Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
SE IL PULPITO È QUELLO DELL’EX CONSULENTE DI ROMEO CHE COMUNICAVA CON LUI ATTRAVERSO PEZZI DI CARTA PER ELUDERE LE CIMICI? … QUALCHE DUBBIO SULLA CREDIBILITÀ DELLA PREDICA CI VIENE
Da Lilli Gruber la predica sulla questione morale ce la propina Italo Bocchino,
direttore del Secolo d’Italia, ex parlamentare del centrodestra, imputato nel processo Consip per traffico d’influenze illecite insieme a Tiziano Renzi e Alfredo Romeo relativo alla gara FM4 da 2,7 miliardi di euro.
Bocchino è schifato “tre volte”, mica una soltanto. “Mi fa schifo e basta”. Uno. “Mi fa schifo perché queste persone sono state trovate con pacchi di soldi a casa in un modo ignobile”. Due.”Mi fa schifo perché si sono venduti sui diritti umani, un valore che la sinistra rivendica”. Tre. Bocchino non ha tutti i torti, ma se il pulpito è quello dell’ex consulente di Romeo che comunicava con lui negli uffici di via Pallacorda a Roma attraverso pezzi di carta scritti al momento per eludere le cimici piazzate dal capitano Gianpaolo Scafarto, qualche dubbio sulla credibilità della predica ci viene
(da il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
MACRON, SCHOLZ E SANCHEZ SI SONO OFFERTI AI CRONISTI, LEI NO… NESSUNA CONFERENZA STAMPA, NESSUNA DOMANDA, NESSUNA RISPOSTA. SUONA COME UNA BARZELLETTA
Primo Consiglio europeo di Giorgia Meloni. C’è grande attesa per il suo debutto al tavolo dei leader dell’Unione. Al suo arrivo, la presidente del Consiglio concede un rapido passaggio ai giornalisti, giusto di qualche minuto, senza che venga però comunicato a tutti l’appuntamento. Un errore, certo, ma si può sempre recuperare con la conferenza stampa al termine del vertice europeo. In fondo, è quello il momento più importante di confronto con la stampa.§
Ed è lei, Meloni, la star di questo Consiglio, che suscita curiosità nei media stranieri, persino più del premier francese o del cancelliere tedesco. Tutti pronti a chiederle conto dell’approccio avuto durante il Consiglio, del suo rapporto con Parigi, di energia, immigrazione, Qatargate: i taccuini sono pieni.
Così, con la sete che aumenta, i cronisti attendono di conoscere la sala dedicata alla conferenza stampa italiana. Il francese Emmanuel Macron, il tedesco Olaf Scholz e lo spagnolo Pedro Sanchez, così come gli altri leader, si presentano pian piano ai giornalisti e rispondono alle domande. L’italiana Meloni no: nessuna conferenza stampa, nessuna domanda, nessuna risposta. Suona come una barzelletta, ma non fa ridere per niente.
(da La Stampa)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
PAPA FRANCESCO COMPIE 86 ANNI: “MI MANCA NON POTER CAMMINARE PER STRADA, NON POTER USCIRE. A BUENOS AIRES ERO MOLTO LIBERO. USAVO I MEZZI PUBBLICI, MI PIACEVA VEDERE COME SI MUOVEVANO LE PERSONE. IL CONTATTO CON LE PERSONE MI RICARICA, PER QUESTO NON HO CANCELLATO NEANCHE UN’UDIENZA DEL MERCOLEDÌ”
Papa Francesco – nel giorno del suo 86° compleanno – rivendica la bontà
della decisione di non sottoporsi a un intervento chirurgico per ovviare alla gonalgia che lo affligge da diverso tempo: «Si governa con la testa e non con il ginocchio», dice. E se qualche volta qualcuno abusa della sua fiducia o anche solo delle sue parole, lui invita a leggere le sue parole nel contesto in cui sono state pronunciate, per non sbagliare interpretazione.
«A volte lo fanno con un’ermeneutica previa a ciò che ho detto, per portarmi dove vogliono che vada: “Il Papa ha detto questo”», spiega in un0’intervista alla testata spagnola ABC, le cui anticipazioni sono state distribuite oggi e che verrà pubblicata in integrale domani. Subito aggiunge: «Sì, ma l’ho detto in un determinato contesto. Se la si toglie dal contesto significa un’altra cosa».
