Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
L’EX ASSESSORE IN REGIONE LOMBARDIA HA LASCIATO LA LEGA 4 ANNI FA: “MARONI ERA UNA PERSONA PERBENE, UN LEGHISTA VERO, NON UNO DEGLI YESMAN DI CUI SI CIRCONDA SALVINI, NORMALE CHE SI FOSSE ALLONTANATO”
“Mi spiace davvero, caro Bobo. Abbiamo avuto momenti conflittuali, ma ci siamo lasciati sempre sorridendo. Il ricordo rimarrà forte”. Lo scrive Davide Boni, classe 1962 e pezzo storico della Lega del Grande Nord, per dire addio all’ex compagno di partito e di avventura Roberto Maroni, morto a 67 anni dopo una lunga malattia.
Le loro strade, del resto, si sono separate tempo fa. Davide Boni, dopo 30 anni di militanza leghista e un passaggio come presidente del Consiglio in Lombardia, ha detto addio al Carroccio nel 2018.
Roberto Maroni ormai si era ritirato dalle scene (ma non del tutto: il suo ultimo commento politico risale alla pesante sconfitta della Lega, dopo le politiche di settembre). Ma il ricordo del tratto percorso insieme rimane.
La Lega ha sempre valorizzato Roberto Maroni ed è stata riconoscente verso il suo percorso politico?
Di riconoscimenti da parte del movimento Roberto Maroni ne ha avuti parecchi. Ha fatto il presidente della giunta regionale, è stato segretario, ministro per ben due volte, ha avuto una lunghissima carriera istituzionale. Tranne in questi ultimi momenti, in cui ha preso una posizione divergente rispetto a Salvini, è stato uno di quelli che ha cambiato le radici della Lega.
Cos’era la Lega e cosa è diventata grazie a Maroni?
La Lega era un movimento fortemente territoriale. Un tempo c’era “Prima il Nord”, l’indipendenza, la questione dell’autonomia e del federalismo. Con Maroni e poi con Salvini ha fatto un salto a livello nazionale, diventando un movimento di centrodestra e un partito nazionalista. Un partito tradizionale, insomma.
Maroni ultimamente si era ritirato dalla politica. E si era allontanato dalla Lega.
Perché era una persona perbene. E perché nel suo cuore era un leghista vero. E un leghista vero, dentro di sé, si pone sempre il dubbio se assumere una posizione originale, con il rischio di creare una frattura. Si tratta di coerenza. Una parte romantica che impedisce di dare strattoni forti.
È lui che si è voluto estromettere, quindi? Oppure è stato estromesso?
Sicuramente non faceva parte della corte di Matteo Salvini, questo sì. Salvini, si sa, del resto è un leader che premia solo i suoi fedelissimi. Gli yesmen, uomini che non sono in condizioni di poter nuocere. Maroni, evidentemente, alla fine ha preso un’altra strada. Non so dire se sia stato il suo buen retiro, o se si fosse allontanato perché aveva capito che dentro la Salvini Premier non ci sarebbe più stato spazio per lui. Poi c’era anche la malattia.
Ha scritto “abbiamo avuto momenti conflittuali”.
Non ero d’accordo con questa nazionalizzazione della Lega, ne sono uscito per quello. Ma la morte chiude tutto.
Le vicende elettorali della Lega hanno vissuto momenti alterni, da numeri strabilianti alla flessione verso il basso che il partito sta attraversando negli ultimi tempi. E particolarmente dopo le ultime elezioni di settembre. Che sia il frutto di questa nazionalizzazione?
Guardiamo dove ha perso i voti la Lega. Se li ha persi al Sud pazienza, non era il core business originale. Se li ha persi al Nord, invece, è un problema. La Lega nasce come forza territoriale, radicata al Nord. E se Lombardia, Veneto, Piemonte e così via votano Fratelli d’Italia… vuol dire che hanno scelto l’originale. Perché la Lega non nasce come un partito anti immigrazione a tutti i costi, non nasce come un partito di centrodestra. Ma un movimento di cambiamento che veniva votato da tanti, anche da chi aveva un’ideologia più di sinistra. Tanti di noi, del resto, avevano questo antico retaggio.
