Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
IL QUADRETTO NATALIZIO
Le cronache italiche riferiscono con malcelata emozione del pianto della presidente Meloni nelle braccia della presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello al Museo Ebraico.
La sceneggiatura è in effetti ghiotta e straniante: la donna di destra, che non ha mai rinnegato il fascismo (di cui anzi dichiarò, giovanissima, di ammirare il capo), si scioglie in lacrime durante l’accensione della seconda candela di Chan
ukkah e fa un discorso in cui definisce le leggi razziali “un’ignominia”. Un ottimo quadretto di conciliazione natalizia.
A ben vedere, il discorso di Meloni è un’operazione che mira a tutt’altro. “La storia di questa festa”, esordisce, “è la storia di un popolo che combatte per difendere la sua identità, le sue tradizioni, la sua fede, la sua libertà”; questa asserzione le offre il trampolino per un’operazione sconcertante: asserire che anche oggi è “un tempo nel quale identità, tradizioni e fede sono spesso considerati un limite quando non addirittura un nemico”.
Non specifica da chi, in quale contesto e Paese, ma c’è da escludere che parli di regimi tirannici. Meloni sta parlando delle nostre identità, fede e tradizioni; infatti prosegue: “Io penso che sia estremamente prezioso ricordare che senza quello che ci definisce… che ci portiamo dietro e dà profondità alle nostre esistenze, non possiamo avere la forza né la consapevolezza né le ragioni giuste per affrontare adeguatamente le tante sfide che abbiamo di fronte”.
In effetti i campi di concentramento sono stati una bella sfida, ma basta non arrendersi: “Il popolo ebraico questo l’ha sempre saputo… e questa è la ragione per la quale la sua identità e le sue tradizioni hanno attraversato i millenni e sono ancora così vive, è stata questa capacità che ha reso il popolo ebraico così resiliente pur avendo attraversato tante difficoltà, atrocità, compresa l’ignominia delle leggi razziali”.
Così, con una spregiudicata operazione di spostamento di un preciso contesto storico e delle atrocità che l’hanno caratterizzato, Meloni ripete il credo della destra mondiale, secondo la quale è in atto una persecuzione dell’identità cristiano-europea ad opera di agenti distruttori esterni, noti a chi ha letto le Tesi di Trieste, il manifesto di Fratelli d’Italia: islamizzazione, immigrazione, denatalità e sostituzione etnica, feticcio fantasy e classica peripezia da fiaba da superare per sopravvivere come popolo.
Delle leggi razziali, nel discorso di Meloni, è ignoto l’autore. Dureghello ha detto che le parole di Meloni “contribuiscono a contrastare definitivamente le ambiguità che in una parte del Paese sono ancora presenti sul fascismo e sulle sue responsabilità”.
Ma questo non è affatto vero: Meloni non attribuisce a nessuno la responsabilità delle leggi razziali, tantomeno al fascismo, che manco nomina.
Al contrario di quel che dice Dureghello, Meloni cavalca proprio l’ambiguità grazie alle quali le leggi razziali sono ricordate dagli eredi dei fascisti come un incidente di percorso di Mussolini o al più come un attacco alle “tradizioni” ebraiche.
Invece furono i fascisti ad aiutare i nazisti nel rastrellamento del Ghetto il 16 ottobre 1943 (1024 persone deportate, 200 bambini, solo 16 persone tornate vive). Per tutto ciò, le lacrime di Meloni sono una ignobile farsa.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
AL CENTRO C’E’ IL 75ENNE AVVOCATO FEDERICO TEDESCHINI, PROFESSORE DI DIRITTO IN PENSIONE CHE SI MUOVE NEI PALAZZI DEL POTERE, CON AGGANCI ALL’INTERNO DELLA MAGISTRATURA, DEL GIORNALISMO E TRA I CAPI DI GABINETTO DEI MINISTERI: “DICO A MINZOLINI SE PARLA A FRATTINI”
Il giudice è frustrato, deluso. Non riesce a fare carriera. E allora per scalare
le posizioni all’interno del Tar del Lazio bussa alla porta del principe del foro. Chiede l’aiuto dell’avvocato influente, Federico Tedeschini, 75 anni, professore di diritto in pensione. Il legale si mette subito al lavoro.