Non c’è mai stato un pontefice così disponibile alle interviste e alle conferenze stampa. «I tempi cambiano», replica lui. «Sto già camminando, la decisione di non farmi operare si è rivelata giusta», aggiunge Bergoglio. Se gli si dice «La trovo molto bene» lui replica: «Sì, ho già raggiunto l’età in cui si deve dire “Ma come stai bene!”». Ad ogni modo «si governa con la testa, non con il ginocchio».
Sono passati quasi dieci anni da quando, nel marzo del 2013, Bergoglio è stato eletto Papa, cogliendo tutti di sorpresa. «Anche io lo fui – ricorda -. Avevo prenotato il biglietto per tornare a Buenos Aires in tempo per la domenica delle Palme. Ero molto calmo». Ha imparato, in questi dieci anni, a fare il Papa, domanda il giornalista di ABC? «Non so se ho imparato o meno… La storia ti coglie dove sei».
Qualcosa gli manca, dei tempi precedenti all’elezione: «Non poter camminare per strada, non poter uscire. A Buenos Aires ero molto libero. Usavo i mezzi pubblici, mi piaceva vedere come si muovevano le persone». Questo perché «il contatto con le persone mi ricarica, per questo non ho cancellato neanche un’udienza del mercoledì. Ma mi manca uscire per strada perché ora il contatto è funzionale. Vanno “a vedere il Papa”, quella funzione. Quando uscivo per strada, non sapevano nemmeno che fossi il cardinale».
Veri amici e approfittatori
A Santa Marta il Papa vede in realtà ancora molte persone. «Alcuni – racconta però – sembra ne approfittino e facciano intendere di essere amici del Papa per i propri interessi». Ad esempio: «Sei o sette anni fa un candidato argentino venne a Messa. Hanno scattato una foto fuori dalla sacrestia e gli ho detto: “Per favore, non la usare politicamente”. “Può star tranquillo”, mi ha risposto. Una settimana dopo, Buenos Aires fu tappezzata di quella foto, ritoccata per far sembrare che si trattasse di un’udienza personale. Sì, a volte mi usano. Ma noi usiamo Dio molto di più, quindi sto zitto e vado avanti», osserva ancora Bergoglio.
«Un Natale di pace»
Domanda inevitabile, inevitabile la riposta soprattutto di questi tempi. Quale regalo chiederebbe per questo Natale? «La pace nel mondo. Quante guerre ci sono nel mondo! Quella in Ucraina ci tocca più da vicino, ma pensiamo anche al Myanmar, allo Yemen, alla Siria, dove si combatte da tredici anni», dice il Pontefice.
Gli auguri di Mattarella
Porprio riferendosi alla situazione internazionale nel suo messaggio al Pontefice il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sottolinea tra l’altro come «acquistano particolare valore gli accorati appelli di Vostra Santità per mettere in guardia la Comunità internazionale sul rischio di una pericolosa deriva verso un conflitto generalizzato».
Mattarella rivolge al Papa «a nome degli italiani tutti e mio personale i più sinceri e cordiali auguri di benessere personale e di lunga e proficua prosecuzione del Suo alto magistero». «L’anno che si sta concludendo – osserva il Capo dello Stato – è drammaticamente segnato dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, con gravissime conseguenze per il popolo ucraino vittima di crimini efferati e per il mondo intero».
Di fronte «al tentativo di sovvertire con la violenza le norme fondamentali dell’ordinamento internazionale, nonché alle molte crisi e alle tensioni in tante aree del mondo, le coscienze di milioni di persone – credenti e non credenti – si sono interrogate sui mezzi più idonei per porre fine alle ingiustizie e difendere i diritti violati», aggiunge Mattarella.
Che nel suo messaggio torna a riferirsi a Francesco: «Risuonano con forza nelle menti e nei cuori le parole con le quali, anche in occasione di viaggi apostolici e di visite in diverse città d’Italia, Ella ha invitato a non perdere la speranza nell’avvio di concreti percorsi di dialogo, riconciliazione e solidarietà quali presupposti ineludibili per un futuro di pace».
Con l’auspicio – prosegue il presidente – «che l’ormai prossima ricorrenza del Natale possa ispirare in tutti azioni conseguenti con il valore universale della fratellanza, La prego di accogliere, Santità, oltre al mio personale saluto, i più fervidi e affettuosi auguri per il Suo compleanno e per le imminenti festività».
