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AI CANCELLI DI POMIGLIANO, TRA GLI OPERAI DELUSI DA TUTTI: “SOLO CONTE CI DIFENDE”

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

“QUA MOLTI HANNO VOTATO LA MELONI, DICEVA CHE AVREBBE AIUTATO GLI OPERAI, INVECE TUTELA SOLO I RICCHI E GLI EVASORI”

Franco si guarda intorno e si sfoga: “Ma se Maurizio Landini non dialoga con Giuseppe Conte, in questo momento con chi lo deve fare? Aspettare ai gazebo il nuovo segretario Pd? O dobbiamo rimanere senza voce, peggio di come siamo, specialmente noi del Sud?”. Luigi ragiona a voce alta: “Non perdere tempo. Li abbiamo votati tutti, ci hanno deluso tutti”. Mario fa il caustico. “Ma la presidente del Consiglio, quand’era in campagna elettorale, non voleva dare mille euro agli operai? Con un clic, diceva. Ora l’abbiamo vista sulla manovra: fatta solo per quelli che stavano alla Scala con lei”.
Ciro alla fine squarcia i veli, mentre indica il reparto alle spalle e si avvia alla sua auto, dopo il turno: “Nessuno glielo dirà mai. Ma qui dentro, tantissimi hanno votato Meloni: perché sembra una tosta, una più libera. Io non lo so: io a votare non ci sono andato. Ma la premier, come prime mosse, vicino agli operai non ci sta. Vediamo che succede”.
Cancelli dello stabilimento Giambattista Vico. È la storica casa di Alfa Romeo che nessuno chiama né col nome della proprietà, Stellantis, né con quello del filosofo settecentesco a cui pensò Marchionne, perché per tutti è solo la Fiat di Pomigliano, l’impianto delle dure battaglie e delle tante trasformazioni. Che oggi, con i suoi 4 mila dipendenti sopravvissuti a cassa integrazione e prepensionamenti, sforna circa 700 Panda e 220 Tonale di ultima generazione, ogni giorno. È la fabbrica dove nessuno si è sorpreso per l’incontro tra il segretario della Cgil, peraltro appena candidato a un mandato bis, e il leader del Movimento 5 Stelle. In fondo, molti sono stati grillini della prima ora, sottosezione Di Maio, un “paesano” e difatti in tanti ti dicono tra rabbia e malinconia, “Che peccato Luigi, se fosse per lui mo’ non c’era più neanche questa parvenza di sinistra del Movimento”.
Gli operai su Conte-Landini
“Ne abbiamo viste di tutti i colori, qui dentro, con la politica”, ti ricorda Stefano Birotti, 56 anni, entrato in Fiat nell’89, padre di 2 figli, “di cui uno si è laureato a Edimburgo, sempre con borse di studio e qui non ci vuole proprio tornare. Che peccato che è entrata la Brexit e il fratello più piccolo che voleva seguire le sue orme non lo può fare più, fine di una vera chance democratica per i ragazzi”.
“È chiaro – analizza Stefano – che Conte si vuole accreditare come un riferimento per i diritti sociali, per i non garantiti. E Landini non disdegna di costruirci un legame. Io non sono uno del Movimento, perché Conte ha cambiato alleati troppe volte, ho votato Unione popolare, sia chiaro, ma il Pd ha perso tante di quelle occasioni per rifondarsi”.
Contro la manovra di Meloni
Per Mario Di Costanzo, che ha un ruolo di raccordo in Fiom, alla segreteria Cgil di Napoli, “è evidente che tra i nostri compagni e lavoratori c’è un punto di vista articolato, non tutti pensiamo che Conte sia la salvezza, il futuro. Ma se ci sono politici che danno ascolto e qualche sostanza ai nostri temi, è fondamentale costruirci un rapporto”. Anche perché, interviene Franco Adinolfi, anche lui con 2 figli a carico, da oltre 25 anni in Pcma, l’azienda della componentistica di Stellantis, “contro questa finanziaria una battaglia la si deve fare, o no? Com’è possibile accettare che i nostri salari sono fermi da tanti anni, e ora il governo battezza una flat tax che privilegia chi sta al sicuro mentre noi ci dobbiamo barcamenare tra l’affitto, le bollette da incubo, lo studio per i figli, e pure la benzina per arrivare al lavoro? Ce lo ricordiamo che hanno ridotto il taglio alle accise e noi stiamo pagando di più i carburanti, già dal 2 dicembre?”.
Benzina e proteste
Sulla benzina viene giù il mondo. Si accendono tutti: da queste parti, se sei un operaio di Pomigliano, non hai né un bus né un treno con gli standard da area occidentale in grado di portarti in fabbrica in tempi regionevoli. “Le vecchie convenzioni con le aziende di trasporto sono state tutte cancellate – ricostruisce Mario – Quindi, se da un centro abitato anche non lontanissimo vuoi arrivare allo stabilimento, o metti in conto di perdere un paio d’ore all’andata e altre due al ritorno, visto che i mezzi sono pochissimi e passano a intervalli assurdi; oppure metti mano alla tasca e fai il pieno di benzina. Qui si organizzano in 3 o in 4, ogni giorno, per dividere le spese”.
“Meglio Conte che niente”
E Luigi Maiello, gruista, “ci sono amici che vengono da Salerno a lavorare: capite quanto costa?”. Mimmo Loffredo, manutentore degli stampi , 42 anni: “Se i nostri stipendi sono fermi al palo e invece in Germania il governo li irrobustisce con una bella integrazione, significa che noi vogliamo radere al suolo la classe operaia di questo Paese”. Tommaso, 44 anni, del montaggio Panda, sposato e con due figli. “Io preferisco Conte in questo momento. Non è stato coerente, ma preferisco mille volte lui a un governo che sta favorendo l’evasione fiscale, che premia solo le categorie più protette”.
E Eduardo, che di anni ne ha 58 e sta al montaggio del Tonale, allarga le braccia: “Non ho la stessa cultura politica di Conte, vengo dalle storie di Democrazia proletaria, e ora dovrei, come in quello splendido monologo di Vincenzo Salemme, fare causa allo Stato perché il comunismo è fallito e la sinistra non esiste e più. Ma comunque meglio Conte che niente. Almeno lui la spende la voce per quelli senza diritti: come mio genero, che lavora per un’azienda della logistica per 5 euro e 50 centesimi all’ora: e con mia figlia hanno anche un bambino. A fine mese, mille euro con gli straordinari”.
Il secondo turno
Comincia ad arrivare il secondo turno, un operaio viene accompagnato dai colleghi, ha un piccolo problema di deambulazione. “Peccato abbiano spento le scale mobili per andare in mensa: certo, sono solo due piani e mezzo, ma per chi ha disagi certificati – ricorda Mario – non è piacevole non poter salire con gli altri. Piccole cose ma contano. Fanno sentire più in fondo chi già è rimasto indietro”.
(da La Repubblica)