Si muove nei palazzi del potere, ha agganci all’interno della magistratura, del giornalismo e tra i capi di gabinetto dei ministeri. Ovviamente le pedine che muove l’amministrativista a favore di Silvestro Maria Russo, 66 anni, hanno un costo. Russo si dà da fare per far ottenere sentenze favorevoli allo studio Tedeschini, almeno in tre casi secondo la procura.
L’affaire si è chiuso ieri. Corruzione in atti giudiziari. Russo è stato sollevato dall’incarico, sospeso. Il protagonista principale di questa vicenda è stato arrestato.
Tedeschini è ai domiciliari, assieme a un altro legale, Pierfrancesco Sicco, coinvolto in un altro scambio di favori con il Commissario ad acta della provincia di Imperia, Gaia Checcucci.
Da gennaio a luglio del 2022 i carabinieri di via In Selci attaccano i telefoni dell’avvocato e del magistrato. Le conversazione restituiscono un quadro chiaro. Il patto criminale instaurato tra i due. L’obiettivo è far promuovere Russo, il ruolo ambito è quello di presidente della III sezione del Tar del Lazio. Il risultato viene raggiunto il 25 febbraio del 2022. La strategia perseguita da Tedeschini per arrivare a meta è chiara, così viene sintetizzata dal gip Roberta Conforti: «Nella conversazione captata nello studio Tedeschini, il 31 gennaio 2022, Russo deluso dall’ennesima mancata nomina da parte del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, chiedeva aiuto al legale prospettando la strada da percorrere: “la strategia sarebbe far emergere questa storia”».
Questo il ricatto: uno scandalo da far esplodere sui giornali in merito ad alcune nomine sospette nella giustizia amministrativa qualora Russo non avesse incassato i gradi di presidente di una sezione al Tar. In caso di promozione di Russo nessuno avrebbe sollevato il caso sulle pagine dei quotidiani.
«Tedeschini quindi proponeva di parlarne con Augusto Minzolini, direttore di una testata giornalistica nazionale, “lui è proprio un mio amico”. Avrebbe potuto avvicinare il presidente del Consiglio di Stato, ( ex ministro degli Esteri, ndr) Franco Frattini ” lui conosce molto bene Frattini”». «Russo accettava la proposta di Tedeschini e immediatamente l’avvocato avanzava – spiega il gip – la richiesta di ” una cortesia, che non ti chiederei se non fosse una cosa che mi riguarda personalmente”».
Si tratta del primo di tre giudizi su cui Russo si sarebbe mosso per favorire l’avvocato. La prima richiesta riguarda una causa in cui è coinvolta la Fondazione Ymca Italia, di cui Tedeschini è il presidente. Le altre due riguardano delle imprese, rappresentate dall’avvocato, escluse da un appalto comunale di progettazione per la riqualificazione di piazza dei Cinquecento. Gli investigatori lavorano al caso. Non emergono gli aiuti di Frattini e Minzolini vantati da Tedeschini. Ad ogni modo, però, c’è il reciproco aiuto che il magistrato e l’avvocato si promettono per ottenere entrambi dei benefici. Insomma un patto corruttivo.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
POTRA’ ESSERE SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE E NON ADEGUATA… OVVERO ANCHE 500 EURO AL MESE A 800 KM DA CASA … COSI’ E’ PIU’ CHIARO CHI STA DALLA PARTE DEGLI SFRUTTATORI
Dal reddito di cittadinanza sparisce l’offerta di lavoro “congrua”. Ma il sussidio si cancella anche ai giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni che non hanno finito le scuole.
Gli emendamenti in commissione sulla Legge di Bilancio 2023 disegnano il quadro del nuovo aiuto. L’emendamento riformulato a firma di Maurizio Lupi (Noi Moderati) sopprime la parola “congrua” dal testo della norma, che attualmente prevede che i beneficiari del reddito decadano dal beneficio qualora non accettino la prima offerta di lavoro congrua.
Si reputa “congrua” l’offerta che considera le esperienze e competenze maturate e anche la distanza del luogo di lavoro dal domicilio e tempi di trasferimento. Ovvero entro 80 chilometri e raggiungibile in 100 minuti con mezzi di trasporto pubblici.
