Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile SECONDO I GIUDICI “LE FRASI” NON PRESENTEREBBERO PROFILI DI RILIEVO PENALE. PECCATO CHE A PRONUNCIARLE FOSSE NIENTEMENO CHE IL “PORTAVOCE DELLA MAFIA LIBICA”… LA SURREALE MOTIVAZIONE CON CUI IL PM “SCAGIONA” CHI USA I SOCIAL PER CALUNNIARE PERCHÉ I SACERDOTI DEVONO ESSERE “RISERVATI E SILENZIOSI”
Potrebbe essere solo un appunto personale oppure, più in generale,
un’indicazione per la Chiesa e per il suo impegno “sociale”. Certo è che quello che ha scritto la Procura di Modena nella richiesta di archiviazione della vicenda legata alle minacce ricevute da don Mattia Ferrari, il cappellano di “Mediterranea saving humans”, è destinato a far rumore.
Gli attacchi al sacerdote, ai giornalisti e a chi si occupa di salvare i migranti dal mare e di denunciare per davvero il traffico indisturbato che avviene nel Mediterraneo condotti da un personaggio conosciuto come il “portavoce della mafia libica” sono considerati irrilevanti e degni di archiviazione in quanto le minacce (per il pm semplicemente «le frasi») indirizzate al cappellano e agli altri bersagli non « presentano profili di rilievo penale». Una posizione che, al di là del merito della questione, lascia perplessi i legali che difendono don Mattia. E chiunque scorra le carte.
Don Mattia è da tempo sotto “radiosorveglianza” decisa dal Comitato provinciale per la sicurezza dei cittadini, proprio sulla base di quelle minacce. Una decisione che per la Procura non avrebbe senso in quanto il sacerdote non sarebbe nel mirino di nessuna mafia libica. Le «frasi» scagliategli contro sarebbero «prive di rilevanza penale da chiunque esse provengano».
Nel testo in cui propone l’archiviazione il pm non cita mai l’account dal quale sono arrivate e che, come attestano inchieste giornalistiche e atti parlamentari, sarebbe invece «un portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi».
Quell’account infatti, sottolineano le fonti vicine a chi subisce minacce, pubblica continuamente materiale per conto della mafia libica e periodicamente anche foto “top secret” di velivoli militari europei e di apparati italiani.
Don Mattia, oltre a essere cappellano della Ong “Mediterranea Saving Humans”, è molto impegnato in un’azione pastorale e umanitaria a difesa delle persone migranti, in particolare di quelle che vengono soccorse nel Mediterraneo. Una missione, come si sa, tipicamente diffusa tra chi, all’interno della Chiesa, si occupa degli ultimi e dei più fragili. Ed è proprio per questo suo impegno che si sono accesi su di lui riflettori anche assai ostili. In particolare da parte del già citato account Twitter da cui, appunto, sono partite tutte le minacce.
A leggere la richiesta di archiviazione depositata a Modena è come se il magistrato avesse in un certo senso negato l’esistenza del legame tra l’account da cui sono partite le minacce e la mafia libica. E questo nonostante che un viceministro dell’Interno, l’allora in carica Carlo Sibilia, rispondendo a interrogazioni parlamentari avesse sottolineato la realtà e la gravità del fatto.
Ma c’è di più. A preoccupare i legali che difendono don Ferrari, ci sarebbe una sorta di “appunto” rivolto all’operato umanitario del sacerdote e non solo a quello. Nel documento della Procura si sottolinea, infatti, che «se il prete esercita in questo modo, diverso dal magistero tradizionale », deve in un certo senso aspettarsi reazione contrarie e fra queste di essere bersagliato.
Nello specifico, in un passaggio del testo, il pubblico ministero si mostra indulgente con chi usa i social network per aggredire e calunniare, suggerendo che l’esposizione sui social network naturalmente provoca reazioni, specie se «come già evidenziato chi porta il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco – ben diverso dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – di estrinsecazione del mandato pastorale – e lo faccia propalando le sue opere con toni legittimamente decisi e netti».
Per il pm, insomma, un sacerdote che prende posizione accanto ai poveri e agli ultimi non è abbastanza “discreto” ed è troppo “pubblico” e anche un po’, seppure in senso lato, “politico” e deve aspettarsi e, in fondo, subire reazioni. In altre parole, chi si occupa di diritti umani e si dedica all’impegno umanitario non deve sorprendersi se poi finisce nel mirino, anche se è un prete.