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DALLE MONETINE A CRAXI AL CAPPIO IN PARLAMENTO SVENTOLATO DAL LEGHISTA ORSENIGO: LA DESTRA CHE TIFAVA MANETTE ORA SI SCOPRE GARANTISTA

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

QUANDO SI ARRIVA AL POTERE DA GIUSTIZIALISTI SI DIVENTA PARACULISTI

Èormai sicuro che a tirare le monetine a Craxi davanti all’hotel Raphael c’erano anche dei missini: Teodoro Buontempo arrivò trafelato da Montecitorio con due sacchetti pieni. Era il 30 aprile del 1993 e i camerati erano scatenatissimi contro i “ladri di regime”.
All’inizio del mese un presidio di giovani del Fronte della Gioventù tentò l’assalto a Montecitorio. Indossavano magliette con la scritta: “Arrendetevi, siete circondati”. A un certo punto una monetina da 100 lire fischiò sopra la testa dei granatieri di guardia infrangendo il lunotto sopra l’ingresso della Camera. Non si è in grado di stabilire se fra gli assaltatori del Fronte vi fosse quel pomeriggio la giovanissima Giorgia Meloni, che oggi si proclama garantista.
A proposito del cappio, d’altra parte, è nella storia ciò che accadde sempre a Montecitorio il 16 marzo 1993. Da giorni in aula i missini mostravano manette e tiravano finte banconote, spugne gialle, guanti.
I leghisti pativano la concorrenza e ne avevano qualche ragione, considerato che il loro ispiratore, professor Gianfranco Miglio, aveva da poco sostenuto che il linciaggio era «la forma più alta di giustizia».
Nel suo “La guerra dei trent’ anni” (Marsilio, 2022) Filippo Facci ricostruisce in che modo, per recuperare il terreno perso nel campionato del giustizialismo selvaggio ad alto impatto mediatico, l’onorevole Leoni Orsenigo, un marcantonio che installava antenne tv in provincia di Como, arrivò a Roma con un vistoso nodo scorsoio preso in prestito da un suo amico alpinista. Così mentre i deputati della fiamma iniziavano la solita caciara, Leoni si alzò in piedi, espose il cappio e lo sventolò.
Bossi, più tardi, la buttò sulla goliardia. Disse invece Miglio: «I nostri hanno apprezzato. Se fossi stato lì, l’avrei aiutato a far ballare la corda».
Questi tre simbolici episodi per ricordare che il Msi e la Lega si affermarono in quegli anni cruciali nel nome della colpa, della punizione, della galera e peggio.
Non solo loro, veramente. Tutti, comprese le tv di Berlusconi che facevano il tifo per Di Pietro. Quando il Cavaliere vinse le elezioni Previti gli offrì un posto di ministro, meno noto è che La Russa voleva al governo anche Davigo.
Molti anni sono passati da allora, il tempo di una generazione. Tra ieri e oggi mille vicende, mille processi, mille polemiche, riforme promesse, sgangherate, abbandonate. Ma in mezzo c’è stata soprattutto l’età berlusconiana, con i suoi avvocati, i suoi scandali, dal fisco alle minorenni, un paio di lodi andati a male, un paio di bicamerali, la lunga guerra contro le toghe rosse.
È difficile tagliare la storia con l’accetta, tanto più nel paese dei trasformismi, dei travestitismi, delle maschere e delle mascherine.
E forse sarebbe anche ingiusto sostenere che il Cavaliere ha “attaccato” il garantismo ai suoi alleati come se fosse una malattia – e non solo perché un supplemento di scrupolo, nella giustizia, è un fatto di civiltà e umanità. E tuttavia non c’è un momento preciso in cui gli ex missini e i leghisti hanno segnato un ripensamento e ancor meno tentato un’autocritica. È successo, piano piano, caso dopo caso, inavvertitamente.
Chi sta all’opposizione fa presto a invocare le manette; se invece sta nel potere ecco che perde carica e ferocia senza per questo diventare migliore, anzi, finendo per assomigliare a quelli che combatteva negli anni della gioventù.
Vedi la casa di Montecarlo e i gioielli della Tanzania; vedi gli impicci di Alemanno e i 49 milioni di Salvini spariti; vedi la girandola di traffici, da Mosca al litorale pontino. F
orse è qualcosa che attiene alla vita, ma a un certo punto si guarda alle convenienze, al quieto vivere, prevalgono le ragioni “politiche”, per così dire, quindi s’ invoca l’assoluzione per gli amici e l’inferno per i nemici.
Vale per tutti, ma alla fine da garantismo “peloso” o “a intermittenza” anche quello dei padani e dei patrioti tricolore s’ è fatto “gargarismo”, “para-culismo”.
Il solito percorso delle faccende italiane, il diritto penale come strumento della lotta politica. Nella Nazione scettica e immalinconita, è comunque arduo presentarlo come una virtù.
(da la Repubblica)

