Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile L’INTERO EDIFICIO DISTRUTTO, ANCHE I RUSSI COSTRETTI AD AMMETTERE DECINE DI MORTI
Una forte esplosione nella città di Kadiivka, nel Lugansk, avrebbe colpito
l’hotel dove si trova il quartier generale del gruppo russo di mercenari Wagner.
A darne notizia è il capo dell’amministrazione militare regionale di Lugansk, Sergei Gaidai, in un messaggio su Telegram, in cui riferisce che le perdite per i mercenari russi sarebbero «molto significative» e si aspetta che «almeno il 50% delle forze sopravvissute moriranno a causa della mancanza di cure mediche».
I soldati del gruppo Wagner agiscono nell’interesse del Cremlino, secondo gli esperti occidentali, e sono sponsorizzati dallo Stato.
Si tratta, però, di una compagnia militare privata, fondata da un ex ristoratore e stretto collaboratore del presidente russo Vladimir Putin: Yevgeny Prigozhin.
Più volte è stata accusata di crimini di guerra e violazione dei diritti umani. I soldati di Wagner hanno prestato servizio – tra l’altro – anche in Crimea, Siria, Libia, Mali e Repubblica Centrafricana.
L’esplosione all’hotel arriva in un momento in cui continuano i bombardamenti russi su infrastrutture strategiche ucraine: è di ieri l’attacco di Mosca con droni sulla centrale elettrica di Odessa, dove nelle scorse è però tornata la luce. Almeno due civili sono stati uccisi e altri otto sono rimasti feriti in altri attacchi avvenuti ieri delle truppe russe sul territorio ucraino.
(da agenzie)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile PER “IO SO’ GIORGIA” UN VOTO A FAVORE DI ORBAN VORREBBE DIRE METTERSI CONTRO L’ASSE FRANCIA-GERMANIA E DARSI LA ZAPPA SUI PIEDINI PER IL FUTURO DEL NOSTRO TRABALLANTE PNRR
La prossima sarà una settimana caldissima per la Meloni. Oltre al macigno della riforma del MES, che ha spaccato l’alleanza di governo (Salvini e ronzulliani contro, Meloni e Tajani a favore), giovedì 15 Giorgia Meloni volerà a Bruxelles per il Consiglio Europeo che deve decidere se sbloccare o meno il piano Pnrr per l’Ungheria.
Il tenero Orban otterrà il finanziamento dell’Unione Europea solo nel caso in cui accetterà di adempiere a una serie di riforme su diritti e giustizia.
Il giudizio del Consiglio Europeo sarà adottato a maggioranza qualificata (il 55% degli Stati membri vota a favore, 15 paesi su 27, o gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’UE) e il voto del governo italiano potrebbe essere decisivo per salvare Orban, visti i rapporti di amorosi consensi con il duo Salvini-Meloni.
E’ ovvio che per “Io so’ Giorgia” un voto a favore di Orban vorrebbe dire mettersi contro l’asse Francia-Germania e darsi la zappa sui piedini per il futuro del nostro traballante Pnrr (solo 12 miliardi su 42 sono stati trasformati in cantieri).
Non solo: il Consiglio Europeo sarà un’occasione per ricucire con Macron lo scazzo sui migranti. I diplomatici di Palazzo Chigi sono all’opera per raggiungere per giovedì 15 un accordo con l’Eliseo sulle navi umanitarie e la ridistribuzione dei migranti. Su consiglio/ordine di Mattarella, la Meloni ha dato un segno di pace alla Francia costringendo il ministro dell’interno Piantedosi a rinculare sulle navi ONG e nello stesso tempo tappando la bocca di Salvini
(da Dagoreport)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile ASSUNTI NEGLI STAFF COME CONSULENTI E COLLABORATORI
Siamo alle solite: ogni volta che c’è da assumere consulenti e collaboratori
negli staff ministeriali, ecco spuntare amici, fedelissimi e, perché, no trombati con cui i vari titolari dei dicasteri amano circondarsi.
Un esempio su tutti? Matteo Pandini, nominato responsabile dell’ufficio stampa del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini.
Tra i due, però, non c’è solo la vicinanza del nome. Ma molto di più. Redattore anni fa di Libero e soprattutto autore di Secondo Matteo, la biografia di Salvini pubblicata da Rizzoli, Pandini è stato già capo ufficio stampa del ministero dell’Interno ai tempi del Capitano al Viminale. Insomma, una garanzia per Salvini.
Tanto più se si considera che prima che la carta stampata diventasse una professione, Pandini era stato consigliere circoscrizionale per il Carroccio a Bergamo.
Ovviamente non c’è da sorprendersi. Prendiamo, tanto per dire, il ministro della Difesa Guido Crosetto. Tra i suoi collaboratori spunta Cristina Cortella che sarà segretaria particolare del ministro.
Il compenso, invece, ancora non è noto perché “in corso di definizione”. Ciò che è noto, però, è il curriculum: prima di approdare al ministero la Cortella è stata social media manager del gruppo parlamentare proprio di Fratelli d’Italia. E prima ancora ha curato la comunicazione per una cantante, Emma Re, pseudonimo di Silvia Cortella, verosimilmente la sorella (o una parente).
Ma restiamo nel campo della comunicazione. Già, perché c’è anche chi, provenendo da un altro campo, ha preferito rivolgersi a chi conosce bene, lontano dalla politica.