Lo studio e il sussidio
Con la modifica approvata la prima proposta di lavoro potrà essere localizzata in qualunque zona del territorio nazionale. E chi non la accetta vedrà l’annullamento del sussidio.
Si restringe anche la platea dei percettori. Con il criterio del titolo di studio. A decorrere dal primo gennaio 2023 l’erogazione del reddito di cittadinanza ai giovani tra i 18 e i 29 anni sarà condizionata al completamento del percorso della scuola dell’obbligo. L’emendamento a firma Sasso è stato approvato in nottata. Il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Valditara aveva chiesto di condizionare il sussidio al titolo di studio. Segnalando che 140 mila percettori hanno soltanto la licenza media. Questa stretta si aggiunge alla limitazione temporale: l’assegno che arriverà l’anno prossimo solo per 7 mesi invece degli 8 previsti.
(da agenzie)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
IL POST DI GLORIA SABATINI DOPO CHE IL MARITO ERA STATO FATTO FUORI DAI SEDICENTI PATRIOTI
Quando il post è stato avvistato ha fatto strabuzzare gli occhi al
centrodestra e anche se è stato rimosso lo screenshot continua a fare il giro delle chat: “La facevo più intelligente”, ha scritto Gloria Sabatini, moglie del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli e giornalista del Secolo d’Italia quando era ormai chiaro che il candidato nel Lazio sarebbe stato Francesco Rocca e non Rampelli.
Il riferimento alla premier e leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni non è esplicito, ma chiaro al punto che continua a far discutere.
È stato scritto poco dopo le dimissioni da presidente della Croce Rossa italiana da parte di Rocca che si è messo “a disposizione del territorio”, pronto “per una nuova avventura”.
Mancava solo l’ufficialità della notizia da parte dei leader di centrodestra e intanto la delusione, forse addirittura lo sdegno per la mancata candidatura di Rampelli montava.
Così, dicono le malelingue, anche Sabatini si è lasciata andare a una frase che ancora adesso suona come “incredibile e grave” a chi è stato raggiunto dallo screenshot del post su Facebook.
Già perché la giornalista poco dopo averlo pubblicato ha deciso di rimuoverlo e quel che resta è uno scatto rubato. Qualcuno, che ha subito colto il riferimento a Meloni, ha deciso di immortalare le sue parole prima che sparissero.
(da agenzie)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
IL MENTORE DELLA MELONI SCARICATO ANCHE QUESTA VOLTA… MAGARI UN GIORNO QUALCUNO SPIEGHERA’ IL PERCHE’
Il navigato capo di una Destra d’antan si mette ancora una volta sull’attenti: “Sono un soldato e faccio quel che mi dicono”.
Chi pensava che Fabio Rampelli prorompesse in una plateale protesta contro il suo partito, o contro la sua ex pupilla Giorgia Meloni, non conosce evidentemente il personaggio. Ruvido ma abituato alla disciplina. Con l’unica arma del sarcasmo: a Montecitorio, in una fugace apparizione, si concede qualche battuta per l’esclusione dalla candidatura a governatore del Lazio. Rigorosamente in romanesco: “Sono come la sora Camilla, tutti la vonno e nissuno la pija”.
Rampelli prova a scherzarci su, ricorda tutte le volte che è stato a un passo dalla nomination per il Campidoglio o per la Regione: “Sono stato candidato per tre ore nel 2013, per tre ore nel 2016 e un po’ di più nel 2018. Poi nel 2021, quando fu scelto Michetti, beh il mio nome l’avete fatto voi…”. Sintesi mirabile: “Sono un incandidabile permanente”.
E via, senza più una parola. Qualche dubbio, molto probabilmente più di uno, gli è rimasto. Ma non potremo mai sentirgli dire che c’è un fatto personale con Giorgia Meloni, la giovane militante che Rampelli accolse e allevò alla sezione di Colle Oppio. Sponsorizzandola nelle prime avventure elettorali. E che oggi lo “tradisce” di nuovo.
Al massimo, per comprendere il sentimento dell’ex capo dei Gabbiani, si può tentare di interpretare un post della moglie Gloria Sabatini dopo che è stato ufficializzato il nome di Rocca: “La facevo più intelligente”. Post subito cancellato.