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LE CLASSIFICHE DEI REGALI E CIBI PIU’ RINCARATI RISPETTO AL 2021

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

AL PRIMO POSTO LE MACCHINE DA CAFFE’ IN CIALDE (+ 25.9%), FILM DVD (+ 23,6%),,, FRUTTA ESOTICA + 19,3%, POLLAME +18%

Brutte notizie per le famiglie italiane: l’inflazione colpisce anche il Natale. L’Unione Nazionale Consumatori ha elaborato gli ultimi dati Istat disponibili per ottenere la lista dei regali e dei cibi più rincarati rispetto al 2021.
Tra i regali, al primo posto ci sono le macchine da caffè in cialde o capsule che, rispetto ad un anno fa, costano il 25,9% in più. Al secondo posto, invece, i film in dvd che aumentano del 23,6%. Sul gradino più basso del podio ci sono le macchine fotocamere e videocamere che aumentano del 20,2%. Chi vorrà regalare una friggitrice ad aria o un forno a microonde scoprirà che, rispetto ad un anno fa, costano l’11,6% in più. Al quinto posto e al sesto posto rispettivamente la telefonia fissa, con +11,5%, e i gioielli, con +9,4%. Chi intende regalare un fiore o una pianta dovrà sborsare l’8,7% in più. L’aumento per le penne, invece, è del 6,8% in più rispetto al 2021. Chiudono la top ten creme, dopobarba, deodoranti, rossetti, fondotinta, mascara, profumi che segnano un rialzo del 6%. Sempre sul fronte dei regali, seguono lampade (+5,7%), biciclette (+5,2%), piatti e tazzine (13°, +5%), pentole e strumenti musicali (+4,8% per ambedue).
Ma i rincari riguardano anche i cibi più tipici del pranzo e del cenone di Natale. Al primo posto c’è la frutta fresca esotica, che sale del 19,3% rispetto ad un anno fa. Al secondo posto, invece, c’è il pollame, che aumenta del 18%. E sul podio ci finiscono anche i formaggi: +16,8%. Per alcune ricette regionali sono essenziali i carciofi (abbacchio al forno) e patate (pesce stocco) che aumentano, rispettivamente, del 16,2% e del 16,1% rispetto al 2021. E chi pensa di potersela cavare evitando di cucinare, si sbaglia: i piatti pronti sono aumentati del 15,7%.
L’inflazione colpisce anche i dolci: quelli confezionati lievitano del 13,8%, collocandosi al settimo posto della classifica dell’Unione Nazionale Consumatori. Segue il pane fresco, che registra un +13,3%. In nona posizione, invece, ci sono ravioli, tortellini, cappelletti e agnolotti che aumentano del 12,5%. Poi, la carne bovina e quella ovina, che aumentano rispettivamente dell’8,6%, e dell’8,5%. Gli affettati, invece, che si trovano al dodicesimo posto della classifica, costeranno l’8,2% in più rispetto al 2021. Brutte notizie anche per gli appassionati di spumante: chi vorrà brindare o regalarlo per le festività natalizie, dovrà pagare il 6,7% in più.
(da Il Fatto Quotidiano)