È il caso del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che ha assunto come portavoce Marina Nalesso, conduttrice del Tg2 proprio sotto la gestione Sangiuliano. Cattolica ultra – scriveva qualche tempo fa di lei Il Foglio – Nalesso si presentava in video con rosari e crocifissi. Una fede che però pare vacilli sulla scienza. Questo è quanto raccontano i suoi colleghi in Rai: “Durante la pandemia ha preso un lungo periodo di ferie. Ha in pratica atteso che i vaccini non fossero obbligatori per tornare al lavoro”.
Non è stato però il solo ingresso nella corte del ministro della Cultura. Altro nome curioso è quello di Beatrice Venezi. Direttrice d’orchestra conosciuta in tutto il mondo e figlia di uno storico dirigente di Forza Nuova, è stata nominata consigliera per la musica. Solo un caso? Chissà. Certo è che la stessa musicista era stata già in campagna elettorale accostata a una candidatura, poi sfumata, con Fratelli d’Italia. Ma d’altronde già quando è nato il governo Meloni ha salutato la notizia con parole di giubilo: “Meloni ha rotto il soffitto di cristallo, è una questione socio culturale che ha a che vedere con la politica nel senso più nobile del termine”.
E ad agosto scorso – è proprio il caso di dirlo – stessa musica: aveva mostrato vicinanza a motti che furono del ventennio: “Mi vergognerei se avessi una madre come la Cirinnà, che pubblica la foto “Dio, Patria e famiglia, che vita di m…”, che invece sono proprio i miei valori”, aveva scritto la figlia del forzanovista Gabriele Venezi, entrando in polemica con l’ex senatrice Pd che aveva portato un cartello contro il motto fascista in piazza.
Ma non è tutto. C’è chi ha fatto ancora meglio. Come il ministro della Transizione ecologica, Gilberto Pichetto Fratin. Chi ritroviamo tra i suoi collaboratori? Roberta Toffanin. Ai più probabilmente non dirà niente ma nella scorsa legislatura è stata senatrice di Forza Italia, oltreché coordinatrice provinciale di Forza Italia a Padova dal 2014. Sarà “esperto economico” per la bellezza di 80mila euro annui.
(da La Notizia)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile QUALI RISCHI CORRIAMO PER NATALE?
Dopo quasi tre anni siamo tutti davvero molto stanchi, e sentire ancora parlare di Covid è sfibrante. La situazione attuale però suscita degli interrogativi che meritano risposte, anche per orientare i nostri comportamenti in vista delle resse natalizie. L’obiettivo è capire quali rischi ci sta facendo realmente correre oggi la corsa indisturbata del virus.
La definiamo così perché non ci sono più misure di contenimento, mentre nello stesso periodo del 2021 era obbligatorio l’uso della mascherina e serviva il green pass per andare a lavorare, salire su un treno, o andare al ristorante. La conseguenza è che nel solo periodo ottobre-novembre 2022 sono stati notificati quasi 2 milioni di casi, contro i 300 mila degli stessi mesi del 2021. Un numero peraltro sottostimato poiché adesso l’identificazione e la notifica di casi positivi è limitata a causa dell’utilizzo massiccio di test fai da te, i cui esiti non vengono comunicati alle autorità sanitarie. Al contrario i dati del 2021 si riferiscono al periodo di circolazione della variante Delta, quando il tracciamento dei contatti (pur con tutti i limiti ormai noti) era ancora sistematico. Vuol dire che la diffusione del virus oggi con la variante Omicron BA.5 è almeno 10 volte superiore a quella dello stesso periodo dello scorso anno. Sappiamo, però, che i rischi della sua circolazione devono preoccuparci nella misura in cui il Covid ci porta al ricovero in ospedale, in Terapia intensiva o al decesso. E allora vediamo cosa ci dicono i numeri.
I ricoveri in ospedale: raddoppiati
Utilizziamo gli ultimi dati disponibili che ci permettono di fare dei confronti significativi a livello statistico. A fine novembre di quest’anno erano ricoverate 8.179 persone, con un tasso di occupazione dei 63.649 posti letto del 12,9% (qui il documento). Nello stesso periodo del 2021 erano 5.227, con un tasso di occupazione dei posti letto del 9%
Ma perché nonostante ci siano più ricoveri, l’allerta rispetto all’anno scorso è decisamente meno alta? È solo una questione di cambio di governo, con Giorgia Meloni e Matteo Salvini che hanno sempre criticato l’allarmismo.
Le Terapie intensive: pazienti dimezzati
Se la circolazione del virus è fino a 10 volte maggiore dello scorso anno e i ricoveri sono proporzionalmente il doppio, la conclusione che si può trarre è che il virus è meno aggressivo. È una supposizione confermata guardando cosa succede nelle Terapie intensive. Sempre a fine novembre si contano 289 ricoverati in Rianimazione, con un tasso di occupazione dei 9.180 posti letto al 3,1% (qui il documento). Nel 2021 erano 683, con un tasso di occupazione in Terapia intensiva al 7,5% (qui il documento). E in generale, sia per ottobre sia per novembre, i ricoveri in Rianimazione si confermano la metà rispetto allo stesso periodo 2021. Non è azzardato, dunque, sostenere che i casi sono meno gravi, tant’è che meno pazienti finiscono in Terapia intensiva.