Anzi, forse, proprio perché è un prete. Come se essere sacerdote significasse dire Messa, amministrare i sacramenti e stare in silenzio. « La richiesta d’archiviazione è molto grave perché suggerisce che le condotte di minaccia e diffamazione online non debbano essere perseguite, ma siano coperte da una sorta di impunità », sottolinea l’avvocato di don Mattia, Francesca Cancellaro, dello studio legale Gamberini e associati.
E annuncia: « Noi sappiamo, invece, quanto sia pericolosa questa opacità e quanto intimidatori possano essere i messaggi che vengono veicolati. Per questo presenteremo opposizione alla richiesta di archiviazione: per chiedere al Gip che finalmente si indaghi su questi preoccupanti episodi, consentendo a don Mattia di esprimersi liberamente in sostegno delle persone migranti e del dovere di soccorrerle».
(da Avvenire)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile “CERTI EVENTI SONO PASSATI ATTRAVERSO UNA NORMALIZZAZIONE, CERTO NON AIUTA CHE LA SECONDA CARICA DELLO STATO ABBIA BUSTI DEL DUCE A CASA”
“Stiamo vivendo un momento di rielaborazione della storia, c’è una generazione che si sente sopravvissuta e oggi si gusta la rivincita, e chi in un clima del genere vive come liberatorio il gesto del saluto romano. Determinati scenari sono passati attraverso una normalizzazione e per evitare un simile fenomeno non aiuta, ad esempio, che la seconda carica dello Stato abbia busti di Mussolini a casa”.
Storico e formatore, autore di bestseller come Mussolini ha fatto anche cose buone e Ma perché siamo ancora fascisti, Francesco Filippi ha le idee chiare sulla causa dell’onda sulle cause di episodi come quello dei 13 ex studenti dell’istituto De Merode che si sono fotografati con il braccio teso sulla scalinata della scuola e quelli di Azione Studentesca che hanno dato l’assalto al liceo Cavour occupato. Nel mezzo, lo sfregio alla panchina dedicata a David Sassoli, riempita di svastiche e croci celtiche.
Tra i giovani romani si susseguono rigurgiti fascisti. Cosa sta accadendo?
“È stato sempre diffuso un certo estremismo nelle componenti studentesche in particolari città come Roma, ma qualcosa di sicuro è cambiato negli ultimi tempi e per una serie di fattori”.
Quali?
“C’è una rinnovata attenzione al tema dell’estremismo di destra, dovuta al cambiamento negli ultimi anni nella politica europea e italiana in particolare. Per quanto riguarda il fascismo ci sono atti sempre più estremi che finiscono sotto una lente che definirei a dir poco sminuente. Il fascismo fa notizia perché non fa più notizia. E poi c’è meno timore di esprimere pubblicamente idee estremiste”.
Perché, come ha scritto lei nel suo saggio, siamo ancora fascisti e perché lo sono i giovani?
“Perché i giovani d’oggi hanno scarsissime possibilità di sperare nel futuro. Lo dice l’Istat: dovranno studiare di più, faticare di più, allontanarsi di più da casa, per avere meno dei loro genitori. Se le cose non cambiano l’interesse per quel tipo di racconto pubblico, che nulla ha a che fare con la storia, ma che è ancora presente nella memoria degli italiani, sognato come grande e solido, vince a confronto con il futuro”.
Una reazione alle difficoltà opposta a quella avuta dai giovani nel secolo scorso.
“È anche abbastanza umano cercare un luogo in cui riporre i propri sogni. Il fascismo parla di protezione mentre c’è paura, di chiarezza data dagli ordini del capo mentre la democrazia mostra tutte le difficoltà a gestire i problemi, crea identità in un momento che c’è bisogno di sapere chi siamo, mentre la sinistra probabilmente non si è più ripresa dopo la fine del comunismo sovietico”.
Andando sui luoghi comuni, colpa dunque dei comunisti col Rolex?