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IRAN, IL MEDICO DISSIDENTE: “SPARANO AGLI OCCHI DEI MANIFESTANTI, MA QUESTA VOLTA IL REGIME CADRA’, IL POPOLO LO SPAZZERA’ VIA'”

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

“MI RACCONTANO COSE ORRIBILI, UNA REPRESSIONE MAI VISTA”

Questa volta sì, ci crede davvero, «il regime può cadere, ma, come tutti gli animali morenti, è di una ferocia mai vista».
Dal suo amato Iran gli arrivano racconti di crudeltà orribili, come mai era accaduto nelle rivolte precedenti sotto la Repubblica degli ayatollah. Soprattutto dai suoi colleghi medici, rimasti là, nel «Paese più bello del mondo, assieme all’Italia naturalmente», e che adesso sono in prima linea, perseguitati per aver curato i manifestanti, arrestati, condannati a morte.
Negli occhi di Madjid Bazeli c’è rabbia, nostalgia, cristallizzata nel tempo, ma anche speranza. È fuggito trent’anni fa, dopo essersi specializzato in cardiologia tra Milano e Torino, si è rifatto una vita ma non rinuncia all’idea di un Iran libero e democratico.
Che succede, perché questa ferocia nella repressione?
«Mi è arrivata la notizia della condanna a morte del dottor Hamid Garehassslu, specialista in radiologia. La sua colpa? Denunciava le condizioni orribili dei manifestanti che arrivano negli ambulatori, e di quelli che vengono torturati nelle stazioni di polizia o nelle prigioni. Sono cose mai viste, in quarant’anni di regime. Per questo dico che loro hanno paura, sanno che adesso il popolo ha deciso di spazzarli via e solo con il terrore possono cercare di sopravvivere».
Che cosa le raccontato i suoi colleghi?
«Le notizie arrivano frammentate, c’è un controllo ferreo su Internet e i social ma quello che filtra è da brividi. Le forze di sicurezza usano armi da guerra contro i manifestanti oppure proiettili di plastica, mirati però alle parti più vulnerabili, soprattutto gli occhi. Gli oculisti di tre ospedali, Farabi, Labafinejad, Rasul Akram, confermano di aver già visitato oltre 500 feriti con casi di distruzione della retina, dell’iride, interruzione del nervo ottico. Molti pazienti avevano frammenti di proiettile nella testa e non erano operabili. Il tutto mentre Pasdaran e Basiji ostacolano in ogni modo il loro lavoro. Non vogliono che la gente venga curata. È un crimine».
Sembra uno scenario siriano.
«È in corso una guerra anche contro i medici e gli ospedali. C’è una lettera di 230 oculisti che denunciano la presenza di guardiani nei reparti. Mi hanno raccontato di pazienti sul letto operatorio, portati via a forza dai Pasdaran con la scusa che dovevano essere arrestati. Ma stavano morendo. Come si può compiere un atto così? E adesso anche i miei colleghi rischiano sempre di più».
Cioè?
«L’elenco è lungo. Il dottor Ebrahim Beighi è stato rapito mentre tornava a casa, perché curava i feriti di nascosto. Rischia anche lui la condanna a morte. Alireza Madadi, arrestato perché ha denunciato l’uso improprio delle ambulanze da parte dei Pasdaran: le usano per portar via di nascosto i feriti dagli ospedali, i famigliari fanno la guardia alle entrate, ma in questo modo le eludono. E poi la dottoressa Parisa Brahmani, uccisa davanti all’ordine dei medici duranti un sit-in. E con lei Ilar Haghi, studente di medicina al terzo anno. È un massacro».
Ma crede sul serio che il regime possa cadere? Come vede i segnali contradditori sull’obbligo del velo e sulla polizia religiosa degli ultimi giorni?
«È vero, il regime è sopravvissuto a molte rivolte, come la grande Onda verde del 2009. Ma questa volta è diverso. La rivoluzione nasce dalle donne, dal comportamento disumano nei confronti delle donne, da una politica di apartheid di genere che prende di mira metà della popolazione. Le donne sono il motore formidabile di questa rivoluzione. Ma le loro richieste vanno oltre questione del velo o della polizia morale. La loro principale richiesta è di sbarazzarsi del regime dittatoriale religioso nella sua interezza. Perché le donne iraniane sanno bene che il loro obiettivo di uguaglianza non sarà raggiunto finché gli ayatollah saranno al potere. E tutto l’Iran lotta assieme a loro. Per quanto feroce possa essere la repressione, nessun tiranno riesce a resistere contro un intero popolo».
(da La Stampa)