L’efficacia incontrovertibile dei vaccini
Non è possibile sottovalutare l’effetto-vaccino. Ancora una volta sia i ricoveri in area medica sia quelli in Terapia intensiva di persone positive al Covid riguardano soprattutto chi non si è vaccinato. Tra i non vaccinati fra i 60 e 79 anni finiscono in ospedale in 75 su 100 mila, e in Terapia intensiva 5 su 100 mila. Tra i vaccinati finiscono in ospedale 30 su 100 mila, e in Terapia intensiva 2 su 100 mila. Tra gli over 80 non vaccinati, sempre su 100 mila, gli ospedalizzati arrivano a quasi 600, e 15 in Terapia intensiva, contro i 120-150 vaccinati in ospedale e i 2-3 in Terapia intensiva (a seconda se sono passati o meno 120 giorni dal vaccino o dal contagio).
I morti in aumento: come spiegarli?
Questo ragionamento supportato dall’evidenza dei dati va però, almeno a prima vista, a scontrarsi con il numero di morti.
Domanda: perché muoiono più persone se il virus è meno aggressivo? Le spiegazioni dei numeri in crescita possono essere almeno due.
La prima: abbiamo già visto come la scelta dell’Istituto superiore di Sanità, in linea con le disposizioni internazionali, è di conteggiare come morto di Covid anche un malato oncologico con polmonite e tampone positivo (qui il Dataroom del 27 gennaio 2021).
La seconda: come dimostrato da uno studio dell’Iss oltre un decesso su due per Covid riguarda un paziente non ricoverato in Terapia intensiva (qui il documento).
In sintesi: il numero di morti è spropositato perché non sono tutti morti per Covid ma ci sono anche morti con Covid che, in ogni caso, possono non essere passati dalle Terapie intensive. L’esperienza ci ha insegnato che chi è molto compromesso di salute nella maggior parte dei casi non viene ricoverato in Rianimazione perché intubarlo servirebbe solo a farlo soffrire ulteriormente. Sono due motivazioni valide che però non bastano da sole a giustificare il fenomeno. Dobbiamo guardare cosa ci dicono i dati sui decessi. Tra i 60 e i 79 anni riguardano 8 persone su 100mila non vaccinate contro le 2-3 su 100 milavaccinate. Per gli over 80 salgono a 180 fra i non vaccinati, contro i 15-30 di vaccinati. Questa differenza sta a indicarci che il Covid è comunque una causa fondamentale di morte, tant’è che chi si protegge contro il virus vaccinandosi muore di meno anche in età avanzata.
Qual è la situazione reale
Proviamo a rimettere in fila tutti i dati per arrivare ad una conclusione. Il Covid sta correndo velocissimo e decisamente di più dello stesso periodo dello scorso anno; il numero di ricoveri è in crescita ma in proporzione meno rispetto alla diffusione dei casi positivi: da qui si deduce che il virus è meno aggressivo. Chi sta bene di salute ed è vaccinato davanti a un virus meno cattivo rischia meno rispetto all’anno scorso come confermano i dati sulle Terapie intensive. Mentre i morti sono in aumento perché il virus, circolando di più, fa finire in ospedale soprattutto i più fragili che in alcuni casi muoiono senza passare dalla Rianimazione dove solitamente non viene ricoverato chi è già in età avanzata e con un quadro clinico compromesso (meno ricoveri in Rianimazione). In sostanza i fragili, e a maggior ragione se non vaccinati, sono le vittime di questa ennesima ondata. Ovviamente per averne la certezza servirebbe l’analisi dettagliata su chi finisce in ospedale e sulle reali cause di morte: per fare studi di questo tipo però è necessario incrociare numerose banche dati che purtroppo per come sono costruite oggi in Italia non dialogano fra loro in tempo reale. In ogni caso, la banca dati Eurostat che arriva fino a settembre 2022 continua a segnare un eccesso di mortalità rispetto al 2016-2019: vuol dire, per esempio, che ancora nel mese di settembre è morto il 7,2% in più di popolazione rispetto alla media dei 4 anni precedenti senza il Covid. Tirando le somme questo è il tributo di vite umane che stiamo pagando per il nostro ritorno alla normalità (qui il documento).
Mascherine a portata di mano
In questo contesto conviene non ignorare le conseguenze, abbondantemente dimostrate, legate al long-Covid e quelle (magari da studiare ancora un po’) legate ai possibili rischi delle reinfezioni (qui il documento Iss). Come non è da sottovalutare il fatto che la protezione contro l’infezione si indebolisce con il passare del tempo. E questo vale sia per chi si è vaccinato che per i soggetti che hanno contratto Omicron BA.1 e BA.2 a inizio anno e BA.5 in estate. E allora se vogliamo proteggere noi stessi e i più fragili dobbiamo usare gli unici scudi disponibili: il vaccino e le mascherine. Già, le mascherine…chea pensarci bene non sono poi così odiose visto che fanno barriera anche contro l’impennata di raffreddori.
(Milena Gabanelli e Simona Ravizza – corriere.it)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile L’ANNESSIONE E LA RICERCA DI UNA SFERA DI INFLUENZA VENGONO DA LONTANO
La storia può essere una mirabile galleria di precedenti: il 31 ottobre 1939, in
una sessione straordinaria del Soviet Supremo, Molotov, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli esteri dell’Unione sovietica, dopo aver definito la Polonia appena annientata dalle armate naziste «una mostruosa creatura generata dal Trattato di Versailles tenuta in vita a spese dell’oppressione delle nazionalità non polacche», e della quale perciò era impensabile una futura restaurazione, annunciò l’accoglimento della richiesta da parte delle locali Assemblee del popolo di far entrare l’Ucraina e la Bielorussia occidentali (fino a due mesi prima territori a tutti gli effetti polacchi) nell’Urss.
Più o meno insomma — sia pure senza l’ipocrita modalità del finto referendum — si trattò della medesima tecnica di annessione messa in opera qualche mese fa da Vladimir Putin ai danni della regione ucraina del Donbass: «Sono loro che vogliono essere annessi, noi non facciamo altro che acconsentire».