Quel che resta sono borbottii, dissapori, rancori silenziosi. Un vociare che alimenta il dibattito soprattutto fra “fedelissimi”: Massimo Milani (coordinatore di Fdi a Roma), Lavinia Mennuni, Maria Teresa Bellucci, Federico Mollicone, Andrea De Priamo, Marco Scurria.
Che ciò si traduca nella nascita di una corrente critica dentro il partito, è da escludere. Ma si è comunque aperto il primo caso da quando Fratelli d’Italia è al suo apogeo, con Meloni premier.
Francesco Lollobrigida, uomo forte del partito, minimizza ma lancia un segnale preciso: “Io non so se Rampelli ci sia rimasto male. Sono certo che lui, come tutti nel partito, ha a cuore il bene comune prima delle aspirazioni personali. Così siamo diventati quel che siamo”.
Che qualcosa stesse andando storto, Rampelli lo aveva capito già nello scorso week-end, alla festa per il decennale del partito, quando Meloni invece di annunciare il nome del candidato aveva preso tempo e lanciato la “terna”. Alle otto di sabato, il vicepresidente della Camera non sapeva neppure se facesse parte di quella rosa. E l’idea di finirci dentro, in realtà, neppure lo esaltava. Comprendendo che la consultazione degli alleati, da parte della premier, avrebbe portato alla scelta di un “tecnico” quale Francesco Rocca. Rampelli ha comunque dato la sua disponibilità, confidando nei sondaggi a favore e nel consenso della classe dirigente romana di Lega e Forza Italia.
Ma alla fine, almeno ufficialmente, ha pesato il gradimento espresso da Salvini e Berlusconi nei confronti di Rocca. Di certo, Meloni con questa scelta ha evitato di spaccare il partito e ha anche risparmiato l’umiliazione della convergenza su un altro candidato di FdI, Procaccini, Trancassini (legato a Lollobrigida) o Chiara Colosimo.
Ma gioca una nuova rischiosa scommessa puntando su un civico, dopo il fallimento di Enrico Michetti. Se Rocca dovesse perdere, si riaprirebbe l’eterno dibattito sulla qualità della classe dirigente di FdI.
E chissà se, a questo punto, come rivelano fonti di Fdi, Meloni troverà un ruolo diverso per Fabio Rampelli. Qualcosa che non sia un semplice premio di consolazione, che il capo dei Gabbiani ha già fatto sapere di non gradire. Qualcuno ipotizza un’authority, una società pubblica. O la promessa di una nuova candidatura a Roma. Purché duri più di tre ore.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO SCELTO DALLA MELONI ERA ADVISOR DEL BROKER DI BECCIU… QUEI LEGAMI CON GLI EX NAR
Un candidato giusto, una garanzia per competenza ed esperienza, un
uomo del fare. Viene definito così dai big del centrodestra l’aspirante presidente Francesco Rocca.
A microfoni spenti, tra i sovranisti c’è però anche chi sostiene l’esatto contrario. E non solo per la condanna per spaccio di eroina incassata dall’ex numero uno della Croce Rossa Italiana quando aveva 20 anni o per gli ex Nar ed ex Terza Posizione che ha arruolato nell’organizzazione di volontariato.
Sul civico con cui Giorgia Meloni spera di ottenere anche la guida della Regione Lazio vi sono infatti diverse ombre sulla carriera che ha fatto nel corso dei 15 anni in cui è stato prima dirigente e poi capo della Cri italiana e internazionale.
I rapporti col broker
Il 19 dicembre scorso, il giorno in cui Rocca si è dimesso dalla presidenza della Croce Rossa ed è stato indicato come candidato presidente alle regionale dal centrodestra, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha rinviato a giudizio il broker molisano Gianluigi Torzi, con le accuse di autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il rapporto tra l’aspirante governatore e l’imputato, già coinvolto nell’indagine della magistratura vaticana relativa alla compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra, in cui è finito pure il cardinale Angelo Becciu, è particolare.
Lo ha evidenziato proprio l’Ufficio del promotore di giustizia vaticana. Rocca ha fatto parte dell’advisory board della Jci Holding Ltd, una società considerata riferibile a Torzi, e nello stesso board c’erano l’ex ministro del Governo Berlusconi e attuale presidente del Consiglio di Stato, Franco Frattini, e l’ex ministro Giulio Tremonti. La Jci, il 29 ottobre 2019, ha fatto un bonifico da 31.200 euro a Rocca, come “corrispettivo quale componente advisory board”.
