni rimaste dell’epoca pandemica si capirà da come andranno le cose qual è il peso specifico del super- consulente ombra di Palazzo Chigi. Che spiegando le ragioni della sua proposta sulla scorciatina alla quarantena dei positivi a La Stampa tiene a precisare: «Non dico mai nulla che non sia stato condiviso prima con i miei ricercatori».
Anche se il numero uno di questi, l’ex direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, lo scorso anno ha fatto i bagagli per andarsi ad accomodare dietro la scrivania della direzione ricerca del Ministero dopo liti al limite della rissa con Franceschiello. Che diversamente da Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, ha regnato per ben più di un anno. Vaia infatti il ruolo di direttore, prima delle Usi e poi delle Asl, lo ha mantenuto per oltre 15 anni, passando indenne ai cambi di colore delle giunte che via via si succedevano, prima nella sua Campania, poi nel Lazio.
L’esordio al centro medico Usi 41 di Napoli, poi alla fine degli anni novanta prima la nomina a direttore sanitario del policlinico romano Umberto I e con il governatore di An Storace la direzione generale della asl Roma C. Vince il centrosinistra e con Marrazzo va alla direzione sanitaria della Roma D. Poi “Lady Asl” lo tira dentro lo scandalo delle tangenti che fioccano dalle parti delle cliniche romane. Dopo una fuga a Gaeta, non da Garibaldi ma dal Gip, Vaia finirà ai domiciliari prima che le accuse finiscano in prescrizione.
«Camaleonte» lo definì l’allora consigliere Alessio D’Amato, che poi da assessore ne difenderà la nomina al vertice dello Spallanzani nonostante l’ex Franceschiello avesse superato i limiti di età per ricoprire l’incarico. Che sarà suo con una unanimità di consensi a destra come a sinistra che la dice lunga sulla sua capacità di districarsi tanto tra i camici che i colletti bianchi. Ed è forse proprio per questo che Giorgia Meloni si affida ai suoi consigli. Per ora nell’ombra, un domani chissà, alla luce del sole di una poltrona nel palazzo dei bottoni.
(da La Stampa)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“IL CONTROLLORE DEL BUS HA CHIESTO IL BIGLIETTO SOLO A ME. AVEVA IL TONO SCOCCIATO DI UNA PERSONA CHE HA VISTO UNA RAGAZZA DI COLORE SALIRE SULL’AUTOBUS”
Rebecca Pavan è un’atleta della nazionale italiana di atletica e la
sua denuncia riaccende i riflettori su un ennesimo caso di razzismo. Mercoledì 16 novembre mattina, insieme a sua madre, ha deciso di fare un giro al centro commerciale, poi hanno fatto ritorno a casa in bus. E proprio sul mezzo di trasporto si è verificato l’episodio che le due hanno voluto denunciare: la madre è salita a bordo senza problemi, ma il controllore appena ha visto la ragazza le ha intimato di timbrare il biglietto o di far vedere l’abbonamento. La differenza? Rebecca è adottata e quindi non ha lo stesso colore di pelle della madre.
«Questo comportamento ha un nome: si chiama razzismo», spiega Rebecca Pavan a Il Corriere. La giovane ha 21 anni ed è di Verona ed è un prospetto della nazionale di atletica ed è rimasta sconcertata da quanto accaduto. «Non l’ha chiesto a mia madre, ma solo a me, che ero dopo di lei – racconta -. Certo chiedere di validare i biglietti è giusto, ma a farmi stare male sono stati lo sguardo schifato e il tono scocciato di una persona che ha visto una ragazza di colore salire sull’autobus». La giovane è sicura del fatto che il controllore è partito con l’idea che volesse fare la furba e non pagare. E non sarebbe nemmeno la prima volta che riceve un trattamento del genere.
«LI IGNORO, MIA MADRE NO»
Nella lunga intervista, Rebecca racconta come non sia l’unico episodio che le è capitato e che già in passato le è capitato di dover ignorare i razzisti, ma sua madre non vuole passarci sopra. Ed è proprio la signora, dopo essersi seduta a bordo dell’autobus, ad andare su tutte le furie. «Lei la conosco, la signorina invece non l’avevo mai vista quindi le ho chiesto il biglietto, tutto qui…», ha provato a difendersi il controllore.
«Ma cosa vuol dire? Solo perché è nera? E me, mi aveva mai vista prima? Questa è una bugia bella e buona, io qui non ci salgo mai». Una storia che grazie ai profili social delle due è diventata presto di dominio pubblico, giungendo fino all’azienda di trasporti che ha subito fatto capire di voler andare fino in fondo alla vicenda.