Il messaggio della Cei
«Beatissimo Padre, nel giorno del Suo compleanno vogliamo farLe giungere l’abbraccio forte e sincero delle Chiese in Italia», dice il messaggio che la Presidenza della Cei ha inviato a papa Francesco. «Abbiamo ancora negli occhi le immagini del Suo viso solcato dalle lacrime, mentre si rivolge alla Vergine Maria, nella Solennità dell’Immacolata Concezione, durante il tradizionale Atto di Venerazione in piazza di Spagna – vi si legge -. Nella Sua voce, rotta dall’emozione, e nel Suo capo chino abbiamo percepito il dolore e l’angoscia per il dramma di una guerra che sta coprendo, con le sue tenebre, la martoriata Ucraina». «A pochi giorni dal Natale – prosegue il messaggio -, la gioia di fronte alla vita che nasce rischia di tramutarsi nel tormento per le tante, troppe morti. Padre Santo, piangiamo con Lei, certi che il Signore che viene consolerà il suo popolo e fascerà le sue ferite».
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“CONTA IL BENESSERE DEI DIPENDENTI”… SOLO IN ITALIA, INTESA SANPAOLO IMPIEGA 75 MILA PERSONE CHE SALGONO A OLTRE 97 MILA A LIVELLO GLOBALE
Per Intesa Sanpaolo, la settimana corta di quattro giorni e i 120 giorni di smart working l’anno sono una riorganizzazione del lavoro che va incontro alle «esigenze di conciliare gli equilibri di vita professionale e lavorativa e dimostra attenzione al benessere delle persone». In ambienti sindacali, invece, qualcuno sostiene che sia una forzatura del contratto nazionale in vigore.
Proprio mentre stanno per iniziare i negoziati per il rinnovo del contratto dei bancari. E questa sarebbe la vera motivazione, al di là dei rilievi ufficiali, per la quale i sindacati avrebbero respinto l’accordo. Un’accusa che la banca respinge con fermezza sottolineando che non si modifica in alcun modo il contratto e la sua applicazione, ma si interviene “solo” sull’organizzazione del lavoro.
Di certo, quella della banca guidata dall’amministratore delegato Carlo Messina è una rivoluzione culturale. Anche per il fatto che a portarla avanti sia il primo datore di lavoro privato del Paese: solo in Italia, Intesa Sanpaolo impiega 75 mila persone che salgono a oltre 97 mila a livello globale.
Tra le principali novità, c’è l’evoluzione dello smart working con la possibilità di lavoro flessibile fino a 120 giorni all’anno, senza limiti mensili e la settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative a parità di retribuzione, su base volontaria e compatibilmente con le esigenze tecniche – organizzative e produttive della banca. Tradotto: chi vorrà potrà richiedere di aderire alla nuova organizzazione, a patto che sia compatibile con la propria funzione.
Nel dettaglio, la proposta che sarà avanzata al personale dal primo gennaio prevede la possibilità di aumentare su base volontaria il lavoro flessibile da casa fino a 120 giorni all’anno, con un’indennità di buono pasto di 3 euro al giorno, per tener conto anche delle spese sostenute lavorando da casa, e di lavorare 4 giorni a settimana aumentando a 9 le ore giornaliere su base volontaria, a parità di retribuzione, senza obbligo di giorno fisso.
Da gennaio, i dipendenti di Intesa Sanpaolo potranno accedere – individualmente – a queste modalità ritenute dalla banca «ulteriormente migliorative rispetto a quelle attuali». Sarà anche avviato un periodo di sperimentazione in circa 200 filiali. Il nuovo modello organizzativo arriva al termine del confronto con le organizzazioni sindacali che, pur «svolgendosi in maniera proficua e costruttiva», non ha trovato una «condivisione sul complesso dei contenuti», spiega la banca.
Per i sindacati (Fabi – First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin) si tratta di una «chiusura incomprensibile da parte dell’azienda» per questo annunciano che verificheranno «passo dopo passo le modalità con le quali l’azienda si attiverà unilateralmente perché ogni soluzione diversa dalle previsioni del contratto nazionale di lavoro è inaccettabile».