All’annessione dei territori polacchi fece poi seguito da parte di Mosca l’occupazione militare nonché la brutale quanto rapida sovietizzazione anche di Estonia, Lettonia e Lituania culminata nel giugno del ’40 nell’ incorporazione anche dei tre Stati baltici nell’Unione sovietica. Solo con la Finlandia l’operazione non riuscì perché Helsinki decise di resistere con le armi.
Quello appena ricordato è l’esempio più clamoroso (dirò poi perché) di due caratteri costitutivi della storia russa da cui con tutta evidenza Putin è suggestionato fin quasi all’ossessione: l’annessionismo e la ricerca di una sfera d’influenza.
Tra il XVII e il XIX secolo una particolarissima condizione geografica consentì alla Moscovia, il cuore dello Stato russo, di divenire, prima grazie alla conquista della sterminata Siberia e all’annessione di gran parte della Polonia-Lituania, dell’Ucraina e della Crimea, e poi grazie all’occupazione coloniale dei confinanti altrettanto immensi territori dell’Asia centrale, l’unico Stato transcontinentale del pianeta: da Varsavia all’Alaska (russa fino a metà ’800), dall’Artico alle vette dell’Hindu-Kush. Ciò che peraltro non impedì alla medesima Russia zarista di aspirare costantemente anche a una sfera d’influenza nei Balcani e a uscire dal Mar Nero verso il Mediterraneo. La Russia sovietica fu la degna erede di questa storia. A causa della Prima guerra mondiale e della rivoluzione essa dovette rinunciare agli Stati Baltici, alla Polonia e alla Finlandia, ma nonostante i proclami iniziali si guardò bene dal concedere l’indipendenza all’Asia islamica che anzi in pratica incorporò. Anche nei dirigenti comunisti, insomma, rimase la medesima ossessione spaziale dei loro predecessori: se possibile ancor più acuita dal perenne timore paranoico della «reazione in agguato», del nemico esterno, dal quale quindi cautelarsi allontanandolo alla maggiore distanza possibile.
Ma non è questa esattamente la medesima ossessione che si legge oggi dietro i discorsi e le azioni di Vladimir Putin, dietro la sua decisione di aggredire l’Ucraina? Non è forse anche all’odierno padrone del Cremlino che l’espansione, la ricerca di sempre maggior spazio, la bulimia di influenza territoriale, appaiono il solo modo di esorcizzare l’insicurezza profonda di cui il suo potere, così come da secoli ogni potere russo a torto o a ragione, si sente sempre minacciato? Non sembra forse anche lui convinto che qualunque venir meno di un «grande spazio» metta in discussione la stessa identità dello Stato russo (quasi, viene da pensare, che come i suoi predecessori pure lui non sia sicuro di dove inizi e dove finisca la Russia stessa)?
Ma finito il tempo degli zar dal 1917 Mosca ha un problema cruciale: cercare di nascondere o contraffare di fronte al mondo il carattere reazionario e le brutali conseguenze imperialistiche del suo drammatico e irrisolto rapporto con lo spazio.
Ed è precisamente da questo punto di vista che appare davvero esemplare, simbolicamente esemplare, il comportamento tenuto dal potere russo rispetto al documento-chiave, all’atto in un certo senso fondativo, della sua vertiginosa crescita territoriale e di potere geo-politico in coincidenza con la Seconda guerra mondiale. Comportamento sul quale oggi possiamo dire di sapere tutto grazie a un importante libro appena uscito di Antonella Salomoni (Il protocollo segreto. Il patto Molotov-Ribbentrop e la falsificazione della storia, il Mulino) che ne ha ricostruito tutte le tappe.
Si tratta del protocollo firmato dall’Urss e dalla Germania nazista contemporaneamente al Patto di non aggressione del 23 agosto ’39 — che entrambe le parti s’impegnarono a tenere segreto — con il quale non solo in pratica i due Paesi si spartirono la Polonia ma si dividevano altresì in due grandi sfere d’influenza tutta l’area dalla Finlandia alla Moldavia (dove come ho già detto, la Russia si affrettò subito a fare man bassa in attesa di completare l’opera dopo il 1945). Un protocollo segreto che cambiava completamente la vera natura e il significato del patto. Il fine sbandierato della «non aggressione», diveniva infatti la maschera di tutt’altro: della piena partecipazione dell’Urss ai frutti dell’aggressione hitleriana alla Polonia, atto d’inizio della guerra europea. Era cioè il consenso sovietico a quell’aggressione in cambio di un enorme ampliamento territoriale sul Baltico e della creazione di una potenziale sfera d’influenza nei Balcani sudorientali. Da parte russa, dunque, era non già un modo per guadagnare tempo e cercare di ritardare l’attacco della Germania considerato prima o poi inevitabile — come l’ Unione sovietica si sforzò da subito e poi sempre in seguito di presentare l’accordo — bensì si trattava di una vera e propria alleanza in cui Berlino metteva le armi e Mosca il suo placet (oltre che una vera e propria valanga di materie prime per la macchina bellica tedesca, con un’altra intesa): ovviamente comune, pertanto, la divisione degli utili. Come avrebbe ammesso il presidente della Commissione d’indagine russa nominata un anno prima del crollo del comunismo, il protocollo «inficiava lo status ufficiale dell’Urss come neutrale»: insomma ne faceva virtualmente un’alleata del Terzo Reich e perciò suo complice nello scatenamento della guerra. L’intero senso del secondo conflitto mondiale ne usciva profondamente cambiato rispetto alla versione corrente: era dunque davvero necessario che il protocollo restasse segreto.