Nel 2020, durante il periodo più duro del Covid, la Lighthose Group Unlimited dello stesso Torzi ha siglato un contratto per vendere mascherine alla Croce Rossa e il giorno dopo quella firma Rocca è stato nominato direttore della Jci. Il 2 aprile del 2020 la società di Torzi ha quindi venduto 100mila dispositivi di protezione alla Cri, per un totale di 320mila euro, e il 9 aprile, “verosimilmente per contraccambiare il favore”, Rocca ha nominato Torzi advisor dell’Ufficio di Presidenza della stessa Croce Rossa.
L’aspirante governatore ha però assicurato che sull’acquisto di mascherine non vi fu alcuno “scambio” o “tornaconto” e che nella vicenda Torzi lui è “parte lesa”. Non è chiaro per quale ragione il numero uno della Croce rossa internazionale, in grado di parlare anche con i capi di Stato, per recuperare mascherine abbia avuto bisogno del broker molisano, ma andò così.
Gestione contestata
C’è chi poi, nel passaggio della Croce Rossa da una gestione pubblica a una privata, sostiene che 2.500 persone formate da anni siano state messe da parte e siano state assunte altrettante persone, con conseguenti spese esorbitanti: “È stato creato un ufficio di collocamento”.
E gli stessi sostengono che siano stati svenduti ben 1.706 immobili, tra cui il prestigioso palazzo di via Toscana. Detrattori, si dirà, che ci sono ovunque, anche nelle migliori famiglie.
Tra i vari incarichi Rocca è stato anche eletto presidente di Confapi Sanità, la confederazione che rappresenta le aziende del settore sanitario, sedendo nel consiglio insieme a Giampaolo Angelucci, figlio del deputato leghista Antonio.
Una realtà lontana da quella del volontariato. “Solo veleni da campagna elettorale”, giurano gli amici di Rocca. Ma sull’aspirante governatore c’è pure un’apparente contraddizione, che sta creando imbarazzi nella Croce Rossa.
I due principi cardine dell’organizzazione sono la neutralità e l’indipendenza. Difficili quando Rocca, una carriera già tutta a destra, è passato nello stesso giorno da presidente della Cri a candidato presidente per le regionali. L’allarme era già stato lanciato a ottobre, quando si pensava a lui come ministro, da un ex esponente dell’organizzazione: ma venne ignorato.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
FERMATO IL PROVVEDIMENTO VOLUTO DA FORZA ITALIA
Il colpo di spugna per gli evasori muore a metà pomeriggio, tra i soffitti alti di Palazzo Chigi. Giancarlo Giorgetti chiama Giorgia Meloni. Le dice che l’emendamento dei berlusconiani deve saltare.
Il rischio, evidente anche alla presidente del Consiglio, è che l’opposizione azzanni il governo. Pochi minuti prima, gli emissari del Pd hanno fatto sapere alla premier che assieme ai cinquestelle lanceranno un ostruzionismo senza precedenti.
Incubo esercizio provvisorio
L’Aula di Montecitorio, giurano, «si trasformerà in una bolgia». La promessa è interrompere la seduta con proteste eclatanti, trascinando il dibattito ben oltre Santo Stefano. E d’altra parte, è già il pomeriggio del 20 dicembre e la commissione non ha ancora votato neanche mezzo emendamento. L’incubo dell’esercizio provvisorio è distante solo undici giorni.
La presidente del Consiglio riattacca con il ministro leghista e contatta Antonio Tajani: «Così ci salta tutto, non possiamo permettercelo. Chiama i tuoi e mettiamo fine il prima possibile a questa partita». Prende forma la ritirata. E si sblocca la finanziaria.
Sei giorni in Commissione
In quegli stessi minuti, a Montecitorio. Nel corridoio con vista sulla commissione Bilancio squilla senza sosta il cellulare dell’azzurro Roberto Pella. È lo specchio di uno stallo, immagine plastica di una finanziaria inchiodata in commissione da sei giorni. Il deputato di Forza Italia è uno dei relatori della Finanziaria, quelli che mettono le firme che contano sotto gli emendamenti.