Anche lo stesso Matteo Salvini.
Glielo vada a dire adesso…
(da Fanpage)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
IL PRIMO A ESSERE RIMANDATO DOVREBBE ESSERE IL MINISTRO VALDITARA
Dunque, per il ministro Valditara, dovrebbe andare così: sei nato povero, sei cresciuto allo Zen o a Tor Bella Monaca, o a Scampia, o a Barriera di Milano, e se non sei riuscito a trovare un lavoro, nella vita, ma nemmeno a prendere la licenza superiore (in alcuni casi nemmeno quella elementare) probabilmente sei già un analfabeta di ritorno. Sei a rischio di devianza o di criminalità, vivi di espedienti. Tuttavia hai (o avevi) i titoli per il reddito di cittadinanza, e questo ti ha cambiato la vita, non ti ha gettato in braccio alle mafie, ti ha dato una opportunità e forse un lampo di speranza.
Ma poi, un giorno, arriva il Ministro del Merito e ti dice: vergogna, non si fa cosi! Devi impegnarti a studiare. Altrimenti ti rimettiamo subito in mezzo ad una strada. Confesso che di Maria Antonietta che dicono meglio le brioches del pane, in questi anni ne abbiamo sentite tante. Ma il ministro Valditara batte tutti perché ci regala una variante inedita a metà fra la ferocia cattivista e la totale non conoscenza del problema.
Ovvio che sarebbe meglio che nessuno abbandonasse la scuola dell’obbligo. Ovvio che sarebbe meglio che tutti potessero fare le scuole serali. Ma il ministro deve scegliere: o davvero arriva da Marte e non conosce il mondo reale. Oppure dovrebbe chiedersi come mai nell’Italia del terzo millennio qualcuno a vent’anni è ancora analfabeta.
E invece che fa Valditara? Minaccia. Il ministro dell’Istruzione – infatti – annuncia che vuole togliere il reddito di cittadinanza (o l’eventuale misura che lo sostituirà) per tutti i giovani che «abbiano illegalmente interrotto il loro percorso scolastico prima dei 16 anni o che, completato il percorso con titolo di studio superiore, non siano occupati o impegnati in aggiornamenti formativi». Fantastico. Verrebbe da chiedersi da dove arrivi Valditara.
Confesso che in tanti anni da cronista parlamentare non lo aveva mai incrociato. Che non ricordo una sua sola dichiarazione. Anonimo e grigio, prima di rivelarsi un nuovo dottor Stranamore. Gia, perché effettivamente, all’epoca, prima di assurgere agli allori ministeriali non ci regalava perle come quella (altra recente esternazione) che la pubblica gogna sarebbe un sentimento pedagogico ed educativo.
E nemmeno – ovviamente – quest’altra perla sul reddito: secondo i calcoli del ministero che ispirano questa esternazione, dunque, tra i percettori di reddito della fascia 18-29 anni ci sono 364.101 persone. Che colpo di scena: «Una scoperta sorprendente e inquietante» commenta Valditara, che subito dopo aggiunge: «Abbiamo scoperto che ben 11.290 possiedono soltanto la licenza elementare o addirittura nessun titolo, e altri 128.710 solo il titolo di licenza media».
Se si calcola che i giovani tra i 18 e i 29 anni sono oltre 6 milioni, i percettori di reddito di cittadinanza sono circa il 5%: non è chiaro – ascoltando le parole del ministro – se il governo voglia togliere il reddito a tutti i 364.101 mila giovani precettori non scolarizzati. E pare evidente che a Valditara non sembri importante studiare questi dati più nel dettaglio e capire meglio chi sono i ragazzi che hanno abbandonato la scuola, in quali città e in quali regioni vivano, e per quali motivi non abbiamo raggiunto il titolo di studio del ciclo dell’obbligo. Poco importa.
Valditara ha un altro obiettivo, e infatti spiega che vuole andare avanti con il suo progetto di taglio e che vuole lanciare un messaggio forte: «Questa è una proposta che mostra come la parola merito nella visione mia e del governo non sia un orpello retorico, ma costituisca un preciso indirizzo politico».