“Sicuramente la sinistra italiana ed europea sta pagando l’incapacità di riraccontarsi dopo aver perso un certo tipo di racconto egemonico culturale nei confronti di quelli che una volta erano proletari. Oggi un’enorme fetta della società ha paura di scivolare nella povertà e la sinistra non sta dando risposte”.
Che fare?
“Va sgomberato il campo da bufale in piedi da un secolo. Registro comunque il fatto che non tutto è perduto. Ci sono ragazzi che si impegnano. Il fascismo è stato sconfitto dalla storia, dalla realtà e dall’umanità”.
(da la Repubblica)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile TORNANO A CIRCOLARE VOCI SUI PROBLEMI DI SALUTE, CHI PARLA DI TIMORI SULLA SICUREZZA MA L’IPOTESI PIÙ PROBABILE È CHE PUTIN NON SAPPIA COSA DIRE DI FRONTE AL FALLIMENTO DELL’ARMATA LESSA
Vladimir Putin passa in modalità invisibile, e cancella la sua fitta agenda
di appuntamenti tradizionali di fine anno. Non terrà la tradizionale super conferenza stampa per centinaia di giornalisti russi e stranieri, praticamente unico appuntamento dell’anno in cui si rendeva accessibile a tutti i media e non solo ai cronisti di corte accuratamente selezionati e telecomandati.
Non parteciperà alla diretta televisiva con il suo popolo, un mega evento della durata di tre o quattro ore durante le quali rispondeva alle domande del pubblico, soddisfaceva le richieste dei telespettatori e si improvvisava Babbo Natale mandando regali ai bambini poveri o agli anziani di qualche provincia lontana della Russia.
Non prenderà parte nemmeno alla partita di hockey sul ghiaccio in piazza Rossa. Ma soprattutto, non terrà il discorso annuale sullo stato della nazione alle camere riunite, che a differenza degli altri appuntamenti popolari, ma mediatici, è un suo preciso obbligo costituzionale.
Un’assenza totale e apparentemente inspiegabile, o perlomeno lasciata senza spiegazioni dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che si è limitato a ipotizzare «altre forme di comunicazione» che il presidente russo potrebbe adottare. L’impressione è che lo stesso Peskov non sia più in contatto con il suo principale, e nel dare i suoi comunicati è costretto a improvvisare senza sapere nemmeno lui cosa è successo.
Tutti e tre gli appuntamenti cancellati erano non solo una tradizione politica consolidata in più di vent’ anni di putinismo, ma venivano proposti dalla sua macchina mediatica come i principali eventi dell’anno politico, occasioni nelle quali Putin non solo «creava dei significati» nuovi, per dirla con il gergo dei cremlinologhi di corte, ma si mostrava anche saldamente al timone della nazione: preparato, informato, determinato, severo, ma giusto, un leader forte che non aveva bisogno di mediatori per parlare al suo popolo.
A dire il vero, la magia populista si era persa già negli ultimi anni, con un presidente sempre più appannato e le TV costrette a disattivare i commenti degli spettatori negli streaming delle dirette di Putin per nascondere la valanga di insulti.
Ma in un sistema politico che orbita integralmente intorno al presidente, cancellare le sue apparizioni significa mandare brividi di tensione in tutto il Paese.
Le teorie sulle vere ragioni della sparizione di Putin ovviamente non mancano. Nei canali Telegram di gossip dal Cremlino è tornata a circolare la teoria della malattia del presidente, un pettegolezzo vecchio e mai smentito che lo vorrebbe gravemente debilitato da un tumore al colon, e forse bisognoso di un nuovo intervento chirurgico.
Un’altra teoria molto accreditata è la paura per la sicurezza: dopo che i droni ucraini hanno colpito basi militari russe distanti centinaia di chilometri dal confine, un evento pubblico cui il leader russo partecipa con largo preavviso, e magari in compagnia di tutto il suo governo insieme al parlamento, ai leader religiosi e ai governatori, potrebbe diventare un bersaglio strategico.
Le recenti parole di Volodymyr Zelensky sul fatto che «se Putin muore, la guerra finirà» hanno raggiunto le orecchie dei destinatari russi.
La prospettiva che un drone o un missile riesca a superare i 900 chilometri che separano Mosca dal confine ucraino non è impensabile, l’ipotesi che possa distruggere il Cremlino resta fantascienza. Ma già il fatto che qualcuno possa tenere un attacco nel cuore della Russia è sintomatico dell’umore dominante.