Ciò che fu possibile perché la sola altra copia esistente, quella presso il ministero degli esteri tedesco, era andata distrutta sotto le bombe. Sicché il mondo potè venire a conoscenza dell’accordo unicamente perché subito dopo la guerra uno stretto collaboratore di Ribbentrop ne cedette una copia microfilmata agli americani in cambio della libertà. Copia che naturalmente i sovietici sostennero sempre essere un volgarissimo falso.
Per mezzo secolo Mosca negò sempre, ostinatamente, l’esistenza del protocollo e lo stesso documento cartaceo originale con il testo del medesimo e le relative firme fu trasferito dall’archivio del ministero degli esteri per venire sepolto, con la classificazione più segreta, nell’archivio del Dipartimento generale del Comitato centrale del Pcus, una specie di camera blindata degli arcana imperii del comunismo russo. Un documento circondato da un valore politico-simbolico così dirompente che — ci dice Salomoni — della sua vera esistenza furono sempre a conoscenza pochissimi e che quando nel luglio 1987 Gorbaciov chiese che gli fosse mostrato, dopo averlo studiato decise di non condividerne il contenuto nemmeno con i membri del Politburo ordinando: «Non bisogna mostrarlo a nessuno. Sarò io stesso a dire con chi occorre farlo».
L’ora della verità sarebbe così venuta solo alla vigilia del crollo dell’Unione sovietica. Alla vigilia della «più grande catastrofe geopolitica della storia», come tante volte l’ha definita con rammarico Putin: dimentico però che prima di quella geopolitica c’era stata una gigantesca catastrofe morale e che nella storia talvolta capita che tra le due cose ci sia qualche rapporto.
Ernesto Galli della Loggia
(da il Corriere della Sera)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile LI CONSIDERANO TUTTI IN VENDITA
I nostri cari emiri. Il titolo di un saggio di qualche anno fa, 2016, ora di bruciante attualità. Autori due giornalisti francesi, Georges Malbrunot e Christian Chesnot. La guerra in Siria era all’apice, Bashar al-Assad usava tutte le armi, anche proibite, per massacrare i ribelli. Le accuse contro le monarchie del Golfo, in quel momento i principali sostenitori della rivoluzione siriana, valgono agli autori anche accuse di “assadismo”.
Ma l’inchiesta guardava lontano e lo scandalo nel cuore della democrazia europea conferma tutte le loro preoccupazioni. L’alleanza tra Occidente e Paesi del Golfo, che vede la Francia fra i principali protagonisti, ha il suo lato oscuro, fatto soprattutto di corruzione. «Da una parte c’è lo scambio irrinunciabile – conferma Malbrunot – tra forniture energetiche e sicurezza, con gli Stati Uniti come garante supremo dell’esistenza stessa dei ricchissimi ma piccoli emirati, minacciati dall’Iran. Dall’altra un flusso di investimenti gigantesco verso l’Europa, sempre più spesso opaco».
È il Qatar, il Paese con il reddito pro capite più alto al mondo, 70 mila dollari all’anno, a esserne la fonte. Con la Francia il rapporto è simbiotico.
Sboccia negli anni Novanta, ma è nel 2009, dopo la mediazione qatarina per la liberazione delle infermiere bulgare prigioniere di Gheddafi, che il presidente Nicolas Sarkozy impone una convenzione fiscale a misura dell’allora emiro Hamad bin Khalifa al-Thani, compresi famigliari e amici, senza ritenute alla fonte.
In pratica, la Francia diviene un paradiso fiscale per i ricchi qatarini. Lo shopping è gigantesco. L’Hôtel Lambert sull’Ile Saint-Louis, nel cuore di Parigi, il casinò di Cannes, quote nei principali gruppi del lusso, fino alla perla, la squadra di calcio del Psg, che sarà una delle porte d’ingresso per arrivare all’assegnazione dei Mondiali di Calcio.
Ma il trattamento privilegiato si accompagna a «innaffiatura» di uomini politici. «La maggior parte dei francesi sono stati “innaffiati” dal Qatar durante la presidenza Sarkozy – precisa Chesnot -. Doha però ha anche finanziato le campagne sia dei laburisti che dei conservatori britannici nel 2015. Mentre negli Stati Uniti la penetrazione è soprattutto emiratina e saudita: Mohammed bin Salman si è vantato si aver contribuito per il 20 per cento della campagna di Hillary Clinton nel 2016», salvo poi diventare uno dei più stretti alleati di Donald Trump. Un altro esempio di come non ci siano «preferenze di campo».
L’importate è l’obiettivo, cioè influenzare le società occidentali. Con tutti i mezzi.
Ne hanno in abbondanza.
Qatar ed Emirati hanno sviluppato una strategia di soft power, che ha come pilastri «l’educazione, la cultura e lo sport», conferma Malbrunot: «Hanno i mezzi per comprarsi tutto o quasi: i quadri più preziosi, i club più prestigiosi, come il Manchester City, ma anche i politici. Quando c’è un problema, un ostacolo, la loro reazione può essere riassunta in una frase: “Compralo”. Il risultato è che la classe politica europea ha spesso difficoltà a resistere a queste sirene». E se noi vediamo i miliardari in turbante ancora come «beduini ignoranti», loro ci percepiscono come gente che si vende facilmente «per un libretto degli assegni o un Rolex». O soldi in contanti in una valigia. Lo scandalo che ha coinvolto il patron del Psg, Nasser al-Khelaïfi, ne è un esempio. Che seguono quelli sulle mazzette alla Fifa o il finanziamento a moschee estremiste.