Poi – e sembra uno scherzo ma è tutto vero – addirittura se la prende con questi cittadini giovani e sfortunati disegnandogli addosso un profilo mostrificato: «Questi ragazzi – tuona – preferiscono percepire il reddito di cittadinanza anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita. Il reddito collegato all’illegalità tollerata del mancato assolvimento dell’obbligo scolastico è inaccettabile moralmente: significherebbe – conclude il ministro – legittimare e addirittura premiare una violazione di legge».
Ed eccoci all’incrocio fra Maria Antonietta e la strega di Biancaneve: scambiando l’effetto per la causa, proprio lui, il ministro che dovrebbe impegnarsi per combattere l’evasione scolastica si accontenta di criminalizzare gli studenti che dovrebbe recuperare. È evidente che Valditara – ex forzista oggi leghista – non ha letto Don Milani, ma anche che non ha mai incontrato uno di questi ragazzi, non ha mai conosciuto uno dei giovani poveri su cui ama pontificare: «Sento dire che tagliare il reddito sarebbe disumano – conclude – a me pare disumano convivere con l’illegalità, calpestare il diritto allo studio, educare i ragazzi al mantenimento a spese della società piuttosto che a credere in loro stessi e alla possibilità di migliorare le loro condizioni di vita».
Forse bisognerebbe spiegare al ministro che nulla come l’Istruzione e la scolarità sono prodotto del contesto sociale. E che (come potrebbe spiegargli qualsiasi professore di una scuola di periferia) coercire spesso ha il significato (e il risultato) opposto di motivare. Ma in questa battaglia il ministro non è solo: è figlio di una cultura, di un clima.
Nel giro di pochi mesi tanti anni di disinformazione sul reddito producono i loro frutti, e un grottesco ribaltamento di senso: i poveri non sono più solo un problema in quanto poveri. E non sono nemmeno toccati dal beneficio della non colpevolezza. I poveri oggi diventano nemici sociali, profittatori, parassiti sociali da condannare e punire. Che tristezza. Il primo da rimandare perché non sa di cosa parla é proprio lui.
(da TPI)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
IN SETTI ANNI NE HANNO FATTA DI STRADA, A BOLOGNA CI LAVORANO 250 VOLONTARI E DISTRIBUISCONO 500 PASTI AL GIORNO
Le Cucine Popolari sono state progettate e realizzate a Bologna da Roberto Morgantini, ex sindacalista Cgil, a lungo responsabile dell’ufficio stranieri della Camera del lavoro, vicepresidente dell’associazione Piazza Grande, volto laico della solidarietà, nominato tre anni fa dal Capo dello Stato Sergio Mattarella commendatore della Repubblica “per il suo prezioso contributo alla promozione di una società solidale e inclusiva”.
L’esempio di quei “semplici gesti” lo diede proprio lui quando, nel 2015, sposò Elvira dopo 38 anni di convivenza. Aveva un sogno che cullava da anni Morgantini, 75 anni, qualche bypass ma un’energia da fare invidia a un giovincello: creare una comunità attorno a una tavola.
Una mensa laica per i poveri e i senza fissa dimora, le persone più sfortunate, sole, in difficoltà. “Non una iniziativa di carità ma di solidarietà. Perché la carità è un gesto, la solidarietà un percorso”, ripeteva.
Gli servivano 25 mila euro per provare a realizzare quel sogno. Così chiese come regalo di nozze ai suoi tanti amici una donazione per raccogliere i primi fondi necessari ad avviarlo. Un invito raccolto da molti che poi è diventato passaparola, una catena virale della solidarietà che si è allargata sempre più e non si è più fermata.
Da lì è partita l’avventura delle Cucine Popolari, un percorso che in sette anni di strada ne ha fatta parecchia. Oggi ce ne sono quattro in città, ci lavorano duecentocinquanta volontari e distribuiscono circa cinquecento pasti al giorno grazie alle donazioni in denaro e alle forniture di cibo di vari soggetti (enti, cooperative, aziende, semplici cittadini) e a diverse iniziative di raccolta fondi.