INDAGINE APERTA
L’azienda di trasporti ha risposto facendo capire di voler chiarire, quanto prima, l’accaduto. «Abbiamo avviato un’indagine interna – fanno sapere dagli uffici di Arriva Italia -. Se saranno accertate le responsabilità del nostro dipendente agiremo di conseguenza sul fronte disciplinare. Ovviamente condanniamo qualsiasi forma di razzismo e discriminazione e la nostra massima solidarietà va comunque alla ragazza e a sua madre».
(da Leggo)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
RACCONTI DELLE TORTURE CHE I RUSSI INFLIGGEVANO AI SOSPETTATI DI COLLABORAZIONE CON LE FORZE DI KIEV: “LA COSA PEGGIORE ERA SENTIRE URLARE CONTINUAMENTE QUALCUNO, SOPRATTUTTO DI NOTTE”
Il mondo che i russi pretendono di «liberare dai nazisti», il mondo che si lasciano dietro quando se ne vanno dopo otto mesi da usurpatori, è questo lungo corridoio lurido tra le celle, dietro una grata di metallo: è la casa delle torture di Kherson. Nei negozi e nelle case lì accanto ancora tremano per quelle urla: «Non tacevano mai».
Maxim Negrov, un ex soldato 45enne, ha accettato di rimettere i piedi nella sua cella per raccontare i pestaggi e le scosse elettriche «alle orecchie e ai genitali» che ha subito ogni giorno, più volte al giorno, nelle tre settimane che è stato qui. È una palazzina dalle mura sormontate di filo spinato in via Teploenergetikov 3.
La consideravano Russia, e il governo russo di Kherson era dunque questo: era la ronda di tre soldati sospettosi che ferma Dmitro Titov, un ragazzino di vent’ anni a passeggio per il centro con tre coetanei, e gli spalanca le porte dell’Inferno. «Ci hanno chiesto i documenti, hanno ispezionato i nostri cellulari e forse hanno visto qualcosa che non gli è piaciuto… Hanno chiamato rinforzi – racconta – e sono arrivati due mezzi militari. Erano una ventina, ci hanno fatto mettere in ginocchio con i piedi e con il calcio dei fucili. Ci chiedevano dei soldati, dei partigiani e della difesa territoriale ucraina…».
L’incubo è durato «mezz’ oretta», ma era solo l’inizio. «Al centro di detenzione ci hanno tolto lacci, scarpe e telefonini. Per i nostri genitori siamo spariti. Divisi in celle diverse, ogni tre ore ci portavano al piano sopra per interrogarci». Non era esattamente un interrogatorio: «Ci legavano le caviglie a una sedia, con le mani dietro la schiena. Ci attaccavano un apparecchio con la corrente elettrica a orecchie e dita, e la scossa durava 15 secondi. Faceva malissimo. Mentre urlavo mi riempivano di domande».
La prima sera, racconta, gli avevano fatto gli onori di casa in corridoio: «Ci hanno fatti spogliare nudi e sdraiare». Botte, scariche elettriche e poi la scelta: «Vi ammazziamo o vi violentiamo?». Per fortuna non hanno fatto né una cosa né l’altra. Erano solo sadismo e tecnica del terrore. «Il terzo giorno ci hanno fotografato i tatuaggi e ci hanno liberati».
Maxim Negrov, invece, non è stato catturato per caso come Dmitro. «Sapevano che avevo partecipato all’Operazione anti terrorismo (la prima fase della guerra nel Donbass). Sono andati a casa di mia madre, mi cercavano da amici e conoscenti e persino dove avevo vissuto da bambino. Una sera, il 15 marzo, mi hanno preso, mi hanno messo un sacco in testa e mi hanno portato qui». Scosse elettriche a orecchie e genitali, racconta, ma non solo.
«Ci sono rimasto tre settimane, non voglio dare dettagli: ci sono ancora ragazzi e ragazze prigionieri dei russi. Molto dipendeva da chi ti torturava: per sadismo o metodo si inventavano sempre un nuovo modo per farlo».
«La cosa peggiore era sentire urlare continuamente qualcuno, soprattutto di notte». Il cibo, nella casa delle torture, era «un sacchetto di porridge da 300 grammi al giorno. Avevo imparato a riconoscere i torturatori: un gruppo faceva più male ma dava più cibo, l’altro il contrario. La notte venivano da noi ubriachi, facevano alzare tutti nelle celle e ci costringevano a cantare ‘Gloria alla Russia’ o il loro inno».