È dal fronte culturale che forse arrivano le minacce più insidiose. Come ancora Malbrunot ha documentato in un altro saggio, Qatar Papers, Doha è anche la principale finanziatrice di imam vicini alla Fratellanza musulmana, che diffondono una visione integralista dell’islam nelle diaspore dei Paesi arabi in Europa. L’altro volto scuro dell’Emirato. L’alleanza con i Fratelli musulmani è suggellata dall’accoglienza al loro leader Yusuf al-Qaradawi, condannato a morte in Egitto, e rifugiato a Doha fin dal 1977, dove fonda la facoltà di Studi islamici all’Università e diventa dagli anni Novanta in poi uno dei volti di Al-Jazeera in arabo. L’Emirato ha protetto il controverso imam jihadista fino alla sua morte, il 26 settembre scorso. «La soluzione è il Corano», era il suo motto. Soprattutto se oliato di petrodollari, si potrebbe aggiungere.
(da la Stampa)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile STA CON MANI PULITE, POI SI PENTE… L’INCHIESTA SULLE COOP ROSSE E’ UN FLOOP… MALEDICE LE INTERCETTAZIONI MA NE HA FATTE LARGO USO… UNA REGOLA FERREA: IN UFFICIO MAI OLTRE LE 17
Per l’età e la sapienza storica si paragona a Churchill. D’aspetto si è
gemellato a Giordano Bruno Guerri, quello che vive al Vittoriale con i fantasmi dannunziani. Invece è solo il dottor Carlo Nordio da Treviso, detto l’Intermittente, qualche volta burbero di legge, sempre elegante nei modi, bon vivant per prassi quotidiana e cene veneziane. Ex magistrato di laguna. Neo ministro di lotta e sorprendentemente di governo, visto che per quarant’anni ha ripetuto che un “un magistrato mai e poi mai sarebbe dovuto scendere in politica”. Nemmeno da ex.
Tuttavia a 75 anni compiuti, la noiosa pensione gli ha suggerito l’ascensione tra i velluti di Montecitorio con 115 mila voti incassati dai suoi fratelli d’Italia proprio nel collegio dove operò da magistrato, circostanza in verità non del tutto opportuna, ma a lui concessa senza polemiche, vista la fama locale che la bella carriera gli ha concesso.
Oltre a un ben temperato salvacondotto che si è guadagnato nel tempo per essere contemporaneamente di destra nella giurisprudenza che punisce e insieme garantista nei convegni di dottrina, dunque prudentemente equidistante tra gli eterni contendenti che in politica si annettono il premio elettorale di una giustizia forte con i deboli, cioè i poveracci, e debolissima con i forti, titolari del quieto vivere e delle carriere. E quindi astro nascente della Nazione securitaria di Giorgia Meloni. Nonché paladino della “difesa sempre legittima” che piace agli spaventati guerrieri di Matteo Salvini.
A riprova dell’indole s’è subito schierato con il più prepotente tra i senatori rinascimentali, Matteo Renzi, che tra un viaggio a gettone e l’altro, fa la guerra ai magistrati fiorentini che non solo osano indagare sulla fondazione Open che tiene finanziariamente viva la sua Italia Viva, ma hanno mandato gli atti di indagine al Copasir, il Comitato che si occupa dei Servizi segreti.
Il sopruso, ha detto in aula il neo ministro, versione garantista, assecondando i lamenti renziani, “sarà oggetto di immediato e rigoroso, sottolineo rigoroso, accertamento conoscitivo”.
Subito dopo, ha aggiunto, “questo dicastero procederà a una approfondita, e sottolineo approfondita, valutazione al fine di assumere le necessarie iniziative”. Minaccia perentoria, purtroppo sgonfiatasi in una sola notte, visto che le carte di indagine su Open sono state mandate al Copasir non per malvagità dei magistrati fiorentini, ma per legittima richiesta. Che peccato, e sottolineiamo peccato.
Già pregustava, il Nordio principe del diritto, la bella cronaca delle ispezioni ai suoi ex colleghi, i pubblici ministeri che a vasto raggio detesta forse per averli frequentati a lungo, anche se mai oltre il suo orario d’ufficio, le 17 in punto, ai quali oggi promette carriere separate da quella dei giudici, primo tassello della estesa riforma sempre auspicata dai berlusconiani di lungo corso – i Previti e i Dell’Utri, per esempio – indagati da una trentina d’anni, e dunque competenti per biografia.
Quella di Nordio inizia il 6 febbraio 1947, dentro allo scrigno di Treviso, città mirabilmente narrata nel film di Germi Signore e signori, labirinto di piccole e grandi ipocrisie cattolico-borghesi. Entra in magistratura nel 1977, anno di violenza politica, specie in Veneto. Si occupa di Brigate rosse. Smantella la colonna veneta: “Giravo scortato e armato, ricevevo lettere con la stella a cinque punte, ma ricordo che erano in gioco lo Stato e la democrazia”.
In quanto a difesa della democrazia, partecipa alla stagione di Mani Pulite, segnata in Veneto dalle parabole dei ministri Gianni De Michelis, socialista, e Carlo Bernini, democristiano, con tanto di arresti preventivi e intercettazioni quanto basta. Salvo pentirsi di quasi tutto. Dei colleghi milanesi di Mani Pulite “che indagano con finalità politiche”.