Prima del Covid i pasti all’esercito delle persone in difficoltà accreditate dai servizi sociali del Comune, che anche nella ricca Bologna è in costante aumento, si servivano a tavola. Oggi vengono distribuiti con le sportine, ma si sta lavorando per ritornare all’origine.
Alla cucina Saffi, ad esempio, già quaranta pasti sono di nuovo a tavola e sessanta da asporto. L’obiettivo di Morgantini è di arrivare ad avere una cucina in ogni quartiere, perché la solidarietà sia sempre più di prossimità, diventi relazione umana, amicizia, allargando il campo a nuove collaborazioni.
In questo contesto è partita da poco una esperienza innovativa: una struttura nel quartiere San Donato gestita assieme dalle Cucine Popolari e dall’Opera Padre Marella. Il volontariato laico e cattolico insieme. Un connubio che ha creato anche qualche tensione, ma che sta cominciando a dare buoni frutti.
(da Globalist)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
L’ULTIMO DISPERATO TENTATIVO DELLO ZAR DI RIBALTARE LE SORTI DELLA GUERRA, MA ANCHE UNA COPERTURA POLITICA PER CONSENTIRGLI DI CEDERE IL POTERE IN CASO DI PEGGIORAMENTO IMPROVVISO DELLE SUE CONDIZIONI DI SALUTE
Putin non lascia, anzi raddoppia! Nonostante le nuove parole del president ucraino, Volodymyr Zelensky, che ha avvertito Mosca che deve ritirarsi da tutti i territori occupati se vuole una risoluzione duratura della guerra, “Mad Vlad” starebbe per chiedere una nuova massiccia mobilitazione.
Sarebbe l’ultimo disperato tentativo dello Zar di ribaltare le sorti della guerra, dopo che la controffensiva di Kiev ha costretto i suoi soldati a ritirarsi sulla sponda orientale del fiume Dnipro.
Attualmente i soldati già arruolati sono intorno ai 300mila, e Putin ha firmato il decreto per porre fine alla prima ondata di mobilitazione. Eppure in Russia c’è chi giura che il presidente non si fermerà, e potrebbe costringere alla leva fino a due milioni di persone (tra cui 300mila donne).
Secondo alcune fonti russe, citate dal Daily Mail, la mossa potrebbe essere accompagnata dalla legge marziale in alcune città, tra cui Mosca. La capitale, a differenza delle aree rurali, non è stata molto toccata dalla prima ondata di mobilitazione: ci vivono persone con alta scolarizzazione, poco disposte ad andare a combattere una guerra in cui non credono e che non hanno bisogno dei due spicci che dà il governo ai militari.
Uno scenario che secondo gli analisti potrebbe servire a Putin come copertura politica, per consentirgli di cedere il potere in caso di peggioramento improvviso delle condizioni di salute.
Le voci suggeriscono che Sergei Kiriyenko, 60 anni, il suo autoritario vice capo di gabinetto e ex PM, potrebbe essere il candidato numero uno a sostituire Putin, mentre altri si concentrano su Dmitry Patrushev, ministro dell’Agricoltura e figlio del capo della sicurezza del presidente, Nikolay Patrushev.
Come scrive il canale Telegram “General SVR”, “un gran numero di vittime tra i mobilitati non farà altro che radunare la società russa e rafforzare l’attuale regime, indipendentemente dal fatto che il risultato sarà una vittoria o una sconfitta”.
L’osservatore di Putin, Valery Solovey, ha dichiarato: “L’intenzione è di mobilitare non 300.000, 400.000 o 500.000 persone ma, con un po’ di fortuna, fino a due milioni di persone, tra cui 300.000 donne dopo le celebrazioni del nuovo anno. Inoltre, si prevede di condurre la mobilitazione contemporaneamente all’introduzione della legge marziale”.