Oltre a un contributo economico e al riconoscimento di un buono pasto identico che lavora in sede e chi lavora in modalità agile, i sindacati richiedono che l’accordo sia subito in vigore per tutti e non solo per le principali filiali dei gruppo. Un’ipotesi che il gruppo non prende in considerazione spiegando che si tratta di una «sperimentazione».
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
ARRIVA PURE IL CONDONO PENALE: A QUANDO UNA MEDAGLIA AGLI EVASORI?
Dopo un lungo tira e molla all’interno della maggioranza, cambia
radicalmente la pace fiscale che il governo Meloni ha inserito all’interno della legge di bilancio.
Come anticipato dal viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, un emendamento di imminente presentazione metterà nero su bianco la possibilità di estinguere una serie di “reati meramente formali”, probabilmente tramite il pagamento di una sanzione aggiuntiva.
Nella lettura di Sisto, si tratterebbe di una norma perfettamente in linea col progetto di pace fiscale del governo, nell’idea che “adempiere integralmente all’obbligazione fiscale, con una sanzione aggiuntiva, possa legittimare una sorta di causa estintiva per condotta riparatoria per reati meramente formali, non certo in caso di frodi”.
Una decisione destinata comunque a scatenare polemiche, tant’è che in queste ore dagli ambienti di governo ci si affanna a parlare di “perdono fiscale”, in luogo della controversa parola “condono”.
Il punto è che l’intervento dovrebbe riguardare diverse fattispecie di reato, tra cui l’omessa dichiarazione, l’omesso versamento e persino la dichiarazione infedele.
E il meccanismo dovrebbe essere quello “tipico” del condono: pagare la cifra dovuta senza incorrere nelle conseguenze penali. Una scelta che, nella lettura del governo, rappresenterebbe un’opportunità per gli evasori, che si metterebbero in regola pagando l’intera somma ma senza ripercussioni di carattere giudiziario e allo stesso tempo consentirebbe di ottenere un gettito aggiuntivo.
Nelle prossime ore, dunque, capiremo la portata complessiva dell’intervento del governo, che già ha dato il via libera all’estinzione delle cartelle esattoriali con importi inferiori a 1000 euro (fino al 2015), al saldo e stralcio di quelle fino a 3000 euro e al contenimento di sanzioni e interessi per le altre.
(da Fanpage)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
PERDERANNO IL SUSSIDIO ANCHE QUEI PERCETTORI CHE UN IMPIEGO CE L’HANNO GIA’, MA CON SALARI DA FAME
Nella guerra ai poveri dichiarata dal Governo Meloni c’è un particolare sottoinsieme di vittime che rischia di essere doppiamente beffato: quello di chi un lavoro ce l’ha, ma viene pagato talmente poco da avere comunque diritto al Reddito di cittadinanza.
Queste persone si vedranno tolto il sussidio pur essendo palesemente estranee alla categoria dei «divanisti» additata di indolenza dalla narrazione della destra. Dunque non solo perderanno l’assegno integrativo che consente loro di arrivare a fine mese (prima beffa), ma lo perderanno in virtù di un’offensiva contro una classe antropologica – quella dei «fannulloni» – alla quale nemmeno possono essere accusati di appartenere (e qui sta la seconda beffa).
«Per chi è in grado di lavorare la soluzione non è il Reddito di cittadinanza, ma il lavoro», non perde occasione di rimarcare la presidente del Consiglio Meloni.
Nella sua prima manovra finanziaria il Governo ha gettato le basi per l’abolizione dell’assegno contro la povertà introdotto solo tre anni fa dal Movimento 5 Stelle: a partire da settembre 2023 saranno estromessi dal Rdc gli «occupabili», ossia coloro che sono potenzialmente in grado di lavorare.
Ma nel fuoco di fila contro «quelli che preferiscono starsene sul divano anziché cercarsi un lavoro» finiranno impallinate anche persone che un’occupazione ce l’hanno (solo che prendono un stipendio talmente basso, o sono impiegati con contratti talmente precari, che rientrano fra gli indigenti).
Di quanti individui stiamo parlando? Fare una stima non è semplice. L’ultimo bollettino dell’Anpal scatta una fotografia al 30 giugno scorso: i percettori del Reddito “indirizzati ai servizi per il lavoro” (dunque occupabili) erano 833mila; di questi, circa 173mila (il 20,7%) risultavano occupati, la maggior parte dei quali con un contratto a tempo indeterminato (ma fra gli under 30 prevalgono i contratti a termine).