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LO “STRAZIANTE GRIDO DI DOLORE” DI BRUNO VESPA, CHE “MOSTRA LA SUA CASA-TUGURIO DI 200 MQ SU TRE LIVELLI (ATTICO E SUPERATTICO) A TRINITÀ DEI MONTI E LACRIMA: VIVERCI IN AFFITTO, E NON SAPERLA MIA, MI PROVOCA UN GRANDE DISAGIO”

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

“SE AD AGOSTO GLI LEVANO IL REDDITO DI CITTADINANZA LO ADOTTIAMO NOI”

Non ci si può indignare sempre per tutto. Bisogna scegliere. Ieri eravamo incerti fra il dramma della Meloni, che rapina i poveri per dare agli evasori come Superciuk e poi, se qualche povero s’ incazza e dà di matto, è colpa di Conte; e i dolori del giovane Renzi, che inciucia con uno spione in autogrill e quando lo beccano denuncia tutti perché è colpa di Conte.
Poi, su Repubblica, ci siamo imbattuti nello straziante grido di dolore di Bruno Vespa, che mostra la sua casa-tugurio e lacrima: “Viverci in affitto, e non saperla mia, mi provoca un grande disagio”. Superiamo il tuffo al cuore e scopriamo che il senzatetto e consorte sono ristretti in 200 mq su tre livelli (attico e superattico) a Trinità dei Monti: “Non è una casa con terrazza, ma una terrazza con casa”.
Bei tempi quando “abitavamo a lungotevere Mellini, appartamento di proprietà di 400 metri quadri”. Poi nel 2006 il trasloco con “dura battaglia familiare” a Trinità dei Monti (zona Coccia di Morto) per le ristrettezze economiche (lui 1,3 milioni euro l’anno dalla Rai più gli extra; lei, Augusta Iannini, ex gip con incarichi ovunque). Nel loculo con vista Immacolata e San Pietro c’è spazio appena per le “ben tre cucce di Zoe, il cane parson russell”, “l’opera omnia di D’Annunzio”, quella di Vespa e “Il ritorno degli imperi del direttore Maurizio Molinari” (direttore di Rep, of course: ecco chi gli ha comprato l’unica copia venduta). Per gli altri libri, l’homeless di Porta a Porta ha “affittato anche un appartamento al piano di sotto” e per i vini della sua masseria pugliese pure “una grande cantina al piano terra”.
Ma non è bastato: “Sopra il caminetto, un quadro di Afro appeso su sopporto scorrevole nasconde lo strumento principale della sua carriera”. La lingua? No “il televisore”. Lui racconta che lo nasconde dietro il quadro perché “non mi piace che turbi l’armonia di una stanza”, ma è il tipico pudore di chi prende il Reddito di cittadinanza e si vergogna: in quell’abituro, se vuoi appendere un quadro, devi impallare la tivù.
E se vuoi comprare delle arance (“adora fare la spesa”) devi ficcarle in frigo (ne è “pieno”): fuori non ci stanno. Aggiunge strazio a strazio il “rammarico” di vivere in affitto che, a occhio e croce, dovrebbe accomunare chiunque affitti una casa anziché comprarla.
Vespa non svela i cattivoni che non gliela vendono. Ma Rep lo sa, strano che non lo dica: nel 2011 scrisse “Dai Balducci boys ai supervip: gli inquilini d’oro del Vaticano. Le proprietà fanno capo a Propaganda Fide e all’Apsa. Un patrimonio che vale miliardi. Ci abitano Vespa, Marano, Monorchio & C.. Gli inquilini eccellenti che han vinto una partita sul Monopoli immobiliare più importante di Roma”.
Se ad agosto gli levano il Reddito di cittadinanza lo adottiamo noi.
Marco Travaglio
(da Il Fatto Quotidiano)

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LA STRAMBA TEORIA COMPLOTTISTA DEL LEGHISTA ROMEO SUI TAXI E IL PAGAMENTO IN CONTANTI CHE “GARANTISCE LA PRIVACY”

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

“DOVE VADO CON IL TAXI SONO AFFARI MIEI”… MA PENSI CHE INTERESSI A QUALCUNO DOVE VAI? (E NESSUNO TI OBBLIGA A PAGARE CON LA CARTA)