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
INCONTRO SEGRETO A PALAZZO CHIGI TRA GIORGIA MELONI E L’AD DI VIALE MAZZINI: O FUORTES ACCETTA DI ESSERE COMMISSARIATO DA GIAMPAOLO ROSSI DIRETTORE GENERALE O SARÀ SCONTRO
Si sono incontrati, in gran segreto, mercoledì a Palazzo Chigi. Per la prima volta. Giorgia Meloni e Carlo Fuortes non si conoscevano. Un’ora di colloquio sulla Rai che segna l’apertura del dossier da parte del governo. L’ad nominato da Mario Draghi si trova in una situazione complicata: il piano industriale che non decolla, i conti claudicanti, il sorpasso di Mediaset negli ascolti di giornata.
Ma soprattutto è espressione di un’altra maggioranza. Stesso discorso per il cda, privo di esponenti in quota Fratelli d’Italia, ormai razza padrona. Il mandato di Fuortes scade nel 2024. Meloni gli ha prospettato due soluzioni: l’innesto di un direttore generale, Giampaolo Rossi, oppure sarà scontro.
E’ in corso un’accelerazione. In queste ore la maggioranza ragiona sulla possibilità di presentare un emendamento alla manovra che modifichi il tetto dei due mandati per i consiglieri d’amministrazione della Rai. Un altro veicolo potrebbe essere il decreto Mille proroghe atteso sempre a fine anno. E’ l’unico modo per “sbloccare Rossi”.
Il trasversalissimo uomo di FdI a Viale Mazzini, già nel cda ai tempi di Fabrizio Salini, se domani Fuortes si dimettesse potrebbe sì sostituirlo con l’elezione della nuova governance, ma durerebbe fino alla primavera 2024. Senza la possibilità di un terzo mandato pieno. Una mossa del genere, va detto, è valutata con estrema cautela da parte di Meloni. Alle prese con consigli contrastanti. C’è chi le dice di andare dritta cercando lo scontro con Fuortes e chi invece la invita alla calma, per arrivare all’obiettivo senza strappi.
L’unico accordo che sembrano aver trovato Meloni e Fuortes riguarda il Tg2. Al posto di Gennaro Sangiuliano, assurto al ministero della Cultura, dovrebbe andare a Nicola Rao. La capa della destra si muove sempre con la consueta circospezione: un mix di cautela e cattivi pensieri. Non si fida fino in fondo degli alleati. Teme che al partito azienda Forza Italia una Rai a galla, purché non moribonda, potrebbe comunque non dispiacere.
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
IL REPORT DELL’AGENZIA EUROPEA DELL’AMBIENTE SULLA CATTIVA QUALITA’ DELL’ARIA
Nel 2020 sono state almeno 311mila le persone morte prematuramente nell’Unione Europea a causa dell’inquinamento atmosferico. Lo rivela l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), che ha pubblicato oggi il suo report annuale sulla qualità dell’aria in Europa. A preoccupare è soprattutto l’Italia, che registra da sola 52.300 morti premature, il 21% di quelle rilevate in tutta l’Ue. Nonostante le emissioni di sostanze inquinanti siano diminuite in modo significativo negli ultimi due decenni, la qualità dell’aria rimane scarsa in molte aree d’Europa. E, tra queste, la Pianura Padana si conferma la peggiore. Secondo il rapporto dell’Eea, il 96% della popolazione urbana in Ue è esposto a livelli di particolato fine superiori ai livelli di riferimento fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Dati che, seppur in miglioramento, continuano a preoccupare. Al punto da spingere l’ente europeo a definire l’inquinamento atmosferico come «il più grande rischio ambientale per la salute in Europa». Oltre alla morte prematura, infatti, una cattiva qualità dell’aria porta con sé anche un aumento dei casi di malattie respiratorie. Soltanto nel 2019, prosegue il report europeo, 12.253 persone sono state ricoverate in ospedale con infezioni delle vie respiratorie causate dall’esposizione acuta all’ozono.