Numeri diversi emergono dal Rapporto annuale dell’Inps, che guarda all’intero 2021: qui la platea di partenza è costituita dai “percettori stabili” del Rdc, ossia coloro che hanno ricevuto l’assegno per almeno undici mensilità su dodici indipendentemente dalla loro abilità al lavoro.
Ebbene, su 2 milioni di “percettori stabili”, sono 393mila quelli che nel corso dell’anno passato hanno lavorato almeno una settimana: cioè uno su cinque. Si tratta in prevalenza di dipendenti del settore privato con contratti a tempo determinato (in molti casi stagionali del settore ristorazione) che guadagnano in media la miseria di 6mila euro lordi in un anno e che dunque, almeno per ora, hanno diritto al sostegno pubblico.
Questi lavoratori poveri svelano la falsa equivalenza “percettore di Rdc uguale disoccupato senza voglia di lavorare mantenuto dallo Stato”. Perché oggi non basta avere un’occupazione per riuscire a galleggiare sopra la soglia di povertà.
E ciò è particolarmente vero in Italia, l’unico Paese dell’area Ocse dove tra il 1990 e il 2020 i salari sono diminuiti (del 2,9%) anziché aumentare (in Germania e Francia, ma anche in Grecia, nello stesso periodo di tempo le buste paga sono cresciute del 30%).
L’esito che ne consegue è che secondo i più recenti dati di Eurostat figuriamo al quarto posto in Europa per percentuale di “working poor”, ossia lavoratori a rischio povertà: da noi sono l’11,7% degli occupati; solo in Romania, Lussemburgo e Spagna va peggio, mentre la media Ue è dell’8,9%.
Colpa anche di quella sterminata giungla di contratti atipici che negli ultimi vent’anni hanno precarizzato in misura spinta il mercato del lavoro italiano: la povertà lavorativa, sottolinea l’Inps nel suo Rapporto annuale, «è il risultato di un processo che va oltre il salario e riguarda i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno) e la composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo), oltre che l’azione redistributiva dello Stato».
Sono 1,9 milioni le famiglie italiane in cui l’unico componente occupato è un lavoratore “non-standard”, cioè a tempo determinato o collaboratore o in regime di part-time involontario: questi occupati “vulnerabili” (così li definisce l’Istat) sono ormai quasi 5 milioni nel nostro Paese, pari a un quinto del totale degli occupati; e quasi la metà dei dipendenti a termine ha un’occupazione di durata pari o inferiore ai sei mesi. Se a tutto questo aggiungiamo, adesso, anche l’inflazione che galoppa a due cifre, la miscela diventa esplosiva.
In un rapporto diffuso la scorsa settimana, intitolato “I lavoratori e le lavoratrici a rischio di bassi salari in Italia”, il Forum Disuguaglianze e Diversità sottolinea come «i redditi da lavoro sono diventati più diseguali, passando da un indice di Gini pari a 36,6 punti nel 1990 al valore di 44,7 nel 2017» (l’indice di Gini è un coefficiente che misura statisticamente i livelli di disuguaglianza).
Nello stesso arco temporale la soglia sotto alla quale si può parlare di salari “bassi” – ossia inferiori al 60% della mediana delle retribuzioni – si è abbassata dell’8%: dagli 11.673 euro annui del 1990 ai 10.919 del 2017. In altre parole, i salari bassi sono diventati ancora più bassi.
E di pari passo la quota di lavoratori che ricevono buste paga sotto quella soglia è aumentata: dal 25,9 al 32,2%. Significa che, fatto 100 il salario medio in Italia, un occupato su tre prende meno di 60.
Il quadro è diverso a seconda del settore: nei ristoranti e negli alberghi, ad esempio, è addirittura il 64,2% dei lavoratori a dover fare i conti con salari bassi; nei servizi il 45,9%, nel comparto immobiliare il 41,7%, nella Pubblica Amministrazione il 42,3%, nella Sanità e nell’Istruzione il 35%.
Negli ultimi tre anni centinaia di migliaia di lavoratori poveri hanno ricevuto ossigeno vitale grazie al Reddito di cittadinanza. Ma fra meno di un anno, quando entreranno in vigore le nuove regole decise dalla destra, queste persone dovranno arrangiarsi da sole con le loro paghe da fame e saltuarie.