Di ricostruzioni fantasiose per cercare di difendere la scelta del governo (ancora non definitiva) di aumentare la soglia minima per far scattare l’obbligo di accettare i pagamenti elettronici ne sono state offerte tanti dai vari attori della maggioranza. Ma sul podio dei discorsi senza né capo né coda entra di diritto quella offerta dal Capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo.
L’esponente del Carroccio, in collegamento con “Mattino 5”, ha provato a utilizzare l’esempio dei taxi per parlare di come l’utilizzo del contante sia uno strumento ineludibile per difendere la privacy del cittadino. Ovviamente questo esempio è completamente fuori da ogni contesto.
“L’utilizzo del contante è indubbiamente più indicato per la privacy nei pagamenti. Prima parlavamo del taxi: se io salgo sul taxi, pago con l’applicazione o con la carta di credito, sanno esattamente da che punto sono partito, dove sono arrivato, quali sono le mie abitudini quotidiane. Con l’utilizzo del contante, dove vado col taxi saranno anche un po’ affari miei”.
“Sanno le mie abitudini”. Ma chi? Insomma, tutto parte da una teoria del complotto che coinvolge entità ignote e poi si sposta in un universo parallelo che ha il sapore del paradossale.
Perché, per esempio, prendendo un taxi occorre indicare all’autista la propria destinazione (e, ovviamente, la stessa persona è a conoscenza anche del punto di partenza). Inoltre, occorre sottolinearlo, quando si parla di “obbligo di POS” non si parla di esclusione degli altri metodi di pagamento. Saldare un contro (per l’acquisto di un prodotto o di un servizio) elettronicamente non è un vincolo, ma è una possibilità. Chiunque può salire su un taxi (per citare l’esempio fatto da Massimiliano Romeo) e pagare la propria corsa in contanti.
Per quel che riguarda “l’applicazione” di cui ha parlato lo stesso Capogruppo della Lega in Senato, occorre ricordare che l’indicazione del punto di partenza e di quello di arrivo è funzionale al proprio viaggio. Attraverso le app mobile dedicate (ce ne sono differenti), si può prenotare una vettura e indicare in anticipo all’autista l’itinerario. Non c’entra nulla con la privacy o con i pagamenti elettronici.
(da NextQuotidiano)

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INCHIESTA QATAR, LE VACANZE DA 100.000 EURO DELLA FAMIGLIA DI ANTONIO PANZERI: “ANCHE LA MOGLIE E LA FIGLIA SAPEVANO DEI REGALI”

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

LE DUE DONNE SONO STATE ARRESTATE

Regali e vacanze da 9mila euro a persona. Carte di credito intestate a prestanome, conti correnti di comodo e il ruolo dell’ambasciatore marocchino in Polonia, usando “metodi ingegnosi e spesso scorretti per raggiungere i suoi scopi”. Un giro di soldi e di benefit a gestione familiare sull’asse Bruxelles, Doha, Milano. E Calusco d’Adda, 8 mila abitanti, il paese natale di Antonio Panzeri dove c’è la casa di famiglia.
E’ quanto emerge dalle carte dell’inchiesta trasmessa da Bruxelles alla procura di Brescia riguardo a Antonio Panzeri, la moglie Maria Dolores Colleoni, e la figlia Silvia Panzeri. Inchiesta per corruzione pubblica, organizzazione criminale e riciclaggio (le due donne sono accusate di favoreggiamento). Qatar e Marocco i paesi coinvolti e per i quali – secondo l’accusa, come è noto – Panzeri si adoperava presso i funzionari del Parlamento europeo. In un sistema che – stando alle intercettazioni telefoniche allegate agli atti giudiziari – veniva chiamato “combines” (termine usato da Maria Colleoni).
Madre e figlia – la prima pensionata, 67 anni, la seconda avvocato, 38 anni – secondo gli investigatori erano “pienamente consapevoli”, sapevano perfettamente dei “regali” – al cui “trasporto partecipavano” – ed erano inserite in modo organico nelle “attività” del marito/padre.
E’ proprio la moglie di Panzeri a parlare di distribuzione di regali dai quali la donna era certa di “trarre benefici”. Tra questi – è l’ipotesi degli investigatori – anche regali dati al Marocco attraverso l’ambasciatore marocchino in Polonia, Atmoun Abderrahim.
A quanto emerge dalle carte, la coppia Panzeri-Colleoni usava anche carte di credito intestate ad altri: in particolare a un prestanome. Nei mesi di indagine è stato appurato che in vista delle vacanze di Natale marito e moglie avevano in mente di fare una “vacanza di famiglia” del costo di 9mila euro a persona. Che secondo Maria Colleoni erano “troppi”, dato che l’anno scorso – il 2021 – ne avevano spesi già moltissimi, “100mila euro”
Altri dettagli ritenuti interessanti dagli uomini che hanno svolto le indagini: un debito da 35mila euro che la signora Colleoni lamentava di avere su un suo conto corrente, e un altro conto che la donna suggerisce al marito – Antonio Panzeri – di aprire a Bruxelles. Dove di fatto i due vivono da dieci anni.
Maria Colleoni e Silvia Panzeri sono state prelevate ieri sera dai carabinieri nelle loro case di Calusco d’Adda e di Milano (la figlia). Si trovano ora nel carcere del Gleno a Bergamo. A Brescia, dove sono arrivate le carte dell’inchiesta, è in corso davanti alla Corte d’Appello l’udienza di identificazione, ossia la convalida dell’arresto delle due.
(da agenzie)

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PARTITI ALL’ASSALTO PER SPOLPARE LA MANOVRA: COSI’ SI GIOCANO 400 MILIONI IN MANCE