Le vittime
Secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente, sono tre i gas più letali. Si tratta del PM2.5 (spesso chiamato semplicemente «particolato fine»), del biossido di azoto (NO2) e dell’ozono (O3). Nel 2020, precisa il rapporto dell’Eea, sarebbero almeno 238mila persone sono morte prematuramente nell’Ue a causa dell’esposizione a livelli troppo elevati di PM2.5. A questi si aggiungono i 49mila morti da esposizione a biossido di azoto e i 24mila per l’ozono. Numeri che, sommati tra loro, portano il numero di morti premature complessive a circa 311mila. L’inquinamento atmosferico, poi, danneggia anche gli ecosistemi terrestri e acquatici. Secondo l’agenzia europea, nel 2020 il 59% delle aree forestali e il 6% dei terreni agricoli sono stati esposti a livelli dannosi di ozono troposferico. Questo si è tradotto a sua volta in una perdita di raccolti di grano pari a 1,4 miliardi di euro.
Da dove viene l’inquinamento
A determinare la quota più consistente di emissioni di particolato sono i sistemi di riscaldamento degli edifici residenziali, commerciali e istituzionali. Nel 2020, questo settore è stato responsabile del 44% delle emissioni di PM10 e del 58% di quelle di PM2.5. L’agricoltura, invece, ha generato il 94% delle emissioni europee di ammoniaca e il 56% delle emissioni di metano, dovute principalmente al processo digestivo di alcuni animali. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto, le fonti principali di inquinamento sono state il trasporto su strada (37%), l’agricoltura (19%) e l’industria (15%). Infine, le emissioni di metalli pesanti – come nichel e arsenico – si deve soprattutto all’attività delle industrie estrattive e manifatturiere.
Verso le emissioni zero
Nonostante i numeri siano ancora molto elevati, i dati relativi alle morti premature da inquinamento atmosferico sono in costante calo da circa due decenni. Dal 2005 al 2020, il numero di decessi precoci dovuti all’esposizione da PM2.5 è diminuito del 45%. Negli ultimi mesi, l’Unione Europea ha adottato il «Piano d’azione per l’inquinamento zero», che fissa l’obiettivo di ridurre ulteriormente le morti premature, fino a raggiungere nel 2030 un calo del 55% rispetto ai livelli del 2005. Parallelamente, la Commissione sta pensando introdurre requisiti più stringenti per affrontare l’inquinamento atmosferico alla fonte, in particolare nei settori dell’agricoltura, dell’industria, dei trasporti e dell’approvvigionamento energetico. Finora la riduzione delle emissioni – soprattutto quelle di NO2, il biossido di azoto – è andata di pari passo soprattutto con la riduzione del trasporto su strada. Durante il primo lockdown dell’aprile 2020, fa notare il report dell’Eea, «le concentrazioni di NO2 in Francia, Italia e Spagna sono diminuite fino al 70% in pochi giorni».
(da Open)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
TENSIONE ANCORA ALTA AL VERTICE DEI MINISTRI DEGLI INTERNI EUROPEI: “HOTSPOT IN AFRICA? NON HANNO MAI FUNZIONATO, INUTILE FARSI ILLUSIONI”
La Francia si impunta. I toni del ministro Gerard Darmanin dopo la crisi tra Roma e Parigi per l’approdo della Ocean Viking sono ancora molto tesi.
“Se l’Italia non prende navi, non accetta la legge del mare, non c’è più motivo di fare i ricollocamenti. Non possono Francia e Germania sia prendere i migranti delle navi e fare i ricollocamenti – ha esordito Darmanin presentandosi ai giornalisti ancor prima dell’inizio della riunione dove per la prima volta dal braccio di ferro sulla Ocean Viking reincontra Matteo Piantedosi che anche al G7 di Wiesbaden aveva minimizzato la tensione con la Francia.
Ma Darmanin insiste: l’Italia deve aprire i porti alle Ong. “Bisogna ricordare a tutti qual è il diritto del mare, evidenziare che le Ong che operano nel Mediterraneo si trovano lì evidentemente per salvare le persone e in nessun caso possono essere equiparate ad organizzazioni di passaggio e, infine, bisogna ricordare che i Paesi del Sud del Mediterraneo devono aprire i loro porti perchè a volte ci sono imbarcazioni delle ong che attraversano le loro acque territoriali e alle quali non vengono aperti i porti”, ha detto.