E dire che il centrosinistra – che ha espresso ben quattro degli ultimi sei ministri del Lavoro e delle Politiche sociali – ha avuto dieci anni di tempo per introdurre un salario minimo legale, ma non l’ha fatto. Un’altra beffa, per i working poor italiani.
(da TPI)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
IL VACCINO SARA’ AGGIORNATO OGNI ANNO
“E’ probabile che dovremo aggiornare regolarmente i vaccini anti-Covid per
offrire la rivaccinazione ai gruppi vulnerabili, come facciamo” ogni anno “con il vaccino antinfluenzale”.
E’ lo scenario prospettato da Marco Cavaleri, responsabile della strategia per le minacce sanitarie e i vaccini dell’Agenzia europea del farmaco Ema, durante il periodico briefing per la stampa, l’ultimo del 2022.
“Il virus” Sars-CoV-2 “è qui per restare” con noi. “Dovremo muoverci prudentemente verso una nuova normalità, utilizzando al meglio gli strumenti che possono proteggerci, a partire dai vaccini” anti-Covid, ha sottolineato Cavaleri.
“Anche se” in questo momento “i tassi di casi Covid sono generalmente stabili in Europa, la situazione può cambiare molto rapidamente a causa delle sottovarianti emergenti”, come la famiglia discendente di Omicron 5 in ascesa in Ue, BQ.1 e BQ.1.1, battezzata ‘Cerberus’ sui social, ha evidenziato ancora. “La situazione può cambiare molto rapidamente come stiamo già vedendo ad esempio negli Stati Uniti in questo momento”, ha spiegato.
“L’Ecdc”, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, e “l’Organizzazione mondiale della sanità” per l’Europa “hanno affermato che l’epidemia stagionale di influenza ha preso il via precocemente” in quest’area “e il virus respiratorio sinciziale” Rsv “è in crescita da ottobre”, mentre il Covid resta sempre una minaccia. “C’è un alto rischio che la co-circolazione di Rsv, influenza e Sars-CoV-2 metta sotto pressione i sistemi sanitari europei nelle prossime settimane e questo è già stato segnalato in diversi Paesi europei”, ha aggiunto Cavaleri.
E’ “estremamente importante che le popolazioni vulnerabili – anziani, donne incinte, pazienti immunocompromessi – vengano rivaccinati contro l’influenza e contro Covid-19”, ha sottolineato. “La valutazione rapida del rischio effettuata dall’Ecdc – ha spiegato Cavaleri – mostra che quest’anno c’è più attività dell’Rsv ed è iniziata prima che nelle stagioni pre-Covid. Sebbene questo sia un comune virus respiratorio che di solito causa lievi sintomi simili al raffreddore, può essere grave soprattutto per i neonati, i bambini piccoli e gli anziani.
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“DOBBIAMO COMBATTERE ANCORA PER LA NOSTRA TERRA”
L’ex attaccante di Milan e Chelsea Andriy Shevchenko è di recente tornato dall’Ucraina, dove si è recato per incontrare il Presidente Zelensky e sostenere il Paese invaso dalla Russia.
In un’intervista esclusiva a Sky Sport, ha raccontato la sua esperienza e i momenti di paura vissuti. Che includono un incontro ravvicinato con un missile. Mentre di trovava a Kiev, infatti, un drone dell’esercito del Cremlino avrebbe colpito la città.
L’ex stella delle Serie A ha spiegato che in quel momento si trovava a «circa 2 km dall’attacco». «La sensazione (dall’esplosione) è stata molto forte – ha proseguito -. Uno dei generatori elettrici centrali (è stato colpito), come tutti sappiamo i russi stanno cercando di colpire l’infrastruttura critica». Dalle sue parole trapela turbamento ma non sorpresa: «Quando mi trasferisco in una zona di guerra so che potrebbe succedere».
Schevchenko era tornato a Kiev anche per per lanciare un nuovo progetto. «Mentre ero lì, abbiamo fatto una chiamata tramite Zoom tra l’ambasciatore degli Stati Uniti e Usyk (il campione del mondo di boxe Oleksandr): abbiamo parlato di come aiutare il popolo ucraino in questa situazione. Ora iniziamo una raccolta fondi per tutte quelle persone che hanno bisogno di generatori elettrici. Sono importanti soprattutto per gli ospedali che in questo modo avranno la possibilità di salvare la vita delle persone».