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

DAL BONUS LAVASTOVIGLIE AL LATTE DI SOIA

Lo stesso spettacolo di sempre, ma con veri animali da circo. C’è il bonus lavastoviglie della Lega, ma costa 40 milioni. Il sostegno ai jazz festival e i fondi per la giornata del Perugino. Dal latte di soia ai “centri d’accoglienza” per animali pensionati dai circhi, dal pop dei nostri giorni al Quattrocento, dal bianco marmo di Carrara a quello della lavatrice. Da che mondo è mondo, gli emendamenti alla finanziaria non si contano, si pesano. La prima finanziaria dell’era Meloni lascia ai partiti un “tesoretto” da 400 milioni per i prossimi tre anni. Soldi da destinare alle classiche “mance”.
La coperta corta rende però la corsa più competitiva che mai. Tanto che i parlamentari hanno depositato un faldone di 1156 pagine con 3.104 proposte emendative, tutte da scremare poi in commissione, con le forze politiche che difenderanno le proprie col coltello tra i denti, nel più classico rituale della politica in vista delle feste: l’assalto alla diligenza. Gli emendamenti sono tanti e tali che, al solito, diventa quasi impossibile distinguere quelli a carattere generale e strutturale dalle micro-misure che fioccano invece per accontentare elettorati e territori specifici, a scapito d’altri, ma soprattutto dell’interesse generale.
A passare in rassegna il “tomo” si scoprono anche le convergenze parallele attorno a un interesse comune e diretto, sovente degli stessi parlamentari, come la volontà trasversale di “salvare” la trasmissione radiofonica delle sedute, in scadenza il 31 dicembre, per il quale sono piovuti non uno, non tre, ma ben otto emendamenti, presentati da quasi tutte le forze politiche (M5S escluso), per un proroga da 24 milioni del contratto per il servizio di Radio Radicale. Altre volte hanno un timbro smaccatamente provocatorio, come la proposta del Pd di introdurre una soglia del contante a 500 dopo quando il governo l’ha appena alzata tra mille polemiche sull’asse Roma-Bruxelles e altrettanti “grazie” degli evasori potenziali.
Quasi scompaiono, per contro, iniziative a scopo sociale, come i fondi per le associazioni che si battono contro la violenza sulle donne, per l’aiuto ai malati di autismo, per rendere autonomi gli invalidi e così via. In bilico anche 10 milioni per le spese di funzionamento della Direzione Investigativa Antimafia messi lì da Verdi e Sinistra. Idem per 300 milioni che un emendamento destina in tre anni al Piano Generale della Mobilità Ciclistica, per la messa in sicurezza delle ciclovie urbane esistenti, dove Sono tutte misure a valere sulla stessa “dote”, e dunque concorrono con le promesse di sostegno più varie, come quelle per i “santuari della cultura”, a loro volta in competizione: ad esempio i 7 milioni di fondi per il “Carlo Felice” di Genova se la giocano con i quattro promessi alla fondazione che organizza il Festival Donizzetti Opera di Bergamo. C’è poi l’Italia dei bolli celebrativi che si contende un suo tesoretto, dai fondi per l’ottavo centenario della morte di San Francesco al milione per il quinto dei pittori Luca Signorelli e Perugino. Passeranno i 700mila per il centenario della nascita di Italo Calvino, o i 200mila destinati alla Fonazione De Gasperi?
Mentre va in scena questo circo, c’è chi si occupa di quelli veri. Non avendo portato a termine la riforma del 2017 per riordinare “attività circensi e spettacoli viaggianti”, arriva un emendamento-ponte che vieta anche l’uso di cani e mette multe fine a 100mila euro a chi compra o fa riprodurre animali da circo, mentre quelli esistenti andrebbero a “centri di accoglienza”, con contributi pubblici da definire. Un altro emendamento impegna 500mila euro per custodire quelli usati nei combattimenti clandestini e formare i Forestali a rieducarli. Altri 600mila euro per il Garante degli Animali, da istituire presso la Presidenza del Consiglio. Per quelli impagliati, trofei di caccia etc un altro emendamento prevede il divieto di importazione. Tornando agli umani, c’è l’emendamento che “in considerazione dei gravi effetti derivanti dal conflitto russo-ucraino” cancella 2,8 milioni di tassa d’iscrizione all’Albo nazionale degli autotrasportatori. Alle famiglie viene promessa l’estensione per un anno del bonus baby sitter e nidi da 500 euro per le mamme con un reddito uguale o inferiore a 35 mila euro annui che riprendano l’attività lavorativa dopo il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro. Operazione da 1,5 miliardi a decorrere dal 2023 da reperire attraverso equivalenti tagli della spesa pubblica.
Tra i progetti presentati, l’emendamento della Lega per rafforzare il tax credit alla musica, citando le success story dei Maneskin e Vasco. Ma gli aiuti non interessano solo la musica, si propongono infatti anche detrazioni Irpef anche sull’accesso a parchi naturali e mostre, cinema, teatro e danza e all’acquisto di beni e servizi editoriali come libri, audiovisivi e musica registrata, abbonamenti a quotidiani e periodici, anche digitali. Le norme interessano anche prodotti di pregio come il famoso marmo bianco estratto nelle Alpi apuane. Una proposta di modifica istituisce infatti a favore dei comuni di Massa e Carrara una tassa sui marmi estratti nel loro territorio e trasportati fuori degli stessi. Tra le richieste anche l’Iva al 5% sull’acquisto delle pompe di calore attualmente al 10% (costo 54 milioni) e anche uno stanziamento di 30 milioni per incentivare l’accesso a tutte le fasce di reddito la “nutrizione bilanciata” anche attraverso l’apporto fornito dalle proteine vegetali, attraverso bevande puramente vegetali “a base di legumi, cereali, frutta secca e frutta, diverse dai succhi, e prodotti alimentari derivati”.
Compare anche una proposta di un contributo da 150 euro per incentivare l’acquisto di lavastoviglie e frigoriferi a basso consumo; un’altra per istituire un fondo con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023,2024 e 2025 per l’adeguamento strutturale ed impiantistico degli edifici adibiti ad istituti tecnici per il turismo; e altri 20 per il “fondo nonni”, da dedicare alla cura dei nipoti. Per contrastare gli effetti psicologici della pandemia c’è chi propone che tutte le regioni istituiscano sportelli e voucher da 600 euro per sessioni di psicoterapia, con un fondo da 30 milioni di euro l’anno. Ma con la coperta corta non si può avere tutto. Se passano quelli, non ci saranno i 20 milioni per lo screening nazionale gratuito per l’eliminazione dell’epatite C in tutta la popolazione italiana.
(da Il Fatto Quotidiano)