Ha ricevuto il mandato di blindare proprio il condono penale che cancella tre reati: l’omessa dichiarazione dei redditi, la dichiarazione infedele e l’omesso versamento. Di fatto, il grande perdono agli evasori. Pella sta parlando con il viceministro berlusconiano della Giustizia Francesco Paolo Sisto.
«L’emendamento – concordano – va presentato». Non basta a frenarli il fatto che soltanto qualche ora prima quella stessa norma è stata cancellata, a penna, dall’elenco delle proposte di modifica finite sul tavolo di Giorgetti. Sanno che proprio per questo motivo, l’unica possibilità residua è che il via libera arrivi direttamente da Meloni.
Serracchiani esulta
Va in scena l’ultimo disperato tentativo di salvare la norma. Passano dieci minuti, il tempo della triangolazione tra la premier, il titolare del Tesoro e Tajani. La capogruppo del Pd Debora Serracchiani esce dall’aula della commissione. «Vittoria, lo scudo penale non c’è!». Perde Forza Italia, si sbloccano i lavori. La legge di bilancio, a questo punto, sarà approvata entro il 23 dicembre. In quelle stesse ore, Meloni volerà in Iraq per incontrare il contingente italiano impegnato nel Paese.
Non si dissolvono, invece, i ritardi accumulati. E resta in piedi anche l’idea del condono. Gli azzurri fanno sapere di essersi garantiti l’impegno diretto della premier a recuperare il progetto in un decreto ad hoc da approvare in consiglio dei ministri il 29 o il 30 dicembre, a manovra appena licenziata dal Senato. Un progetto che non sembra combaciare del tutto, in realtà, con i ragionamenti con cui Giorgetti stronca l’emendamento azzurro.
Una diversa formulazione
Le osservazioni del ministro si soffermano in particolare sull’omessa dichiarazione, il reato in cui incorre chi non presenta il 730. Il giudizio è netto: un segnale sbagliato, di fatto un regalo agli evasori, per questo da cancellare. Anche il suo viceministro Maurizio Leo, in quota Fratelli d’Italia, concorda.
Altro discorso, invece, per le altre due fattispecie, ma da declinare comunque in modo differente rispetto a quanto scritto da Forza Italia: nessuna estinzione del reato, quindi nessun condono penale, ma solo la possibilità per il contribuente infedele di vedersi sospeso il processo se impegnato a versare, a rate, le somme dovute al Fisco.
Un beneficio per andare sostanzialmente incontro a chi non è riuscito a pagare per problemi economici, con la clausola della riattivazione del procedimento in caso di inadempimenti nei versamenti.
Le opposizioni, intanto, incassano un primo successo. E si organizzano per mettere di nuovo in difficoltà l’esecutivo prima della fine dell’anno. Il 27 dicembre è atteso alla Camera il decreto sui rave. Va convertito entro il 30 dicembre, per evitare che decada. Il Pd e i grillini l’hanno messo nel mirino e si stanno coordinando proprio in queste ore per trasformare l’Aula in un pantano.
L’ostacolo ordini del giorno
Se anche la fiducia sul testo dovesse passare, infatti, bisognerebbe superare l’ostacolo degli ordini del giorno. Ogni deputato di minoranza – sono 120 soltanto tra dem e 5S – può presentarne uno. E ogni odg porta via almeno dieci minuti.
Poi ci sono le dichiarazioni di voto e il voto finale. La maggioranza potrebbe uscirne soltanto sfoderando l’arma estrema della cosiddetta “ghigliottina”, che taglia brutalmente i tempi. L’effetto sarebbe quello di infuocare l’Aula e rovinare le feste a Palazzo Chigi. La battaglia sta per iniziare.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
E MELONI RINVIA L’USCITA A PORTA A PORTA
È scontro nella maggioranza, il giorno dopo la scelta di accantonare lo
scudo fiscale per gli evasori, tenuto all’ultimo momento fuori dalla manovra. In particolare, tra le forze a sostegno del governo, va in scena uno scaricabarile sulle responsabilità.
Il ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso indica in FI l’unica artefice dell’iniziativa, liquidando la vicenda: ”È una richiesta di Forza Italia, una delle forze di maggioranza”.