Il ritorno a casa
«È una sensazione incredibile quando vai lì – racconta l’ex calciatore – Le persone soffrono ma sono molto unite. Sappiamo cosa dobbiamo fare, sappiamo come sopravvivere, sappiamo che dobbiamo essere uniti insieme. Quando l’elettricità torna in alcuni posti, chiami i tuoi amici e li inviti a casa, fai una doccia, condividi del cibo. Questo è quello che fanno le persone, collaborano solo per cercare di aiutarsi a vicenda». Definisce la forza dell’Ucraina «indistruttibile»: «Non abbiamo scelta. Abbiamo un obiettivo molto chiaro: stiamo combattendo per la nostra terra, per il nostro futuro». Adesso, Shevchenko si trova a Doha, ospite della Fifa in occasione dei Mondiali di calcio. Ma anche dalla capitale Qatarina, scrive Sky Sport, continua a tenere incontri con influenti politici di tutto il mondo, lanciando appelli per un maggiore sostegno al popolo ucraino invaso dalla Russia.
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
GLI USA CRITICANO IL FONDATORE DELL’ENI CHE AVREBBE ACQUISTATO PER 5 MILIONI IL TITOLO DI GENERALE DEL CLN
Il capo della Cia a Roma non sembra avere dubbi: Enrico Mattei era un
fascista, si era rifatto l’immagine comprando per cinque milioni di lire il titolo di partigiano dai democristiani, e forse per queste sue origini si oppone agli interessi americani in Italia.
Lo pensa e lo scrive, Lester Simpson, in un rapporto inviato l’11 agosto del 1955 alla “Company”, intitolato “U.S. Embassy and Italian Petroleum Industry”. Un documento che forse aiuta a chiarire, se non riaprire, il caso della misteriosa morte del leader dell’Eni.
Giovedì sera i National Archives di Washington hanno pubblicato 13.173 documenti finora segreti sull’omicidio del presidente Kennedy, perché lo aveva ordinato nel nome della trasparenza il John F. Kennedy Assassination Records Collection Act, approvato dal Congresso nel 1992. L’Italia è citata in almeno sei occasioni. La più curiosa forse è quella riguardo Clay Shaw, l’imprenditore di New Orleans accusato dal procuratore Jim Garrison di aver cospirato con la Cia e gli attivisti David Ferrie e Guy Banister per organizzare il complotto di Dallas, ma poi assolto nel 1969. Il sospetto era che Shaw avesse rapporti con il Centro Mondiale Commerciale, ritenuto in realtà un’attività di copertura della Cia nel nostro paese, così come la compagnia Permidex, per trasferire fondi usati nelle operazioni di spionaggio. Gli agenti segreti avevano indagato, ma non avevano trovato conferme. Un altro documento rivela l’esistenza di «una piccola colonia cubana in Italia, attivamente impegnata in attività rivoluzionarie militari destinate a Fidel». Un testo risalente agli anni Cinquanta descrive il tentativo del Partito comunista del Territorio libero di Trieste di usare l’Unità per pubblicare foto imbarazzanti dell’allora ambasciatrice americana in Italia, Clare Boothe Luce. Un cablo invece parla del ruolo di Annie De Quendoz, definita come «amante sia di Che Guevara, sia di Fidel». Poi c’è un documento che risponde alla richiesta di eventuali tracce dell’assassino Lee Harvey Oswald in Italia, e uno che elenca i diplomatici cubani in servizio nelle ambasciate di Roma presso lo Stato italiano e il Vaticano.
Facendo una ricerca sull’Italia, però, viene fuori anche il rapporto segreto del 1955 su Mattei, che comincia così: «La grande maggioranza delle compagnie petrolifere italiane, che fino al IV World Petroleum Congress si opponevano all’Eni, ora presentano un fronte unito con Enrico Mattei, nella sua opposizione allo sfruttamento dei depositi italiani da parte degli interessi americani». Quindi Simpson spiega: «Questa nuova situazione è il risultato di informazioni confidenziali e consigli forniti ai gruppi petroliferi italiani e a Mattei stesso da Remigio Danilo Grillo. Grillo, vicedirettore generale per gli Affari politici al ministero degli Esteri italiano, è un ex “squadrista” e cagnolino di Galeazzo Ciano, grazie alla cui influenza ha fatto carriera».