La riunione dei ministri dell’Interno sarà interlocutoria, non si chiuderà con nessuna decisione ma servirà per mettere sul piatto il piano d’azione per il Mediterraneo centrale proposto dalla commissione europea che – hanno fatto sapere oggi i commissari – ne stanno preparando un altro anche per la rotta balcanica.
Le divergenze sembrano ben più delle convergenze. Le dichiarazioni alla stampa dei ministri prima del vertice ne sono la cartina di tornasole.
“I ricollocamenti funzionano, vanno solo velocizzati . Non è vero che il meccanismo di solidarietà con i ricollocamenti volontari non stia funzionando. Facciamo il trasferimento su base più o meno giornaliera o almeno settimanale. Quello che dobbiamo fare è migliorare la velocità perché abbiamo visto alcuni colli di bottiglia nei sistemi su questo”, ha detto la commissaria europea Ylva Johansson nonostante i soli 117 migranti sugli 8.000 promessi che da giugno a oggi hanno lasciato l’Italia per Francia, Germania e Lussemburgo
Sul tavolo c’è anche un nuovo codice di condotta per le navi umanitarie. Lo conferma il vicepresidente Margaritis Schinas. “Dobbiamo lavorare con le Ong, ma in modo ordinato, in modo da rispettare anche i nostri Stati membri e strutturare le operazioni di ricerca e salvataggio in un metodo costruttivo”, ha aggiunto. “Se questo richiede un quadro più strutturato, come un codice di condotta, lo sosterremo”, ha aggiunto Schinas che non crede invece nella possibilità di aprire hotspot in Africa dove filtrare i migranti facendo partire per l’Europa solo chi ha i requisiti per l’asilo. “La Commissione precedente ha provato questo metodo e non ha funzionato. Non vedo come possa funzionare ora”, ha tagliato corto Schinas.
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
LA STIMA DEGLI 82 MILIARDI RAPPRESENTA I COSTI MILITARI DIRETTI, MA NON INCLUDE LA SPESA PER LA DIFESA STABILE DEL PAESE O LE PERDITE DELL’ECONOMIA
La Russia ha speso 82 miliardi di dollari, pari a un quarto del suo bilancio annuale, per la guerra in l’Ucraina dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio scorso: è la stima della rivista statunitense Forbes, secondo cui Mosca ha speso finora più di 5,5 miliardi di dollari solo per le forniture di artiglieria.
E i costi della guerra per la Russia stanno aumentando, mentre le sue risorse si stanno esaurendo, scrive la rivista che cita l’accordo con l’Iran per la fornitura di armi e un possibile accordo con la Corea del Nord. L’anno prossimo, il “conto della guerra” potrebbe diventare troppo alto, ritengono gli esperti di Forbes. La stima degli 82 miliardi di dollari, precisa il bisettimanale, rappresenta i costi militari diretti della Russia per i 9 mesi di guerra, ovvero include i costi necessari per sostenere le operazioni militari, ma non la spesa per la difesa stabile del Paese o le perdite legate all’economia.
La rivista cita alcuni esempi dei costi diretti. In media, ogni soldato costa allo Stato circa 200 dollari al giorno, finora le forze russe hanno lanciato oltre 4.000 missili per un costo medio di 3 milioni di dollari l’uno e poi c’è l’artiglieria con il prezzo medio di un proiettile di circa 1.000 dollari, per una spesa stimata in oltre 5,5 miliardi di dollari.
Nel 2021 le entrate di bilancio russo ammontavano a 340 miliardi di dollari, quindi la Federazione ha già speso un quarto delle sue entrate dello scorso anno nelle operazioni militari in Ucraina, scrive Forbes. Se in primavera questi costi potevano sembrare accettabili, considerando che la Russia incassava circa un miliardo di euro al giorno dalla vendita di petrolio e gas, ora la situazione è diversa fanno notare i ricercatori della rivista, sottolineando che le entrate del bilancio federale russo derivanti dall’export di petrolio e gas stanno diminuendo.