Il motivo più ovvio per cui Putin preferisce sparire è però un altro: non ha nulla da dire. Le esternazioni del leader russo servivano appunto a «creare significati», e il Paese attendeva soprattutto il discorso al parlamento per avere indicazioni più chiare: sulla guerra, la sua durata, i suoi obiettivi e i metodi per raggiungerli. Tutte domande alle quali il Cremlino oggi non ha una risposta, e la politologa Tatyana Stanovaya sostiene che dopo la fuga dell’esercito russo da Kharkiv e da Kherson l’élite russa abbia una netta sensazione di «un movimento accelerato verso il caos e il collasso del Paese».
La percezione della guerra persa è «condivisa praticamente da tutti», e i falchi e le colombe sono divisi semmai dalla visione di come reagire a questa prospettiva. Putin non ha gli strumenti per rispondere alle esigenze dei primi – che invocano la “guerra popolare” con mobilitazione totale, legge marziale ed economia militare – e non vuole rassegnarsi alle istanze delle seconde, anche perché il prezzo più probabile da pagare sarebbe quello impossibile di dichiararsi perdente e cedere il potere.
La situazione è troppo grave per cavarsela con discorsi di circostanza e così, come ha già fatto numerose volte nella sua carriera quando era in difficoltà, Putin preferisce eclissarsi, nella speranza che la situazione si risolva in qualche modo, che il tempo (l’inverno, la fortuna, la capacità di resistenza degli ucraini o la pazienza degli occidentali) giochino a suo favore.
(da La Stampa)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile +EUROPA SI SFILA E GUARDA AL TERZO POLO PER SOSTENERE LA CORSA DI LETIZIA MORATTI
L’alleanza giallorossa torna e lo fa in Lombardia. Serviva una sfida che parrebbe persa in partenza, come quella di riconquistare una regione dopo 28 anni di governo di centrodestra, per farla risorgere.
Il sigillo di ufficialità non c’è ancora, ma l’accordo politico sì: centrosinistra e Movimento Cinque Stelle correranno insieme alle Regionali del 12 e 13 febbraio 2023.
Lo stesso Giuseppe Conte ieri ha dato il suo imprimatur: «Credo sia giusto sottoporre alla votazione degli iscritti lombardi la valutazione del tavolo di confronto che c’è stato e acquisirne il parere su una direzione da prendere per una proposta competitiva», ha detto il leader Cinque Stelle. Una scelta «obbligata» per Conte, per tentare il colpo elettorale e sottrarre il Pirellone – in una regione in cui il M5S non ha mai ottenuto risultati particolarmente brillanti – dopo quasi trent’ anni al centrodestra.
Il voto, probabilmente domani su Skyvote, sarà l’epilogo del percorso di avvicinamento che in queste ultime settimane ha visto trovare la quadra sui punti programmatici presentati dai 5 Stelle alla delegazione ristretta di centrosinistra (ristretta perché senza +Europa, contraria ad allargare ai grillini) e a cui manca ancora l’ultimo passaggio. Una sorta di referendum che però da nessuna delle due parti sembrano temere.
Anche se ieri mentre l’accordo era annunciato come cosa fatta da parte di Majorino, ufficialmente il Pd lombardo non citava nemmeno per sbaglio i pentastellati nelle sue dichiarazioni. Il motivo?
«Nessuno vuole rimanere con il cerino in mano», ammette sottovoce il capogruppo dem al Pirellone Fabio Pizzul. Come a dire che la cautela non è mai troppa: aspettiamo venerdì. Ma le cose sono fatte: «Abbiamo bisogno dell’alleanza più ampia e solida possibile. Ed è per questo motivo che abbiamo avviato un confronto con le forze di centrosinistra, le liste civiche territoriali e i 5 Stelle», ha detto ieri Majorino in un circolo Acli a Lambrate (Milano) stracolmo di elettori. «Con il M5S il dialogo è partito dalle idee e dai contenuti e non era scontato. Ma posso dire che ci siamo: il confronto ha avuto buon esito. Nelle prossime settimane presenterò un programma che avrà al suo interno anche i punti concordati con il M5S e questa è una buona notizia».