Una ricostruzione diversa la fornisce invece il berlusconiano Francesco Paolo Sisto – viceministro alla Giustizia – che attribuisce anche al ministero del Tesoro di Giancarlo Giorgetti e al suo viceministro Maurizio Leo (FdI) un ruolo nella vicenda: “La proposta sullo scudo – sostiene l’azzurro – nasce da uno studio interministeriale, promosso dal ministero dell’Economia e dal ministero della Giustizia. In una delle riunioni, a cui ho partecipato assieme al collega del Mef Maurizio Leo, è stata esaminata la possibile estinzione dei reati ‘per comportamento riparatorio’: tu paghi il cento per cento di quel che devi pagare e a fine corsa, se hai pagato tutte le rate unitamente ad una sanzione ridotta, estingui i cosiddetti ‘reati formali’, i piccoli reati”. E ancora: ”Questo è stato il principio che i due ministeri insieme hanno valutato: non è affatto un condono”.
Mentre dunque non si spegne l’eco del braccio di ferro di ieri, tutto interno alla maggioranza, sulle misure della manovra in campo fiscale, Giorgia Meloni decide di rimandare di un giorno la partecipazione in prima serata a Porta a Porta: non sarà più questa sera, ma domani.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
ADDIO A UNO DEI PIU’ GRANDI ESPERTI DI LETTERATURA ITALIANA, AVEVA 89 ANNI
È morto a 89 anni Alberto Asor Rosa, storico della letteratura e saggista italiano: era nato a Roma nel 1933. Professore di letteratura italiana alla Sapienza di Roma, deputato del PCI tra il 1979 e il 1980, è stato uno dei grandi studiosi della nostra letteratura e del rapporto tra letteratura e ideologie politiche. Ha diretto la Letteratura italiana Einaudi (1982-91).
La letteratura italiana, lo studio di un’intera vita
Alberto Asor Rosa, più spesso citato soltanto come Asor, è stato un protagonista del discorso culturale e politico dell’ultimo mezzo secolo.
Allievo di Natalino Sapegno, Asor si era laureato discutendo con Sapegno e Ungaretti una tesi su Vasco Pratolini, tesi che era poi diventata un libro. Con Scrittori e popolo, poi molte volte ripubblicato, analizzava il mutamento antropologico degli ultimi decenni, il passaggio dal popolo alla massa, e il rapporto della sinistra intellettuale con il proletariato. Un interesse, quello del rapporto tra intellettuali e potere, che è rimasto costante nella sua vita, come raccontò intervistato su Repubblica da Paolo Mauri qualche anno fa.
Per cinquantadue anni docente alla Sapienza di Roma, credeva che si dovesse studiare la letteratura italiana nel suo complesso. E alla storia della letteratura ha dedicato la sua esistenza: da quella ideata negli anni Settanta per la Nuova Italia alla Storia europea della letteratura italiana (Einaudi, 2009): in mezzo la direzione della grande opera intitolata Letteratura Italiana pubblicata in 20 volumi tra il 1982 e il 2000 e la collaborazione con la Letteratura italiana Laterza, diretta da Carlo Muscetta.
Le opere: saggistica, memoria e racconti
Pur essendo un italianista, subito dopo Scrittori e popolo scrisse un saggio su Thomas Mann. E a partire da L’ultimo paradosso (1985) si dedicò a saggistica, memorialistica e narrativa in maniera più libera. Ne L’alba di un mondo nuovo (2002) tornò alla sua storia familiare: era nato a Roma, nel 1933, in una famiglia di piccola borghesia, con il padre impiegato delle ferrovie, ed era cresciuto a piazza Tuscolo. Dopo L’alba scrisse Storie di animali e altri viventi (2005) tutto dedicato a personaggi non umani e di nuovo nel 2010, con Assunta e Alessandro, tornò a raccontare dei suoi genitori. Ci sono, ancora, due volumi di racconti. I racconti dell’errore (2013) e Amori sospesi (2017), in cui molte delle situazioni narrate hanno un fondo autobiografico.
Nel 2019 è comparso da Einaudi un saggio su Machiavelli e l’Italia intitolato Resoconto di una disfatta.
(da La Repubblica)
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