(da La Repubblica)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
COMMINATI TRE ERGASTOLI SULLA VICENDA CHE PORTO’ ALLA MORTE DI 298 PERSONE
Il 17 luglio 2014 un missile russo BUK venne sparato da un campo
agricolo vicino Permovaisk. La conferma arriva dalla corte distrettuale dell’Aia che si è pronunciata oggi con la sentenza. «Frammenti del missile Buk trovati nei corpi delle vittime sono prova inconfutabile del fatto che fu questo missile a causare l’abbattimento del volo» ha spiegato il giudice Hendrik Steenhuis. L’obiettivo colpito, però, non era inserito all’interno del contesto della guerra tra l’Ucraine e la repubblica separatista del Donetsk. A cadere ed essere distrutto in mille pezzi fu, invece, l’aereo della Malasya Airlines, noto oggi come MH17. L’aereo aveva a bordo 283 passeggeri, per la maggior parte olandesi, e 15 membri dell’equipaggio. I responsabili di quella strage sono stati giudicati oggi dalla corte di giustizia olandese, dopo che l’ucraina ha ceduto la giurisdizione ai Paesi Bassi, visto l’alto numero di vittime che provenivano da quel paese.
Non solo, ma la corte ha stabilito anche che la Russia aveva, all’epoca dell’incidente, il completo controllo sulla Repubblica separatista del Dpr (Donetsk People’s Republic). Prendeva parte alle decisioni militari e supportava con l’invio di armi la lotta del Dpr. Nonostante questo, non è stato possibile dare ai responsabili l’immunità che si deve a soldati che compiono tali azioni in un contesto di guerra, perché sia la Russia che il Dpr hanno sempre negato che i miliziani fossero integrati nell’esercito russo. Le prove utilizzate, specie le intercettazione telefoniche, fanno pensare che i tre uomini credessero di abbattere un jet fighter ucraino.
Tre imputati, Girkin, Kharchenko e Dubinskiy sono condannati per omicidio all’ergastolo per il loro ruolo nella vicenda. Il quarto, Pulatov non è responsabile di nessuno dei due crimini. I tre uomini dovranno pagare una compensazione di almeno 16 milioni di euro ai parenti delle vittime.
Gli imputati
L’imputato più anziano, Igor Girkin, è un ex colonnello di 51 anni del Servizio di sicurezza federale russo (Fsb), centrale nell’occupazione russa della Crimea e rimosso dal suo di Comandante supremo del Dpr dopo aver perso la città di Sloviansk, nella regione di Donetsk. All’epoca dell’abbattimento era ministro della Difesa e comandante delle forze armate dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, la regione in cui l’aereo è stato abbattuto. Girkin sarebbe attualmente coinvolto nella guerra della Russia contro l’Ucraina.
Girkin negli anni ha provato anche a fornire una versione alternativa dell’incidente, in cui «nessuna persona vivente era a bordo dell’aereo, ma volava con il pilota automatico da Amsterdam, dove era stato caricato con cadaveri in decomposizione». Questa menzogna è stata poi «trasmessa su tutti i media controllati dallo stato».
Sotto processo sono anche i subordinati di Girkin, cioè Sergey Dubinskiy, Oleg Pulatov e Leonid Kharchenko, un ucraino che secondo i pubblici ministeri era il comandante di un’unità di combattimento dei ribelli filorussi e prendeva ordini direttamente da Dubinskiy.
Pulatov è l’unico dei sospettati a essere rappresentato da avvocati difensori al processo: i legali hanno accusato i procuratori di «avere i paraocchi», basando il loro caso sui risultati di un’indagine internazionale sull’abbattimento e ignorando altre possibili cause.
Gli altri accusati sono invece processati in contumacia. Il team di difesa di Pulatov ha anche cercato di screditare le prove e ha sostenuto che non ha avuto un processo equo. In una registrazione video proiettata in tribunale, Pulatov ha insistito sulla sua innocenza e ha detto ai giudici: «Ciò che mi importa è che la verità venga rivelata. Per me è importante che il mio Paese non venga incolpato di questa tragedia».
Il ruolo nella strage
Dopo aver stabilito che le telefonate intercettate sono autentiche e non manipolate, la Corte distrettuale ha chiarito il ruolo degli accusati nella strage dell’MH17. Kharchenko ha trasportato il missile BUK, lo ha controllato e protetto. Pulatov agendo su ordine di Dubinsky ha svolto un ruolo decisivo nella creazione di un corridoio tra il Donetsk e il confine meridionale della Federazione Russa. Girkin è stato responsabile del dispiegamento dell’arsenale e dell’utilizzo delle truppe del Dpr, dando loro ordini strategici, parlando con le autorità di Mosca e chiedendo aiuto per continuare a combattere. Tutti, meno Girkin, sapevano quanto fosse mortale quell’arma. «Non può essere lanciato per errore perché ha determinati requisiti tecnici e le probabillità di sopravvivere a un suo colpo sono pari a 0». La corte ha concluso che il missile è stato lanciato deliberatamente. Il fatto che pensassero che si trattasse di un aereo militare non è una giustificazione per le responsabilità penali.