L’appello di Majorino a non dividersi è stato per poche ore ancora tutto rivolto a +Europa, il cui segretario nazionale Benedetto Della Vedova era stato chiaro fin dall’inizio («o il M5S o noi»): «Mi auguro che si vada avanti così: unendo e allargando, esaltando le cose che ci accomunano e non quelle che ci dividono. Vorrei che tutti, +Europa ma non solo, capiscano che oggi in Lombardia la sfida è aperta».
Invece, +Europa si sfila: «Abbiamo sempre detto che il nostro era un sostegno nei confini della coalizione che lo ha scelto. Noi prenderemo un’altra strada», chiude Della Vedova. Che questa strada porti al Terzo polo e a Letizia Moratti non è escluso: è «assolutamente» possibile che +Europa presenti un suo candidato governatore, anche se «dal Terzo Polo e da Moratti sono arrivate sollecitazioni molto forti».
(da agenzie)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile EMERGE UN PAESE PIU’ ANZIANO E CON LA POPOLAZIONE IN CALO… ANCHE GLI STRANIERI SE NE VANNO
Popolazione in calo e sempre più anziana, decessi in aumento e
stranieri in fuga. Nel documento di analisi del censimento permanente diffuso giovedì 15 dicembre dall’Istat, emerge il Covid-19, seppur in misura minore rispetto al 2020, ancora incide sensibilmente sul numero di decessi nel nostro Paese. E l’Italia continua a invecchiare.
La popolazione è di 59.030.133 residenti, lo 0,3 per cento in meno rispetto alla rilevazione precedente: un calo di circa 200mila individui che si concentra principalmente al Centro (-0,5%) e al Nord (-0,4%). Sono tre le principali ragioni di questa diminuzione.
La prima è di lunga data, ed è il calo della natalità che anche nel 2021 tocca un nuovo record negativo con appena 400mila nascite. C’è poi l’aumento della mortalità rispetto alla media del quinquennio 2015-’19, che è stato nel 2021 dell’8,6 per cento.
Ed è questa la portata dell’effetto Covid. Nel 2021 ci sono stati 701.346 morti, 39mila in meno rispetto al 2020 – quando la mortalità da Covid ha registrato un record negativo – ma 50mila decessi in più rispetto alla media dei cinque anni precedenti.
Non è solo il tasso di mortalità a incidere sul calo demografico. I numeri vanno attribuiti anche alla diminuzione della popolazione straniera, che nel 2021 sono 141.178 in meno rispetto all’anno precedente.
Gli stranieri residenti in Italia sono ora 5.03.716, con un’incidenza dell’8,5 per cento sulla popolazione generale. Tra i dati più significativi che emergono dal rapporto, c’è anche la conferma che l’Italia continua a invecchiare. L’età media si è alzata ancora di 3 anni negli ultimi 10, passando da 43 a 46 anni, e l’aumento non è maggiore solo grazie alla popolazione straniera, che registra un’età anagrafica media inferiore di 10 anni rispetto a quella degli italiani.
L’invecchiamento della popolazione italiana è ancora più evidente nel confronto con i censimenti passati. Nel 2021 per ogni bambino si contano 5,4 anziani contro meno di un anziano per ogni bambino del 1951 (3,8 nel 2011). L’indice di vecchiaia è notevolmente aumentato e continua a crescere, da 33,5% del 1951 a 187,6% del 2021.
(da agenzie)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile IL COMMISSARIO PER I DIRITTI UMANI: “DOPO BUCHA E IRPIN NON CREDEVO FOSSE POSSIBILE TROVARE DI PEGGIO”
Nella città occupata di Kherson vi sarebbe stata anche una “camera di tortura per i minori”. “E’ vero abbiamo registrato per la prima volta la tortura di minori. Credevo non fosse possibile trovare il peggio dopo Bucha e Irpin”, ha detto Dmytro Lubinets, commissario per i diritti umani del Parlamento di Kiev, citato da Kyiv Independent.
In un centro di detenzione dei russi a Kherson vi era una cella per i minori, secondo quanto hanno raccontato alcuni prigionieri. Gli altri detenuti la chiamavano la “cella dei bambini”.
Ai minori veniva data poca acqua e cibo e gli veniva detto che i genitori li avevano abbandonati e che non sarebbero mai più tornati a casa.