Il complotto anti americano si fa subito assai pericoloso: «Quando a Roma si è saputo che la signora Luce sarebbe stata nominata ambasciatrice in Italia, un incontro segreto era stato tenuto nella casa di Junio Valerio Borghese per ideare come agganciarla». Grillo e altri “gentiluomini” ricevono l’incarico di lavorarsi Clare: «Questi individui, nell’alta società romana, sono conosciuti come i “sommozzatori”». Grillo riesce ad entrare in confidenza con l’ambasciatrice e «un risultato di ciò è il cambiamento della tattica adottata dalle compagnie petrolifere italiane verso gli americani». Questo perché le aziende Usa «sono determinate ad assorbire tutta la produzione italiana, e hanno già mandato rappresentanti per sondare le personalità del settore con proposte di acquisto». Tra gli altri viene sentito il presidente dell’Api Peretti, che informa subito il dirigente del ministero dell’Industria Lo Monaco, il quale a sua volta ne parla con Mattei e «un conclave di leader del settore», riuniti a luglio in una località fuori Roma.
Secondo il rapporto, l’attivismo di Luce a favore delle “Sette sorelle” rallenta dopo la caduta del premier Scelba, ma i suoi collaboratori continuano a lavorare col successore Segni: «L’attitudine dei circoli del settore petrolifero italiano, informati di queste presunte manovre degli Usa, è ostile. Loro sanno che gli americani hanno sostenuto finanziariamente la destra nelle recenti elezioni siciliane, e temono che attraverso l’ampio uso del dollaro riescano a demolire tutte le resistenze italiane. La diffidenza è arrivata al punto che pochi giorni fa, quando l’agente di una compagnia petrolifera americana ha chiesto un appuntamento a Mattei, lui ha detto che era fuori città, partendo immediatamente per la Costiera amalfitana».
A questo punto Simpson spiega le probabili origini dell’ostilità del capo dell’Eni: «Mattei stesso era un fascista fino al 1945. Aveva iniziato a lavorare nella Resistenza dopo l’8 settembre, facendo però attenzione allo stesso tempo di conservare i rapporti con i tedeschi. Come parte di questo processo, sua moglie era diventata l’amante di un capitano austriaco che era un ufficiale molto importante nella SD tedesca», ossia il servizio di intelligence delle SS Sicherheitsdienst. «Quando era diventato chiaro che la vittoria degli Alleati era certa, Mattei aveva pagato cinque milioni di lire ad un leader partigiano della DC, per ottenere il titolo di capo partigiano della DC e il grado di generale della Resistenza nel CLN. La sua nomina era stata approvata dal generale Cadorna e dal colonnello Argenton, ora braccio destro di Mattei».
Sei anni dopo, il 13 giugno del 1961, la Cia torna ad occuparsi del capo dell’Eni nella National Intelligence Estimate, con 12 pagine intitolate “The Outlook for Italy”. La bocciatura è netta: «L’Ente nazionale italiano degli idrocarburi, guidato da Enrico Mattei, è diventato uno Stato nello Stato». Quindi il rapporto aggiunge un giudizio definitivo: «Il monopolio che esercita nel settore petrolifero probabilmente continuerà a provocare frizioni fra Italia e Stati Uniti», a causa degli investimenti nel mondo arabo e i crescenti scambi con l’Unione Sovietica.
Poco più di un anno dopo, il 27 ottobre 1962, la torre di controllo dell’aeroporto di Linate perde i contatti con il piccolo bireattore “Morane Saulnier” di proprietà dell’Eni. A bordo ci sono Mattei, il giornalista inglese William McHale e il pilota Imerio Bertuzzi. L’aereo era decollato da Catania alle 16.57, dopo una breve visita del capo dell’Eni destinata ad essere seguita da un viaggio in Algeria, durante il quale era in programma la firma di un accordo per la produzione di greggio che sfidava gli interessi delle maggiori compagnie petrolifere occidentali. Alle 18.57 il “Morane Saulnier” non risponde più via radio. I resti vengono trovati in un campo della località di Bascapè, provincia di Pavia, a pochi minuti di volo in linea d’aria dallo scalo di Linate. Nessuno dei tre passeggeri sopravvive.
(da La Repubblica)
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