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A GENOVA. 175 ANNI FA PER LA PRIMA VOLTA IN PUBBLICO LE NOTE DELL’INNO D’ITALIA

Dicembre 10th, 2022 Riccardo Fucile

A SCRIVERLO GOFFREDO MAMELI, A MUSICARLO MICHELE NOVARO, ENTRAMBI GENOVESI

“Michele Novaro incontra Mameli, e insieme scrivono un pezzo tuttora in voga” lo cantava Rino Gaetano nel suo “Sfiorivano le viole”. Due genovesi a scrivere e musicare l’attuale Inno d’Italia.
Riavvolgendo il nastro della storia si torna indietro di 175 anni. Tanti ne sono passati dal 10 dicembre del 1847 da quando per la prima volta l’inno d’Italia risuonò per le vie di Genova. Quel giorno trentamila patrioti provenienti da ogni parte d’Italia sfilarono dall’Acquasola a Oregina cantando per la prima volta in pubblico il Canto degli Italiani di Mameli e Novaro, che diverrà poi l’Inno Nazionale.
Il debutto ufficiale dell’Inno di Mameli si ebbe dunque proprio lungo le vie della Superba: sul piazzale del Santuario di Nostra Signora di Loreto nel quartiere di Oregina. E proprio oggi a Genova si è svolta la rievocazione storica per ricordare quei giorni.
A scrivere il testo dell’inno Goffredo Mameli nato a Genova nel sestiere del Molo al civico 30 di via San Bernardo, da una nobile famiglia di origine sarda. A musicare quel testo un altro genovese: Michele Novaro. Di carattere schivo, Novaro viaggiò a lungo per il Paese. Nel 1865 tornò a Genova e fondò la Scuola Corale Popolare accessibile gratuitamente a tutti. Non sfruttò mai la sua fama e morì tra difficoltà finanziarie e problemi di salute. E’ sepolto nel cimitero monumentale di Staglieno a Genova accanto alla tomba di Giuseppe Mazzini. Mameli invece riposa a Roma. Morì a nemmeno 22 anni compiuti ferito in una battaglia contro i borbonici a Villa Corsini a Roma.
Il ‘Il Canto degli Italiani’, questo il nome originale, si compone di sei strofe e un ritornello, che si alterna alle stesse. E’ musicato in tempo 4/4 nella tonalità di si bemolle maggiore. La storia dell’Inno ci racconta che il suo debutto doveva essere a Torino il 4 dicembre 1847. Poi un imprevisto e al suo posto nella città che sarà Regia da lì a pochi anni venne suonato l’inno di Giuseppe Bertoldi intitolato ‘La coccarda’. Tutto rinviato di 10 giorni e qualche chilometro più a sud: a Genova appunto.
Quello che diventerà l’Inno d’Italia fu presentato alla cittadinanza in occasione di una commemorazione della rivolta del quartiere genovese di Portoria contro gli occupanti asburgici durante la guerra di successione austriaca; nell’occasione, venne suonato dalla Filarmonica Sestrese – all’epoca banda municipale di Sestri Ponente.
(da La Repubblica)

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