Kharchenko è considerato un corresponsabile dei crimini dei suoi subordinati. Dubinskiy era incaricato di trasportare e custodire il BUK, ma dette ordini ai suoi subordinati di farlo. Viene comunque considerato un corresponsabile. Girkin aveva le responsabilità di leadership maggiori. Girkin non sapeva che la Dpr avesse in mano un missile di quella portata. Inoltre, è stato coinvolto nel tentativo di insabbiamento sulla strage dell’Mh17 e aveva richiesto, in precedenza, missili come il BUK. Girkin è stato giudicato come «un autore funzionale».
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO NON DICE CHE IL 90% DELLE PERSONE ACCOLTE PROSEGUE IL VIAGGIO VERSO ALTRI PAESI EUROPEI”
Open Arms risponde al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, dopo la sua informativa alle Camere sulla questione migranti. L’Ong ha smontato la narrazione fatta dal governo Meloni.
«La posizione del ministro Piantedosi sulla necessità di assicurare a chi arriva un’accoglienza dignitosa è perfettamente condivisibile, peccato, però, che per numero di persone accolte l’Italia sia all’ottavo posto in Europa, dietro a noi ci sono solo Polonia e Ungheria. Questa retorica dell’invasione non è assolutamente vera, gli altri Paesi europei accolgono molto più di noi. Il 90 per cento delle persone che sbarcano in Italia prosegue il viaggio e va verso altri Paesi europei»
«La discussione sull’accoglienza non ci riguarda – aggiunge l’ong -, noi facciamo altro: siamo in mare per soccorrere vite, persone che rischiano di morire. Purtroppo siamo gli unici a farlo. Continuiamo a ripetere che c’è un modo molto semplice per farci smettere: organizzare un sistema strutturato di ricerca e soccorso in mare a livello europeo governativo. Se ci sono le navi dei Governi noi andiamo via».
(da Globalist)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“ANNI DI INDAGINI SULLE ONG E NESSUNA CONDANNA, I COMANDANTI HANNO SEMPRE AGITO NELLA LEGALITA'”
Ha parlato di numeri reali. Di ricerche effettuare da istituti come
l’Ispi e di anni di indagini contro i comportamenti delle navi ong che si sono concluse con un nulla di fatto.
Anzi, con una certificazione univoca su tutta la linea: le imbarcazioni che solcano il Mediterraneo per salvare vite umane operano per il solo fine di salvaguardare i diritti umani (seguendo la legge del mare).
Cecilia Strada, attivista di Resq. People e figlia del compianto fondatore di Emergency, chiede a tutti i polemisti di tacere e lasciare lavorare gli attivisti impegnati in quel soccorso di esseri umani. Perché le organizzazioni non governative colmano quella lacuna lasciata aperta (da anni) dai vari Stati.
Nel corso del suo intervento in collegamento con “Otto e Mezzo” (su La7), Cecilia Strada ripercorre le tappe delle “vicissitudini” giudiziarie degli ultimi sei anni contro le navi delle organizzazioni di soccorso in mare. E i dati (oltre alle sentenze) hanno sempre confermato la bontà delle loro operazioni:
“Sono 6 anni di indagini sulle organizzazioni di indagini sulle organizzazioni di soccorso. Tutte le cose che sono arrivate a dei gradi di giudizio hanno detto che avevano ragione le navi ad agire come agivano, che non c’è stato alcun favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che non ci sono stati accordi con gli scafisti, che era tutto a posto e che avevano ragione i comandanti delle navi ad aver agito come hanno agito. Queste sono arrivate fino in Cassazione, 6 anni di indagini. Ci sono due situazioni ancora aperte, molto vecchie e andremo a vedere come finiscono. Ma ci sono anche 5 anni di dati sul pull factor ( le condizioni che attraggono un individuo o un gruppo umano, che è spinto a muoversi per raggiungerle, ndr), raccolti non dalle navi di soccorso, ma da istituti di ricerca come l’ISPI, che dimostrano che non esiste questo legame. Partono indipendentemente dalla presenza delle navi di soccorso”.
“Possiamo essere in disaccordo sulla visione generale di come si gestiscono i flussi migratori e l’accoglienza, ma continuare a prendersela con le navi di soccorso, accusate di ogni crimine possibile e immaginabile mentre stanno a riempire un vuoto statale e saremmo più che felici se fossero gli Stati a riprendere una Mare Nostrum e a salvare la gente che annega in mare. Perché salvare la gente è un atto umanitario, la politica è quella che ha creato la situazione. Perché è la politica quella che non risolvendo la gestione dei flussi migratori spinge la gente a rischiare la vita in mare. Noi siamo in mare facendo grandissima fatica per salvare quattro cristiani. Porca miseria, fateci salvare quattro cristiani senza riempirci di calunnie”.
(da NextQuotidiano)
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