Degli arresti preventivi perché contraddicono “una giustizia che garantisca la presunzione di innocenza”. E delle intercettazioni “che sono uno strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”. Per non dire della lunghezza delle indagini a strascico.
Tutte considerazioni che andavano di pari passo alle sue lunghe inchieste a strascico sulle cooperative rosse – anni 1993-98 – 278 indagati, compresi i due bersagli grossi, Achille Occhetto e Massimo D’Alema, che fecero titolo sui giornali, ma niente arrosto nelle indagini.
Fino a quando l’ufficio dell’Udienza preliminare gli chiese di spedire i fascicoli alla competente Procura di Roma. Ordinanza che lesse e dimenticò nei cassetti per andarsene a cena. Cena che in quel caso durò fino al 2004, quando saltò fuori il trascurabile misfatto, i due indagati immediatamente prescritti e poi risarciti con 9 mila euro a testa per “ingiustificato ritardo”, non dal pm Nordio, già diventato il castigamatti dei pm, ma dallo Stato.
Nelle vesti di procuratore aggiunto ha coordinato l’inchiesta sulle tangenti al Mose, le barriere architettoniche che fanno argine all’acqua alta di Venezia, 35 arresti preventivi, intercettazioni illimitate, un centinaio di indagati, tra i quali il sindaco Orsoni, pd, il consigliere politico di Giulio Tremonti, Marco Milanese, Forza Italia, e quel capolavoro di Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto, berlusconiano in purezza, ex Publitalia, che obbligato a restituire la villa dove abitava sui Colli Euganei, come acconto per i 15 milioni di maltolto, si portò via i sanitari e i caloriferi, smontati a martellate dai muri.
Nordio considera il suo punto di svolta quando nel 2000 convalidò l’arresto di un geometra che aveva appena caricato una prostituta moldava. E che si suicidò per la vergogna, appena scarcerato. “Mi portò a riflettere su quante misure cautelari potevano essere evitate”. In particolare quella, del tutto arbitraria.
La sua intermittenza garantista gli consente oggi di auspicare la riduzione delle leggi che “sono troppo numerose”, spesso emotive, e insieme assecondare quella emotiva e nuovissima “anti rave”.
In compenso promette di smantellare l’obbligatorietà dell’azione penale “diventata un intollerabile arbitrio”. Ripristinare l’immunità parlamentare, smontare la legge Severino sulla incandidabilità dei condannati, secretare le intercettazioni. Ci risiamo, dileguati i tempi grami delle mascherine, si torna a quelli vecchi del bavaglio, la stoffa del migliore garantismo per i giustizialisti.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile TREGUA FISCALE, FLAT TAX E LIBERI TUTTI PER I FONDI STRANIERI
La tregua fiscale, la flat tax, ma anche il “liberi tutti” per i fondi stranieri o una bella pacca sulle spalle d’incoraggiamento per chi investe nei fondi comuni. Nella prima legge di Bilancio di Giorgia Meloni, sono tanti i favori o gli sconti che compaiono per evasori e ricchi, vale a dire per quelli che non ne avrebbero così bisogno. Mentre i più bisognosi stanno vedendo sfumare il Reddito di cittadinanza o la riforma delle pensioni. Ma questi grandi aiuti previsti per il ceto alto e per chi fa di tutto per sfuggire al Fisco dimostrano anche come il governo sia alla disperata ricerca di risorse per coprire una manovra da 32 miliardi senza nessuno scostamento di bilancio. Eccone una incompleta rappresentazione.
Condono. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, continua a negare sanatorie, perché tecnicamente non c’è un taglio dell’imposta. Difficile, però, non catalogare nei fatti questi aiuti così spinti come un condono. È il caso dello stralcio delle cartelle esattoriali sotto i mille euro affidate all’Agenzia delle Entrate dal 2000 al 2015. Rappresentano il 90% dei crediti dei Comuni, vale a dire multe, tasse sui rifiuti, Imu, ecc. Una misura che fa perdere gettito all’Erario e 300 milioni alle amministrazioni solo per le vecchie contravvenzioni stradali. Poi per le cartelle superiori a mille euro, affidate all’agente della riscossione entro il 2015, per le quali c’è una nuova rottamazione: si paga la somma originaria senza interessi, sanzioni e spese di aggio. Sempre con la dovuta calma: in 18 rate. “Sono misure che disincentivano a pagare, aumentando l’evasione, e si tradurranno in maggiori tasse”, ha spiegato al Fatto l’ex ministro Vincenzo Visco. La ragione è chiara. Basta pensare alle imposte non pagate, con o senza avvisi bonari. Le tasse non pagate dal 2020 al 2022 si potranno versare con sanzioni ridotte del 3% (contro il 10%) e a rate in 5 anni. Se invece il contribuente non ha ricevuto la contestazione, le sanzioni sono ridotte a “un diciottesimo”, cioè il 5,55%. Quasi tutte le misure impongono di pagare almeno la prima rata entro marzo o giugno, così il governo potrà sapere in tempi rapidi quanto ricaverà.
Contanti. Tra 20 giorni la soglia per il cash aumenterà dagli attuali 2.000 a 5.000 euro, come richiesto da Fratelli d’Italia e Lega, che puntava inizialmente a 10 mila euro. La premier Meloni nega che ci siano legami tra l’aumento del tetto e l’evasione, ma a dimostrarne l’impatto è uno studio della Banca d’Italia sugli anni 2016-2019. Il risultato è che il tetto ai contanti di 3 mila euro in quel periodo ha favorito il “sommerso” nei conti delle imprese. Figuriamoci quello a 5 mila euro. E anche se l’altroieri il Consiglio dell’Ue ha concordato un tetto di 10 mila euro, va ricordato che non tutti i Paesi Ue attualmente ne prevedono uno (come la Germania) e che la disposizione si applica nell’ottica antiriciclaggio. Mentre all’Italia resta il primato europeo per l’Iva evasa: un ammanco di 26 miliardi.