Un quattordicenne, ha raccontato Lubinets, era stato portato nella cella per aver scattato la foto di un equipaggiamento russo malandato.
(da Globalist)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA ED EVITABILE SE IL DENARO NON CONTASSE PIU’ DELLE PERSONE
“Almeno un anno prima del cedimento” della fune traente dell’impianto
funiviario del Mottarone “si poteva vedere che stava succedendo qualcosa”.
A dirlo è Andrea Gruttadauria, docente di Metallurgia e materiali non metallici e Tecnologie metallurgiche al Politecnico di Milano, consulente tecnico di parte della difesa di Gabriele Tadini, caposervizio della funivia del Mottarone. “Dal mio punto di vista, la prima avvisaglia è stata almeno, almeno un anno prima”.
Il consulente di Tadini ha quindi spiegato il meccanismo della fatica che, secondo i periti, è insieme alla corrosione la causa della rottura della fune: “La fatica ha tre fasi: la nucleazione, in cui più o meno non ci si accorge di nulla; la propagazione, la fase in cui ci si accorge che qualcosa sta succedendo; e la rottura finale, più o meno istantanea”.
In teoria quindi, ha aggiunto il professor Gruttadauria, c’è stato “almeno un anno di tempo per accorgersi che si stava propagando qualcosa”.
La ricostruzione temporale, ha proseguito Gruttadauria, è “verosimile rispetto a quanto abbiamo visto sulla fune”, cioè guardando alla frattura e a “come si è propagata la cricca”, cioè la frattura stessa.
“Il fenomeno di corrosione è un processo piuttosto lento per quanto riguarda il materiale e l’ambiente in cui ha lavorato. Se la fatica fosse stata accelerata, la corrosione non avrebbe avuto modo di intervenire e intaccare il metallo. Siccome si è stabilito giustamente che (le cause, ndr) sono fatica e corrosione, allora per forza dobbiamo avere dei tempi abbastanza lunghi”, quantificabili in “almeno un anno”
(da agenzie)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile LA PIATTAFORMA ON LINE “PARTE DA NOI” RACCOGLIE 11.500 ISCRITTI IN TRE GIORNI
Sono passati appena dieci giorni da quando Elly Schlein ha lanciato la sua candidatura alla segreteria del Partito Democratico, con la campagna ‘Parte da noi!’ lanciata al Monk di Roma. E la risposta del popolo dem, di coloro che sperano in un profondo rinnovamento del partito, degli elettori di sinistra che vogliono ricostruire una ‘casa’, un progetto in cui sentirsi coinvolti, c’è stata ed è stata forte.
Solo tre giorni fa, in un post su Facebook, Schlein aveva ringraziato i primi iscritti alla piattaforma ‘www.partedanoi.it’, che hanno subito deciso di sostenerla: “Grazie davvero a tutte le persone che si stanno già iscrivendo al link www.partedanoi.it. Mobilitiamoci tutte e tutti, alla pari, per ricostruire la sinistra”. E in pochissimo tempo è stato registrato un boom di adesioni alla campagna: al momento sono 11.500 le persone iscritte alla piattaforma online su cui è possibile firmare compilando un form.
Si tratta di sottoscrizioni che provengono da tutta Italia, da più di 2mila Comuni distribuiti in tutto il territorio nazionale. Secondo i numeri della piattaforma la prima Regione per numero di adesioni alla campagna è l’Emilia-Romagna, seguita da Lombardia e Lazio. Successo anche nelle Regioni del Sud, come Campania, Puglia e Sicilia. Un dato rilevante è anche il numero degli italiani all’estero che si sono registrati: sono al momento 300.
La mobilitazione per un nuovo Partito Democratico si è fatta sentire, dopo l’annuncio della deputata 37enne che lunedì, come atto di rispetto verso la comunità che intende coinvolgere, ha preso la tessera del partito nello storico circolo della Bolognina dove avvenne la ‘svolta’ di Achille Occhetto. Una scelta non casuale quella del luogo, perché proprio lì quasi dieci anni l’ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna ed ex europarlamentare partecipò alla sua prima assemblea del Pd.