Mosca, infatti, ha già perso la maggior parte del mercato europeo del gas dopo che la fornitura del Nord Stream è stata interrotta e le sanzioni sul suo petrolio inizieranno a dicembre. Nel frattempo, la guerra richiede più soldi: in autunno, le spese miliari legate al conflitto sono raddoppiate e adesso la Russia ha bisogno di almeno 10 miliardi di dollari al mese.
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2022 Riccardo Fucile
LA SCUOLA È GESTITA DALLA SOCIETÀ “FORMAPOLIS” (PRESIEDUTA DALL’AMICO DI SIRI MARCO PERINI) CHE HA ACQUISITO L’ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE “SPAZIO PIN”, FONDATA DA SIRI E FINANZIATA DA GRUPPI IMPRENDITORIALI CHE FANNO AFFARI IN RUSSIA
Domenica i corsisti della Lega in Emilia riceveranno gli attestati di frequenza. Un paio di settimane dopo toccherà ai colleghi nelle Marche. Poi calerà definitivamente il sipario sul progetto dell’Accademia del Carroccio, una sorta di università della politica istituita nel 2018 con l’obiettivo di formare nuova classe dirigente.
“Formare per governare”, era lo slogan che ancora campeggia sull’ambiziosa pagina in cui c’è la foto sorridente di Matteo Salvini e del responsabile dell’Accademia, il senatore Manuel Vescovi. Che oggi è molto meno sorridente. E che in silenzio ingoia il rospo di uno stop all’attività comunicata senza dovizia di particolari dal segretario. Ma tant’è, il leader ha deciso.
La scelta di Salvini è quella di mantenere in vita una sola struttura formativa: quella del fedelissimo Armando Siri, l’ideologo della Flat tax, che gestisce la sua scuola attraverso una srl, la Formapolis. È a questa società, posseduta a maggioranza da un amico e stretto collaboratore di Siri, Marco Perini, che finiscono i proventi delle iscrizioni, circa 600 euro per ogni corsista che deve accollarsi anche le spese per le trasferte a Milano, sede unica delle lezioni.
La Formapolis ha sostanzialmente acquisito l’attività dell’associazione Spazio Pin, fondata proprio dall’ex sottosegretario, che aveva come scopo sociale quello “di ampliare gli orizzonti didattici di educatori, insegnanti ed operatori sociali in campo olistico affinché sappiano trasmettere una nuova visione dell’Uomo e del suo rapporto con l’Universo e tutte le espressioni della natura”.
Era, l’associazione Spazio Pin, una delle espressioni della multiforme personalità di Siri, teorico del pensiero laterale: ma è finita all’attenzione di magistrati e finanzieri che indagano sul senatore ligure per finanziamento illecito ai partiti e dichiarazione infedele dei redditi.
Quest’ultimo il capitolo che riguarda l’associazione che negli anni scorsi, oltre ai proventi delle iscrizioni degli studenti leghisti, ha incassato donazioni da rilevanti gruppi imprenditoriali.
A partire da Inalca, sigla dominante della filiera della carne del gruppo Cremonini guidato da Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni, che ha versato 18mila euro. Un gruppo che, secondo il Sole 24 ore, produce il 9 per cento del suo fatturato in Russia. Versamenti per 15 mila euro all’associazione di Siri sono arrivati anche dal gruppo Psc, specializzato nell’impiantistica, guidato dalla famiglia Pesce e partecipata da Fincantieri e Simest.
I dubbi possono riguardare la disinvoltura imprenditoriale di Siri (che ha a suo carico il patteggiamento di una condanna per bancarotta fraudolenta) ma non la capacità di relazioni al servizio del partito. […]
E riemerge in questi giorni, la figura di Siri, a distanza di tre anni dall’inchiesta per corruzione che gli costò il posto di sottosegretario ai Trasporti: a lui, responsabile dei dipartimenti leghisti, è stata affidata l’organizzazione della convention che domani aprirà il ciclo di eventi in tutte le regioni che dovrebbe riavvicinare il Carroccio (o il succedaneo “Prima l’Italia”) al territorio. Ma il cuore di Siri è soprattutto per la sua scuola, su cui rimane il simbolo della Lega.
(da agenzie)
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