Pos. Sui pagamenti elettronici il governo non arretra: vanno cancellate le sanzioni per i negozianti che rifiutano carte e bancomat per acquisti fino a 60 euro. Un limite che, secondo la premier, è di buon senso perché “se le commissioni bancarie fossero a carico dei cittadini nessuno pagherebbe un caffè con la moneta digitale”. Peccato che per la Banca d’Italia così si rischia di entrare in contrasto con il Pnrr (che prevede l’introduzione delle multe) e con l’esigenza di ridurre l’evasione. Il contante porta con sé balzelli nascosti (costi di trasporto, furti, errori umani sui resti) pari all’1,1% del valore medio delle transazioni.
Fondi stranieri. L’Italia, che già possiede fior di esenzioni per gli investimenti finanziari dall’estero, fa un deciso balzo in avanti adottando un istituto fiscale britannico (Investment Management Exemption) che servirà ad attrarre maggiori investimenti esteri (e fare cassa). In pratica, un fondo estero con sede in un “Paese white list” – tipo Cayman, Isole Vergini Britanniche o Jersey – non dovrà mai pagare tasse in Italia sui suoi profitti nel nostro Paese.
Flat tax. È la misura che più delle altre rappresenta il regalo che il governo fa ai ricchi: la tassa piatta con tetto a 85 mila euro consentirà a un professionista di risparmiare più di 13 mila euro sulle tasse rispetto a un lavoratore dipendente con lo stesso reddito. Ed è anche la novità in manovra che ha ricevuto più critiche da Bankitalia, Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) o Istat per la sua iniquità. Questo mentre i pensionati con assegni superiori a quattro volte il minimo (2.100 euro lordi) si vedono tagliare la rivalutazione dell’assegno.
Fondi comuni. Altro regalo destinato ai ricchi è l’aliquota agevolata al 14% sulle plusvalenze finanziarie derivanti da vendita di azioni, quote di fondi comuni d’investimento o polizze assicurative sulla vita. Chi venderà questi prodotti si vedrà dimezzare l’aliquota d’imposta (oggi è al 26%). Non solo. Possono godere dello stesso trattamento anche coloro che possiedono polizze vita e altre collegate ai fondi di investimento.
Sospensione dei processi. L’ultimo favore fiscale della manovra, in ordine di tempo, arriva sul fronte penale. Si congela la denuncia – sino a quando non sarà versato il dovuto – per chi aderisce al piano di rateizzazione di mancati versamenti fiscali. Il periodo di inadempienza sanabile è tra gennaio e ottobre scorsi. La norma dovrebbe aiutare le aziende colpite dalla crisi energetica, ma anche le squadre di calcio. In caso di mancato pagamento di due rate consecutive, la denuncia però scatterà automaticamente.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 11th, 2022 Riccardo Fucile MARIO DRAGHI TORNERA’ SULLA SCENA DOMANI A MILANO PER PRESENTARE UNA RACCOLTA DI VIGNETTE SATIRICHE DI EMILIO GIANNELLI
Mario Draghi era apparso sulla copertina del penultimo libro di Osho,
intitolato “Carcola che ve sfonno”: con la mano sinistra, grazie ad un gesto deciso, l’ex presidente del Consiglio sembrava intimare miti consigli agli astanti, un particolare colto in pieno dal vignettista che usa le immagini per raccontare una storia scritta in romanesco.
Draghi, che è nato a Roma, lunedì prossimo tornerà sulla scena, ma a Milano: ironia della sorte, per presentare un libro umoristico edito da Solferino, “Un’Italia da vignetta”, di Emilio Giannelli, ex bancario e presenza quotidiana sulla prima pagina del Corriere della Sera con la sua puntuale satira.
L’occasione è ben studiata: a fianco del direttore del giornale, Luciano Fontana, di Paolo Conti (che firma con Giannelli il libro) e di Piergaetano Marchetti, nella sede della Fondazione Corriere della Sera, nella sala Buzzati di via Balzan l’ex premier potrà togliersi più di un sassolino dalla scarpa.
Chi è Giannelli
Come viene presentata questa fatica editoriale? “Le vignette di Giannelli raccontano ogni giorno lo spirito e il costume degli italiani, della loro classe politica, il populismo, la crisi dei partiti: sempre con la chiave dell’ironia, del sarcasmo, della battuta fulminante e di quel mondo visto con l’occhio della gente comune. Questo libro raccoglie i disegni più belli e recenti, con molti inediti, di una carriera iniziata al ‘Travaso’ prima di conoscere Forattini che lo portò a ‘Repubblica’ e di passare poi al ‘Corriere della Sera’, con cui collabora da oltre trent’anni. E per la prima volta il grande caricaturista, senese della Contrada del Drago, racconta anche sé stesso e come sono nate le sue vignette e i suoi personaggi, gli incontri, il carattere, i piccoli segreti, i colpi messi a segno e i tentativi di censura nell’arco di una vita, passando dal Quirinale a Palazzo Chigi, dal Parlamento ai grandi fatti di cronaca”.
Comunque, nella copertina del libro di Giannelli la figura di Draghi è posta all’estrema destra, ben più di Giorgia Meloni che si trova davanti a lui.
(da Verita&affari)
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