Il principale avversario di Schlein per le primarie del Pd, che si terranno il 19 febbraio, è considerato al momento il suo ex capo, il governatore Stefano Bonaccini, in campo in ticket con il sindaco di Firenze Dario Nardella. Oltre a loro resta in corsa anche l’ex ministra Paola De Micheli. È ancora presto per prevedere l’esito della sfida, ma considerando le prime adesioni Elly Schlein parte sicuramente con una buona base su cui poter lavorare.
(da Fanpage)
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Dicembre 15th, 2022 Riccardo Fucile LA LIFE SUPPORT POTRA’ ACCOGLIERE 175 MIGRANTI
C’è una nuova Ong in missione nel Mediterraneo. È salpata ieri dal
porto di Genova per la sua prima missione la nave Life Support di Emergency diretta nelle acque del Mediterraneo Centrale.
Come riporta la l’ong in una nota, con questa iniziativa Emergency rinnova l’impegno verso chi non vede riconosciuti né tutelati i propri diritti, primo tra tutti il diritto alla vita.
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) dal 2014 ad oggi sono oltre 20.000 le persone morte o scomparse nella rotta del Mediterraneo centrale, ovvero una media di sei persone al giorno. Solo nel 2022 sono oltre 1.300 le persone che hanno perso la vita o che risultano disperse nella rotta migratoria più pericolosa al mondo.
La nave, lunga 51,3 metri e larga 12, può arrivare ad accogliere fino a 175 naufraghi, oltre al personale di bordo. Il team della Life Support è composto da un totale di 28 persone, di cui 9 marittimi e 19 dello staff Emergency. In particolare il team sanitario è formato da due infermieri, un medico e due mediatori culturali, con esperienza nei progetti dell’associazione presenti in Paesi come Italia, Libia, Yemen, Afghanistan. Una volta soccorsi, spiega l’associazione umanitaria, i superstiti verranno sottoposti a un triage sanitario durante il quale riceveranno un codice, a seconda del quale verranno accompagnati in ambulatorio, sul main deck, in osservazione, sulle panche limitrofe o nella zona di accoglienza all’aperto.
“Che una persona perda la vita sotto le bombe in Ucraina, nelle strade di Kabul o tra le onde del Mediterraneo, per noi non fa differenza: è sempre una persona che muore ingiustamente – dice Rossella Miccio, presidente di Emergency–. Per anni lo staff di Emergency ha prestato servizio sulle navi umanitarie di altre Ong contribuendo a salvare migliaia di esseri umani. Oggi, dopo mesi di lavoro, andiamo in mare con una nostra nave, la Life Support, per ribadire il nostro impegno per il diritto alla vita per tutti”.
Pietro Parrino, direttore del Field Operations Department di Emergency spiega che “La Life Support interviene in un luogo considerato come la frontiera più pericolosa per i migranti, sia per numero di morti sia di persone disperse. È il nostro modo di continuare a fare la nostra parte, ricordando che il soccorso in mare è un obbligo previsto dal diritto del mare ma anche un obbligo morale”.
In supporto del nuovo progetto dell’associazione ci sono anche due artisti, il cantautore Daniele Silvestri e lo street artist Tvboy. Silvestri nel video ‘Le Navi’, realizzato a bordo della nave Life Support ha dichiarato: “Una nave in mezzo al mare: un’immagine semplice e potentissima, ma anche l’unica che riesce a mettere insieme due emozioni opposte: la più grande speranza e la più grande disperazione”. Il cantautore, accompagnato dal fagotto di Marco Santoro, fa riferimento alla disperazione dei migranti che rischiano la propria vita per arrivare in Europa ed esprime la speranza che “navi come questa possano intercettare le storie dei migranti prima che scompaiono sotto queste onde. E questa speranza è forse la più giusta, ed è un dovere”.
Sulla tuga della Life Support l’opera dell’artista Tvboy. L’esponente del movimento della Street Art ha voluto esprimere la propria vicinanza ai naufraghi che troveranno riparo a bordo e all’equipaggio della nave realizzando l’opera ‘Emerge’, un murale di 3×2 metri che rappresenta due braccia che si afferrano tra le onde. Sulle murate della nave invece è stata scritta la frase di Gino Strada, chirurgo e fondatore di Emergency: “I diritti sono di tutti, altrimenti chiamateli privilegi”, che riassume la filosofia che ispira il lavoro dell’ong.
(da Fanpage)
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